Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista Parchi:
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Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 2 - FEBBRAIO 1991



Il Direttore di parco: tra burocrate e manager dell'ambiente
Dario Furlanetto
Uno dei motivi di forte contrasto relativamente alla legge quadro sulle arce protette in discussione al Parlamento riguarda la figura ed il ruolo del Direttore di parco.
Due diverse opinioni si scontrano e paiono inconciliabili: la prima ritiene che il Direttore di parco debba essere a tutti gli effetti un funzionario pubblico, assunto per concorso, e come tale "destinato a vita" a svolgere tale ruolo nella sede a cui è assegnato. Una seconda tesi ritiene invece che il Direttore di parco, pur essendo un pubblico ufficiale, mantenga un rapporto di tipo "libero professionale" con I 'Ente che l'ha nominato e quindi con incarichi a tempo determinato, rendendo di fatto il Direttore facilmente sostibuibile nel suo ruolo.
Fra le due ipotesi, anche se la prima in un'ottica sindacalizzata appare istintivamente la più garantista nei confronti dei Direttori, in una visione complessiva del problema sinceramente fatico a schierarmi nettamente verso l'una o l'altra soluzione.
Per tentare di motivare questa difficoltà di presa di posizione e per proporre un'ipotesi alternativa è però necessario meglio definire, ovvero meglio illustrare, cos'è e quale potrebbe essere oggi un' area protetta.
Inizio ovviamente con il parco che meglio conosco: quello del Ticino Lombardo, area protetta che dirigo da quasi tre anni e situata in condizioni ambientali per certi versi paragonabili a varie altre rcaltà italiane quali i parchi di cintura metropolitana: Groane, Nord Milano, Adda Nord, Sud Milano, Colli di Bergamo, San Rossore-Migliarino, Parco dei Castelli Romani c via dicendo. Scopo principale di un parco regionale quali quelli elencati è di valutare e conseguentemente indirizzare un modello di vita sociale ed economico sperimentando nuovi sistemi tecnici e legislativi di programmazione, di controllo e di gestione di un ambito territoriale omogeneo. I tre elementi citati - programmazione, controllo e gestione - se veramente si vogliono centrare gli obiettivi, devono però essere sostenuti ed attuati con egual forza.
La fase di programmazione e di regolamentazione dell'uso del territorio ha prodotto, nel Parco Ticino, strumenti scientificamente avanzati e di grande importanza (P.T.C., piani di settore per la gestione dei boschi, delle acque, della fauna, ecc.) che sinora, dotati di una discreta fase di controllo, hanno consentito le indispensabile verifiche della programmazione e della regolamentazione stessa, favorendone l'aggiornamento.
La fase di controllo è consistita essenzialmente nell'attenzione alle modalità e tempi di applicazione delle norme di programmazione. Ciò ha portato anche alla verifica di sopra o sottovalutazioni nelle capacità funzionali del parco ovvero ad evidenziare incongruenze progettuali (d' altra parte comprensibili in un intervento di prima programmazione generale di un'area così vasta); quello che è importante sottolineare è che la fase di controllo non può essere intesa, e non è mai stata intesa nel Parco Ticino, come la semplice applicazione dei vincoli attuata attravcrso-gli Agenti di vigilanza.
Si è sempre cercato invece di utilizzare il personale di vigilanza come elemento attento al territorio e in grado di "leggerlo" nelle sue varie componenti, valutando e riportando di volta in volta i dati (anche in ordine ai parametri di carattere ambientale, urbanistico, biologico, ecc.) agli organismi gestionali e direttivi al fine di consentire un ' adeguata amministrazione del parco.
E veniamo alla gestione: un territorio protetto ha grande necessità, soprattutto in aree ad elevata urbanizzazione, di vere e proprie squadre di manutentori fortemente specializzati in attività che non sono solamente di ordine forestale o urbanistico ma che coinvolgono il controllo e il monitoraggio dei parametri biologici, l'indirizzo ed il supporto operativo dci flussi turistici, la capacità di intervenire in situazioni di emergenza (inqui-
namenti, incendi, ecc.) con mezzi e strumenti adeguati.
La fase di gestione è quella che, nel caso del Parco Ticino, ancor oggi più soffre di pratica attuazione: la rigidità delle ultime leggi finanziarie ed una certa sottovalutazione della fase operativa nel passato, dove preminenti risultavano altre esigenze, hanno molto rallentato le capacità del parco di operare concretamente sul territorio.
Da quanto sinora descritto risulta evidente che le capacità professionali richieste nella conduzione di un parco come quello sinora descritto superano di gran lunga le nozioni e le informazioni che un semplice corso universitario può fornire.
