Si è tenuto nei giorni 8-9 dicembre 1991 a Pisa un convegno dal titolo "Gli Enti parco oggi". ll simposio ha avuto come obiettivo la valutazione delle prospettive degli organismi che gestiscono le aree protette alla luce della nuova legge-quadron .324/91.11 convegno ha seguito di pochi giorni la pubb1icazione della nuova legge ed ha rappresentato la prima discussione comune sulle tematiche reali e nuove legate alla nuova normativa. Il convegno, organizzato dal Coordinamento Parchi e dal Parco Migliarino S. Rossore Massaciuccoli, è stato introdotto dal Presidente del Coordinamento dottor Li Calsi, e dall'Assessore all'Ambiente della Regione Toscana Franceschini.
L'incontro si è sviluppato in due giornate nelle quali sono state illustrate tre relazioni di basse, svolte rispettivamente da Vinicio Simonelli, Presidente del Parco Migliarino S. Rossore Massaciuccoli, dal professore Mario Libertini, Docente di Giurisprudenza all'Università di Catania, e dal dottore Roberto Saini, Responsabile dell'Ufficio Parchi della Regione Piemonte. Qui di seguito si da un esauriente, anche se non completo, riassunto delle relazioni e di alcuni interventi successivi.
Vinicio Simonelli
Quando il nostro Consorzio, insieme al Coordinamento Nazionale dei Parchi e Riserve Naturali decise di organizzare questo incontro eravamo consapevoli delle difficoltà che andavamo ad affrontare stante la materia abbastanza ostica ma, nello stesso tempo, ritenevamo che ne valesse la pena vista l'attualità del tema: gli Enti parco traguardati alla luce di due leggi importantissime: la 142 sulle autonomie locali, e la legge-quadro n. 394/91.
Ritengo utile entrare in argomento richiamando, sinteticamente, la legge-quadro sui parchi la quale regolamenta, al titolo secondo, la struttura e l'attività degli Enti di gestione dei parchi nazionali introducendo, nella vita di queste entità, novità anche rilevanti che prevedono oggi un collegamento più stretto di quello del passato tra Ente e comunità del territorio del parco.
Le indicazioni dei contenuti regolamentari e di pianificazione del territorio fanno sì che possa considerarsi pressochè completamente superato il vecchio concetto di protezione assoluta che era fino ad oggi affiancato alla accezione "parco", per andare verso quello, più moderno, di gestione rigorosa di un territorio ambientalmente importante.
E il titolo terzo della legge-quadro, però, che ritengo rivesta, per noi, la parte più significativa di questa nuova normativa.
Credo pertanto sia opportuno introdurre nel dibattito di questo nostro Convegno l interrogativo riguardante la tipologia delI'ente: ente di diritto pubblico, consorzio obbligatorio od organismo associativo. Sottolineando che, comunque, indipendentemente dalla tipologia prescelta, I'ente dovrà operare "ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142".
La legislazione regionale ha proveduto alla disciplina di ampi settori attraverso la identificazione di complessi organici di funzioni pubbliche retti da programmi regionali implicanti attribuzioni di settore degli Enti locali ed affidati nella gestione congiunta con funzioni proprie di Comuni o Provincie a consorzi di Enti locali.
In tal modo si è dato vita ad un ulteriore genere di Consorzio intestatario di funzioni pubbliche locali e regionali accorpate unitariamente, e riferite, per quanto attiene agli Enti consorziati, ad una dimensione territoriale che supera l'interesse locale.
La legge 142 ha costituito il fondamento futuro per la riorganizzazione dei consorzi nesistenti o per la creazione di nuovi, oltre a prescrivere e prevedere l'adeguamento della legislazione regionale alla normativa in essa contenuta.
Poichè non si può disconoscere che i compiti e le finalità perseguite e tutelate dal parco sono, per quanto ci riguarda, finalità regionale, non si puo negare una competenza e una potestà della Regione a regolamentare la creazione dello strumento e del soggetto giuridico che gestisce tali finalità. A parere del sottoscritto, il Parlamento, inserendo nell'art. 23 della legge-quadro sui parchi la previsione che un parco possa essere amministrato da un consorzio obbligatorio, ha compiuto una scelta molto importante .
Tale scelta può essere traguardata sotto un duplice aspetto
- a) la materia parchi assume implicitamente "rilevante interesse pubblico";
- b) il consorzio obbligatorio potrebbe anche non dover essere espressamente richiesto al Parlamento e da questo autorizzato a fronte di un rilevante interesse pubblico da verificare, perchè la rilevanza dell'interesse pubblico dei parchi è già stabilita nella legge-quadro.
Anche i consorzi sono soggetti che dovranno sempre più essere direttamente interessati dal dettato della 142 e sempre più essere considerati, anche dal punto di vista legislativo, enti non di secondo livello, ma enti che portano avanti correttamente e con capacità i compiti che le leggi dello Stato assegnano loro.
Occorre ora verificare se, all interno della 142,si possono rinvenire altre fattispecie utilizzabili per la gestione del parco.
Il parco non realizza la gestione di servizio nè persegue una attività di carattere imprenditoriale; nell'esaminare gli strumenti di gestione ipotizzati dalla 142 occorre aver ben chiaro quali sono le finalità e la natura di parco.
Partendo da questa premessa possiamo dire che, al di fuori del consorzio, gli altri enti sembrano poco adatti per essere utilizzati al nostro scopo.
Le convenzioni sono previste dall'art. 24 e sono finalizzate allo svolgimento in modo coordinato di funzioni e servizi determinati. Il comma 3 prevede anche esplicitamente tale strumento per la gestione di un servizio e per la realizzazione di un'opera anche nell'ambito delle competenze regionali.
Un discorso più approfondito potrebbe essere fatto per le aziende speciali e per le istituzioni. Le prime sono sostanzialmente un ente strumentale fornito di una notevole autonomia amministrativa e finanziaria, dotato di personalità giuridica e sembra previsto essenzialmente per lo svolgimento di attività economico-imprenditoriali e mal si attaglierebbe al caso in esame.
Anche la istituzione presenta analoghe difficoltà in quanto è prevista essenzialmente per lo svolgimento di servizi sociali.
Può essere infine prevista la istituzione di un ente di diritto pubblico, un ente per lo svolgimento di funzioni regionali non delegate agli Enti locali. Questo ente avrebbe la caratteristica di una certa omogeneità e costituirebbe una struttura ben individuata che pure può essere adattata alle esigenze concrete volta a volta prese in considerazione .
Occorre osservare che si tratterebbe di un ente regionale con conseguenze sul piano, sia del personale e più ancora del riferimento alla struttura organizzativa e funzionale.
Questo istituto, giustificandosi sulla base delle funzioni tipicamente e strettamente regionali, pone il problema della posizione dei Comuni e delle Province chiamati a parteciparvi .
Occorre evitare il rischio che questi vengano posti in posizione subordinata, in qualche modo lesiva dell'autonomia costituzionalmente garantita.
E necessario perciò riaffermare che il nuovo ente, comunque denominato, deve sí osservare le disposizioni ultimamente emanate, ma dovrà soprattutto consentire di mantenere un rapporto con le rappresentanze delle assemblee elettive locali.
Vorrei ora accennare brevemente agli strumenti individuati per la gestione dei parchi regionali .
L'esperienza maturata in questi anni è un sicuro riferimento e costituisce un utile termine di paragone. D'altra parte le disposizioni della legge-quadro sono individuati infatti strumenti già operanti: quali lo statuto, il piano per il parco, il piano attuativo, denominato dalla legge-quadro piano pluriennale economico e sociale per la promozione delle attività compatibili" e il regolamento del parco.
In conformità a quanto previsto dalle recenti disposizioni il primo strumento di cui deve dotarsi il parco è lo statuto, che ha il compito di individuare la forma organizzativa prevedendo come organi il consiglio direttivo, il presidente, il direttore, il collegio dei revisori dei conti, gli organi di consulenza tecnica e scientifica e la comunità del parco.
Si configura quindi un'organizzazione istituzionale del parco che ricalca in varia misura quelle oggi esistenti nei parchi regionali, sia pure con differenziazioni più o meno marcate. In molti casi non è presente la comunità del parco, ma l'assemblea del parco composta nella quasi totalità da rappresentanti degli enti territorialmente interessati, anche se normalmente non sono presenti i sindaci dei Comuni e i presidenti delle Provincie e della Regione.
Come strumenti di attuazione sono individuati il piano per il parco e il piano pluriennale economico e sociale per la promozione delle attività compatibili. Tali strumenti permettono una visione complessiva dell area istituita a parco, superando le ottiche più localistiche con le quali solitamente è affrontata la pianificazione del territorio, definendone anche il pregio e la potenzialità .
Il finanziamento che l'articolato della legge prevede in diversi passaggi con specifica finalizzazione, non ultimo l'art. 26 che individua nel Ministero dell'ambiente il soggetto che promuove accordi di programma per individuare gli interventi da realizzare per conseguire le finalità di conservazione della natura, sarà il punto su cui si giocherà gran parte dell'efficacia della legge.
La legge-quadro non parla dei finanziamenti per la gestione ordinaria, problema questo strettamente collegato alla forma che sarà assunta dall'organo di gestione del parco, rimandando la materia alle decisioni della legislazione regionale. Questo non sembra essere un nodo di poco conto, come evidenziato dall'esperienza degli anni passati, perchè spesso le modalità di finanziamento hanno condizionato fin troppo la vita e le risorse, in genere scarse, dei parchi regionali.
