Verso un Tribunale Internazionale dell'Ambiente presso l'ONU.
A Firenze 60 eminenti giuristi provenienti da tutte le parti del mondo propongono il nuovo organismo internazionale contro il crimine ecologico.
"L'ambiente non è un diritto degli Stati, ma della persona, pertanto non può essere efficacemente difeso dalla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aia, che, conforme ai suoi fini istitutivi, difende gli interessi delle Istituzioni che sono spesso in contrasto con quelli dell'ambiente".
Questa proposizione è grosso modo il fondamento della risoluzione espressa, a conclusione di una animata conferenza tenuta nel maggio scorso a Firenze nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio e nella Sala Luca Giordano di Palazzo Medici-Riccardi, con la partecipazione di una settantina di insigni giuristi ambientalisti provenienti da ogni parte del mondo.
Promotori dell'iniziativa sono stati la Suprema Corte di Cassazione, la Regione Toscana, la Provincia e il Comune di Firenze.
"Chi inquina paga" è stato il grido di guerra che si è ripetuto in tutte le lingue e in maniera ossessiva sotto le austere volte del Salone dei Cinquecento. In molte lingue è stato riaffermato il sacrosanto diritto dell'uomo all'ambiente e riproposta la validità internazionale dell'istituto giuridico della responsabilità dei danni ambientali e del crimine ecologico quale offesa grave all'ambiente e al diritto di ogni uomo a prescindere dai confini politici e non solo dell'uomo presente, ma come offesa al diritto di quello delle future generazioni.
E' stata riaffermata l'ineluttabilità delle catastrofi ecologiche sempre più frequenti e gravi, provocate da precise responsabilità umane, come non casuale il degrado dell'ambiente dovuto ad un uso sconsiderato delle risorse naturali non riproducibili ad opera sia delle popolazioni ricche ed evolute che di quelle sottosviluppate.
Sono stati ricordati, come cause di gravi inquinamenti accidentali, alcuni tragici avvenimenti: il naufragio della super petroliera Amoco Cadiz sulle coste bretoni nel 1978,1 'esplosione dello stabilimento Bhopal in India (1984), I ' incidente della centrale nucleare di Chernobyl nel 1986; mentre come esempi di inquinamenti cronici e globali sono stati portati quelli prodotti dalla combustione di grandi quantità di carboni, di gas e di derivati dal petrolio, le emissioni ingenti di anidride solforosa, responsabile delle piogge acide che stanno devastando le foreste di mezzo mondo, l'uso massiccio di clorobifenili (PCB) e di clorofluorocarburi (freon) che sta impoverendo lo strato d'ozono dell'atmosfera, formatosi per opera di organismi fotosintetici unicellulari nel corso di mezzo miliardo di anni.
E' stata ricordata la politica di rapina delle risorse naturali, la deforestazione in atto pari a undici milioni di ettari all'anno, mentre altri trenta milioni di ettari nello stesso tempo subiscono un processo di desertificazione. Non meno tragica è stata la denuncia del degrado ambientale dell'Europa presentata dall'intervento di Carlo Ripa di Meana, Commissario per l'Ambiente della CEE, al quale il programma assegnava un intervento di rituale saluto. Ma come sarà questo Tribunale Internazionale per l'Ambiente presso l'ONU ?
I giuristi, al termine della cerimonia di inaugurazione a Palazzo Vecchio, si sono chiusi per due giorni in una specie di rigido conclave nella Sala Luca Giordano del Palazzo Medici Riccardi e lì hanno dibattuto in grande riservatezza il progetto.
Solo al termine è stato diffuso un testo di risoluzione finale della quale proponiamo i punti più qualificanti.
La Conferenza scientifica internazionale tenuta a Firenze dal 10 al 12 maggio 1991:
esprime la convinzione che la migliore garanzia del rispetto del diritto internazionale dell'ambiente e, in conseguenza, della protezione dell'ambiente planetario è la creazione ed il funzionamento regolare di un Tribunale Internazione per l'Ambiente; dichiara che l'istituzione e l'accettazione generale di una tale giurisdizione deve essere uno degli obiettivi prioritari della comunità delle nazioni; sottolinea che una tale giurisdizione dovrà essere accettata non solamente dagli Stati, ma anche dagli individui e dalle organizzazioni non-governative; esprime il suo apprezzamento per la proposta di un Patto universale per la conservazione dell' ambiente e per il suo sviluppo sostenibile; chiede con insistenza a tutti gli Stati di studiare con priorità i più efficaci mezzi giuridici che permettano di assicurare il diritto di ciascuno ad un ambiente sano ed ecologicamente vitale; insiste sulla necessità di garantire anche le altre condizioni fondamentali per la creazione di una giurisdizione internazionale e particolarmente: a) concludere un patto universale per la conservazione dell'ambiente ed il suo sviluppo sostenibile, al fine di codificare i principi e le regole giuridiche che dovranno recepire la giurisdizione intemazionale; b) sviluppare, nel quadro di questo Patto, le regole della responsabilità intemazionale, come base oggettiva per i danni all"'ambiente come per tutte le violazioni delle regole giuridiche internazionali di protezione dell'ambiente; raccomanda l'istituzione di una commissione intemazionale indipendente quale primo passo verso la creazione di un Tribunale Internazionale competente per:
- ricevere denunce dagli Stati, dagli individui, dalle organizzazioni non-governative;
- promuovere delle inchieste a seguito di tali denunce;
- trasmettere delle raccomandazioni agli Stati interessati se i risultati delle denunce le giustificano.
