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Accrescere il ruolo delle aree protette per un modello di società sostenibile
"Parchi per la vita, questo il titolo con il quale l'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) ha presentato il IV Congresso mondiale dei parchi, tenutosi a Caracas, Venezuela, dal 10 al 21 febbraio u.s., presenti 1.500 delegati di 130 nazioni.
Con l'occhio costantemente puntato a Rio de Janeiro, dove a giugno si è tenuta la Conferenza mondiale delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo (UNCED), attraverso sette sezioni plenarie, quattro simposi e ben 50 commissioni di lavoro, il Congresso ha prodotto, al di là dei piani, delle raccomandazioni e mozioni finali, una mole impressionante di piani di lavoro, di progetti su scala locale, nazionale e internazionale, che gli stessi organizzatori hanno stentato a raccogliere e definire organicamente e che consentiranno, nei prossimi mesi, di dar corpo a numerose azioni in varie parti del mondo.
Eppure la IUCN e gli indirizzi da questa proposti non sono mai stati, almeno nel nostro Paese, considerati con grande attenzione.
Anzi, se si fa eccezione per alcune componenti ambientaliste fortemente motivate, negli ambienti non solo politico-amministrativi, ma anche tecnico-scientifici, quasi tutte le raccomandazioni, i documenti, le sollecitazioni firmate da questo organismo internazionale riconosciuto dalle Nazioni Unite e sostenuto da FAO e UNESCO sono state più spesso criticate e tacciate di superficialità e ' arretratezza culturale" che non assunte o perlomeno condivise.
Questo atteggiamento critico, spesso comune anche a molti organismi governativi di altre nazioni soprattutto europee, deriva dalla storia stessa della IUCN e dai primi passi che essa ha compiuto in quanto deputata allo studio, al coordinamento e allo sviluppo delle aree protette nel mondo.
Per comprendere l'enorme salto culturale e la vivacità intellettuale delle nuove posizioni espresse dalla IUCN a Caracas è necessario ricordare che il compito primario affidato alla IUCN dal Consiglio economico e sociale dell'ONU nel 1948, quando a Fontainebleau venne fondata, fu quello di redarre con criteri universalmente accettabili una classificazione e rispettiva lista dei parchi nazionali presenti nel mondo.
Già nel 1933 e nel 1940, durante le Conferenze di Londra e di Washington rispettivamente, si era cercato di dare una definizione universalmente accettabile di parco nazionale; ma immediato fu lo scontro culturale tra il concetto americano di "Governement Land Principle" (sostenuto da Canada, Australia e da molti paesi asiatici e africani) che propugnava la necessità di un'assoluta "naturalità e integrità originale" delle aree da sottoporre a protezione e quello europeo (sostenuto anche dal Giappone) che invece considerava la protezione dell ambiente quale elemento indispensabile per tutelare anche e soprattutto quei territori non solo ospitanti eccezionali paesaggi naturali e varietà geologiche animali e vegetali, ma anche popolazioni residenti unitamente ai loro retaggi ed eredità culturali, artistiche e storiche.
Così, quando nel 1967 la IUCN pubblicò il primo elenco internazionale dei parchi nazionali e i criteri che lo avevano ispirato, furono forse più le critiche che i consensi raccolti per il pur difficile e defaticante lavoro. Per la messa a punto di tali criteri pochi anni prima (1962) a Seattle in USA si era appunto tenuta la prima Conferenza mondiale dei parchi nazionali, che si era aggiornata a Yellowstone per il 1972.
E proprio a Yellowstone, per la prima volta, iniziò a prendere corpo il concetto di un "uso multiplo" dei parchi: non più quindi solo la mera conservazione " ... per lo svago e il godimento delle presenti e future generazioni" come citava l'atto istitutivo del primo parco nazionale istituito al mondo, quello di Yellowstone appunto (di cui si celebrava tra l'altro il primo secolo di vita), ma anche attraverso la considerazione che la conservazione dell'ambiente naturale non poteva prescindere dalla presenza dell'uomo ed attuarsi in modo totalmente indipendente dalla sua azione trasformatrice.