Il regolamento infine assume un'importanza decisiva, e in questo caso possiamo dire che questo strumento è stato ampiamente utilizzato dai parchi esistenti, per i quali ha spesso costituito lo strumento più efficace per il controllo e la tutela del territorio.
Un'ultima considerazione desidero dedicarla alla vigilanza. A mio modesto parere, disattendendo le aspettative degli agenti di vigilanza dei parchi regionali, che avevano sperato in un formale riconoscimento, la legge-quadro demanda la materia alla Regione, che può stipulare specifiche convenzioni con il Corpo Forestale dello Stato.
Mario Libertini
La legge n. 394/91 è divisa in quattro titoli 1) principi generali; Il) aree naturali protette nazionali; 111) aree naturali protette regionali; IV) norme finali e transitorie.
L'intitolazione farebbe pensare che, nel primo titolo, sono individuati principi generali dell'ordinamento, vincolanti anche per le Regioni a statuto speciale, mentre nel titolo III sarebbero individuati i principi fondamentali della materia, costituenti il contenuto precipuo della legge-quadro, vincolante per le Regioni a statuto ordinario. Questa impressione è confermata dal fatto che, nel titolo 111, solo ad alcune norme è attribuito il rango di principi fondamentali di riforma economico-sociale, come tali limitanti (almeno nell' intenzione del legislatore) I'autonomia delle Regioni a statuto speciale .
Tuttavia non sembra possibile dare decisivo peso alla struttura della legge. Il legislatore non è stato rigoroso nel linguaggio, nè nei concetti. L'art. I attribuisce all'intera legge la funzione di dettare principi fondamentali per l'istituzione e la gestione della A.N.P.", cioè norme-quadro. Poi, il titolo I contiene norme di dettaglio, che certamente non possono assurgere al ruolo di "principi generali". E viceversa il titolo 11, che sembrerebbe destinato a contenere solo la disciplina amministrativa delle A.N.P. statali, contiene norme che, per il tipo di interessi regolati, possono vedersi attribuito un valore di principio.
Passiamo ora ad un rapido commento, "a prima lettura", di alcune disposizioni fondamentali della legge-quadro.
1. L'art. I definisce gli scopi delle A.N.P., secondo modelli standard: conservazione di ambienti in condizioni di naturalità, promozione di uno sviluppo controllato idoneo a realizzare una integrazione fra uomo e ambiente naturale, promozione di attività educative e scientifiche. Notevole è però la sottolineatura, fra gli scopi, di quello di difesa e ricostituzione degli equilibri idraulici e idrogeologici . Si attribuisce in sostanza alle A.N.P. una funzione diretta di difesa del suolo.
- 2. L'art. 2 contiene la classificazione delle A.N.P.
La distinzione tra A.N.P. statali e regionali è, a prima vista, tautologica.
Ciò è chiaro per le riserve (comma 3°): esse "possono essere statali o regionali in base alla rilevanza degli interessi in esse rappresentati". Ma non è chiaro quando un interesse di conservazione naturalistica diventa di livello sovraregionale.
Anzi, prendendo alla lettera la definizione delle funzioni delle riserve, di cui allo stesso art. 3, si dovrebbe concludere che tutte le riserve tutelano interessi di rango sovraregionale (conservazione di specie animali o vegetali, o di ecosistemi importanti per diversità biologica o risorse genetiche). Ma questa ricostruzione è smentita dal successivo art. 22, ove, al comma 3°, le r.n. regionali possono essere istituite 'al fine di un utilizzo razionale del territorio e per attività compatibili con la speciale destinazione dell'area .
La distinzione tra parchi nazionali e parchi regionali è più impegnativa. Anche qui la definizione di p.n. è tautologica (art. 2, comma 1°): i p.n. sono "aree ... di rilievo internazionale o nazionale ... tali da richiedere l'intervento dello Stato ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti e future".
Più ricca di contenuto la definizione di p.r., che deve riguardare aree tali da costituire "un sistema omogeneo individuato dagli assetti naturali dei luoghi, dai valori paesaggistici ed artistici (sic) e dalle tradizioni culturali delle popolazioni locali". Alla lettera, dovrebbe trattarsi di parchi all'inglese o alla francese, con paesaggio non urbanizzato, ma segnato da costante presenza umana.
3. Un altro punto importante, che si desume dalla lettura dell art. 2, è quello del riconoscimento del principio dell'intesa fra Stato e Regione a statuto speciale, per ciò che attiene alla classificazione e all'istituzione delle A.N.P di interesse nazionale, presenti nel territorio di una Regione a statuto speciale. Il principio era stato affermato, e in termini più ampi, dalla Corte costituzionale. Il legislatore ha fatto bene a riconoscerlo, ma ha poi lasciato nel vago caratteri, contenuti, procedure, valore giuridico delI'intesa, rimettendosi (art. 2, n. 6) alle norme di attuazione dei rispettivi statuti. Poichè queste norme di attuazione sono diverse, e non sempre contengono una disciplina generale delle procedure d'intesa, o una disciplina delle intese relative alla materia ambientale (è appunto il caso della Sicilia) è necessario integrare la previsione della legge-quadro con alcune indicazioni di carattere generale.
In breve, credo possano affermarsi i seguenti punti:
- a) I'intesa è accordo in senso pieno fra i due soggetti, Stato e Regione, che saranno rappresentati, rispettivamente, dal Ministro dell ambiente e dal Presidente della Regione;
- b) in caso di mancato raggiungimento dell'intesa, si potrà applicare per analogia l art. 31, ultimo comma, che è a sua volta applicativo di principi generali: dopo una conferenza di servizio, convocata dal Ministro dell'ambiente, se perdura il dissenso la questione è devoluta al Consiglio dei ministri;
- c) I'intesa riguarda le competenze amministrative rispettive di Stato e Regione, e non può derogare a norme di legge statali o regionali; in qualche caso sarà pertanto necessario un adeguamento della legislazione regionale per attribuire alla giunta i poteri necessari o ratificare l'intesa;
- d) I'intesa non potrà prevedere deroghe alla struttura organizzativa delle A.N.P. nazionali, così come è configurata dalla legge; infatti, le disposizioni di questa non distinguono tra parchi vecchi e nuovi, tra parchi operanti in territori di Regioni a statuto speciale e parchi operanti in territori di Regioni a statuto ordinario.
4 Passiamo ora all'organizzazione della A.N.P. Il primo punto da sottolineare è che, nel sistema della legge (art. 4, comma I, e) ogni A.N.P. deve avere un proprio "organismo di gestione". La previsione va intesa, in conformità con le indicazioni della Corte costituzionale, nel senso che ogni A.N.P. deve essere gestita unitariamente da una specifica "autorità", cioè da un'autorità che, nel territorio dell'A.N.P., sia specificamente competente per i compiti di protezione della natura, che non debba parallelamente curare, in via primaria, altri interessi che con il primo possono entrare in conflitto.
In altri termini, ogni A.N.P. deve avere una autonoma organizzazione. L'espressione generica ed atecnica "organismo di gestione indica però che non è necessario che il soggetto gestore sia un ente autonomo creato ad hoc, nè che il soggetto gestore sia sempre pienamente differenziato per ogni ANP.
Un altro punto che va sottolineato è che l'organizzazione delle ANP è determinata dalla legge, e che nessun potere di indirizzo è attribuito al Ministero dell'ambiente o ai suoi organi consultivi. il potere di indirizzo riguarda, a parte l'individuazione delle aree, I'attività di gestione (art. 4, n. I e), non le formule organizzative in quanto tali.
5. Parchi nazionali. Ogni parco dev'essere gestito da un ente autonomo L'ente è istituito, come regola apparentemente generale ma in realtà residuale (art. 8, n 6), con "apposito provedimento legislativo". Soluzione per la verità incongrua, dal momento che l'istituzione dell ente parco è già un atto dovuto, a seguito dell'adozione del programma triennale per le A. N . P., che è un atto amministrativo (deliberazione del Comitato per le A.N.P.), e del D.P.R. che istituisce e delimita in via definitiva" il parco (art. 8, n. I ).
5.1. Per l organizzazione interna degli Enti parco dei parchi nazionali la legge ha adottato una formula originale, caratterizzata da una divisione imperfetta di poteri fra due organi (consiglio direttivo e comunità del parco). Alla base della soluzione legislativa sta l'individuazione dei due poli di interessi: quelli "concentrati" delle comunità locali e quelli "diffusi" della comunità nazionale e internazionale (che riguardano la ricerca scientifica, la preservazione della diversità biologica, il godimento estetico-culturale, I'escursionismo naturalistico).
Il consiglio direttivo dell'ente è composto dal presidente, di nomina governativa, e da 12 componenti (7 tecnici di varia provenienza e 5 rappresentanti delle comunità locali, eletti dalla comunità del parco con voto limitato). E prevista, in sostanza, una formula di cogestione, con prevalenza dei rappresentanti di interessi "esterni". Si noti peraltro che i rappresentanti delle comunità locali non devono possedere alcuna particolare qualificazione culturale o professionale: unico titolo di legittimazione è quello della rappresentanza di interessi locali. Sulla designazione, inoltre, non vi è alcun sindacato del ministro dell'ambiente, a differenza di quanto accade per i componenti "tecnici" del consiglio direttivo, per i quali il ministro sceglie tra rose di nomi di varia provenienza.
