PROCEDURE E IDEE GUIDA
La gestione faunistica nei Parchi, come nelle aree protette, appare oggi e soprattutto in Italia, un'eterna partita di baseball.
Secondo frequenze prevedibili o non, giungono al battitore (il Parco) problemi faunistici, "sparati" con notevole velocità. Il Parco risponde. Ma non riesce neppure a gettare la mazza, per giungere alla casa base, che immediatamente gli perviene un altro problema. Altra battuta, la palla è rinviata alla bell'e meglio.
Ma subito ne arriva una terza e così via.
Eppure la gestione faunistica e un piano progetto globale deriva da considerazioni complessive, da esigenze ecosistemiche e specifiche, da problemi sociali e culturali, da esigenze di immagine e di contenuto. Tentiamo tuttavia, poiché nello scrivere possiamo prenderci del tempo e almeno a livello teorico, di fare una pausa e di riflettere su come e su quali riflessioni di fondo andrebbe impostata la gestione. E parliamo allora di procedura: cosa e più importante in questo (in un) Parco?
Un primo problema c appunto il seguente: qual'è il posto della gestione faunistica nella gestione complessiva del Parco?
E per chiarire. Il raggiungimento delle cinque finalità prioritarie dei Parchi e cioè conservazione, ricerca, educazione, promozione culturale, sociale ed economica nonché sperimentazione è diverso per mezzi, modi, tempi e ricadute. Fra i mezzi potremmo considerare anche gli elementi stessi che costituiscono i valori di un Parco: ambiente fisico, vegetazione, rauna, interrelazioni Uomo-ecosistemi, paesaggio. Se conservare la fauna è un obiettivo principale è pure vero che la gestione della fauna, la buona corretta gestione, e un mezzo per attuare anche altri obiettivi. Per esempio l'educazione, la promozione culturale e non soltanto.
Ma non e sempre opportuno che in tutti Parchi i cinque obiettivi abbiano - per l'eternità- lo stesso peso. Motivi strategici o persino tattici possono suggerire che in una fase iniziale sia la promozione socioculturale ed economica ad occupare il primo posto. Guardando alla realtà costitutiva di alcuni Parchi italiani sono state le esigenze della conservazione, dello stambecco nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, dell'orso e del camoscio appenninico in quello d'Abruzzo, a risultare del tutto prioritarie. E forse questa fase dura ancora. Oppure: parchi piccoli e periurbani possono/debbono attribuire maggior peso all'obiettivo collocazione-sperimentazione. Un dosaggio fra gli obiettivi principali è insomma un efficace strumento per chiarire la politica generale del Parco e calibrarne le risorse finanziarie e umane.
Negli esempi offerti dai due Parchi italiani citati, la componente faunistica (e persino soltanto tre specie. ) e quella che caratterizza,giustifica e imposta la gestione del Parco. Fauna e/o specie animali possiedono dunque un'importanza prioritaria. Per esse, maggiore impegno risorse e. . .risultati. Ma non è sempre così: nel Parco Nazionale dello Stelvio non è facile affermare, senza discussione, che sono i valori faunistici ad emergere. E tanto meno prioritari sono i gruppi faunistici o una specie soltanto. Piuttosto, si tratta qui di un ecosistema complesso e di grande pregio, nel quale anche i valori paesaggistici giuocano un ruolo importante. Alla gestione faunistica va dunque attribuito un ruolo relativo, in rapporto ad altri valori. E si può passare allora a rispondere ad un secondo quesito. Quale può essere il ruolo della fauna nel realizzare gli obiettivi di un Parco? O più chiaramente. Se prioritario è (poniamo) l'obiettivo educazione, quali sono le specie e/o i gruppi faunistici che si possono utilizzare al meglio per il raggiungimento di questo scopo?
La determinazione delle priorità non è -su questo si deve essere molto chiari - un misconoscimento di altri valori. E piuttosto una procedura per ottimizzare gli scarsi mezzi di un Parco. Ed è una scelta/ valutazione temporanea: i rapporti gerarchici possono cambiare o perché gli obiettivi sono stati raggiunti, perché altri valori sono in pericolo o persino perché sono maturate "altre" esigenze. E altresì ovvio che oggettiva deve essere la valutazione di questa ed altre scale di valori.
In conclusione, prioritariamente andrebbe determinata:
- 1 - la gerarchia rra gli obiettivi del parco
- 2 - Il ruolo della fauna negli obiettivi: finee o mezzo?
- 3 - la gerarchia fra i gruppi faunistici.
Ma questo e solamente un primo momento nella gestione faunistica (e non solo in questa). Vi è certo una notevole riluttanza a passare alla determinazione di "cosa è più importante". Tutto è importante! (Si afferma). Verissimo. Eppure alcuni problemi sono più urgenti. Altri vengono implicitamente risolti dalla risoluzione di casi più complessi. I primi sono prioritari di "fatto"; i secondi sono, sempre di ratto, di scarsa rilevanza. Perche non riconoscerlo dunque, e negarsi ad una fase oggettiva e stimolante di pianificazione?