Sulla base delle nuove raccomandazioni definite dalla Conferenza di Yellowstone furono avviate, negli anni successivi, alcune importanti iniziative.
Nel 1974 I UNESCO diede il via al progetto MAB (Man and Biosphere) che portò alla istituzione in molte parti del mondo di "Riserve della biosfera" attraverso le quali vengono tuttora tenute sotto osservazione aree protette nelle quali l'uomo è ben presente al fine di valutarne gli effetti nell'ambiente sia sotto l aspetto della pressione antropica che relativamente ai problemi di conflittualità e antagonismo ambientale presenti, nonchè sui modi di utilizzo compatibile delle risorse.
Nel 1980 la IUCN pubblicò con la consulenza di UNEP e WWF e con il consenso di FAO e UNESCO il testo "Una strategia mondiale per la conservazione delle risorse naturali per uno sviluppo nazionale e duraturo" che sancisce una inversione di tendenza nella filosofia della IUCN affermando la necessità che " ... conservazione e sviluppo procedano tenendosi per mano e che " ...se lo scopo dello sviluppo è di provvedere ai bisogni sociali ed economici, lo scopo della conservazione è di assicurare la capacità della terra nel mantenere e permettere tale sviluppo razionale assicurando il mantenimento di tutta la vita".
Questi principi vennero faticosamente ma definitivamente assimilati a Bali, dove nel 1982 si tenne la terza assise internazionale dei parchi nazionali ed aree protette e dove, sull'incalzare dei drammatici eventi che in quegli anni cominciano a preoccupare l'opinione pubblica mondiale e a seguito dei numerosi studi e pubblicazioni ricche di argomentazioni tecnico-scientifiche, si affermerà che ... Ia nostra è l'ultima generazione che ha ancora tempo per salvaguardare adeguate porzioni di aree naturali del pianeta" .
Uno sforzo globale per tutelare la diversità biologica e il patrimonio genetico
Il dato più allarmante emerso durante i lavori del Congresso è risultato essere quello relativo alla scomparsa di specie vegetali e animali; nonostante tutti gli sforzi messi in atto per la loro protezione, tale scomparsa continua con un ritmo tale che porterà alla perdita, nei prossimi venti/trenta anni, di circa il 25% del patrimonio genetico mondiale.
La tutela della biodiversità è quindi diventata la principale e fondamentale motivazione per sostenere e giustificare il mantenimento e l'istituzione di nuove aree protette nel mondo.
E tra gli ambienti minacciati su scala mondiale, i mari e le foreste tropicali paiono essere quelli maggiormente fragili sia per la loro struttura biologica che per la scarsità di adeguati strumenti di tutela, controllo e gestione attualmente disponibili sia a livello nazionale che internazionale.
La situazione del Mediterraneo, pur non apparendo tra le peggiori del pianeta, presenta numerosi problemi: 3.000 chilometri delle sue coste (pari al 6% del totale) sono virtualmente tutelate da 127 aree protette; nonostante ciò solo sei delle dieci zone biogeografiche in cui è stato diviso il Mediterraneo sarebbero adeguatamente rappresentate e ciò nell'ottica di una completa tutela della diversità biologica presente in questo mare.
L'insistenza con la quale la IUCN ha portato avanti, durante i lavori del Congresso, il tema della tutela dei mari è legato strettamente alla prima e fondamentale motivazione della tutela del patrimonio genetico; il mare, culla della vita, continua ad essere il più importante contenitore di patrimoni genetici fortemente differenziati, patrimoni oggi ancora più importanti che in passato in quanto fondamentali per far fronte, attraverso il loro ricco bagaglio di combinazioni genetiche", agli adattamenti che saranno necessari da parte dei sistemi biologici ad un mondo in rapido mutamento sia nelle sue componenti climatiche che biogeografiche.
Così come i mari, l'altro grande ecosistema ricco di diversità biologica ma proprio per questo altrettanto fragile e minacciato, è costituito dalle foreste tropicali. Anche in questo caso non sono solo fattori esterni (inquinamento, piogge acide, modifiche climatiche) a preoccupare, ma anche e soprattutto le politiche economiche internazionali che minano pesantemente ogni tentativo di reale tutela delle foreste.