La comunità del parco è composta dai presidenti delle Regioni e di tutti gli Enti locali aventi competenze sul territorio. Questi soggetti partecipano all'organo in quanto titolari della funzione, sicchè, in caso di assenza o impedimento, potranno essere sostituiti da chi può farne le veci.
La comunità del parco ha funzione consultiva, e deve fornire pareri obbligatori su una serie di importanti decisioni della vita interna del parco.
E evidente che qui la figura del parere obbligatorio è impiegata per scopi lontani da quelli propri della tradizionale attività consultiva tecnica. Esso diventa un momento di procedura, che sostanzialmente può dirsi di contrattazione collettiva, in cui i rappresentanti di interessi locali hanno la possibilità di svolgere la contrattazione a due livelli; quello interno al consiglio direttivo, e quello del confronto con la comunità del parco (che può essere attivato per qualsiasi oggetto di competenza del consiglio direttivo, quando un terzo dei componenti di questo richieda di sentire la comunità del parco).
Con riguardo al piano pluriennale economico e sociale del parco il rapporto di competenza si inverte, ed è la comunità del parco ad avere potere deliberativo, mentre il consiglio direttivo ha il potere di esprimere su di esso parere vincolante. Dal combinato del dispositivo degli artt. 10 e 14 si desume questa procedura: la comunità del parco elabora una proposta; la sottopone al "parere vincolante" del consiglio direttivo ne recepisce le indicazioni adottando la delibera definitiva; infine, la sottopone all'approvazione della Regione. In sostanza, la proposta di piano è soggetta a due procedure di approvazione: la prima da parte del consiglio direttivo che esercita un controllo di merito ed ha il potere di imporre la modificazione dei contenuti del piano; la seconda da parte della Regione, che dovrà limitarsi a controllare la compatibilità del piano economico-sociale del parco con le scelte della pianificazione regionale.
5.2. Per gli Enti parco già esistenti si dovrà provvedere, ai sensi dell'art. 35 della legge-quadro, all"'adeguamento ai principi" della legge stessa. Si provvederà con D P.C.M., su proposta del ministro dell'ambiente.
Il termine "adeguamento ai principi può far pensare ad uno spazio di discrezionalità del Governo, nel disporre scelte organizzative, per gli Enti parco preesistenti, in deroga alle norme generali di legge. Ma questa interpretazione mi sembra inattendibile. Le scelte organizzative riguardanti gli Enti parco sono frutto di compromessi così complicati, che ogni modifica finirebbe per distorcere le scelte del legislatore e per creare precedenti pericolosi in tutto il sistema nazionale delle A.N.P.
Credo pertanto che l'adeguamento, per quanto riguarda l'organizzazione interna degli Enti parco, debba essere perfetto E ciò anche perchè la legge, disciplinando gli enti gestori dei parchi nazionali non fa alcuna distinzione tra vecchi e nuovi parchi.
Quanto ai rapporti fra vecchi e nuovi Enti parco, il legislatore sembra aver avuto in mente il modello della successione fra enti, quando all'art. 35 si è preoccupato di far salvi i rapporti di lavoro esistenti. Ritengo invece che l'adeguamento possa avvenire attraverso semplici modifiche statutarie e regolamentari, secondo le modalità straordinarie previste dalla legge-quadro per l'istituzione di nuovi enti, ma senza interferire sul patrimonio e in genere sui rapporti facenti capo all'ente già operante.
Un vero e proprio problema di successione fra enti dovrà porsi, invece, nel caso in cui esista già un Ente parco regionale.
6. Riserve naturali statali. Le riserve sono istituite con decreto del ministro dell'ambiente, sentita la Regione (anche qui il parere è elevato ad intesa, per le Regioni a statuto speciale: art. 1, n. 8). Il decreto istitutivo determina i confini della riserva "ed il relativo organismo di gestione".
Qui la legge è stata singolarmente laconica. La laconicità si spiega forse con l'esistenza di una norma transitoria (art. 31 )l in base alla quale "fino alla riorganizzazione del Corpo Forestale dello Stato le riserve naturali statali sono amministrate dagli attuali organismi di gestione dell'ex A.S.D.F.". E da ritenere, tuttavia, che questa disposizione parlando di "attuali organismi di gestione", si riferisca solo alle riserve naturali già esistenti alla data di entrata in vigore della legge. Le riserve statali che saranno istituite in futuro, quand anche prima che sia riorganizzato il C.F.S., dovrebbe ammettersi la discrezionalità del ministro dell'ambiente, nel determinare l'organismo di gestione, che è prevista nella parte generale della legge-quadro.
Questa discrezionalità del ministro dell'ambiente sembra essere massima; tuttavia alcune sostanziali limitazioni possono desumersi dal sistema della legge.
Anzitutto rimane preclusa la possibilità di una gestione ministeriale diretta. Non è stata neanche presa in considerazione 1' idea di creare un servizio nazionale, con organizzazione autonoma, per la gestione delle aree protette.
Ma l'esigenza di un organismo di gestione", letta alla luce della giurisprudenza costituzionale in materia, ha un significato pregnante Essa impone, a mio avviso, che l'ANP - anche se si tratta di riserva e non di parco - sia comunque dotata di un'organizzazione autonoma. In altri termini: non è consentito l'affidamento in gestione puro e semplice ad un ente già esistente, senza la previsione di modalità che attribuiscano alla riserva un'organizzazione autonoma.
Il provvedimento ministeriale, che la legge anodinamente qualifica "determinazione dell'organismo di gestione", ha natura lato sensu concessoria. Nel silenzio della legge, la discrezionalità ministeriale può esplicarsi nell'individuazione del soggetto concessionario, che può essere un ente pubblico o privato già esistente, purchè l'atto di affidamento sia accompagnato dall'indicazione di apposite modalità organizzative.
Stando alla lettera della legge, non sembra che la partecipazione degli enti locali nella gestione sia prevista come principio fondamentale per le riserve naturali statali. La soluzione può destare qualche perplessità, sul piano della coerenza legislativa, dal momento che tale partecipazione è imposta, come principio fondamentale di "grande riforma", per le riserve regionali. Può darsi, tuttavia, che il legislatore abbia pensato che gli interessi tutelati dall istituzione di una riserva naturale statale siano prettamente scientifici o naturalistici e che la riserva naturale non coinvolge in modo determinante l'economia locale. Questa situazione può in effetti aversi per qualche piccola riserva, tanto più se essa insiste su terreni da lungo tempo di proprietà statale. Molto spesso, tuttavia, I'istituzione della riserva presenta, magari su scala ridotta, gli stessi problemi e gli stessi conflitti che si hanno nelle A.N.P. maggiori. In particolare, è difficile che si pensi ad istituire una riserva senza che siano già insorte situazioni di conflitto tra esigenze conservazionistiche ed usi tradizionali del territorio, e/o proposte di trasformazione dello stesso, interessanti l'economia locale. Il trattamento deteriore fatto agli Enti locali, in materia di riserve naturali statali è dunque difficilmente giustificabile alla luce dell'omogeneità dei conflitti di interessi, che normalmente si connettono all istituzione di un'A.N.P . Se non di vuol giungere ad una valutazione di incostituzionalità, si deve ritenere, nell'interpretare l'art. 17, n. I, che la discrezionalità del ministro dell'ambiente sia limitata dal dovere di considerare gli interessi delle comunità locali, in sede di istituzione della riserva, e dal dovere di prevedere qualche forma di partecipazione degli Enti locali agli 'organismi di gestione, salvo casi limite di indifferenza della riserva rispetto agli interessi locali.
7. A.N.P. regionali. Principi fondamentali.
Principi fondamentali di riforma economico-sociale (come tali vincolanti, nell'intenzione del legislatore, anche le Regioni a statuto speciale) sono dichiarati dall'art. 22, n. 2, "la partecipazione degli Enti locali all'istituzione e alla gestione delle aree protette e la pubblicità degli atti relativi all'istituzione dell'area protetta e alla definizione del piano del parco".
Sul piano organizzativo, fondamentale è il principio di partecipazione degli Enti locali all'istituzione e alla gestione.
Poichè la legge non distingue, enti locali titolari di questo diritto di partecipazione sono tutti quelli operanti nel territorio (Comuni, Province, Comunità montane). Le modalità di partecipazione sono però demandate alla Regione. Il livello minimo è quello della consultazione obbligatoria, con facoltà per l'Ente locale di esprimere osservazioni e proposte. Trattandosi, in questo caso, di una partecipazione qualificata ed elevata al rango di principio fondamentale, non sarebbe sufficiente una informazione preventiva sul tipo di quella delineata, in via generale, dagli artt. 7 e segg., legge 7.8.1990, n. 241.
Un rispetto sostanziale del precetto legislativo si avrà solo se gli Enti locali interessati potranno pronunciarsi sulla proposta definitiva del provvedimento istitutivo dell'A.N.P. In altri termini, la legge regionale deve quanto meno prevedere un parere obbligatorio degli Enti locali, su una proposta completa di provvedimento istitutivo. Nulla esclude, peraltro, che la legge regionale preveda modalità di partecipazione diverse e più impegnative, dalle conferenze di servizi obbligatorie alla creazione di veri e propri organi temporanei dell amministrazione regionale (comitati di proposta). Lo stesso ragionamento non può farsi per la 'partecipazione alla gestione". Il livello minimo di partecipazione è quello del parere obbligatorio sulle scelte di gestione più importanti. Tali sono certamente quelle aventi carattere programmatorio o regolamentare; ma anche per i provvedimenti, la forma di partecipazione dev'essere congrua rispetto al livello di interessi rappresentato dagli Enti locali, e coinvolto nel provvedimento stesso.
