Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista Parchi:
tutti i numeri online
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 1 - OTTOBRE 1990



L'esperienza siciliana
Giuseppe Riggio
La necessità di istituire delle aree protette in Sicilia venne sancita da una legge (L.R.98/81) varata nel maggio di nove anni fà.
Un atto legislativo contrastato e sofferto che ebbe comunque il grande merito di segnare un punto di svolta per la normativa regionale siciliana. In 41 articoli l'Assemblea regionale tracciò in quella occasione un disegno di tutela complessiva del patrimonio ambientale dell'Isola, che a distanza di nove anni si è rivelato certamente di largo respiro, ma anche ambizioso rispetto ad una Regione che non vanta una grande consuetudine con la pianificazione territoriale. La definizione di Parco naturale contenuta nella legge 98/81 è comunque volutamente ampia. Vengono definite come tali "quelle aree territoriali o marine di vaste dimensioni, che presentano rilevante interesse generale a motivo delle loro caratteristiche morfologiche, paleontologiche, biologiche ed estetiche con particolare riguardo alla flora ed alla fauna". Vedremo più avanti che proprio a proposito delle "vaste dimensioni" nasceranno un buon numero di problemi nella fase di applicazione della disposizione legislativa. La legge 98 dettò comunque immediatamente una speciale tutela per il territorio etneo ed istituì contestualmente la riserva dello Zingaro, sette chilometri di costa sottratti alla speculazione edilizia. In più vennero identificate 19 riserve, diffuse in tutte le province. Negli anni successivi gli sforzi dell'Assessorato regionale territorio e ambiente si sono concentrati su tre grandi complessi montuosi dell'isola: le Madonie, i Nebrodi, l'Etna. Quest'ultima è certamente l'emergenza di maggiore notorietà internazionale; gli altri due costituiscono delle realtà di grande interesse seppur contraddistinte da problemi estremamente complessi. Al momento attuale il Parco dell'Etna e quello delle Madonie risultano ufficialmente istituiti, mentre il terzo - quello dei Nebrodi - è fermo alla fase della proposta elaborata da un commissario "ad acta".
Il Parco dell'Etna è stato il primo a segnare il traguardo, forte della speciale tutela accordatagli sin dal 1981, grazie ad un decreto del Presidente della Regione del 17 marzo 1987. Successivamente è seguito un lungo periodo di gestione commissariale, in attesa della elezione di tutti gli organi previsti dalla normativa regionale. Un periodo che è servito a porre solidamente le basi amministrative di un ente che per la prima volta faceva la sua comparsa in ambito siciliano. Il Parco dell'Etna si estende su una superficie di 58 mila ettari suddivisi in quattro zone: la "A" e la "B" rappresentano il cuore dell ' arca protetta (insieme raggiungono i 50 mila ettari) costituendone rispettivamente la riserva integrale e quella generale, mentre la "C" - differenziata in pedemontana e altomontana - ha lo scopo di ospitare gli insediamenti turistici. La"D" rappresenta infine una sorta di limitata area "cuscinetto" creata per favorire l'integrazione fra il Parco ed il territorio circostante. Proprio su quest'ultima zona si sono incentrate, di recente, alcune serie problematiche di gestione, poichè su di essa si è concentrata la gran parte di casi di abusivismo. Del resto la zona "D", già nella definizione chc ne fa il decreto istitutivo, costituisce l'area in cui in pratica è possibile effettuare tutto ciò che non è espressamente vietato. Su di essa è quindi difficile attuare una incisiva opera di pianificazione urbanistica. Tanto più che il Parco non è ancora dotato di un fondamentale strumento di coordinamento quale è il Piano Territoriale, piano che fra l'altro dovrà contenere (art.17L.R.14/88) una direttiva agli Enti locali per la redazione degli strumenti urbanistici riguardanti le zone "D". Da qualche mese il Parco dell 'Etna dispone di tutti gli organi previsti dalla legge: il Presidente dell'Ente, il Collegio dei revisori, il Comitato esecutivo che è composto da otto membri in parte di diritto (Presidente, Direttore, Presidente del Comitato tecnico scientifico e Capo dcll'Ispettorato Ripartimentale delle foreste), ed
in parte eletti dal Consiglio del Pareo. Quest'ultimo organo è composto a sua volta da tre rappresentanti per ciascun Comune facente parte del Parco: per quello dell 'Etna sono venti i Comuni interessati, e tre di questi partecipano al Consiglio con cinque rappresentanti, in quanto detengono le maggiori estensioni di territorio comunale ricadenti all'interno dell'area tutelata. E' stato inoltre varato lo Statuto e la pianta organica del personale ehe prevede 140 unità di eui ben 92 da destinare alla vigilanza. Tutto è ormai pronto per il bando dei relativi concorsi, che potrebbero iniziare il loro iterprocedurale già nei prossimi mesi. Nel frattempo l'Ente continua a svolgere la sua opera contando su sei elementi, fra tecnici e amministrativi, su cui grava l'intero carico del grande Parco regionale all'interno del quale si trovano numerosissimi endemismi botanici o paesaggi unici in Italia. Pur fra evidenti difficoltà, prima fra tutte quella derivante appunto dalla scarsa dotazione di personale, il Parco dell'Etna si trova comunque con le carte in regola per avviare una incisiva attività sul territorio.