Il problema non è solo faunistico, si dirà. Ma nella gestione della fauna va ricordata una sua caratteristica precipua. E questa la pone su di un piano abbastanza diverso da quello degli altri valori contenuti in un Parco.
La fauna costituisce e innesca un legame forte fra Parco e fruitori. La percezione delle specie animali, in diversi modi - ottici, acustici e persino fisici e olfattivi o di "immagine" (sapere che c'e) - rappresenta il biglietto da visita di molti Parchi, se non quasi tutti. La buona o cattiva gestione di un Parco è certificata - questa l'opinione comune - della fauna.
Questa deve essere ricca ma soprattutto . . . percettibile.
La fauna è allora un messaggio
E come tutti i messaggi può essere stracapito, frainteso, giungere in ritardo, in modo parziale (o non giungere affatto).
Una cosa e comunque certa: la fauna è il miglior me%%o di comunicazione indiretta che un Parco possiede. E ciò anche se non pare che la maggior parte dei Parchi abbia afferrato, sino ad ora, le profonde implicazioni dell'importanza della fauna quale messaggio e mezzo di comunicazione. E ci spieghiamo: un messaggio che può anche essere . . . diseducante.
Un Parco "faunisticamente maggiorato" può persino rinunciare ad altri mezzi di comunicazione. L'orso, lo stambecco, i voli degli uccelli palustri dicono tutto. Ma cosa dicono, in realtà, dipende dai fruitori e da come questi percepiscono la comunicazione non verbale trasmessa dalla fauna. Un messaggio forte ha una conseguenza implicita. Rende meno attenti ad altri messaggi. Il Coto Donana, è - in certe stagioni - una sintesi orgiastica di canti voli e tramonti.
Nulla di male nell'edonismo naturalistico, certo. Ma attenzione: l'estasi selvaggia - il dopo va paragonato a quello successivo ad una sbornia - può attendere la capacità di fare, di proporsi obiettivi assai meno gratificanti, creduti persino banali. Al ritorno nei nostri condomini di città, sogneremo un'altro Donana, un'altra Uccellina, altri Orsi. Ma la conservazione va fatta giorno per giorno!
Ed inoltre, sappiamo che una volta entrati nell'ottica del consumo (naturalistico) si è sempre alla ricerca di sapori più forti, di emozioni nuove, di viaggi sempre più avventurosi.
Fauna eguale droga, dunque?
A volerlo ammettere, diremo che anche altre componenti (il paesaggio: ricordiamo la Maremma e il Parco di Plitvicel) possono giocare questo ruolo. Ma la fauna possiede un ulteriore vantaggio, l'identificazione. L'animale suscita nell'uomo emozioni profonde e complesse: identificazione significa anche riconoscimento di diversità, di ruoli e di relazioni.
L'Animale è magia.
La fauna è avventura.
E a questo fascino profondo è impossibile - e non giusto- sottrarsi.
Ma non va dimentica la ragione. Il poter offrire un'orgia di bellezza non deve far dimenticare a questi fortunati Parchi che i loro doveri sono quelli stessi delle persone superdotate di qualità fisiche e/o intellettuali. Non attendere i sensi ma creare idee e farle realizzare.
Un Parco Circe ha dunque un obbligo essenziale: quello di NON confermare i pregiudizi di chi lo visita. Di NON dare certezze ma mettere in discussione. Di NON divertire e basta (per questo ci sono... Rimini e Disneyland) ma di suggerire un "fare".
Paradossalmente, vorremmo sostenere che il Parco migliore è quello che mette in crisi i nostri approcci, le nostre credenze consolidate. Quel Parco che non ci fa rimpiangere ciò che abbiamo perduto (perché la mia periferia non è come il Paduletto dell'Uccellina?) ma quello che ci sprona a lottare, pur con calibrato disincanto, anche per un singolo all)ero.
Il Parco più diseducante è forse proprio quello che somministra acritiche certezze. "Bisogna fare così !" E poi tutto si ignora: dai problemi interni ai conflitti con il personale, dal trattamento finanziario di quest'ultimo ai problemi con le popolazioni. Un Parco spontaneamente affascinante e che gode quindi di una rendita di posizione ha dunque maggiori obblighi: il suo messaggio, faunisticamente così attrattivo, deve portare un cambiamento (nei fruitori). Deve educare con la fauna.
