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Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali NUMERO 0 - MAGGIO 1990 |
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Il Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Regionali (C.N.P.R.R.) ritiene che l'ormai lunghissimo itinerario parlamentare della legge quadro per i parchi e le aree protette debba presto giungere a conclusione. E tempo infatti che la legislazione italiana si ponga al passo con Ie più avanzate e sperimentate legislazioni internazionali, che definisca Ie caratteristiche degli ambiti naturali da salvaguardare per le generazioni future, che avvii una politica di tutela dell'ambiente pregiato come parte integrante di una più generale politica economica. Gli approdi più recenti del lavoro parlamentare costituiscono, a questo proposito, un miglioramento rispetto ai punti di partenza. E però convinzione del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Regionali che sia possibile, oltre che necessario, un ulteriore approfondimento dell'elaborazione che tenga conto delle esigenze complesse del sistema delle aree protette (comprese quelle già istituite a Parco), del bisogno di agilità e vigore che presenta la politica di tutela ambientale e ancora delI'utilità di collaborazione e integrazione costanti nell'attività dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali. Va sottolineata preliminarmente l'esigenza di stabilire un raccordo tra dibattito in corso attualmente in Parlamento sulle riforme dell'ordinamento locale e l'argomento oggetto del presente docurnento. Al riguardo si rileva l'inopportunità di stabilire attraverso la legge quadro sui parchi un modello di Ente parco da calare automaticamente in tutto il territorio nazionale. Ciò contrasterebbe infatti con l'autonomia delle Regioni e degli Enti locali, ed inoltre non terrebbe conto del fatto che oggi in Italia esistono e funzionano oltre settanta parchi regionali e centotrenta riserve naturali, entità gestite in maniera diversificata a seconda delle scelte delle singole Regioni mediante leggi-quadro o comunque in base agli specifici provvedimenti istitutivi, frutto di un lungo lavoro di consultazione e partecipazione fra i vari livelli istituzionali e le forze sociali. Tanto più inaccettabile risulterebbe tale impostazione dal momento che il modello previsto dal testo in discussione presso la Commissione ambiente della Camera opera una pianificazione, persino numerica, fra assemblee elettive ed altri componenti del principale organo di gestione dei Parchi. Non si disconosce l'opportunità che nella gestione delle aree protette debbano essere assicurate le più ampie collaborazioni di associazioni ambientalistiche e di altre rappresentanze sociali e culturali nonché Ie istanze tecnico-scientifiche: si ritiene comunque che questa esigenza possa essere soddisfatta sia attraverso la costituzione di organismi aventi compiti di consultazione e proposta (vedi le comunità di parco), sia per quanto riguarda gli apporti tecnicoscientifici mediante la costituzione di appositi comitati analoghi a quelli già positivamente operanti, con poteri incisivi, presso molti parchi regionali. Se come rilevato, non sembra risolto in maniera soddisfacente il rapporto tra il centro e la periferia, non pare adeguatamente risolto neppure il rapporto tra gli organi centrali dello Stato. Specialmente nell'ultimo testo della legge quadro in parola si registra, in dissonanza non solo con gli ordinamenti generali fissati dal D.P.R. 6l6 ma anche con gli scopi e le finalità del nuovo Ministero per l'ambiente, una ridislocazione di competenze e di attività gestionali anche di personale del Ministero dell'agricoltura, al punto che si prevede in ordine al demanio pubblico delle aree un recupero al centro di poteri di direzione e di gestione persino di aree pubbliche periferiche. A fronte di tale prospettiva va ribadito che, coerentemente con gli indirizzi sanciti dal D.P.R. 616, il ruolo dello Stato e quindi dei Ministeri e loro organi dovrebbe prevalentemente riguardare compiti di programmazione, di indirizzo legislativo e di coordinamento, limitando sempre più gli interventi dei gestione diretta. Appare pertanto inaccettabile che si tenda ad una estensione del demanio statale anziché di quello regionale e locale: sarebbe invece auspicabile l'affidamento di proprietà demaniali ricadenti all'interno di un ambito protetto, in concessione di comodato gratuito agli enti di gestione dei parchi e delle riserve regionali, proprio quali soggetti pubblici attivi nella gestione del territorio. Quanto sopra vale anche per il demanio fluviale, ai fini della gestione dei Parchi fluviali, nell'ambito dei quali emergono ricorrenti conflitti con le competenti autorità statali interessate