Dal punto di vista gestionale l'area etnea offre alcuni obiettivi vantaggi: il primo è quello della omogeneità. Il massiccio etneo costituisce infatti una entità geograficamente e culturalmente autonoma, marcatamente segnata in tutti i suoi caratteri dall'attività del vulcano. Simili sono dunque le problematiche di gestione in tutti i 58 mila ettari del Parco. Superficie che fra l'altro, soprattutto per quanto concerne le zone "A" ed in parte la "B", appartiene già da anni ai demani comunali e a quello regionale. Limitate sono anche le attività umane in zona "A", ormai rappresentate da una contenuta pastorizia estensiva e da interventi forestali volti alla creazione di boschi disetanei. Più complessa è invece la problematica della fruizione turistica, che sino ad oggi si è basata soprattutto sul flusso di visitatori verso la zona sommitale, attività che viene svolta su due versanti utilizzando mezzi fuoristrada. Delicato è anche il coordinamento degli interventi da effettuare in zona "B", l'area di riserva generale. In questa zona è consentito - recita testualmente il decreto istitutivo - "esercitare, proseguire, riattivare le attività agricole" nelle aree già un tempo destinate a tale finalità. Di conseguenza è anche permessa la realizzazione di strutture edilizie strettamente funzionali all'attività agricola. Una norma che, come è facile comprendere, sta creando non pochi problemi dal punto di vista dell'applicazione pratica. In concreto, a tre anni dalla sua istituzione, si può sicuramente affermare ehe l'esistenza del Pareo ha determinato sinora un grande rilancio di attenzione nei confronti dell'area etnea, una contestuale ripresa della ricerca scientifica che è tuttavia ancora carente in molteplici settori, ed una importante spinta verso la creazione di alcune iniziative innovative imprenditoriali legate alla fruizione della natura (educazione ambientale, maneggi, organizzazione trekking, agriturismo) che mai prima d'ora erano riuscite a radicarsi sull'Etna.
Ben più recente è la creazione del Parco delle Madonie ricadente per intero all'interno della provincia di Palermo. Il decreto istitutivo dell'Assessore regionale al territorio e all'ambiente risale infatti all'autunno del 1989 (D.A. 9.11.89). Oltre 40 mila sono in questo caso gli ettari ricadenti all'interno dei confini del Parco, mentre 15 sono i Comuni coinvolti. Maggiore rispetto al Parco dell'Etna, è questa volta l'incidenza delle zone "C" e "D". La normativa di base è ovviamente comune a quella dell'area vulcanica (la citata L.R. 98/ 81, successivamente integrata dalla legge 14/ 88) ed anche molto simile è la regolamentazione dettata dal decreto istitutivo. Identiche le caratteristiche delle zone e la previsione delle attività consentite, con qualche differenziazione a proposito della caccia consentita nel Parco dell'Etna, zone "C" e "D" al solo coniglio selvatico, e secondo calendario venatorio, mentre nel Parco madonita è previsto il divieto assoluto, anche se d'altra parte viene consentita l'eventuale utilizzazione dei piani di abbattimento per limitare la diffusione di quella specie animale. Ma non è certamente su questi argomenti che si concentrano per il momento le preoccupazioni dei responsabili del Pareo delle Madonie. Basti pensare ehe, subito dopo 1 'emanazione del decreto istitutivo, è scoppiata un'aspra contesa riguardo la captazione delle sorgenti e dei torrenti montani, finalizzata ad alleviare la siccità nelle zone centrali dell'Isola. Un contenzioso che ha dimostrato quanto sia problematica la gestione del territorio in una regione come la Sicilia che, pur essendo rimasta
