Accolgo subito l'invito contenuto nell'ultima parte dell'articolo di Renzo Moschini, per soffermarmi su alcune tesi da lui esposte, che, a mio giudizio, hanno bisogno di essere approfondite e verificate. Metterei al primo posto una frase, contenuta nell'articolo, dove, dopo aver analizzato con molta competenza quale debba essere la fisionomia e la finalità di un parco moderno, Moschini sostiene la possibilità, anzi "la urgente necessità di istituire nuovi parchi in aree estese ma anche fortemente antropizzate .
Francamente non mi riesce di comprendere i motivi di questa necessità, anche alla luce di recenti esperienze. Se possono portare un esempio, che è caro a Moschini e a me, il Parco S. Rossore-Migliarino lamenta oggi la persistenza di problemi gravi e forse insolubili, proprio perchè, alla zona proposta dai promotori (limitata, appunto, alle due tenute) si volle aggiungere Massaciuccoli e Tombolo, con un tentativo -poi rientrato- di inserire nei confini del parco altri due centri abitati, come Marina e Tirrenia. Se ci si fosse limitati alla gestione (corretta e moderna, non "cartolinesca" o archeologica") della tenuta presidenziale e della tenuta Salviati, che già godevano di una loro particolare tutela, i problemi che hanno assillato ed assillano la gestione del parco naturale non sarebbero neanche sorti, o sarebbero stati più facilmente risolvibili. E questo non perchè l'uomo, con le sue attività, debba essere considerato qualche cosa di estraneo alla natura; ma è certamente, oggi, un elemento di alterazione, se non di inquinamento, con i suoi fumi, le sue discariche, le sue spinte urbanistiche verso le coste e con le sue necessità di espansione e di creazione di nuove attività. Insistere, oggi, su questa necessità (di costituire parchi in zone "fortemente antropizzate ) mi sembra assurdo; mi sembra che si vogliano moltiplicare i problemi, o comunque perseverare nell'errore, già ampiamente dimostrato Del resto, la difesa ambientale di città e campagne non è soltanto affidata alla creazione di parchi. Là dove non ci sono le possibilità di istituire una riserva o una zona tutelata, ci sono pur sempre le leggi comuni di tutela, i piani paesistici, i limiti alle fabbricazioni, le zone di rispetto; anche se, molto spesso, tutte queste possibili disposizioni vengono totalmente ignorate. E ignorate in primo luogo proprio da coloro che, investiti per mandato elettorale della amministrazione di una porzione del territorio, debbono fare i conti con le pressioni dei propri elettori, barcamenarsi fra le varie esigenze, concedere deroghe, finendo con lo scontentare tutti, proprio mentre si è alla ricerca disperata di un generale consenso, che in questa materia non potrà mai esserci.
Molti anni prima che si pensasse ad istituire un parco nelle isole dell'arcipelago Toscano, il sottoscritto assisté, lungo le coste della Capraia, al metodo usato per il ripascimento delle dighe di Marina di Pisa: una chiatta munita di gru che prelevava enormi massi dai fondali dell'isola (alterando irrimediabilmente l habitat) e che, con colpi ben assestati, faceva crollare le scogliere emerse, assicurandosi, così, del materiale a buon mercato. L'episodio fu fotografato e denunciato alla Soprintendenza di Pisa, che, per ordinanza immediata dell'allora soprintendente ingegnere Cumini, estese la protezione ambientale fino a 100 metri dalla costa, ponendo così fine allo scempio. Ecco un esempio di come un bene ambientale possa essere difeso e tutelato anche senza ricorrere alla costituzione di un parco.
"Mentre ci si accapigliava senza esclusioni di colpi su chi aveva maggior titolo per gestire le aree protette . . . scrive il Moschini. Ma è proprio questo il punto, proprio di lì è partito l'equivoco Debbo riproporre l'esempio del Parco di S. Rossore (le cui vicende conosco abbastanza bene, per esserne stato, fin dagli anni Sessanta, uno dei più tenaci fautori, e poi per aver fatto parte dell'Assemblea del Parco nella prima fase costituente), per ricordare che i primi progetti scaturiti da due convegni di "Italia nostra, prevedevano una gestione affidata ad un consiglio di amministrazione composto, ovviamente, dai sindaci o dai rappresentanti dei Comuni interessati, ma anche dai competenti (il botanico, il geologo, lo zoologo, eccetera), che avrebbero dovuto gestire insieme il Parco. Invece tutti i progetti di legge che sono scaturiti successivamente, e poi anche la legge regionale, hanno relegato i competenti nel limbo dei consulenti", che non hanno alcun potere decisionale, lasciando quindi tutto nelle mani dei rappresentanti degli Enti locali, i quali, scelti in base ai soliti equilibri politici, non solo non hanno alcuna competenza in materia, ma non possono esercitare neanche il loro potere, dato che, per le norme che regolano i Consorzi, debbono, per ogni decisione, sentire il parere del loro Comune (o addirittura del loro partito). Non mi dilungo a portare esempi Moschini, col quale abbiamo discusso altra volta su questo tema, conosce benissimo l'evidente impotenza di un meccanismo così concepito.
