Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista Parchi:
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Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 6 - GIUGNO 1992


Parchi montani: Un'esperienza da conoscere e valorizzare
Renzo Moschini
La legge-quadro sui parchi non ha risolto, e forse non poteva farlo, il problema della classificazione delle aree protette, il quale resta aperto non solo nel nostro Paese.
E tuttavia la legge 394, pur con questo limite, non lascia le cose come prima neppure per questo aspetto. Intanto perchè risultano più chiari i caratteri dei parchi, nazionali e regionali, delle riserve naturali e dei parchi marini.
Si dirà che non è molto, ma questo fatto consente, il che non è poco, a tutti i livelli istituzionali e a tutti gli operatori del settore di muoversi oggi con riferimenti più certi, nazionali e regionali. La legge infatti consente di mettere finalmente in rapporto non casuale od episodico esperienze, risultati, sperimentazioni concrete tra aree protette diverse sia per tipologia istituzionale sia, e soprattutto, per caratteristiche ambientali e geografiche.
Sotto questo profilo, un aiuto significativo potrà e dovrà venire anche dal reperto nazionale delle aree protette, istituito presso il Ministero dell'Ambiente, con il quale potremo disporre di una sorta di anagrafe, che risulterà tanto più utile quanto più essa non si limiterà ad una mera e sommaria certificazione dei soggetti registrati.
Ma lo sforzo vero da fare riguarda l'individuazione di alcune essenziali tematiche sulle quali le aree protette del nostro Paese possono fornire un contributo di esperienza e di ricerca in grado di raccordarsi con l'impegno degli altri Paesi europei e innanzitutto di quelli confinanti.
Qui registriamo subito la contraddittorietà della situazione del nostro Paese. Infatti accanto a paurosi ritardi storici - penso ai parchi marini - noi troviamo settori nei quali disponiamo invece di una notevole tradizione ed esperienza, come quello dei parchi montani. Ai primi la Rivista intende dedicare un'ampia riflessione, pubblicando sul prossimo numero il resoconto di una Tavola rotonda tenutasi al Parco di Portofino.
Vogliamo così contribuire a riaprire un discorso e, soprattutto, a sollecitare una ripresa di iniziativa e di impegno su un tema praticamente dimenticato, nonostante circolino da anni elenchi di parchi marini da istituire per legge, a cui nessuno però provvede.
Ma se per i parchi marini meritiamo quindi, senz'altro, zero in condotta, per fortuna non è così per quanto riguarda i parchi montani. I quali sono oggetto anzi di numerosissime iniziative, dibattiti, pubblicazioni a cui è difficile persino tener dietro: ultimo il Convengo di Molveno promosso dal Parco Adamello Brenta in collaborazione con l'Università di Trento.
Tanto interesse non è certo frutto del caso o di qualche suggestione passeggera o alla moda. I parchi montani, soprattutto quelli alpini, sono infatti tra le aree protette più antiche e note nel nostro Paese; qui sono nati i primi parchi italiani; qui per storia, cultura, tradizioni si guarda all'Europa come ad una realtà concreta e tangibile; qui si vivono oggi anche alcune delle contraddizioni più acute prodotte dagli sconvolgenti processi di cambiamento del Paese: l'emigrazione, lo spopolamento, il dissesto idrogeologico e, insieme, il "boom" del turismo di massa, con le conseguenti ferite inferte al territorio, la nuova ricchezza, eccetera.
Basta guardare del resto i dati sulle seconde case, sugli impianti sciistici, sulle strutture turistico-ricreative per avere un'idea dei fenomeni dirompenti che hanno investito i territori montani i quali registrano però anche la più alta concentrazione di aree protette vecchie e nuove, nazionali e regionali, del nostro Paese.
Naturalmente questi dati hanno bisogno di essere disaggregati, letti cioè tenendo conto delle differenze tra le varie aree montane. Un conto, ad esempio, è il sistema alpino, altra cosa è l'Appennino. E ancora. Un conto è il Nord e parte del Centro, altra cosa è il Sud.
Ad un esame, anche sommario, di pochi dati essenziali, risulterà subito evidente che anche fenomeni a carattere nazionale (abbandono, emigrazione, crisi dell'agricoltura, seconde case e via dicendo) non hanno riguardato le aree montane nella stessa misura e, soprattutto, con gli stessi effetti. D'altronde sarebbe assai difficile, anzi assurdo, accomunare indistintamente realtà così diverse per storia, cultura, tradizioni. Non è certo casuale, ad esempio, che le stesse aree protette siano concentrate maggiormente in un determinato arco montano, quello alpino, dove le tradizioni, i costumi, spesso anche la lingua dei residenti, sono comuni a quelle di Paesi confinanti. Quando parliamo di parchi montani ci riferiamo quindi principalmente, anche se non esclusivamente, alle aree protette alpine.