E' necessario, infatti, compendiare tali studi sia con utili corsi di specializzazione, sia attraverso un praticantato da effettuarsi presso le aree protette (interessanti sono al riguardo alcuni corsi post-laurea quali quelli predisposti dall'Università di Pavia sulla programmazione e gestione delle risorse naturali).
Occorre, cioè, così come avviene in quasi tutti gli altri Stati europei, dotare i parchi di "managers dell 'ambiente" dotati di conoscenze di ordine amministrativo, legislativo, finanziario e gestionale che gli attuali curriculum di studi nelle materie scientifiche non offrono.
E' evidente che dirigere il Parco del Ticino è molto diverso che dirigere ad esempio quello del Pollino (se mai sarà veramente istituito o avrà un Direttore) o altre riserve naturali orientate o integrali.
Ormai le esperienze e le diversità di impostazione giuridico-istituzionale, ma anche i diversi obiettivi che al momento della istituzione dei vari parchi regionali italiani si sono posti, difficilmente consentono di far riferimento ad un solo modello di gestione e pertanto ad una precisa figura di Direttore.
Si va da parchi di carattere urbano o suburbano a parchi naturali di notevoli estensioni, a riserve di carattere biogenetico o integrale.
Occorrono quindi anche figure professionali, che pur a conoscenza dci principali meccanismi gestionali ed amministrativi, siano dotate di conoscenze specifiche diverse.
In determinate condizioni è preferibile far riferimento alla figura del naturalista, in altre a quella del forestale o del biologo, ed infine anche a quella dell'architetto o del geologo. Il maggior pericolo insito nel concorso pubblico, che vedrebbe poi affidata "a vita" ad un Direttore un ' area protetta, riguarda soprattutto la visione burocratica e di carriera che ciò sottintende.
Credo che a molti burocrati "allevati" per anni nelle stanze dei Ministeri o di qualche Ente regionale non parrebbe vero di poter arricchire o concludere la propria carriera con un ruolo dirigenziale guadagnato "per titoli", magari in qualche amena area protetta (ei sono anehe i Parchi di Portofino, delle Cinque Terre, delle Dolomiti, ecc.): sarebbe una disgrazia!
Per contro, l'attuale situazione in cui versano molti colleghi Direttori di parchi con contratti a termine addirittura ridicoli (conosco casi di contratti rinnovati anno per anno) creano situazioni di assoluta precarietà e la mancanza di quella serenità ehe consenta, se non con grande forza morale, di non sottostare a ricatti o a scelte clientelari di comodo per non vedersi destituiti da un giorno all'altro.
Dei trenta e più Direttori di parchi regionali italiani fatico comunque a ricordare uno di loro (e li conosco tutti) quale frutto di scelta clientelare o di comodo da parte dei partiti che governano quei territori.
Molto più spesso invece risulta chiaro che in situazioni delicate dove le spinte speculative o contrarie al parco sono molto forti molto più semplicemente il Direttore non viene scelto.
La maggior parte dei parchi italiani infatti, pur prevedendo questa figura, ne risulta priva.
Nell'anarchia operativa che ne deriva si aprono infatti molti più spazi per operare scelte ambigue o contradditorie che difficilmente sarebbero permesse anche in quel parco laddove esistesse il peggior Direttore.
Credo quindi che una possibile soluzione che consenta, da una parte di evitare l'assalto dei burocrati al ruolo di Direttore di parco e dall'altra una maggior serenità di lavoro e di garanzie, di non dover subire eccessive pressioni o ricatti, sia quella di istituire una sorta di Albo Nazionale degli aventi titolo a Direttore di area protetta a cui Stato, Regioni o Enti locali possano accedere per affidare tali incarichi.
Ovviamente chi sarà ricompreso in tale Albo dovrà vedersi assicurate alcune garanzie di ordine sindacale (periodo di prova, periodo minimo di contratto, garanzie sul piano econo-
mico, ecc.).
In una tale situazione si verrebbe anche a creare una sorta di "concorrenza" tra i vari Enti per accaparrarsi gli elementi migliori presenti nell'Albo in modo del tutto simile a ciò che avviene nel settore privato.
Ciò eviterebbe di creare "posti al sole" per i burocrati e consentirebbe una "gerarchizzazione" fra i Direttori di parco, che potrebbero iniziare le loro esperienze in piccole aree protette prevedendo, se capaci ed efficienti, di "far carriera" ambendo a posti di direzione in aree protette più importanti.
D'altra parte, nella pur limitata storia dei parchi nazionali italiani, qualche raro esempio di Direttore di parco non eccellente e "burocrate" c'è stato: non si può far riferimento al solo esempio positivo dei "grandi Direttori" di aree protette Tassi e Framarin; altre direzioni, in passato, anche nei parchi nazionali, non hanno lasciato tracce del tutto positive della loro presenza.