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Premessa
Il Parco Naturale dell'Adamello Brenta, istituito nel 1967 con l'approvazione del Piano Urbanistico Provinciale (1), si estende su di una superficie di 618 kmq. Rappresenta l'area protetta più grande del Trentino e confina con altri parchi (Parco Naturale Adamello Lombardo, Parco Nazionale dello Stelvio) che nell'insieme formano uno dei più ampi sistemi di aree protette dell'arco alpino.
Il Parco è suddiviso al suo interno in riserve dal P.U.P. secondo una classificazione di uso internazionale: il 37,8% in riserva integrale, il 58,6% in riserva guidata ed il 3,6% in riserva controllata (grafico 1) . A ciascuna riserva corrisponde una forma diversa di uso e di gestione urbanistica del Parco.
Nel maggio del 1988 è stata emanata da parte della Provincia Autonoma di Trento la L.P. n. 18 che detta norme in merito alla gestione dei parchi naturali. Essa amplia e rinnova il vecchio concetto di parco espresso nella L.P. del '67, basato prevalentemente sulla conservazione delle bellezze naturali e ne sancisce quale scopo, oltre alla tutela delle caratteristiche naturali ed ambientali ed alla promozione dello studio scientifico delle stesse, anche l'uso sociale dei beni ambientali, in un'ottica di convivenza tra ecosistema naturale ed antropico. La nuova legge provinciale da precisazioni puntuali circa le principali attività antropiche esercitate all'interno dei territori dei parchi, quali le attività agro-silvo-pastorali, le attività estrattive, l'utilizzazione delle acque a scopo idroelettrico, la presenza di linee elettriche e telefoniche, la creazione di strutture ricettive turistiche all aperto e la circolazione dei veicoli a motore. Essa demanda poi la gestione ad uno specifico Ente, i cui organi sono formati in prevalenza da rappresentanti eletti dai Comuni facenti parte del Parco.
L'ambiente del Parco
Il Parco Adamello-Brenta è costituito da due grossi corpi territoriali separati tra di loro dalla Val Rendena. Ad occidente di questa netta linea di demarcazione (2) comprende la porzione trentina del massiccio Adamello-Presanella e ad oriente il gruppo dolomitico del Brenta.
Una fascia territoriale estendentesi all'altezza del passo Campo Carlo Magno congiunge a modo di ponte le due zone montuose.
I due blocchi sono differenti dal punto di vista ambientale a causa della loro diversa origine geologica (Veronese 1990) .
Il gruppo dell'Adamello-Presanella è costituito da rocce silicee a reazione acida, mentre nel gruppo del Brenta prevalgono formazioni carbonatiche a reazione basica. La diversa strutturazione geologica condiziona l'assetto idrologico: nel gruppo dell'Adamello, data la limitatissima permeabilità delle rocce, l'acqua stagnante o corrente costituisce una continua presenza nel paesaggio, mentre nel gruppo del
Brenta, dove il fenomeno carsico è diffusissimo, l'acqua è inviata in reticoli idrici profondi per cui, oltre una certa quota, ben raro è il trovarne. Essa riemerge tutt'attorno al massiccio con sorgenti e riaffioramenti che si effondono in vario modo dalle rocce.
I tipi climatici vanno dal montano continentale all'artico alpino con estati fresche, inverni freddi ma non rigidi, con precipitazioni nevose abbondanti (soprattutto dopo la metà del periodo invernale) e stagioni intermedie variabili, con punte massime di precipitazione in autunno.
La diversa struttura geomorfologica condiziona anche la struttura vegetale del Parco. In genere tale differenza è poco vistosa nelle aree boscate, ma al di sopra del limite superiore della vegetazione arborea la natura del substrato mostra tutta la sua importanza quale fattore condizionante le specie vegetali (Tomasi, 1990) .
