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L'ingegneria naturalistica, disciplina che utilizza le piante vive come materiale da costruzione e antierosivo, può essere utilizzata con successo per il restauro ambientale di zone caratterizzate da elevata valenza naturale.
In quest'ottica si colloca un'esperienza condotta dal Consorzio Territorio Ambiente (Cta) entro il territorio del Parco naturale Adamello Brenta nell'ambito del Progetto speciale per l'occupazione attraverso la valorizzazione delle potenzialità ecologiche, turistiche ed ambientali della Provincia Autonoma di Trento. L'intervento che, come vedremo, si è valso delle potenzialità tecniche ed ecologiche dell'ingegneria naturalistica, ha riguardato il ripristino di un versante franoso esteso su più fronti, su una superficie complessiva di circa 6.000 mq.
L'instabilità del versante era dovuta al taglio del pendio causato dalla costruzione di una strada forestale nei primi anni '60.
La mancata stabilizzazione della scarpata, causata dall'asportazione al piede di ulteriori quantità di materiale detritico per la manutenzione della strada sterrata sottostante, ha determinato un progressivo ampliamento della superficie denudata.
Tale porzione di territorio è entrata a far parte del Parco naturale Adamello-Brenta a partire dal 1967, anno di istituzione del Parco.
Descrizione dei luoghi
L'area interessata dall'intervento di ripristino riveste notevole importanza per le valenze paesaggistiche e ambientali in senso lato, e per gli aspetti floristici e faunistici in particolare.
La zona franosa infatti è collocata nel tratto mediano della Val di Tovel all'interno del gruppo di Brenta, a soli 6 km. dal lago omonimo, famoso per la sua colorazione rossa estiva, dovuta ad un'alga unicellulare (Glenodium sanguineum). La Val di Tovel è importante per la ricchezza e la varietà della flora, per l'eccezionalità di ambienti desertici quali le "Marocche" e per la peculiarità dell ambiente, relativamente intatto e selvaggio, che ospita l'orso bruno delle Alpi.
Al momento dell'intervento di sistemazione, finanziato dall'Agenzia del lavoro, poi Servizio Ripristino e Valorizzazione Ambientale, e realizzato dal Cta negli anni 1990 e 1991, l'area costituiva un elemento appariscente di dissesto ambientale, ben visibile a chi percorreva la strada provinciale della Val di Tovel in direzione del lago omonimo, pochi chilometri entro i confini del parco.
Tale situazione costituiva una sorta di biglietto da visita negativo per i fruitori del parco e non poteva essere tollerata ulteriormente.
Si imponeva quindi un intervento di restauro ambientale che consentisse, in tempi relativamente rapidi, di consolidare il versante franoso, creando le basi per una successiva evoluzione della cenosi vegetale che si andava a costituire, verso forme il più possibile affini a quelle naturali e delle limitrofe superfici boscate.
Per fare questo era necessario usufruire di mezzi e tecnologie che, nel rispetto e nella valorizzazione dell'ambiente, consentissero l'insediamento della vegetazione ed il consolidamento del versante con il miglioramento delle caratteristiche stazionali ed una accelerazione dei processi della successione naturale.
Gli indispensabili strumenti per intervenire ci sono stati forniti dall'ingegneria naturalistica (conosciuta anche come bioingegneria forestale o bioingegneria naturalistica): ingegneria in quanto disciplina che si occupa di tecniche costruttive, naturalistica per la componente ecologica legata all'impiego di elementi viventi come materiale da costruzione.
Il ricorso all'ingegneria naturalistica risultava, nella fattispecie, privo di alternative, volendo realizzare un intervento di restauro ambientale entro i confini di un parco naturale.
L'ingegneria naturalistica si avvale dell'uso delle piante superiori nelle opere di sistemazione ambientale: le sue finalità sono tecniche, ecologiche, estetiche ed economiche.
Nel caso specifico degli scopi dell'ingegneria naturalistica risultavano perfettamente in armonia con lo spirito di un intervento all'interno di un parco naturale.