Soprattutto l'Amazzonia, non solo perchè alle porte della sede del Congresso, ma anche perchè costituisce la più vasta area di foresta tropicale superstite del pianeta, è stata al centro di numerosi dibattiti e manifestazioni.
Gli interessi minerari, soprattutto legati alla ricerca e sfruttamento dell'oro e dei diamanti, richiamano in quelle terre migliaia di disperati e pochi ma agguerriti delinquenti da ogni parte del mondo.
Questa compagine di emarginati, spinti da interessi più grandi di loro, non esita ad adottare ogni mezzo pur di raggiungere il fine. Così abbiamo assistito con i nostri occhi, mentre a Caracas fremevano i dibattiti e si strappavano promesse intorno alla tutela delle foreste pluviali, all'incessante distruzione della foresta in fasi successive e facilmente "leggibili" sul territorio.
Dapprima in modo irrazionale le foreste vengono abbattute con il fuoco appiccato da piccoli gruppi di avventurieri; in un secondo momento, in modo più razionale e organizzato, seguono gli allevatori e le compagnie varie soprattutto per lo sfruttamento del legname.
Così in pochi anni la foresta si trasforma in una landa semidesertica dominata dal Ciaparro, buona tutt'alpiù per sostenere qualche misero capo di bestiame.
Questa situazione non ha risparmiato al Presidente venezuelano l'unica plateale contestazione del Congresso: al momento di lasciare il palco, mentre erano terminati gli applausi di rito, al grido di Viva amazonas' proveniente da un settore della vasta sala del teatro Teresa Carena è scoppiato un applauso che ha mandato letteralmente in tilt il già tesissimo servizio d'ordine del Presidente (occorre al proposito ricordare che pochi giorni prima del Congresso in Venezuela vi era stato un tentativo di colpo di Stato messo in atto da parte di un settore di destra dell'esercito).
Incremento demografico, guerre e invasioni, inquinamento
Se l'obiettivo principale da raggiungere indicato dal Congresso di Caracas è quello di tutelare la diversità biologica, la causa prima da combattere per evitare il depauperamento genetico è quella del vertiginoso aumento della popolazione del pianeta.
La pressione della popolazione sulle risorse ambientali, più che dagli indici numerici assoluti, risulta ben definita dal rapporto uomo/territorio .
Questo rapporto, che solo nel 1960 era pari all' 1,25 persone /ha, oggi si aggira su un valore doppio e supererà il valore di 3 persone/ha fra dieci anni.
Aumento di popolazione significa automaticamente richiesta di maggior uso delle risorse, in primo luogo di terreni da coltivare o da pascolare.
Questi elementi, se non controllati su scala planetaria, incideranno e già incidono pesantemente anche e soprattutto sulle aree protette.
Così, ad esempio, soprattutto dall'Asia e dall'Africa nord-orientale dove la pressione demografica è storicamente maggiore, giungono le segnalazioni più preoccupanti e significative in merito: in Bangladesh, le foreste del Parco Nazionale Himochori risultano virtualmente distrutte dall'asportazione illegale di legname usato dalle popolazioni come legna da ardere; in India circa 50.000 capi di bestiame, affamato come i suoi proprietari, hanno invaso il Parco Nazionale di Gir deforestandolo quasi completamente; analoga fine sta facendo il Parco Nazionale Kirthor in Pakistan e molte altre aree protette asiatiche e nord-est africane.
Questa situazione ha fatto sì che nella dichiarazione finale di Caracas il problema relativo al controllo dell'incremento demografico sia stato posto come indispensabile per poter attuare realmente la tutela della diversità biologica e con essa della vita e dell'economia del pianeta.
Pare superfluo dilungarsi oltre su questioni già oltremodo discusse in altre assise e forse meglio conosciute come quelle legate alle conseguenze dell'inquinamento, alla distruzione dello scudo d'ozono ed all'effetto serra.
E però interessante analizzare i risultati relativi alle conseguenze che tali cambiamenti climatici producono sulla vita del nostro pianeta.