I pascoli alpini dei due settori sono composti da specie diverse, che formano associazioni vegetali differenti. Nel settore calcareo i pascoli alpini sono rappresentati dal Firmeto e dal Seslerio-Sempervireto; nel settore siliceo dominano invece il Curvuleto ed il Nardeto.
L'ambiente forestale presenta una notevole varietà di aspetti biologici e strutturali. Le formazioni della foresta decidua a quercia, acero, tiglio, olmo, sono decisamente limitate ad esili lembi marginali e spesso sostituite dall'intervento dell'uomo con elementi di diversa zonalità ecologica per scopi produttivi (abetine e lariceti secondari nei campi abbandonati). Nel piano altitudinale montano dovrebbero ritrovarsi per affinità climatica la fascia del faggio e quelle del bosco misto di latifoglie decidue e di conifere.
Le ultime hanno generalmente preso il sopravvento relegando la faggeta in ubicazioni limitate e con numerose interdigitazioni delle componenti forestali del querceto o di quelle della fascia superiore.
Risalendo i versanti fino oltre i 1400-1500 metri d'altitudine ci si addentra nell'ambito vero e proprio delle conifere. Si scorgono qui morfologie ed articolazioni diverse a seconda della quota per giungere alle forme colonnari della pecceta subalpina (17001800 metri), frequentemente interrotte da radure più o meno ampie a mirtillo nero e calamagrostis. Per lo più in questa fascia si ha la maggiore distribuzione dei pascoli. La fascia sommitale della vegetazione arborea è rappresentata dai lariceti, dai soprassuoli a cembro e dalla mugheta (Sottovia,1990).
Il camoscio nel Parco
Il camoscio è l'ungulato autoctono più diffuso nel Parco. Con una consistenza di circa 7000 capi censiti nel 1991, rappresenta il 54% circa dell intero contingente trentino che ammonta a più di 13.000 capi (3).
L'areale complessivo di distribuzione di questa specie occupa il 75,7% dell'intera superficie del Parco, per un totale di 46.781 ha. Il range di distribuzione altitudinale varia da 650 a 3500 m.s.l. nel periodo estivo e da 600 a 2000 m.s.l. nel periodo invernale. Di fatto, le formazioni montuose dell'Adamello-Presanella ed del Brenta rappresentano due distinte entità anche dal punto di vista faunistico, con habitat diversi separati da barriere geo-morfologiche ed antropiche che impediscono il contatto tra le colonie di camoscio dei due gruppi montuosi (fig. 1). L'areale corrispondente al gruppo dell'Adamello-Presanella risulta suddiviso in 3 aree faunistiche principali (Val Genova, Lares e Daone), e si estende su di una superficie di 38.160 ha, dei quali 24.370 nel Parco. Dal punto di vista fisionomico risulta costituito per il 15,24% da aree boscate, 53,03 % da pascoloe 31, 72% da praterie d'alta quota e da territori rocciosi
Nel gruppo del Brenta l'areale di frequentazione del camoscio occupa una superficie di 23.995 ha (22.385 ha nel Parco) ed è suddiviso in due aree faunistiche (Brenta Orientale ed Occidentale). Strutturalmente l'habitat risulta costituito per il 26,17% in aree boscate, il 33,54% in aree a pascolo e il 40,28% a territorio roccioso (grafico 3).
I censimenti effettuati nel 1991 hanno permesso di rilevare la presenza di 4.117 capi (2.830 nel Parco) nelle aree faunistiche del gruppo Adamello-Presanella e di 2.882 capi in quelle del Brenta.
Per quanto concerne la dinamica delle colonie di camoscio, nell'ultimo decennio si è registrato un pressochè costante incremento demografico nelle diverse aree faunistiche del Parco. In questo periodo flessioni significative nelle curve di crescita si sono manifestate nelle aree faunistiche del Brenta per l'insorgere di una polmonite epidemica, che ha determinato una riduzione dell'8% del numero complessivo dei capi (grafico 4). A tal riguardo è stata avviata dall'Ente parco un'analisi ecopatologica dei vari fattori determinanti l'insorgenza di tale forma morbosa. Negli anni 1963- 1968, inoltre, nell'ambito dell'area faunistica Val Genova si è manifestata un'epidemia di Ectima Contagioso che ha determinato una riduzione del 33% dell'intero contingente dell'area (Zanin et al., 1987).