a detti territori . Va poi lamentata, sempre nell'ambito dell'ultima stesura della legge quadro in parola, la riaffermazione di una concezione della tutela eminentemente di carattere passivo, concezione confermata dall'aver incentrato preminentemente nella vigilanza gli indirizzi espressi per la gestione delle aree protette, quando oggi appare chiaro che è sempre più necessaria una gestione attiva del territorio caratterizzata da competenze e funzioni diversificate, come emerge dall'esperienza in atto nei parchi regionali. D'altronde anche in riferimento ai parchi marini si registrano impostazioni che tendono ad accentuare gli elementi di differenziazione, se non di vera e propria conflittualità, tra i livelli centrali dello Stato: tanto evidente risulta questa diversificazione per cui sono previste per i Parchi marini forme di gestione diverse rispetto a quelle dei parchi terrestri, quando oggi appare ben chiaro che occorre raccordare la gestione del territorio inteso unitariamente. Questo complesso di osservazioni, di carattere prevalentemente istituzionale, che il Coordinamento ritiene di dover presentare alla Commissione muovono da una preoccupazione di fondo: se si intende raggiungere il non facile obiettivo di porre sotto tutela almeno il 10% del territorio nazionale, ciò sarà possibile soltanto alla condizione che lo Stato, inteso nel suo complesso ordinamentale, riesca a mobilitare e a unificare forze, energie, risorse, competenze, evitando ad ogni livello conflittualità e discriminazioni. Tale considerazione intende riferirsi sia al criterio di identificazione c classificazione degli ambiti protetti - che non possono avvenire in base a valori nazionali o locali, presunti e non dimostrati scientificamente - sia per quanto attiene all'impiego delle risorse -che non può privilegiare in sede di assegnazione di finanziamenti i parchi a seconda della loro diversa tipologia. Con ciò si intende ribadire l'esigenza di uno sforzo comune e congiunto indispensabile a tutti i livelli istituzionali e con l'impiego di tutte le risorse disponibili, per portare l'Italia al livello dei paesi più avanzati nel campo della protezione dell'ambiente. Da questo punto di vista la legge, per evitare ogni e qualsiasi discriminazione fra parchi nazionali e gli altri parchi nell'erogazione delle risorse, dovrebbe prevedere l'istituzione di un fondo per spese correnti, non soltanto destinato ai parchi nazionali, ma in parte erogabile anche alle regioni in ragione dei parchi effettivamente istituiti dalle medesime. Naturalmente tale criterio di ripartizione dovrebbe essere seguito anche nell'assegnazione dei finanziamenti in conto capitale. Al riguardo appare giustificata la previsione di corsie privilegiate di finanziamento per le aree protette in occasione di riparti di fondi per programmi di interesse ecologico (depurazione, difesa del suolo, agricoltura e forestazione ecc.) come già previsto in leggi regionali per interventi a tale livello: con riferimento ad azioni di carattere ovviamente nazionale andrebbero previste forme di collegamento e di coordinamento con le strutture dello Stato. Si ribadisce poi l'esigenza che tutte le norme che determinano le possibilità operative dell'Ente Parco (rapporto vincoli-imposte, ristoro dei danni da fauna selvatica, diritti di prelazione ecc.) e quelle che ne regolano le entrate economiche o gli attribuiscano agevolazioni fiscali, vengano estese anche ai parchi nazionali. La nuova legge dovrebbe inoltre contenere norme specifiche tese alla salvaguardia, al potenziamento e al miglioramento delle attività produttive agro-silvo-pastorali presenti nelle zone protette: ciò in quanto si ritiene che la presenza umana legata a tali attività ed il corretto esercizio delle stesse rappresentino uno degli elementi essenziali per la tutela, la salvaguardia, la vigilanza del territorio e dei suoi aspetti ambientali e paesaggistici. Al fine di favorire un più ampio e organico rapporto di collaborazione fra Parchi ed organi della Pubblica Amministrazione, si evidenzia l'opportunità di un riconoscimento giuridico del ruolo del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Regionali, inserendo una rappresentanza di tale associazione nel Comitato nazionale per i programmi nelle aree predette previsto dalla legge quadro in parola. Infine va fatto particolare riferimento alla Comunità Europea, ambito rispetto al quale si pongono problemi di recepimento delle direttive e dei regolamenti comunitari che sovente investono competenze, anche primarie, delle Regioni: tale riflessione e tale riscontro vanno sviluppati sia riguardo al concetto di tutela sia in merito ai criteri di classificazione e gestione dei territori protetti. |
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