E potremmo abbozzare alcuni spunti, alcune idee e suggerimenti per impostare la gestione della fauna nei Parchi Circe (faunisticamente parlando) . Per esempio:
Non far divertire: far riflettere
- 1 - rendere difficile (avventurosa, imprevedibile, faticosa etc.) la percezione delle specie facili;
- 2 - graduare la percettibilità faunistica;
- 3 - valorizzare la fauna "trascurata o banale", rendendola percepibile, apprezzabile, emozionante o "magica";
- 4 - obbligare a "fare" qualcosa di impegnativo (per godere la fauna);
- 5 - elevare il gusto faunistico, gli standard di sensibilità (alta sensibilità eguale ad alta educazione);
- 6- far conoscere le "vere" esigenze della fauna e quindi le sue caratteristiche (non basta volerle bene!);
- 7 - far comprendere che "offrire" fauna è un lavoro, duro, serio e malpagato (lo è): far condivider il concetto che ciò che è gratis (qui, la fauna) . . . vale poco;
- 8 - far comprendere che la gestione faunistica non è un campo di esercitazione di buoni sentimenti e/o per dilettanti (bisogna sporcarsi le mani);
- 9 - abbandonare la mentalità di cittadella assediata dove i buoni (amici del Parco) sono nettamente distinti dai cattivi (i nemici e persino i tiepidi);
- 10 - verificare se il messaggio è stato (almeno) inteso correttamente.
Il messaggio faunistico di cui si è parlato rimane tuttavia un messaggio esterno, diretto ai suoi fruitori. E per i residenti?
Valgono le stesse regole?
E una annotazione assolutamente avulsa l'affermare che la capacità di trasmettere messaggi (e non solo per mezzo della fauna) sono totalmente diverse, per forma e contenuto, quando un Parco, qualsiasi Parco, si rivolge a chi vi abita.
Anche un Parco Circe perde in questo caso ogni attrattiva, il fascino suscitato nei confronti dei suoi fruitori può diventare persino controproducente, allorché (e questo avviene assai spesso) questi ultimi, ammaliati dal messaggio faunistico, considerano gli abitanti di questo giardino delI'Eden come un disturbo, da eliminare quanto più possibile.
Un'ulteriore indicazione dunque per questo tipo di Parco.
Poiché gli abitanti di un'area protetta considerano (a torto, ma ciò non conta) di esser stati proprio essi i volontari artefici di tante bellezze, vi è giusto desiderio di essere considerati almeno - in relazione al loro ruolo. E comunque con dignità. mentre invece gli "schiavi di Circe" fanno capire, con una somma di comportamenti, che le cose stanno esattamente in modo contrario: la fauna, le- bellezze naturali si sono conservate nonostante le popolazioni locali.
Non e il caso di ricordare i problemi di conflittualità con queste ultime, tanto sono noti. Ma si deve mettere sull'avviso che è proprio allorché il Parco separa e contrappone (anche involontariamente) fruitori e residenti, giocando al buono (utente ammalato) e al cattivo (locale gretto), si possono innescare stress emotivi difficili da risolvere tanta è la distanza fra ciò che gli abitanti di un Parco credono di essere e il giudizio che su di essi viene a pesare. E questa conflittualità è esasperata da un messaggio faunistico travolgente.
Del resto, non va dimenticato che nessun Parco è "Circe" per chi vi abita o vi lavora. Resterebbe da chiedersi se questi pericoli - che derivano da un grande potere - sono minori, diversi o eguali (ma di segno contrario) in un Parco che è privo di fascino faunistico. E vero che ciò è relativamente raro (in Italia almeno) . Elementi faunistici sui quali puntare vi sono poi comunque e sempre, per cui quel tanto di magico ed emotivo può essere fatto emergere e prudentemente valorizzato. Un Parco di questo tipo tende tuttavia ad essere un Parco Minerva, cioè un luogo di messaggi razionali, il più delle volte resi noiosi dalla spiacevole circostanza che molti Parchi ignorano (o non si preoccupano: errore gravissimo!) delle tecniche di comunicazione. E invece quanto più un messaggio fa appello al razionale, tanto più deve giungere in modo gradevole.
Il parco Minerva può assecondare un'altra errata impostazione di fondo, speculare nei suoi difetti a quella del Parco Circe.
Tutti i Parchi cadono, prima o poi, in overdose da turista.Questo viene visto come una persona che provoca solo danni e che non permette di "lavorare". Ma questa è una conseguenza implicita di una impostazione errata: quella di far divertire il turista senza coinvolgerlo nei problemi del Parco. Quella di ammaliarlo, stregarlo e di farlo poi uscire reso folle da naturali ebbrezze. Un Parco in cui la fauna si nega al fruitore facilita l'opera di chi vede nel turista una specie di selvaggio, di nemico o di elemento comunque disturbatore: un eterno estraneo, in questo ambito, il turista non è pericoloso, i valori faunistici si difendono da sé. Quanto lavoro in meno! (apparentemente: ma quanto lavoro per altri!). La parte didattica, precettrice diviene così - anche perchè fornita in modi/ mezzi non professionalmente adeguati poco appetita e persino stucchevole. E si perde quell'elemento emotivo, coinvolgente, bellissimo che solo la fauna può dare. In conclusione. Nei Parchi - e non solo - la fauna è (anche) un potente strumento di comunicazione. Può educare con modi affascinanti. E questa occasione non va perduta.
di Franco Perco |