7.1. Il rispetto di questo principio porrà problemi di adeguamento non indifferenti. Ciò posso dire almeno per la situazione che conosco direttamente, e cioè quella siciliana.
Qui i parchi sono gestiti da enti autonomi (soluzione pienamente legittima in tutte le Regioni, ai sensi dell'art. 23, n. I della legge-quadro). In questi enti, i Comuni interessati per territorio esprimono, attraverso loro rappresentanti, un "consiglio del parco', che ha poteri programmatori, regolamentari e di bilancio (più o meno come un consiglio comunale o provinciale); il consiglio del parco a sua volta elegge la metà dei componenti del comitato esecutivo delI'Ente parco, scegliendoli però tra soggetti che abbiano certi requisiti di competenza. Se, con questa soluzione, si può dire che la partecipazione dei Comuni è garantita, è però evidentemente esclusa ogni forma di partecipazione della Provincia. Questa lacuna dovrà essere colmata attraverso un adeguamento legislativo.
Per quanto riguarda le riserve naturali regionali, la situazione della legislazione siciliana è più complicata. Le Province sono tra i soggetti legittimati ad ottenerne l'affidamento in gestione da parte della Regione (ma ugualmente legittimate sono l'Azienda forestale, le Università e le associazioni ambientalistiche). I Comuni, che non possono essere enti gestori, sono però titolari di un potere di pianificazione speciale nella zona esterna della riserva (area di protezione o "pre-riserva") e possono accedere a finanziamenti speciali per lo sviluppo delle attività tradizionali oturistiche in detta zona. E evidente comunque che, allo stato della legislazione, i Comuni sono esclusi dalla gestione della riserva, e le Province lo sono altrettanto, quando non siano direttamente affidatarie della gestione. Si tratta di soluzioni che non sono in linea con la legge-quadro e richiedono, anche qui, una modifica legislativa.
8. Quanto detto vale per tutte le Regioni, anche a statuto speciale. Per le Regioni a statuto ordinario, le disposizioni organizzative della legge-quadro si arricchiscono di un ulteriore elemento. Infatti, ai sensi dell'art. 22, n. 1, a, è "fatta salva l'attribuzione delle funzioni amministrative alle Province, ai sensi dell'art. 14, 1.8.6.1990, n. 142 '. Per il citato art. 14, n. I, e, le Province sono titolari di funzioni amministrative di interesse provinciale in materia di parchi e riserve naturali. L'espressa salvezza, contenuta nell'art. 22 della legge-quadro, farebbe pensare ad una piena competenza delle Province per parchi e riserve regionali, purchè di interesse provinciale . Questa soluzione è già problematica per quanto riguarda l'individuazione del livello di interessi. Sotto questo profilo, è da ritenere che la competenza provinciale non possa esprimersi oltre quelle che, nell'art. 4, n. 3, della legge-quadro, sono chiamate aree naturali protette di interesse locale" ed "aree verdi suburbane". Un criterio per l'individuazione di tali aree è dato dal programma triennale per le aree protette. In esso, infatti, le A.N.P. di interesse nazionale e regionale devono essere precisamente individuate e delimitate (art. 4, n. 1, a; la delimitazione è da intendere come delimitazione di massima, perchè la delimitazione definitiva, nel sistema della legge, è demandata all'atto istitutivo dell'A.N.P.). Invece le aree protette di interesse subregionale
(art. 4, n. 3) sono indicate nel programma solo con criteri di massima" (e non è escluso che le Regioni possa-no integrare il piano, prevedendo autonomamente altre aree protette di questo tipo ) . Un'ulteriore limitazione delle competenze provinciali viene dalla stessa legge-quadro che, per i parchi naturali regionali (art. 23 e segg.) chiaramente presuppone l esistenza di un organismo di gestione autonomo. E chiaro dunque che per i parchi naturali tipici, caratterizzati da articolazione plurizonale e finalità amministrative complesse, è esclusa una competenza amministrativa riservata alle Province. Così pure per le riserve tipiche, che siano costituite per conservare beni naturali rari (e quindi, per definizione, di interesse non soltanto locale) .
In conclusione, le funzioni amministrative riservate alle Province dall'art. 22 della legge-quadro non possono andare oltre la gestione di parchi suburbani, aventi precipue finalità ricreative e di divulgazione naturalistica .
9. Parchi naturali regionali. Nell'organizzazione dei PNR le Regioni a statuto speciale riacquistano ampia autonomia, nel rispetto dei principi di unitarietà di gestione e di partecipazione degli Enti locali. Per i PNR delle Regioni a statuto ordinario, invece, l art. 24 della legge-quadro disegna un modello organizzativo abbastanza stringente. In primo luogo, I'art. 24 richiede che ogni PNR abbia "una differenziata forma organizzativa" e un apposito statuto. In altre parole, il parco deve avere una forma organizzativa differenziata rispetto alla generale organizzazione regionale; e deve trattarsi di una realtà organizzativa dotata di propria soggettività giuridica, distinta da quella di altri enti pubblici (si veda in particolare l'ultimo comma dell'art. 24, ove si parla di "enti di gestione" dei parchi, che possono avvalersi di personale proprio o di personale comandato).
In secondo luogo, I'art. 24 delinea una organizzazione standard del PNR, che comprende i seguenti organi
- consiglio direttivo; - presidente;
- direttore;
- collegio dei revisori dei conti;
- organo di consulenza tecnica e scientifica;
- comunità del parco.
La legislazione regionale potrà diversamente strutturare questi organi, e potrà aggiungerne altri, purchè non siano in contrasto con il disegno della legge-quadro (ad esempio, sarebbe ammissibile la previsione di un comitato esecutivo).
La previsione vincolante di un modello organizzativo preclude, comunque, alle Regioni di far capo a diverse formule, previste o meno dalla legislazione nazionale. Per esempio, non sarebbe consentito creare, per la gestione di un PNR, un'azienda speciale provinciale, dal momento che il modello organizzativo dell'azienda speciale, così come delineato dall art. 23,1 egge 142/ 1990, è chiaramente in contrasto con quello che la legge-quadro impone agli Enti parco. Alla luce di quanto precisato nell'art. 24 può intendersi la disposizione dell'art. 23 della legge-quadro, in base al quale, per la gestione dei PNR, "possono essere istituiti appositi enti di diritto pubblico o consorzi obbligatori tra Enti locali od organismi associativi ai sensi della legge 8.6.1990, n. 142".
Dal confronto fra art. 23 e art. 24 si desume che lo strumento dell ente autonomo è considerato, nella legge, la soluzione normale per la gestione dei PNR; e ciò in parallelismo con la soluzione adottata per i parchi nazionali Le altre soluzioni, indicate nell'art. 23, si aggiungono a quella standard dell'ente autonomo, ed esauriscono la gamma di scelte organizzative a disposizione delle Regioni. Le figure associative previste dall'art. 23 comportano già una deroga opere legislative al modello organizzativo di cui all'art. 24, perchè la struttura associativa comporterà necessariamente la presenza di un'assemblea accanto al consiglio direttivo. Al di fuori delle figure associative espressamente menzionate dalla legge non sembra dunque, anche se il testo dell'art. 23 non è chiarissimo in proposito, che siano consentite altre scelte.
Quanto alle previsioni dell'art. 23, oltre all'ente autonomo sono indicate - come già ricordato - due possibili soluzioni
- a) consorzi obbligatori fra Enti locali
- b) organismi associativi ai sensi della I egge 8.6. 1 990, n. 1 42.La prima previsione costituisce puntuale attuazione dell'art. 25, n. 7, 1.142/90: essa fornisce la necessaria base di legge statale perchè la Regione possa poi provvedere, con successiva legge regionale, alla creazione del consorzio obbligatorio.
Resta da vedere quali siano gli altri "organismi associativi" possibili, ai sensi della legge 142. Le sole forme associative previste dalla legge 142 sono i consorzi e le unioni di Comuni (altre forme di cooperazione, come le convenzioni o gli accordi di programma, non hanno natura associativa). Ora poichè le unioni di Comuni sono preparatorie alla fusione, e quindi non hanno alcunchè a vedere con la gestione dei parchi, la sola forma associativa utilizzabile resta il consorzio. L'art. 23 della legge-quadro dice, in sostanza, che la legge regionale, in alternativa all'ente autonomo, può prevedere un consorzio - facoltativo od obbligatorio - fra gli Enti locali interessati.
Ciò che l'art.23 della legge-quadro dice con sufficiente chiarezza è che i consorzi per la gestione dei parchi devono essere costituiti ai sensi della legge 142 Ne consegue una necessità di adeguamento delle legislazioni regionali che prevedono consorzi con struttura differente (e ciò a prescindere dal fatto che tale adeguamento fosse o no già imposto dalla stessa legge 142).
11 termine di adeguamento è quello di un anno, fissato dall'art. 28 della legge-quadro.