La maggior parte dei climatologi dà oramai per scontato un innalzamento medio di I 2° c. della temperatura della terra nei prossimi trent'anni.
Ciò comporterà, tra l altro, un innalzamento da 10 a 32 cm del livello medio dei mari, cosa che produrrà un impatto devastante proprio sulle coste, sui delta fluviali e sulle zone umide in genere, tutte aree fortemente critiche e nevralgiche per la tutela delle diversità genetiche. Tra le possibili soluzioni vi è anche una più stretta tutela di queste zone che, in quanto maggiormente minacciate ma anche maggiormente dotate di capacità adattativa ai cambiamenti poichè più ricche di combinazioni genetiche", devono essere assolutamente preservate da ogni forma di sfruttamento ingiustificato per consentire loro di adempiere fino in fondo al ruolo di "scrigni" dei possibili meccanismi di adattamento al cambio di clima del pianeta.
I recenti guasti ambientali provocati dalla guerra del Golfo, ma forse ancor più, dato il significato morale del gesto, le pesanti ferite inferte al Parco Nazionale di Plitvice, volutamente saccheggiato per distruggerne la bellezza e il mirabile esempio di corretta protezione e gestione, hanno aperto un vastissimo dibattito attorno al rapporto tutela ambientale/conflitti armati.
Anche in questo caso molte e fantasiose le proposte per tentare di contenere la forza devastatrice dei conflitti sull'ambiente naturale: da codici internazionali, ad azioni e pressioni delle Nazioni Unite, sino alla diretta presenza di gruppi pacifisti e ambientalisti internazionali nelle aree di conflitto naturalisticamente delicate.
Al di là di forse troppo entusiastiche e pur apprezzabili proposte, molto interessante è apparsa invece l'ipotesi di creare dei parchi transfrontalieri nelle zone "calde" laddove esistono situazioni potenzialmente conflittuali.
L'esperimento, tentato in Salvador, è stato recentemente riproposto nella penisola balcanica e in alcuni Stati della ex Unione Sovietica nonchè in varie regioni africane. "Parchi per la pace", parchi cioè dove, con il supporto tecnico-scientifico internazionale e con una amministrazione gestita unitariamente dalle popolazioni locali, prime tra l'altro a dover sopportare le più gravi conseguenze di eventuali conflitti, vengano fornite, nel nome dell'armonica gestione delle risorse naturali, anche le motivazioni per collaborazioni internazionali altrimenti impossibili e per ridurre focolai di tensione locale.
Alla ricerca di nuove alleanze
Se l'obiettivo prioritario delle aree protette è la tutela della diversità biologica e l ostacolo più importante è rappresentato dall'incremento demografico e dalle sue conseguenze, gli strumenti individuati dal Congresso per operare attivamente sono stati indicati nella partecipazione delle popolazioni, soprattutto delle popolazioni locali, alla istituzione e gestione dei parchi e nell'educazione ambientale di tutti i settori della società.
E su questi settori, quasi totalmente nuovi per la IUCN, si sono confrontate le più suggestive e fantasiose esperienze maturate ai quattro angoli della terra in una straordinaria e spesso entusiastica presentazione di progetti, realizzazioni, fallimenti, che hanno trattenuto decine, spesso centinaia di delegati, sino ad ore impossibili in improvvisate performances organizzate per la presentazione dei materiali.
Una attenzione quasi esagerata, come a voler recuperare il tempo perduto in meno concrete e più accademiche discussioni quali quelle sulla classificazione delle aree protette, è stata dedicata ai metodi e mezzi di soluzione di conflitti tra gestori delle aree protette, popolazioni e autorità locali, ai metodi di coinvolgimento delle popolazioni locali nella istituzione e gestione delle aree protette, agli incentivi e ai benefici da attivare per sostenere le popolazioni locali gravate da vincoli e divieti.
Soprattutto il settore dell'ecoturismo è stato trattato e presentato come un elemento essenziale per sostenere in modo corretto e alternativo, a livello locale, le economie delle popolazioni residenti entro i confini delle aree protette e ciò unitamente allo sviluppo di forme di artigianato e di uso compatibile e sostenibile delle risorse naturali esistenti nell'area.