Il progetto di Tribunale Intemazionale dell'Ambiente presso l'ONU proposto, dopo una lunga preparazione, dal Comitato promotore presieduto dal giurista italiano Amedeo Postiglione, è partito ed ha destato un grande interesse, una buona accettazione e qualche speranza. I Parchi, anche quelli meglio gestiti, anche i più vasti, come pure quelli più remoti, non sono più protetti dai crimini ecologici e subiscono gli effetti di catastrofi ecologiche anche lontane, perciò non possono che seguire con interesse questa nuova iniziativa augurandosi che per questo nostro pianeta disastrato ancora una volta la delusione non segua la speranza".
L'industria tedescafinanzia l'istituzione dei nuovi parchi nazionali nella Germania Est
Come sappiamo, tra i tanti peccati che vengono imputati all'ex Repubblica Democratica Tedesca c'è anche quello, gravissimo, di non aver attuato una sufficiente politica ambientale ed in particolare di non aver istituito a parco e a riserva naturale quegli ecosistemi (pochi in realtà) meritevoli di una speciale protezione. Per i bravi tedeschi dell'ovest, che in fatto di parchi bisogna lasciarli stare in quanto hanno istituito ad area protetta oltre un quinto del loro territorio includendovi anche città, zone industriali e perfino una discarica di rifiuti urbani, questa carenza all'est alimenta quella puntigliosa caccia all'errore e alle malefatte degli sprovveduti fratelli d'oltre cortina, che dal momento dell'unificazione ha assunto toni di una corale competizione, tale da farla apparire come un nuovo sport nazionale.
Naturalmente occorreva sanare al più presto questa carenza e vi si è provveduto estendendo la disciplina della legge-quadro sulle aree protette della Repubblica Federale ai cinque land orientali e quindi provvedendo ai dispositivi legislativi per l'istituzione di nuovi cinque parchi.
Poichè l'onere di istituzione e di decollo di queste nuove aree protette orientali non poteva farsi ricadere sui contribuenti occidentali, si è ricorso, molto pragmaticamente, ad uno sponsor in cerca di una grossa occasione per accreditarsi un'immagine ambientalista: questo benefattore è stata l'industria tedesca, alla quale i "verdi" germanici contestano una scarsa sensibilità ecologica e non pochi peccati nei confronti dell'ambiente.
Naturalmente questa operazione, che per la sua dimensione rappresenta una preoccupante novità, viene contestata da coloro che ritengono che non sia giusto che una categoria responsabile di crimini contro l'ambiente possa comprarsi una immagine di accattivante innocenza e continuare adusare l'ambiente come un'area di profitto. Per altri la difesa dell'ambiente deve essere attuata con tutti i mezzi e sfruttando tutte le opportunità: "pecunia non olet".
In Ungheria, al Congresso dei parchi europei 1991, gli italiani assenti giustificati
Nel Parco nazionale ungherese di Hortobagi, in occasione del Congresso 1991 della Federazione dei Parchi Naturali Nazionali Europei c 'erano proprio tutti: inglesi, francesi, tedeschi, portoghesi, russi, finlandesi, ma non era presente neanche un rappresentante di parchi nostrani: era assente Walter Frigo, direttore del Parco nazionale dello Stelvio che pure, fino all ' anno passato, faceva parte del Direttivo della stessa Federazione europea; mancavano anche Ortese e Laudati rispettivamente direttori dei Parchi nazionali del Circeo e delle Calabrie e nessuno attendeva Tassi, direttore del Parco d'Abruzzo. Sono stati assenti anche i rappresentanti di tutti i parchi regionali italiani membri della Federazione europea. Gli italiani presenti erano solo quattro: due validi ricercatori del CNR di Roma (proprio quelli che un fantasioso connazionale ha definito, al Congresso dell'IUCN di Perth, come "sedicenti ricercatori del CNR"), un docente di urbanistica dell'Università di Cagliari (che in un primo momento poteva far pensare di essere capitato Iì per un errore di aereo), ed il sottoscritto in quanto doveva incontrare, nella sede del Congresso, esponenti della Commissione Parchi dell'IUCN per concordare le linee organizzative della Conferenza Intemazionale che verrà organizzata a settembre nell'Isola d'Elba per preparare il documento europeo di revisione della classificazione delle Nazioni Unite relativa alle aree protette.
Questa corale defezione dei parchi italiani ad un appuntamento europeo piuttosto importante non è passata ovviamente inosservata ed ha sollevato interrogativi e commenti. Dopo il primo momento di disappunto, con lo scorrere dei giorni del Congresso, si è capito che, per una volta tanto, gli assenti avevano ragione: il tempo passato al meeting forse poteva essere impiegato meglio. Il Congresso della Federazione europea si è ridotto in effetti solo ad un vacanziero incontro di vecchi amici con gite, pranzi ed escursioni turistiche. La parte culturale dedicata ad un dibattito sulla funzione educativa delle aree protette non ha riscosso molto successo in quanto si è ridotta ad una serie di relazioni abbondantemente scontate ed illustrate da relatori rigidamente selezionati. Perciò quella che doveva essere l'attesa occasione di incontro e di confronto delle tante e pressanti problematiche delle aree protette europee, che stanno vivendo la crisi di una rapida evoluzione dello stesso concetto di parco, si è ridotta ad una riunione formale ed insignificante. E questo è certamente un sintomo di quel disagio che condiziona la vita della Federazione, che pur rappresentando il più autorevole punto di riferimento per i parchi europei e pur disponendo alla sua presidenza di un professionista di grande valore ed esperienza come l'inglese A. Clark, rimane penalizzata da una situazione di accentramento funzionale ed operativo di tipo autoritario e discriminante, che impedisce di attuare adeguatamente le grandi finalità istitutive dell'associazione.
Tutto rimane femmo, in attesa di un cambiamento, che dovrebbe verificarsi in occasione del Congresso del 1992 che si terrà in Finlandia. Fino ad allora gli assenti sono giustificati. |