10 Riserve naturali redezionali. La legge-quadro è lacunosa per ciò che attiene all'organizzazione delle RNR 11 primo dato che può desumersi con chiarezza è che le R.N R., come le altre A.N.P., debbano avere un proprio organismo di gestione" (cfr. art.22, n.6, che parla di "organismo di gestione del parco, ma in un contesto che si riferisce anche alle riserve; art.29; art.30, n.2 e 6; art. 321n.1 e4).Un secondo dato,che si desume dall'art. 22, n. Le (disposizione introdotta dal Senato), riguarda la possibilità di affidare in gestione l'A.N.P. alle comunità familiari montane, qualora il territorio della stessa sia in tutto o in parte compreso nel patrimonio di tali comunità.
Le lacune della legge possono essere colmate, in sede di interpretazione sistematica, facendo capo alle norme (anch'esse tutt'altro che precise e dettagliate) che riguardano le riserve naturali statali, e cioè all'art. 17. In sostanza, si richiede un atto di affidamento in gestione, di competenza della Regionele che dev'essere meglio specificato dalla legge regionale L'ente affidatario può essere anche un soggetto preesistente. L'espressa menzione delle comunità familiari montane consente di escludere, a contrario che la gestione possa essere affidata ad altri privati proprietari, in quanto tali. Non credo invece che sia esclusa la possibilità di affidamento in gestione ad associazioni ambientalistiche, in considerazione del ruolo di pubblico interesse che esse hanno nel sistema della legge, e nella legislazione ambientale in generale.
In ogni caso, sarà necessario prevedere forme di partecipazione degli Enti locali, nonchè un'organizzazione autonoma della riserva, secondo i principi sopra indicati al 6 per le riserve statali.
11. Competenze degli Enti Parco. Profili generali. La legge-quadro non individua in maniera rigorosa le competenze degli Enti parco, e soprattutto non risolve chiaramente i numerosi problemi di interferenza fra le competenze degli organismi di gestione delle A N.P. e quelle di altre autorità che curano interessi almeno in parte coincidenti con quelli di cui parla la legge-quadro.
In termine generali, può dirsi che la definizione delle competenze degli organismi di gestione delle A N.P. si desume dall'elencazione delle finalità della legge, contenuta nell'art. 1. Si tratta quindi di competenze molto ampie (conservazione di beni naturali; applicazione di metodi di gestione e restauro ambientale idonei a realizzare una integrazione fra uomo e ambiente naturale; educazione, formazione, ricerca scientifica; promozione delle attività economiche compatibili, eccetera) . Spetterà agli atti di determinazione delle finalità della singola A N.P. (piani e regolamenti) precisare se queste competenze debbano essere tutte esercitate e come debbano esserlo .
Per quanto riguarda la delimitazione territoriale delle competenze, va notata la previsione, nell'art. 32, di eventuali interventi conservativi nelle 'aree contigue" all'A.N.P. Questo territorio è delimitato d intesa fra la Regione e l'organismo di gestione dell'A N.P. ed ha finalità diverse dal preparco", perchè non è indicato come territorio di elezione per interventi economici compensativi. Questi ultimi, giustamente, devono essere distribuiti in tutto il territorio dei Comuni interessati (art. 7).
L'area contigua all'A N.P. è invece una zona di possibile, attenuata protezione naturalistica, che si aggiunge a quelle individuate con il decreto di istituzione dell'A.N.P., e viene determinata con un distinto procedimento amministrativo A regime, comunque, un parco nazionale finirà per avere, sostanzialmente, un'articolazione a cinque zone.
Sempre perciò che attiene alla delimitazione territoriale delle A.N.P., va notato che l'art. 2, n. 2 e 3, riconosce una possibile competenza regionale su aree protette marine. Esse possono comprendere "tratti di mare prospicienti la costa', ma in pratica ciò accade per tutte le ANP marine; quindi la distinzione con le A N.P. marine statali è sempre affidata al problematico criterio del livello degli interessi.
Sempre in tema di A.N P. marine, va notato l'art. 19, n. 2, per il quale, se un'A.N.P. marina confina con un'A.N.P. terrestre, "la gestione è attribuita al soggetto competente per quest'ultima". E così stabilito un razionale principio di continuità di gestione ed è limitata la discrezionalità ministeriale nell'affidamento in gestione delle A.N.P. marine Poichè la legge non distingue, potrà accadere (in pratica, abbastanza spesso) che un'ANP marina statale debba essere affidata all'organismo di gestione di una confinante A.N.P. regionale.
12. Pianificazione territoriale Nel campo delle possibili interferenze fra disciplina dell'ANP e altre discipline sull'uso del territorio, il primo problema si pone al livello degli atti di pianificazione.
Qui la legge è stata abbastanza chiara per ciò che riguarda i parchi: il piano del parco nazionale prevale su qualsiasi altro piano (ivi compresi i piani di bacino della legge 18.5.1989, n. 183) ed ha pieno valore di piano territoriale operativo, vincolante anche per i privati, nonchè di piano paesistico (art. 12, n. 7); invece il piano del parco naturale regionale P.N.R. sostituisce i piani territoriali e paesistici di qualsiasi livello, ed ha pertanto anch'esso immediato valore operativo (art. 25, n. 2), ma non è gerarchicamente sovraordinato a qualsiasi altro piano. Spetterà alla legislazione regionale stabilire se determinati piani speciali possano derogare al piano del parco. In ogni caso dovrà rispettarsi il principio dell'art. 17, n. 5 I .183/89, circa la possibile prevalenza delle indicazioni contenute nei piani di bacino, quando dichiarate di piena ed assoluta efficacia nel piano stesso.
Le norme dettate per i piani dei parchi non sono espressamente estese, nell'art. 17 della legge-quadro, alle riserve. All'estensione può però giungersi ugualmente mediante interpretazione sistematica. Nessuna ragione potrebbe giustificare, infatti, un depotenziamento della disciplina vincolistica della riserva rispetto a quella del parco. Anzi, il tipo ideale di riserva descritto dal legislatore è caratterizzato dalla presenza di interessi scientifico naturalistici, che non sembrano tollerare una subordinazione gerarchica ad altri interessi generali, inerenti alla pianificazione territoriale. Ciò è confermato dal fatto che l art. 28 attribuisce all'organismo di gestione di qualsiasi A N.P. poteri repressivi generali per la violazione della normativa specifica dell'A.N P. stessa, con ciò facendo pensare ad una inammissibilità di cause di giustificazione di comportamenti difformi, che possano fondarsi su discipline di origine diversa.
13. Potere di espropriazione e indennizzi. Un cenno su questo punto va fatto per ricordare che il potere di espropriazione è espressamente attribuito all ente-parco nei parchi nazionali (art. 15). In questo caso la norma, in quanto costitutiva di una situazione di autorità, che limita diritti di privati, non può estendersi per analogia agli organismi di gestione delle riserve.
Le norme sugli indennizzi per i vincoli, contenute nell'art. 15, hanno invece una evidente portata generale, perchè concretizza quei principi di contemperamento fra A.N.P. ed usi tradizionali del territorio, che rientrano fra gli scopi generali della legge, indicati nell'art. 1. Perciò le disposizioni sugli indennizzi possono considerarsi principio fondamentale della legge, ed hanno probabilmente un contenuto oggettivo "di grande riforma", che le rende vincolanti anche per le Regioni a statuto speciale.
14. Nulla-osta dell'Ente parco. L'art. 13 della legge-quadro sancisce, in modo indiretto ma abbastanza chiaro, che l'istituzione del parco non annulla le competenze di altre autorità amministrative, ma sottopone ogni atto delle stesse al controllo preventivo dell'Ente parco. Le trasformazioni del territorio continueranno dunque ad essere soggette a concessione od autorizzazione urbanistica, ad autorizzazione paesistica, eccetera.
A parte ogni considerazione di opportunità, la norma dell'art. 13 dovrebbe considerarsi principio fondamentale per quanto attiene alla necessità di un nulla-osta dell'Ente parco per le trasformazioni del territorio: sarebbe altrimenti frustrata la funzione pianificatoria degli atti del parco. Le Regioni non sono invece vincolate dall'intera disposizione, e quindi anche dall'inopportuna generalizzazione di un sistema di veti incrociati, che si determina quando sussistano diverse autorità competenti per interessi interferenti.
La norma sul nulla-osta non è espressamente estesa alle riserve Anche qui non può pensarsi che il legislatore abbia voluto attribuire una minore efficacia giuridica al vincolo di riserva. Forse ha pensato, invece, ad un assorbimento di tutte le competenze, in materia di trasformazioni del territorio nella riserva, nell'organismo di gestione della riserva stessa. In mancanza di espresse indicazioni, ritengo però che vada applicata analogicamente la norma sul nullaosta, che come tale costituisce misura organizzativa atta a garantire il rispetto di norme vincolanti, quali sono quelle dettate nei piani e regolamenti delle riserve.
Un valore di principio dovrebbe riconoscersi anche alla disposizione sul silenzio-assenso (art. 13, n. I ), per quanto discutibile essa possa apparire nel merito.