Si perseguivano infatti da una parte finalità tecniche quali la copertura del terreno con piante, l'aumento delle asperità del terreno e quindi una minore erosione, il consolidamento del suolo attraverso l'azione delle radici, il trattenimento dell'acqua per mezo dell'attività delle piante, porre inoltre un freno a vento, neve, caduta di massi, ghiaccio, ed infine ridurre la velocità di scorrimento delle acque superficiali.
Dall'altra si perseguivano finalità ecologiche quali l'attivazione della microflora e della microfauna del terreno, lo sviluppo di associazioni vegetali, il miglioramento del microclima e della capacità di trattenimento delle acque del terreno. Anche sotto il profilo estetico si sarebbe avuto un miglioramento con la rimarginazione di una ferita della pendice montana, provvedendo alla realizzazione di costruzioni perfettamente tollerata dall'ambiente ed armoniosamente inserite nel paesaggio. E infine perseguita anche una finalità economica con il restauro di un versante franoso a bassi costi di materiali ed energia. Tali motivazioni fornivano una fondata giustificazione all impiego di tecniche costruttive e di consolidamento proprie dell ingegneria naturalistica anche nell'ambito di territori a parco.
Materiali e metodi
In fase di progettazione si è cercato in primo luogo di stabilire il metodo di consolidamento più adeguato per ciascun settore del versante franoso; si è ritenuto opportuno l'impiego di sistemi combinati, che prevedono l'utilizzo di materiali vivi come piante radicate e talee, e non viventi come legno e massi, al fine di aumentare la stabilità delle opere assicurando l'effetto già dall'inizio, ancor prima che le piante si siano sviluppate. Nel settore più esteso, caratterizzato da un profilo a pendenza variabile (30° nel tratto inferiore, 46° nel tratto superiore) la sistemazione è stata attuata con tecniche costruttive (palificate, grate vive) abbinate a tecniche di copertura (sistemazione a siepe-cespuglio, idrosemina).
Nella parte superiore del versante è stato effettuato un leggero scoronamento per il miglior collegamento tra la superficie boscata e l'area denudata.
Nella parte mediana della superficie franosa è stata realizzata una struttura in legno a due pareti denominata "palificata viva" (cfr. schema 1), costituita da tondame di larice scortecciato di 15-25 cm. di diametro disposto in modo da costituire un castelletto con elementi trasversali e longitudinali, con una contro pendenza di circa 10° rispetto alla verticale; gli interstizi fra i tronchi sono stati riempiti in fase costruttiva con rami di specie legnose dotate di capacità vegetativa (nel caso specifico talee di Salixcaprea e Salixeleagnos) ricoperti con materiale terroso a tessitura fine. Il materiale di preparazione e le piantine radicate sono state disposte in modo che le loro parti basali raggiungessero il terreno naturale; la parte esterna delle piantine è stata fatta sporgere solo leggermente, per consentire un pronto ricaccio evitando pericoli di disseccamento. Alla base del pendio è stata realizzata un analoga struttura di sostegno e contenimento con la variante dell'impegno di pietrame locale al posto del materiale vegetale vivo, per il riempimento degli interstizi interni alla palificata. Sulle superfici comprese tra le due palificate si è intervenuti attuando la sistemazione con messa a dimora di siepe-cespuglio, oggi considerata la sistemazione stabilizzante più importante nell'ambito dell'ingegneria naturalistica.
Il lavoro è consistito, iniziando dal piede del pendio, nello scavo di fossi disposti orizzontalmente, ad intervalli di 2 m., della larghezza di 50 cm., con il piano elevato verso l'esterno del 10%, per consentire successivamente a rami e piantine l'emissione di radici su tutta la loro lungheza.
Si sono utilizzate specie vegetali, classi cronologiche e diametri diversi al fine di ottenere orizonti radicali di varie profondità ed un accrescimento il più regolare possibile.