Ciò non deve ovviamente farci perdere di vista quanto, sia pure faticosamente, sta avvenendo anche in altre aree montane, soprattutto per effetto della nuova legge-quadro sui parchi la quale, come è noto, prevede l'istituzione di una serie di nuovi parchi, soprattutto appenninici.
Qui però intendiamo soffermarci in maniera particolare sulla realtà alpina, perchè è quella che consente di ragionare non su modelli astratti o su ipotesi per il futuro, ma su consolidate esperienze concrete. Le quali hanno già agito ed agiscono da volano, da stimolo specialmente nei confronti di territori contigui, i quali oggi spesso sono spronati proprio dall'esempio dei parchi esistenti .
Una prima considerazione da fare al riguardo è la seguente: anche i problemi comuni alla generalità delle aree protette nei territori alpini presentano connotazioni peculiari, tali da farne un "comparto' tipico, con caratteristiche del tutto specifiche rispetto agli altri parchi. Una specificità, beninteso, che non ne fa un'altra cosa, ma che consiglia e richiede approfondimenti e valutazioni mirate, onde evitare una diffusa tendenza, quando si parla di parchi, a fare di ogni erba un fascio, con generalizzazioni tanto vaghe quanto approssimative.°
Non è difficile d'altronde, anche all osservatore più distratto, rendersi conto, ad esempio, che anche il più cruciale dei problemi che accompagna da sempre l'istituzione e la vita di un parco, quello del consenso, nei parchi montani si carica di tensioni e di diffidenze tutte particolari.
Qui, più che altrove, infatti sia per le peculiari condizioni economico-sociali, sia per le tradizioni culturali e linguistiche di popolazioni la cui storia si intreccia con quella di comunità non nazionali, l'istituzione di un parco può essere percepita e vissuta come vera e propria 'intrusione".
Alla diffidenza che suscita sempre "l'interferenza" esterna sulla vita locale, qui si somma il timore dello "snaturamento" di usi, tradizioni, che fanno 1 identità di comunità locali, le quali ancora oggi, spesso, si riconoscono in istituzioni secolari proprie (le Regole, eccetera).
Senza quindi giustificare reazioni talvolta eccessive spesso "strumentali" alle pressioni esterne, ad esempio di associazioni ambientaliste, quando rivendicano forme più incisive di protezione, non v'è dubbio che anche queste manifestazioni di "insofferenza" verso il "cittadino" che vuol decidere di territori che gli sono estranei, trovano qui un inesauribile alimento.
Se dappertutto, perciò, il consenso va acquisito senza pretese illuministiche, qui, in maniera del tutto speciale, si deve tener conto di una realtà in cui, nonostante i guasti provocati da quanto è accaduto in questi anni e che non ha certo risparmiato i territori montani, ancora forte e radicato è il senso di "appartenenza" ad una comunità.
Queste considerazioni valgono soprattutto per chi talvolta, pur mosso da intenti condivisibili, non tiene adeguatamente conto di questa realtà. Ma ancor più devono essere presenti a chi troppe volte ritiene che per istituire e far funzionare un parco basti emanare un decreto o fare una legge. Ma questa non è la sola peculiarità dei parchi montani, la quale ha peraltro molteplici implicazioni riguardanti le forme di gestione, le modalità pianificatorie, l'apposizione dei vincoli, la regolamentazione delle attività tradizionali, eccetera.
Aspetti ai quali, non certo per caso, ha riservato particolare attenzione la legge 394, con la quale si è voluto, evidentemente, affermare concretamente che conservazione non significa messa al bando di tutta una serie di interventi e di attività le quali, se opportunamente e correttamente gestite, possono rappresentare, al contrario, una risorsa in più e non una penalizzazione per territori sovente già pesantemente provati. Dalla legge 394 (ma anche dalla 142) può dunque venire un valido contributo ad affrontare i problemi della protezione nelle zone montane, anche in quelle meno "dotate" rispetto al sistema alpino, in una visione più aperta e nuova, sia sotto il profilo dei programmi di intervento, che istituzionale. Tra i due momenti infatti, soprattutto nella realtà montana, l'intreccio oggi è strettissimo e va colto in tutta la sua pregnanza. E ormai opinione diffusa, ad esempio, che in questi anni abbia prevalso la convinzione, rivelatasi però fallace alla prova dei fatti, che la risposta alla crisi della montagna dovesse soprattutto venire da una politica, con forti caratteri assistenziali, di sostegno all'agricoltura. Ma la "fragilità" dell'agricoltura dei territori montani, nonostante gli aiuti e la istituzione delle Comunità Montane con specifici compiti di programmazione e di gestione del territorio montano, non ha retto all'impatto dei nuovi processi economico-sociali. C'è stato qui un duplice errore di valutazione. Il primo è stato quello di pensare che l'agricoltura povera della montagna avrebbe potuto, se assistita, reggere alla "concorrenza" della nuova" agricoltura, che puntava tutto sulla ricerca di una maggiore produzione ad ogni costo, cioè con il massimo ricorso alla meccanizzazione ed ai concimi chimici.