15. Poteri repressivi. In questo caso abbiamo una norma generale, dettata per tutte le A.N.P. I poteri repressivi dell'organismo di gestione sostituiscono quelli dei Comuni in materia urbanistica (arg. art. 28.2) ma non quelli di altre autorità (esempio forestale o paesistica). E da pensare quindi ad un concorso di competenze, di dubbia opportunità, perchè potrebbero determinarsi interferenze tecniche (ad esempio contrastanti prescrizioni di ripristino dello stato dei luoghi) o, al contrario, scarichi di responsabilità. ll problema si ripropone con riguardo al cumulo di sanzioni, pergli stessi comportamenti, che potrebbe prospettarsi in molti casi.
In linea generale le norme regolamentari delle A.N.P. sono assistite da sanzione penale (art. 30 legge-quadro). Ciò comporta, ai sensi dell art. 9, comma 2, 1.24.11.1981, n. 689, la prevalenza di tali norme su quelle regionali assistite da sanzione amministrativa. Sorgono però numerosi problemi. In primo luogo per quanto riguarda le riserve naturali regionali, per le quali non vi è estensione di sanzioni penali. Tale disparità di trattamento è del tutto ingiustificata. Però esiste, ed impone di affrontare il problema della coesistenza di più sanzioni amministrative secondo il criterio di specialità, di cui all'art. 9, legge 689/81.
Lo stesso accade per la coesistenza di più sanzioni penali. Questa circostanza sarà, peraltro, normale, sia per l'interferenza con le norme sugli illeciti urbanistici, sia per l'interferenza con le norme della legge Galasso, i cui vincoli si applicano ope legis nei parchi e nelle riserve naturali.
16 Risarcimento del danno ambientale.
L' art. 30.6, attribuendo un diritto al risarcimento del danno ambientale all'organismo digestionediqualsiasiA.N.P.,èfortemente innovativo sulla disciplina dettata dall'art. 18, legge 349/86. Esso rende superfluo l'art. 29. 3, che attribuisce all'organismo di gestione un potere di intervento nei giudizi di danno ambientale intentati dallo Stato o da enti territoriali.
Roberto Saini
I parchi nazionali esistenti sono gestiti in modo differenziato, ad esempio il Parco del Gran Paradiso e il Parco d'Abruzzo fanno capo a un'ente di gestione, il Parco del Circeo ha una dipendenza diretta rispetto al Ministero dell'Agricoltura, una impostazione che in gran parte risale agli anni dal 1920 al 1985 e che risentono di questa impostazione in quanto enti fortemente accentrati come partecipazione. Essi hanno una caratteristica comune che è quella di avere come oggetto della loro gestione principale l'aspetto ambientale del territorio.
Nella realtà le esperienze che sono state fatte in materia di gestione e sopratutto in riferimento agli enti ed ai soggetti gestionali sono molto diversificate e sotto un certo profilo hanno costituito un punto di riferimento anche di lettura giuridica complessiva della struttura di gestione molto più corretto e molto più vivace rispetto a questo impostato a livello nazionale. Diciamo che il primo parco regionale che è stato istituito è quello del Ticino lombardo e la scelta gestionale fatta allora fu una scelta ribadita più volte nella Regione Lombardia ed è stata quella di individuare un consorzio di gestione.
I consorzi sono soggetti che gestiscono esclusivamente il territorio del parco e non estendono le loro competenze al di là del suo territorio. Altri esempi si trovano in altre realtà regionali come la Toscana e il Piemonte. L'altro soggetto gestionale che è stato attuato a livello regionale, e che oggi trova peraltro un conforto nell'attuale legge-quadro nazionale, è quello dell'ente di diritto pubblico che ricalca come schema i parchi nazionali. Ma con delle differenze sostanziali anche sotto il profilo della composizione del consiglio che garantisce una partecipazione degli Enti locali nettamente più presente rispetto al caso nazionale. Vi è poi una seconda categoria, quella degli enti di diritto pubblico, anchessa abbastanza diffusa nella realtà dei parchi regionali. Altre soluzioni sono state quelle di affidare direttamente ai Comuni o alle Comunità montane il compito gestionale del territorio.
L'esperienza regionale relativa a questa forma di gestione non è stata certamente positiva in quanto sia i Comuni che le Comunità montane non sono soggetti preparati e predisposti per una gestione di problemi particolari quali possono essere quelli che derivano dalla gestione di un'area protetta.
C'è un'altra esperienza che riguarda in modo particolare il Piemonte: un'azienda che gestisca più aree protette. Anche questo esperimento è in corso di rielaborazione perchè vi sono notevoli problemi. Il termine "azienda" molto probabilmente ha generato e genera una certa confusione sui veri compiti gestionali di un'ente che deve ottenere come risultato la migliore gestione territoriale di un'area protetta.
L'entrata in vigore di nuove leggi ha modificato il quadro amministrativo: con la legge 142 e la 183 sull'ordinamento delle autonomie locali vi sono nuove valutazioni da effettuare in tema di gestione delle aree protette.
La legge 183 incide pesantemente sulla struttura pianificatoria di tutti gli enti che si occupano del territorio, del Comune, della Provincia, della Regione.
Nel Piemonte il bacino del Po è tutta la Regione Piemonte e anche la Valle d'Aosta: non c'è un metro quadro al di fuori del bacino del Po La conseguenza diretta di un ragionamento affrettato sarebbe quella di dire che l'autorità di bacino ha competenza di pianificazione territoriale totale su tutte e due le Regioni e che scavalca in questo modo la competenza regionale e quella provinciale, che vedremo poi essere attivata a livello della 142 e per la stessa competenza comunale. Credo che in realtà una conclusione di questo genere sia una lettura affrettata della 183, perchè tale legge, come la 142 e come altre leggi, creano una struttura di livelli differenziati ma tra loro complementari di gestione del territorio, e i parchi in questo quadro hanno un ruolo non indifferente.
La 183 non è una legge che sottrae il potere di pianificazione agli altri soggetti, ma tende a dare delle direttive e degli indirizzi sulla pianificazione degli altri soggetti ed ha anche un valore vincolante. Però questo non è un dramma, anzi dovrebbe essere la logica delle cose in uno Stato organizzato come il nostro attraverso livelli istituzionali differenziati.
La 142 riguarda le nuove competenze che sono state individuate per alcuni soggetti istituzionali, in particolare le Province; è noto che l'art. 14 della legge 142 prevede che le Province abbiano piena competenza sulle materie relative alla pianificazione territoriale.
Tra le competenze provinciali ritroviamo la pianificazione territoriale, i parchi e le riserve naturali. Anche questa dizione della 142 ha generato preoccupazioni, dubbi, numerosi dibattiti ed anche su questo credo che sia da sgombrare il campo, per quanto riguarda la 142, da tutte queste preoccupazione che ne sono state conseguenti. Questo perchè la competenza provinciale in materia di parchi, riserve, come di pianificazione territoriale, è una competenza che la 142 individua in modo generico.
La prima reazione è stata quella di ritenere che alla Provincia dovesse essere affidata la funzione amministrativa-gestionale, in pratica, delle aree protette. In realtà vedremo come ciò non sia vero. Tra l'altro credo che queste cose siano anche state rilevate nella relazione di Libertini quando, nella lettura della legge-quadro, confrontata con la 142, fa emergere il fatto che esiste nella stessa legge-quadro, un'ulteriore limitazione nelle competenze provinciali, ove per i parchi naturali regionali presuppone l'esistenza di un organismo di gestione autonomo. Questo significa che se la legge-quadro, che poi è l'atto successivo alla 142, prevede che per i parchi regionali, così come per i parchi nazionali, ci sia un ente di gestione autonomo, evidentemente questo ente non è la Provincia.
La lettura della 142 prima ci fa pensare che le Province possano gestire direttamente i parchi di interesse provinciale. Peraltro la legge-quadro non lo richiama con molta precisione, ma individua due forme di gestione in genere e fa un richiamo alla 142. Queste due forme di gestione che individua sono gli enti di gestione e i consorzi obbligatori. Ho dei dubbi sul fatto che i consorzi obbligatori, così come sono previsti dalla legge-quadro e così come discendono dalla 142, siano soggetti gestionali che rispondono ai requisiti di gestione che un parco dovrebbe avere. ll dubbio è proprio giuridico, nel senso che se è vero che la 142 stabilisce che i Comuni non possono partecipare a più di un consorzio per la gestione di servizi, già questo è contrastante: infatti credo che sia difficile far coincidere lo smaltimento dei rifiuti con la gestione di un territorio come quello di un parco. Esiste questo dubbio sulla possibilità di mantenere i consorzi, dubbio che è acuito dal fatto che viene richiamato invece come figura gestionale ben precisa all'interno della legge-quadro art.22, in materia di parchi. Direi che l'unica certezza giuridica che si ha alla fine di questa lettura composita è che gli enti di gestione siano i soggetti titolati alla gestione dei parchi Non escluderei a questo punto neanche le possibilità di enti di livello provinciale che consentano alle Provincie di gestire indirettamente le loro funzioni amministrative.
Le forme gestionali possono essere quelle degli enti, a livello nazionale e a livello regionale, non escludendo tutti gli entri provinciali. Lascio aperto uno spiraglio ai consorzi il cui ruolo andrebbe poi approfondito nel prossimo futuro.