estranea ad un diffuso sviluppo industriale, soffre anch'essa di gravi guasti ambientali. Molti di essi sono fatalmente collegati alla realizzazione di opere pubbliche, solitamente finanziate nel quadro degli interventi per il Mezzogiorno, che non sempre tengono conto delle compatibilità ambientali. Si scatenano così sovente dei conflitti in cui l'opinione pubblica meno avvertita trova assai stridente, date le condizioni complessive della regione, lo scontro fra le esigenze di tutela della natura e quelle di miglioramento delle condizioni socio-economiche. Fra le emergenze naturalistiche delle Madonie va sicuramente segnalato l'ultimo insediamento di "Abies nebrodensis": l'abete che centinaia di anni orsono era una delle componenti primarie delle foreste siciliane e di cui sono sopravvissuti soltanto 25 esemplari in un canalone poco distante dall'abitato di Polizzi Generosa. L"'Abies nebrodensis" è al centro, da alcuni anni, di una complessa operazione di salvataggio finalizzata a preservare gli ultimi esemplari "adulti" presenti in natura, ed a far crescere in vivaio centinaia di nuove piantine. Nella speranza che i caratteri genetici originali, malgrado la ridottissima popolazione, siano ancora conservati.
Per quanto concerne l'utilizzazione turistica il territorio madonita è da anni dotato di un buon numero di strutture alberghiere e rifugi montani. I piani del Parco puntano a valorizzare il turismo escursionistico; è pera prevista, al contempo, la possibilità di impedire persino il transito pedonale in interi settori della zona "A". Ancora più complessi sono i problemi legati alla istituzione di un Parco naturale nella terza importantissima area montuosa siciliana, che si distende lungo il versante settentrionale dell'isola: i Nebrodi. In questo caso l'impresa di porre sotto speciale protezione un ambiente estremamente articolato nei suoi aspetti naturalistici, nonchè ricco di insediamenti antropici, si è dimostrata fino ad oggi estremamente difficile. Innanzitutto in conseguenza dell'ampiezza del territorio interessato (circa 140 mila ettari secondo quanto previsto dalla Proposta dell'Assessorato competente), sia per il peso della pastorizia ehe lungo la dorsale dei Nebrodi rappresenta un'attività di preminente interesse per le comunità locali . In più occorre considerare che ad un territorio così esteso corrisponde ovviamente un numero assai consistente di Comuni coinvolti (precisamente 34, facenti parte delle province di Messina, Catania, Enna e Palermo), ciascuno dei quali concorre con le proprie osservazioni alla elaborazione della regolamentazione dell'area protetta.
Queste in estrema sintesi le questioni che hanno finora impedito l'istituzione del Parco dei Nebrodi . Un ' area che comprende al suo interno, malgrado secoli di interventi umani, aree di notevole valore naturalistico. Basterà citare il comprensorio di M. Soro con il lago Biviere di Cesarò; il Bosco di Serra del Re a poca distanza da Floresta, il paese più alto della Sicilia; per finire quasi sul confine geografico con i Peloritani - con il Bosco di Malabotta, uno dei pochi complessi boscati naturali siciliani.
Concludendo questa breve analisi sulle caratteristiehe istituzionali e sulle problematiche gestionali dei Parchi Naturali siciliani, occorre purtroppo sottolineare che per le tre aree prese in esame non è stato possibile ottenere il coinvolgimento delle popolazioni e degli Enti territoriali locali nella prima elaborazione della regolamentazione e della perimetrazione dei Parchi. E' infatti purtroppo fallita l'esperienza dei Comitati di proposta (prevista dalla L.R. 98/81), all'interno dei quali sarebbe dovuta avvenire la elaborazione "democratiea" della normativa. Il contributo popolare è stato però successivamente recuperato, almeno parzialmente, con le centinaia di osservazioni che sono state presentate da cittadini e associazioni alle proposte dei Commissari "ad acta". Una partecipazione importante che è servita a riallacciare un prezioso dialogo fra istituzioni e popolazioni locali, indispensabile per proseguire lungo la difficile strada della conservazione della natura.