Il secondo errore è stato quello di considerare il settore agricolo l'anello trainante per risollevare le sorti dell'economia della montagna, frenando così la fuga dei residenti, l abbandono dei terreni e altro.
Ci si è illusi in sostanza, è il caso di dirlo, che bastasse un aiuto finanziario per far soppravvivere un agricoltura fragile e soccombente e che fosse sufficiente far leva con istituzioni appropriate sulle risorse della montagna per fronteggiare le sconvolgenti trasformazioni economico-sociali del Paese.
C'è stata, insomma, una risposta con forti segni assistenzialistici quando andava sempre più emergendo che anche la montagna viveva invece, nel bene e nel male, un sistema di interrelazioni con l'ambiente esterno, con il quale si dovevano fare i conti senza chiusure autarchiche".
Oggi tutto questo va e può essere ripensato alla luce anche della crisi di una politica agraria comunitaria rivelatasi costosa ed insostenibile sia sul piano economico che ambientale, che apre una prospettiva nuova anche al ruolo delle aree montane, le quali sono chiamate a valorizzare le più diversificate vocazioni di un territorio adatto ad un turismo variegato e sostenibile; ad un'agricoltura di qualità; ad un artigianato ed una piccola e media industria tipiche ma non per questo marginali rispetto al mercato.
A questo impegnativo appuntamento per noi e per l'Europa molte zone montane nel nostro Paese oggi si presentano con un patrimonio di esperienza di gestione delle aree protette ricco e diversificato. Qui la legge 394 trova istituzioni e popolazioni già addestrate a fronteggiare le nuove esigenze con competenza e sensibilità.
Qui l'intreccio tutela-sviluppo, conservazione-valorizzazione presenta sì quelle contraddizioni acute alle quali abbiamo fatto riferimento, ma proprio l'esistenza di un diffuso sistema di aree protette funzionanti ha permesso in questi territori, più e meglio che altrove, di cominciare ad individuare anche le strade da battere per superare la contrapposizione frontale di esperienze componibili.
Forse nelle aree protette montane, più che in qualsiasi altra realtà del Paese, si va prendendo coscienza che il "sacrificio" di dover lasciare in eredità ai propri figli un ambiente vivibile e non "consumato" è anche un investimento valido e conveniente per l'oggi. Ecco perchè i risultati, le specificità dell'esperienza dei parchi montani presentano oggi un così spiccato interesse. Qui si possono cogliere infatti tutte le potenzialità positive di una politica della protezione capace di superare anche quell'antico conflitto, spesso artificiosamente alimentato, tra interesse dei "residenti' e quello degli altri.
Sebbene capiti ancora di leggere che qualche amministratore locale tacci addirittura di colonialismo i non residenti che rivendicano l'istituzione di nuovi parchi, dovrebbe essere sempre più chiaro che ad una seria politica di protezione sono interessati in ugual misura sia le popolazioni residenti che gli altri cittadini, i quali ricercano ambienti più vivibili. Se salvare dalla distruzione la foresta amazzonica è problema non solo brasiliano, salvare l'ambiente alpino e montano è ugualmente interesse che travalica i confini di una Provincia o di una Regione.
Ciò che conta ed è discriminante è che a gestire e a decidere di questa politica siano chiamati, in primo luogo, i residenti e le istituzioni locali. E anche da questo punto di vista l esperienza dei parchi alpini è quanto mai significativa e presenta specificità di notevole interesse. Anche per la specialità costituzionale di alcune Regioni e Province alpine qui, infatti, l'istituzione e gestione delle aree protette ha battuto strade proprie.
E interesse anche degli organi di governo nazionali e delle altre Regioni tener conto di queste esperienze, di cogliere quanto c'è di valido in esse nel momento in cui anche in altre parti del Paese si dovranno istituire nuovi parchi di montagna.
C'è tutto un campo di problemi, da quelli della pianificazione, della ricerca di attività economiche alternative, della sperimentazione di forme di turismo sostenibile", sui quali le aree protette delle Regioni alpine possono fornire, pur in un contesto da verificare criticamente, importanti riscontri.
A ciò potranno concorrere efficacemente anche quegli strumenti di ricerca che in talune Regioni e Province speciali sono stati creati o che sono previsti.
Mettere a confronto le realizzazioni, far conoscere le esperienze e i risultati dei parchi esistenti è la condizione indispensabile per uscire finalmente dallo stato di frammentazione che caratterizza tuttora l'operato delle aree protette del nostro Paese.
I parchi montani possono contribuirvi in maniera rilevante.