Ribaltando completamente il concetto originario di parco nazionale, quale era stato definito ai tempi delle Convenzioni di Londra e di Washington ovvero di una 'isola" di naturalità totalmente avulsa dalla presenza dell'uomo, a Caracas si è giunti alla riformulazione del concetto di area protetta definita oramai universalmente quale prototipo ed esempio di corretto uso delle risorse, di armonia e di cooperazione fra uomo e natura, di indispensabile riferimento per l'intera collettività umana per la creazione di un modello di sviluppo sostenibile ed equilibrato che possa rapidamente sostituire l'attuale modello ecoincompatibile e socialmente ingiusto.
E quindi sulle leve che governano l'economia mondiale che si esercita con più forza l'appello dei convenuti a Caracas: sulla Banca mondiale innanzitutto, presente a Caracas con numerosi e qualificati relatori, e sui grandi centri di investimento e ricerca. Il passaggio immediatamente successivo è conseguente: industria, agricoltura, turismo, devono adeguarsi a modelli e all'uso di tecnologie ecocompatibili e sempre meno impattanti sull'ambiente. E per ottenere ciò risulterà comunque indispensabile una forte e continua pressione: ed ecco quindi la necessità di far crescere ancora di più la capacità di mobilitazione di associazioni, fondazioni e gruppi non governativi, primo fra tutti il WWF, che da anni collabora con la IUCN in programmi e investimenti a favore della tutela di ambienti naturali Infine un settore che si sta dimostrando interessante anche economicamente è risultato essere quello legato a società e privati che investono in attività in campo turistico, agricolo o industriale ecocompatibili e quindi da sostenere, far conoscere e indirizzare con forza.
Gli italiani a Caracas
A Caracas era presente anche un drappello di delegati di nazionalità italiana: una ventina di persone rappresentative delle diverse componenti nazionali interessate alla tutela e gestione delle aree protette del nostro Paese. Dai rappresentanti dei Ministeri dell'Ambiente e dell'Agricoltura e Foreste, ai direttori e amministratori di alcuni parchi nazionali e regionali, dai ricercatori del CNR, del CEDIP e di alcune Università, ai rappresentanti delle associazioni ambientaliste. E così che nel fermento di quei giorni è nato un documento, che è stato inviato alle autorità competenti del nostro Paese.
Il documento evidenzia sostanzialmente due aspetti: il primo esprime il disagio per il fatto che l'ltalia, unica fra le nazioni industrializzate del mondo, non abbia ancora aderito ufficialmente alla IUCN e ne sollecita pertanto una pronta adesione.
Il secondo prende spunto dai lavori del Congresso e dalla constatazione che i fondi che il nostro Paese stanzia per la cooperazione con i Paesi emergenti in realizzazioni legate alla tutela ambientale e all'ecosviluppo sono pochi e spesso mal gestiti.
Pertanto vengono sollecitate le autorità italiane a destinare almeno il l0% dei fondi stanziati per la cooperazione con i Paesi emergenti alla formazione di personale e alla gestione di interventi nel settore dell'ecoturismo e dell educazione ambientale.
Conclusioni
L'appuntamento adesso è a Rio: alla Conferenza mondiale delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo, l'assemblea di Caracas ha inviato un pressante appello affinchè le richieste contenute nella dichiarazione e nel piano d'azione, costituito da dieci punti fondamentali e da venti raccomandazioni, possano essere inserite nel programma d'azione mondiale, definito "Agenda 21". Analogamente forte è la richiesta perchè in tali assise vengano formulate energiche convenzioni sui temi del controllo delle variazioni del clima, della tutela della diversità biologica e sulla difesa dei mari. l segnali di attenzione sinora giunti non sono purtroppo incoraggianti. L'egoismo economico delle nazioni ricche e delle loro componenti locali e la disperazione e l'esasperata conflittualità dei paesi poveri non lasciano presagire grandi risultati.
*Direttore Parco Ticino Lombardo |