Relativamente ai valori di densità del camoscio nel parco, considerando le obiettive difficoltà nello stabilire in modo preciso quale sia la reale" distribuzione di questo ungulato sul territorio a causa delle concentrazioni dovute al suo comportamento e al diseguale utilizzo dello spazio vitale in conseguenza della struttura dell'ambiente (Valentincic e Simonic 1982, Apollonio e Grimod 1984), i valori medi riscontrati (rispettivamente di 10,7 capi/100 ha nell'Adamello-Presanella e di 12 capi/100 ha nel Brenta) sono da considerarsi puramente indicativi.
Peraltro il confronto statistico dei valori dei pesi medi rilevati al controllo sanitario (4) di 342 capi abbattuti durante la stagione venatoria 1991 denota una situazione diversificata nell'ambito delle varie colonie, particolarmente evidente tra quelle del Brenta e dell'Adamello-Presanella. (tabella l) La composizione delle colonie delle varie aree faunistiche (censimento luglio 1991) è rappresentata schematicamente nel grafico 5. Il rapporto tra i sessi è in media di I :2.
Non disponendo ancora di dati sperimentali per l'area di studio, tale dato può essere considerato non esaustivo della situazione reale, visto anche quanto osservato in altri contesti territoriali dove, per ragioni comportamentali, molti maschi in tale periodo si assestano nelle aree boscate, risultando così difficilmente osservabili (Tosi e Spagnesi, 1982).
Per quanto concerne le interazioni del camoscio con le altre specie di ungulati particolarmente significativa appare la commistione di molte aree di frequentazione, soprattutto invernali, con quelle normalmente occupate dal capriolo, che è presente nel Parco con una consistenza complessiva stimata (peraltro di ben nota difficile definizione) di circa 5.700 capi e del cervo con 372 capi. Nelle aree faunistiche della Val di Genova e del settore sud del Brenta Orientale sono altresì presenti due colonie di mufloni. Immessi negli anni '70 a scopo venatorio raggiungono attualmente una consistenza di circa 100 capi. Nel periodo estivo i pascoli alpini sono utilizzati per l'alpeggio di bovini ed ovicaprini. Nel 1991 i capi presenti erano rispettivamente 2.018 e 2.120. Peraltro la presenza di altri ungulati, sia domestici sia selvatici, può verosimilmente comportare delle interazioni a diverso livello (ad esempio spaziale, trofico, sanitario) tra le diverse specie. Considerando la complessità dell argomento che richiede una valutazione il più oggettiva possibile, e le sensibili variazioni che possono registrarsi da una vallata all'altra, non appare corretta un'estrapolazione a priori nell'area di studio di quanto noto per altri contesti alpini. In questo senso sono in corso indagini per un'analisi specifica, tenuto conto anche dell'elevato grado di antropizzazione che caratterizza alcune aree del parco.
Relativamente alla presenza di altre specie animali, nell'ambito del Parco non esistono di fatto popolazioni di predatori in grado di agire come fattori limitanti lo sviluppo demografico del camoscio. Episodi di predazione attiva sono documentati, occasionalmente, solo nel caso dell'aquila reale su piccoli di camoscio. Peraltro le carcasse di questo ungulato rappresentano un'importante fonte alimentare per altre specie ad elevato valore biologico presenti nel parco come il gipeto (avvistamento di alcuni soggetti dal 1989) e l'orso bruno.