Tutto questo per dire che spesso si cede alla suggestione di bellissime, astratte utopie, ma poi bisogna prendere atto della loro impossibile realizzazione. Del resto mi sembra che Moschini abbia questa capacità di autocritica almeno là quando riconosce che la cosiddetta e tanto strombazzata contropartita, secondo cui i vincoli di un parco possano essere compensati da nuove iniziative turistiche e culturali, è da ritenersi insufficiente, sbagliata e velleitaria.
Allo stesso modo occorre prendere atto che la ricerca del consenso, quando si decide di creare un parco, è una battaglia perduta. Capisco l'esigenza democratica di sentire tutti i pareri, di predisporre studi adeguati, di comporre il mosaico delle istanze; ma poi, quando si è deciso che il parco si deve fare", non si può procedere con il sistema delle deroghe o delle concessioni particolari o temporanee.
Il generale consenso, pur con tutte le intelligenti e suggestive argomentazioni che la competenza del Moschini può offrire, non lo avremo mai. Ricordo la scritta sul muro di un casolare della Valsavaranche (parco nazionale del Gran Paradiso), che, in dialetto valdostano, diceva pressapoco così "Difendiamo gli uomini, non i fiori". E si trattava di una zona non certamente antropizzata, di uno dei primi parchi creati in Italia, dove, tuttavia, le rigide leggi di tutela ambientale non hanno impedito alle amministrazioni locali di permettere la costruzione di una strada carrozzabile (poi fortunatamente crollata ed abbandonata) che intanto aveva allontanato camosci e stambecchi dalle valli che il parco aveva fino ad allora tutelato per la loro tranquilla sopravvivenza .
Del resto, nessuno deve scandalizzarsi se, in qualche settore della nostra vita cosiddetta democratica, si debbano per necessità adottare alcune soluzioni autoritarie. Qui parliamo dei parchi e del mancato consenso delle popolazioni, ma presto avremo a che fare con l'acqua dei nostri rubinetti di casa, che non potrà essere definita "potabile" all'infinito, come si fa oggi, aumentando per legge i limiti di tolleranza degli elementi inquinanti. Quando ci troveremo in prossimità, o peggio, in presenza di una catastrofe, qualcuno dovrà pur prendere delle decisioni rapide e drastiche, e non ci sarà nè tempo nè voglia di chiedere il parere degli interessati, o di preoccuparsi dell opinione degli elettori.
Ma, per concludere, e per non cedere alla tentazione di portare altre - purtroppo numerose - argomentazioni, vorrei riassumere le mie riflessioni sullo scritto di Moschini in questi punti
- a) il parco è spesso individuato come l'unica soluzione per sottrarre zone di interesse paesistico, naturalistico, scientifico, eccetera, alla cementificazione, pervpreservarne le caratteristiche e sottolinearne gli scopi culturali e ricreativi;
- b) la costituzione di un parco è più facilmente raggiungibile, o certamente, meno problematica in zone che non abbiano eccessive presenze umane o attività produttive che impegnano tutto il territorio;
- c) la gestione non deve essere affidata solo agli Enti locali, ma anche ai competenti;
- d) la forma del consorzio può avere una sua giustificazione politica solo nella fase costituente; poi la funzione amministrativa deve essere affidata ad un Ente autonomo, che abbia reali poteri decisionali;
- e) non farsi illusioni sulla ricerca del consenso.
Può darsi che alcune di queste riflessioni siano falsate da una conoscenza parziale del problema, mentre Moschini conosce bene la realtà, le esigenze e i problemi di tutti i parchi italiani e certamente di molti parchi all'estero; mi sembra tuttavia che anche da un caso particolare si possa ricostruire una "filosofia di base" che, come ho detto, può, durante il cammino, rivelarsi come un vicolo cieco; ed è allora doveroso cambiare strada, sperando che sia quella giusta.
*Editore e Direttore di Terme e Riviere |