Il quadro istituzionale nazionale è estremamente diversificato per aree e per zone: abbiamo delle Regioni "forti" sotto il profilo delle aree protette e delle Regioni ' deboli" o anche inesistenti". La legge-quadro si cala in una realtà molto diversificata. Le Regioni che partono da una situazione vergine, se vogliono affrontare con serietà il problema, sono in grado di sviluppare un quadro abbastanza definito. Più difficile secondo me è la situazione di assestamento delle realtà regionali dove esistono dei sistemi esistenti nel senso di un processo graduale, che dovrà riportare a un sistema unitario che tenga conto dei vari livelli istituzionali. Con questo voglio dire che non è pensabile che una realtà come il Lazio o il Piemonte, dove esistono una serie di aree che sono tra loro in una certa misura coordinate a livello regionale, l'intervento da un lato della legge-quadro, dall'altro della legge 142 produca come effetto quello della par cellizzazione delle varie aree protette della loro separazione da un disegno complessivo.
I livelli istituzionali dovrebbero allora collaborare tra loro in modo molto più attivo di quanto non sia stato fatto in passato, pur riconoscendo con questo ad ognuno il proprio ruolo, che mi sembra l'elemento veramente forte di tutta questa normativa.
Gli Enti parco, i Comuni, le Province, le Regioni, l autorità di bacino sono tutti soggetti che hanno compiti similari rispetto al territorio. Se non sono coordinati e dunque sistematizzati all'interno di un sistema, molto probabilmente perderemmo quel quadro di gestione unitaria che poi è anche quella più corretta.
Vorrei concludere con un argomento fondamentale; mi riferisco al personale.
All'interno dei parchi è un elemento trattato in modo confuso nella legge-quadro. Non vi si parla mai di organici degli enti: essa individua la figura del direttore e parla in modo un pò contorto della vigilanza. Non esiste una struttura intermedia anche se non impedisce alle singole Regioni di organizzare i loro enti attraverso una struttura organica completa.
La mancanza di livelli intermedi all'interno di un organico organizzato è sicuramente una carenza grave per quanto concerne la vigilanza c'è da rilevare che la legge-quadro è influenzata da situazioni di potere interno dei Ministeri.
Nel Piemonte il rapporto con il Corpo Forestale dello Stato è ottimo; anche per quanto concerne la gestione dei parchi è di ottimo livello. Mi sembra strano che una legge-quadro debba prevedere un incremento di organici, affidare nuove competenze impegnative, senza provvedere ad incrementare gli organici.
Concludo sul tema degli enti, che poi è l'oggetto reale dell'incontro. Inviterei tutti i livelli istituzionali, siano essi nazionali, regionali e provinciali a non ragionare sulla 142 e sulle altre norme in modo esclusivo, in termini di accaparramento di competenze e di soldi perchè è il modo più sbagliato per approcciarsi al problema.
Bisogna ragionare in termini di collaborazione a livello istituzionale, che vede una volta tanto lavorare questi vari soggetti in modo contestuale su un medesimo problema.
On. Piero Angelini
Questa legislatura non si conclude negativamente sulla politica ambientalista, in particolare sulle aree protette: basti pensare alla legge sulla difesa del suolo, alla legge Galli che è in discussione, al problema dei rifiuti. C'è tutto un corpo di leggi ambientaliste che ha fatto mutare di qualità l'ordinamento giuridico del nostro Paese e fra queste certamente la legge sulle aree protette.
Inizialmente la legge sulle aree protette era una legge soltanto sui parchi nazionali. Ora è diventata una legge sulle aree protette perchè processualmente ci si è resi conto, all'interno del Parlamento, che si doveva disciplinare non solo i parchi nazionali, ma anche i parchi regionali e perfino, sia pure con contrapposizioni e scontri, dare direttive per la politica delle aree verdi nelle città, per assicurare la qualità urbana all'interno delle nostre aree metropolitane dove i problemi del verde e quelli della tutela ambientale non sono meno pregnanti che nelle aree pregiate del nostro Paese.
Naturalmente nel corso del processo legislativo abbiamo dovuto rinunciare con dispiacere a qualche posizione che ritenevo estremamente importante per poter andare in fondo e non concludere un'altra volta la legislatura con un fallimento.
L'emblema e il cuore della legge è il comitato Stato-Regioni, formato da sei ministri più sei presidenti della Giunta Regionale, che non solo discute, ma decide, perchè il programma non è fare i progetti ma ripartire le risorse e dare in qualche modo valorizzazione organizzativa, normativa e finanziaria alle proposte che vengono dal Paese. Questo comitato rappresenta in qualche modo la novità istituzionale del processo legislativo.
Credo anche io che ci siano state nel terzo titolo, per quanto riguarda i parchi regionali, innovazioni importanti. Abbiamo dato alle Regioni, in autonomia, la possibilità di praticare diverse opzioni, ferma restando la volontà legislativa parlamentare di dare le indicazioni onde percorrere nel modello del governo del parco regionale gli stessi istituti che si hanno nel parco nazionale e che sono il Piano del parco e il Piano di sviluppo sostenibile.
Nel regolamento abbiamo difeso alcuni aspetti significativi: basta pensare alla caccia e alla pari dignità dei parchi nazionali e regionali .
Abbiamo operato anche per eguagliare la disciplina finanziaria e abbiamo anche introdotto, su proposta del Coordinamento Parchi, alcune innovazioni nella consulta tecnica di contro alla primitiva versione. Tre posti sono riservati su designazione dei presidenti dei parchi nazionali e regionali ed in questo modo abbiamo istituzionalizzato l'assemblea dei presidenti dei parchi nazionali e regionali.
In qualche modo questa è l'anticipazione di una politica di coordinamento fra i parchi nazionali e regionali. Mi auguro che anche per quanto riguarda il discorso delle riviste, degli strumenti di informazione ed educazione ci sia in qualche modo un raccordo. Oggi possiamo, a livello nazionale e regionale, considerare che le aree protette del nostro Paese sono circa il 7,5%; parlo di parchi nazionali e regionali terrestri e marini, zone umide e tutte le altre forme di tutela. Con questa legge e quindi con la costituzione di questi nuovi parchi nazionali riteniamo che il territorio nazionale protetto sarà circa il 10% del Paese.
Rolando Claudio
Ritengo che l'aver individuato nell'ambito della legge esclusivamente due figure, e cioè quella del direttore e quella dell'operatore di vigilanza, porta da un lato dei problemi dal punto di vista funzionale e gestionale, e dall'altro una riduttività nella figura del soggetto o dell'ente parco.
Perchè chi legge, per i non addetti ai lavori, questa legge-quadro può dare l'impressione che nei parchi esistono solo vincoli passivi, tant'è vero che l organico così come è previsto nella legge è composto da un funzionario e poi da una serie di operatori di vigilanza identificati con il Corpo Forestale dello Stato che ha un sacco di competenze: si dovrà ovviamente creare anche la competenza di guardia-parco che è una figura polimorfa.
Esistono dei problemi che la legge ha trascurato: un ente con un funzionario come il direttore, che ha con il corpo di vigilanza un rapporto esclusivamente funzionale e non gerarchico. Ciò significa che il direttore si dovrà preoccupare di fornire la logistica, di fornire le infrastrutture, ma chi comanda il corpo è un'altra persona che non è il direttore: sarà ad esempio un maresciallo, un graduato del Corpo Forestale dello Stato il quale poi dipende gerarchicamente da canali che sono totalmente estranei al parco. Queste osservazioni sono state fatte già nel 1979 come Associazione Italiana dei Direttori delle aree protette, e le ribadiamo in questa sede.
Calogero Calderaro
L'esperienza siciliana, per quello che riguarda i consorzi, è limitata: I'esperienza di affidamento degli Enti locali alla gestione di aree protette è stato negativo. La legge regionale obbliga a dare alle Province alcune delle riserve, mentre alcune sono state date in gestione alla Forestale per la predominanza di beni silvani presenti nelI'area considerata: ma la maggioranza è andata alle Province, che da noi non sono attrezzate culturalmente e strumentalmente per gestire le aree protette.
In merito al personale è necessario andare alla definizione del profilo professionale del direttore; secondo me è una figura molto complessa dal punto di vista professionale e la legge-quadro non dà elementi per la sua definizione.
Adesso la Forestale fa dieci cose, domani ne farà dodici: però deve restare com'è, probabilmente anche con carenze di organico. Il Corpo Forestale ha avuto colmati i suoi organici solo pochissimi mesi fa.
Per quello che riguarda la pianificazione andrebbero definiti i diritti soggettivi dei cittadini, anche se difendiamo interessi primari della pubblica amministrazione. Bisogna tener presente che un piano urbanistico ha una valenza giuridica diversa da un piano di un'area protetta; per quello che riguarda beni culturali ed ambientali, la natura giuridica di beni di interesse pubblico è contenuta nel bene stesso.
Quindi l'atto della pubblica amministrazione ha soltanto valore dichiaratorio in questo caso, laddove un piano urbanistico nel definire vincoli e destinazioni di zona ha valore costitutivo, perchè un verde pubblico in un piano urbanistico non è la stessa cosa della difesa di un bosco esistente. Infatti il bosco esiste anche se è degradato e se dovrà sottoporsi al restauro ambientale: è un bene di interesse pubblico, mentre il verde pubblico del piano regolatore è un'area che non ha alcuna caratteristica di verde, solo che resta libera in un'idea pianificatoria .
Quindi i livelli pianificatori a questo punto vanno coordinati preventivamente per sapere quali sono le diverse incidenze dell'uno sull'altro.