La gestione faunistica
All'interno del Parco la presenza degli ungulati e di altre specie cacciabili è regolata dall'esercizio dell'attività venatoria che è permessa a differenza di quanto in atto nella maggior parte delle aree protette nazionali (5). Tale attività è però differentemente disciplinata dal resto del territorio provinciale, come dispone la L.P. n. 18 del 1988.
Specifiche limitazioni sono disposte per l esercizio della caccia nelle riserve integrali dove è consentito solo per la selezione degli ungulati diretta al controllo delle popolazioni o per sopravvenute esigenze zoosanitarie. Oltre a ciò è poi vietato, su tutta l area a Parco, l'uso del segugio.
La legge rimanda poi al piano del Parco, che è lo strumento di base fondamentale per la sua gestione, contenente tutti i divieti, i limiti e le prescrizioni per l'uso del territorio necessari a conseguire le finalità del parco stesso, la possibilità di disporre il divieto assoluto oppure limitazioni specifiche dell'esercizio della caccia nelle riserve speciali .
Un elemento di novità introdotto dalla legge, riguardante seppur in maniera non specificamente diretta l'attività venatoria, è invece la pianificazione faunistica. Il comma I dell'art. 28 della L.P. 6.5.88, n. 18 infatti stabilisce come al fine di stabilire nei territori a parco l'equilibrio tra fauna selvatica ed ambiente, da parte di ciascun comitato di gestione del parco debba venir predisposto, entro diciotto mesi dall'entrata in vigore della legge, uno specifico piano faunistico approvato dalla giunta provinciale sentito il comitato scientifico Tale piano, pur non essendo uno strumento specifico di gestione venatoria, comporta comunque delle connessioni precise con le modalità di svolgimento della caccia all'interno dei parchi. Il prelievo venatorio del camoscio nel Parco viene pianificato sulla base di censimenti annuali. l prelievi vengono eseguiti durante la stagione venatoria (settembre-dicembre) con accompagnamento obbligatorio di un guardiacaccia o di un esperto abilitato. Nel grafico 6 è riportato l'andamento numerico dei prelievi effettuati all'interno del Parco negli ultimi 10 anni .
La ricerca scientifica
Le problematiche connesse alla gestione del camoscio e degli altri ungulati selvatici e la volontà di acquisire nuovi elementi per ottimizzare gli interventi di conservazione e gestione faunistica hanno indotto il Parco a promuovere una serie di ricerche a carattere interdisciplinare (6) sulle popolazioni animali presenti sul territorio. In quest'ambito è stata avviata anche un'indagine sulla valutazione dello stato sanitario degli ungulati selvatici, con particolare riguardo allo studio del parassitismo. Infatti la presenza di microorganismi parassiti (7) è un elemento costante nell'ambito delle popolazioni animali che vivono allo stato libero. Nonostante ciò, relativamente scarsi sono gli studi inerenti l'interazione parassitaospite e al ruolo che essa sostiene nell'ambito dei fenomeni che regolano la numerosità delle popolazioni animali in un determinato habitat. Il parassitismo, ed i fenomeni morbosi ad esso conseguenti, infatti, vengono spesso considerati e studiati quali fenomeni separati", fuori dal contesto ecopatologico in cui questi si collocano. Ne consegue che i parametri ed i modelli utilizzati negli studi sulle popolazioni animali e nella valutazione dalle carrying - capacity ambientale generalmente non considerano il fattore parassitario. Peraltro allo stato attuale, in contesti ad elevata antropizzazione dove di fatto il riequilibrio naturale delle popolazioni animali a vita libera è quanto mai complesso, i fenomeni parassitari possono assumere una dimensione non più trascurabile.
Su questa base si è proposto l'utilizzo del parassitismo, in particolare dello studio dei nematodi gastro-intestinali e polmonari, quale indicatore biologico per definire in chiave ecopatologica lo stato di equilibrio delle popolazioni ospiti di ungulati selvatici con gli altri elementi dell'ecosistema (Genchi et al.,1983, 1989, 1991). Per le loro caratteristiche evolutive, infatti, lo studio di questi organismi può fornire, oltre ad elementi di valutazione dello stato di interazione ospite/ambiente, strumenti previsionali atti al monitoraggio dello stato di equilibrio ospite/parassita, espressione diretta dello stato reattivo degli ospiti.