Sono stati impiegati localmente dei rinforzi longitudinali costituiti da quarti di larice per diminuire l erosione a solchi, aumentando l'attecchimento e l'accrescimento delle piante grazie al migliore approvvigionamento idrico. La messa a dimora contemporanea di talee (cespugli) e piantine radicate (siepe) presenta il vantaggio di poter insediare in un unico ciclo di lavoro la vegetazione di due fasi successive. La sostituzione dei salici, con le piante legnose radicate messe a dimora contemporaneamente, avviene a partire dal 3° anno, più frequentemente tra il 4° e il 10° anno. La sistemazione è stata completata con l'idrosemina della superficie compresa fra i gradoncini, seguita dalla stesura di una coltre protettiva formata da uno strato di fieno di prato stabile
In tal modo si è realizzata la copertura della superficie del terreno, ottenendo un primo sicuro effetto di consolidamento.
Una ulteriore tecnica di bioingegneria, utilizzata nella sistemazione delle scarpate franose in Val di Tovel è la grata viva.
Essa costituisce oggi una collaudata tecnica della metodologia costruttiva nell'ingegneria naturalistica, altrimenti priva di alternative nel risanamento dei processi franosi alti e ripidi, che non possono venire spianati ulteriormente. La sistemazione a grata viva è consistita nella costruzione di una struttura reticolare in legno (tondame di larice di 20 cm. di diametro) appoggiata al pendio ed ancorata alla base; all'interno delle singole camere della grata è stato riportato un leggero strato di terreno vegetale. La grata è stata quindi rinverdita mediante idrosemina e messa a dimora di talee e piantine. Per mezo della grata è stato sistemato l'intero ambito del pendio. La funzione di sostegno esercitata in un primo tempo dalla struttura in legno sarà via via integrata ed infine sostituita da quella esercitata dalle piante e dalle talee che radicano in profondità e drenano il pendio.
L'ulteriore evoluzione naturale dovrebbe consistere in uno sviluppo a cespuglio per poi trasformarsi in bosco senza ulteriori cure e controlli.
Quantificazione dei lavori l lavori sono stati eseguiti nell'arco di 6 mesi lavorativi da 5 lavoratori stagionali. Per la sistemazione di complessivi 6.000 mq. indicativamente di superficie franosa sono stati utilizzati i seguenti materiali, parte dei quali rinvenuti sul posto (pietrame, talee di salice e parte del tondame di larice):
8.500 piantine a radice nuda
50.000 talee di salice
70 mc tondame di larice per 140 ml. di palificata
20 mc tondame di larice per 400 mq.di grata
3.000 kg fieno a culmo lungo
5.500 mq rete per fagioli
500 mq rete di juta
15 mc pietrame
Il mezzo meccanico (ragno escavatore) ha operato per complessive 350 ore.
Risultati
A meno di due anni dall'intervento è già possibile apprezzare l'ottimale inserimento paesaggistico delle ex scarpate franose ed il naturale dinamismo della cenosi vegetale che le ricopre.
I metodi di ingegneria naturalistica, qui illustrati in maniera incompleta per ragioni di spazio, trovano vaste possibilità di un impiego in ambienti ad elevata valenza naturale come sono i parchi.
Un'attenta analisi delle comunità vegetali ed animali locali, consente di indirizzare l'evoluzione delle cenosi insediate artificialmente verso stadi potenziali naturali.
Considerando attentamente i fattori che influenzano un luogo, quali terreno, acqua, clima, vegetazione, forma ed interventi dell'uomo è possibile creare opere durature e dinamiche, con maggior rispetto per l'ambiente naturale.
Bibliografia
- H. Zeh, Definizione contenuti ed obiettivi della bioingegneria naturalistica, Atti Convegno Ingegneria Naturalistica, Acer n. 6/1990
- H. M. Schiechtl, Bioingegneriabforestale, Edizioni Castaldi, Feltre
*Consorzio Territorio Ambiente |