Stefano Massone
Anche per la Regione Liguria questa legge-quadro sulle aree protette deve rappresentare una nuova fase nella gestione di queste aree. Perchè, se da quando è stata approvata la legge regionale quadro in materia di aree protette dal '77 ad oggi risultati significativi si sono conseguiti nel campo dell'istituzione e della pianificazione dei territori interessati, con l'istituzione delle ultime due aree (quelle delle Alpi Liguri e del Finale) arriveranno a coprire il 20% del territorio regionale Risultati meno significativi si sono invece conseguiti proprio nel campo della gestione delle attività, delle iniziative, della promozione di queste aree. Per quanto riguarda la gestione, la situazione ligure vede, come in altre Regioni, diverse forme di gestione. Oggi vi sono quattro forme di gestione: la prima è quella dell'ente strumentale regionale, formula adottata per il Parco regionale del Monte di Portofino, che deriva da un ente autonomo (Monte di Portofino) istituito nel 1935.
Siamo quindi all'epoca della nascita dei parchi nazionali, poi soppresso dallo Stato come ente inutile e quindi ricostituito dalla Regione come ente regionale. Le altre forme di gestione sono quelle del consorzio di Enti locali: questa è la formula utilizzata per il Parco Fluviale del Magra.
C'è poi la gestione affidata direttamente al singolo Comune, quando l'area interessata è di estensione limitata e ricadente tutta all'interno di un solo Comune. C'è l'altra formula, quella del comitato di coordinamento dell area protetta, che è costituito dai rappresentanti degli Enti locali, che si appoggia per la gestione amministrativa ad uno di questi enti che è definito "ente sede" dell'area protetta. Queste soluzioni sono nate certamente all insegna dell'economia non solo finanziaria ma anche istituzionale e, alla fine degli anni '70, sull'onda di una filosofia che vedeva nell'Ente locale l'interlocutore unico del cittadino, l'Ente locale come ente globale che assorbiva e gestiva tutti gli aspetti. Ebbene, questa impostazione ha dimostrato nel tempo i suoi limiti.
La carenza di personale e di attenzione dell'Ente locale poi, assorbito da problemi molto più urgenti e spesso drammatici, ha portato appunto a trascurare la gestione di queste aree. Ecco perchè è benvenuta la legge-quadro, se ci offre l'occasione di ridefinire, riorganizzare, ristrutturare questo complesso di iniziative. Ma parallelamente alla legge-quadro, già la 142 è intervenuta dando dei compiti alle Provincie, ma al di là della lettera dell art. 14 e quindi dei compiti di amministrazione diretta di aree di interesse provinciale.
Dalle cose dette sia ieri che oggi si propende senza alternative valide o praticabili verso l'istituzione di enti strumentali regionali. Mi sembra che le altre soluzioni presentino tali inconvenienti di complessità, di difficoltà ad operare che indirizzano quasi esclusivamente verso la soluzione dell'ente parco. A nostro avviso però in questo ente parco deve avere un ruolo particolare la Provincia, proprio perchè la Provincia, secondo questo disegno della 142, ha un compito che non può essere assimilata agli altri Enti locali e quindi partecipare all'ente parco soltanto attraverso la comunità del parco come un qualsiasi Comune o una Comunità montana. Credo che debba essere riconosciuto questo ruolo di maggior rilievo della Provincia.
Un ruolo particolare poi hanno da noi le province per quanto riguarda la vigilanza sul territorio, perchè hanno dei corpi diguardia ecologiche provinciali che hanno compiti di vigilanza sull'intero territorio.
Sul problema della vigilanza si pone comunque un problema di coordinamento che può essere la convenzione con i vari soggetti, comunque di coordinamento e di leale collaborazione con tutti quelli che operano nella vigilanza sul territorio. Altro tema che andrà rivisto è quello degli strumenti di pianificazione e di programmazione di queste aree.
Un altro tema è quello del nullaosta delI'Ente parco. A nostro avviso in molte aree non è necessario che l'Ente parco rilasci uno specifico nullaosta quando soprattutto c'è uno strumento di pianificazione sufficientemente dettagliato, che consente alle amministrazioni locali di rilasciare o no una concessione o un'autorizzazione se non è conforme al piano del parco.
Gli strumenti di programmazione non dovrebbero essere, come mi sembra invece delinei la legge-quadro, dei grandi libri dei sogni, cioè dei piani generali di assetto socio-economico. Noi vorremmo puntare invece su strumenti di programmazione con una cadenza al massimo triennale, poi con degli stralci annuali, ma molto specifici, molto mirati ai problemi concreti dell'iniziativa, dell'attività della promozione dell'area protetta senza ricorrere a strumenti generali o strumenti che si sovrappongono ai piani di sviluppo.
Per noi questo problema si pone in modo ancora più complesso nel caso che lo stesso ente debba gestire contemporaneamente il parco terrestre e il parco marino. Nella nostra realtà ci sono quattro parchi marini previsti in Liguria: le Cinque Terre, Portofino l'Isola di Bergeggi e l'isola Gallinara, antistanti o avvolgenti altrettanti parchi o riserve naturali regionali già istituiti. Quindi bisogna tener conto di questo aspetto nella prefigurazione dell'organico e dell'organizzazione dell'ente perchè richiede la gestione di un parco marino, delle figure professionali nuove e richiede poi un ulteriore momento di coordinamento con quelli che sono gli organi statali del Ministero della Marina per quanto riguarda la vigilanza e la sorveglianza in mare.
Bino Li Calsi
La legge-quadro rappresenta un momento storico nella storia della nostra cultura e riconosciamo lo sforzo compiuto che rappresenta una tappa, che certamente non è quella definitiva.
Il punto e il dato irreversibile è che finalmente abbiamo una legge-quadro sui parchi che tutti auspicano di avere da parecchio tempo come cornice di riferimento cui si possa guardare, non dico con molta serietà, ma certamente con un senso di tranquillità. Finalmente vi è questo superamento dell'antinomia fra Stato e Regioni, tra chi deve essere il detentore, o il destinatario, o il deputato della politica ambientale; è già un punto in avanti il comitato previsto dalla legge, nel quale le Regioni sono riconosciute articolazioni dello Stato e non contrapposizioni del potere centrale, e quindi concorrono con lo Stato a fare la politica dell'ambiente e la politica dei parchi.
Un quadro viene disegnato a grandi linee con luci ed ombre, e a questo quadro oggi noi dobbiamo fare riferimento. Siamo in uno Stato di diritto, questa è una legge dello Stato e a questa bisogna pure inchinarsi e obbedire ovviamente lavorando, operando per recuperare queste sacche di nebulosità, frutto di compromessi, e farle rientrare in aspetti più razionali e più rispondenti alle esigenze.
A questo proposito sorge il problema della gestione, e qui sono d'accordo perchè forse ho una deformazione mentale dovuta alla mia origine in una regione che ha legiferato in questo senso; credo infatti che, comunque si voglia leggere la legge-quadro e anche la 142, non porta che a un risultato: e cioè che l'ente di gestione dovrebbe essere l ente strumentale, con un preciso compito di gestire il parco. Anche perchè il consorzio, che tra l'altro è previsto unico per una serie di molteplicità di servizi, non si confarebbe con l'altro dettato della legge che vuole invece un ente che mira a questo scopo. Si pone il problema di come in questo organo di gestione si pongono le varie rappresentanze della società.
L'applicazione della legge fa sorgere alcuni dubbi. Una legge che conosciamo da poco e che ha bisogno di un approfondimento, avrà bisogno anche di interpretazioni e avrà bisogno soprattutto di correzioni o di correttivi lungo il cammino E curioso dire di un provedimento che ancora non è stato pubblicato che abbisogni già di correzioni: ma credo che sia opportuno farlo, ed è in questo alveo che si pone l'attività del coordinamento, senza per questo voler fare assolutamente opera di supplenza, ma invece porsi come strumento di conoscenza e di proposizione, raccogliendo le indicazioni che vengono dalla base: si possono trovare infatti linee di identità tra le determinazioni che le varie Regioni vanno assumendo in ordine all'applicazione della 142 e della legge-quadro.
Credo che coloro i quali operano nei parchi con uno sforzo quotidiano non indifferente e ai quali va la nostra riconoscenza e solidarietà, possano svolgere un ruolo fondamentale per il miglioramento di questa legge. Far coincidere gli interessi delle popolazioni e la protezione dell'ambiente è un'opera difficile e complessa; è una battaglia che noi conduciamo da tempo come coordinamento, che dobbiamo continuare per migliorare, per offrire il nostro contributo alla crescita di questa legge, della quale riconosciamo l'importanza storica, ma per la quale riteniamo che vanno nel tempo ricercati gli aggiustamenti per ridare giustizia nei confronti dei soggetti che non l'hanno avuta. Mi riferisco soprattutto al personale di vigilanza e anche ad altre figure, come quella dei direttori, per le quali noi avevamo proposto d'intesa con l'Associazione alcune modifiche.
Con questo augurio di buon lavoro e con questo intendimento, ritengo che noi possiamo chiudere il nostro convegno. Ma mi sia consentito di ripetervi una frase che mi pare ho detto in Emilia-Romagna a chiusura di uno stage: "Lavoriamo insieme per qualcosa che ci riunisce, al di là della preghiera e della bestemmia Essere felici significa assumersi il destino di tutti, non però con una volontà di rinuncia, ma con una volontà di felicità, perchè anche la felicità è una lunga pazienza". |