Le indagini parassitologiche finora condotte su camosci prelevati nel corso della stagione venatoria o reperiti morti in altri periodi dell'anno, hanno permesso di definire la struttura delle infracomunità elmintiche abomasali e polmonari specifiche per il contesto del Parco (Genchi et al., 1991). Inoltre sono state avviate indagini per lo studio degli ospiti intermedi dei nematodi polmonari nelle aree dove si sono manifestati gli episodi di polmonite epidemica.
La necessità di acquisire elementi oggettivi
di valutazione dello status delle popolazioni di animali selvatici ed indicazioni sulle più idonee strategie gestionali atte al ripristino ed alla conservazione delle biocenosi, trovano nella ricerca scientifica il più valido strumento di interpretazione. A tale riguardo i parchi svolgono un ruolo di primaria importanza nella promozione di ricerche proprio in relazione alla situazione territoriale privilegiata" in cui si collocano e alle finalità educative e conservative che figurano nei relativi atti istitutivi.
1) Sulla base della competenza primaria in materia urbanistica, datale dallo Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige, la Provincia Autonoma di Trento si dotava nel 1964 di una propria legislazione in materia urbanistica: L.P. 2.3.1964, n. 2. In applicazione di tale legge con la L.P.12.9.1967, n. 7, veniva approvato, con il voto unanime del Consiglio provinciale, il Piano urbanistico provinciale. E stato uno dei primi esempi di Piano urbanistico territoriale italiano: progettato dal professore Giuseppe Samonà, dell'Università di Architettura di Venezia, fu ricco di scelte innovative e fondamentali per il futuro sviluppo della provincia che per alcuni aspetti si basa ancora oggi su tali impostazioni Tra questi concetti figura anche l introduzione dei "Parchi Naturali".
2) La depressione valliva rendenese che separa morfologicamente il massiccio Adamello-Presanella dal gruppo del Brenta si è imposta praticamente in corrispondenza di un fascio di fratture che sono conosciute in letteratura con il termine di linea delle giudicarie sud" (Veronese, 1990).
3) I dati dei censimenti sono stati forniti dalla Federazione Provinciale Cacciatori e dal Servizio Foreste Caccia e Pesca della Provincia.
4) In accordo con l'Ufficio Venatorio dell'U.S.L di Tione il Parco ha avviato un piano di controllo sanitario di tutti gli ungulati abbattuti nell'ambito del Parco. Su ogni capo prelevato si effettua un esame ispettivo della carcassa, con rilievo dei dati biometrici e raccolta di organi campione da sottoporre ad indagini di laboratorio.
5) La nuova legge-quadro sulle aree protette n. 394 del 6 dicembre 1991 al comma 6 dell'art. 22, detta però nuove norme per l'esercizio dell'attività venatoria nei parchi regionali, disponendo la possibilità di prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi necessari per ricomporre squilibri ecologici.
6) La promozione della ricerca scientifica rappresenta uno degli obiettivi prioritari del parco, come citato nell'art. I della L.P. 6.5.88,n. 18.
7) In questo articolo il termine parassita (e parassitismo) è usato nel suo significato più ampio, includendo tutti gli organismi che necessitano per la propria sopravvivenza della presenza di un ospite da cui dipendono per le esigenze trofiche e di sviluppo (almeno in una fase del ciclo vitale). Per essere definito parassita, un organismo deve essere inoltre in grado di determinare un danno più o meno evidente a carico dell'ospite.
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*Direttore del Parco Naturale Adamello-Brenta
**Dottoranda in ricerca in Patologia Comparata, Cattedra di Parassitologia Veterinaria, Università degli Studi di Milano |