Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista Parchi:
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Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 9 - GIUGNO 1993


Qualche idea ed un "pizzico" di utopia per i parchi
Gianni Boscolo*

La "Rassegna stampa", curata da Renzo Moschini sull'ultimo numero della rivista in merito alle ricerche sociali nei parchi, solleva alcune questioni di fondo che si riallacciano peraltro al dibattito sviluppatosi dopo l'approvazione della legge-quadro. Temi che anche in Piemonte sono oggetto di una prima riflessione tra gli operatori dei parchi.
In estrema sintesi, il problema potrebbe essere posto in questo modo: i parchi, nel nostro Paese, hanno un futuro o sono destinati a fluttuare in un'aurea (quand'è aurea) mediocritas sopportati là dove esistono, stagnanti là dove sono in progetto? Interrogativi che valgono ovviamente sia per i parchi regionali che per quelli nazionali.
Se questo è il problema, sinteticamente potremmo individuarne alcune cause fondamentali. E qui di notevole aiuto risultano essere appunto le prime ricerche sociali in tema di territorio protetto. Risorse finanziarie limitate se non irrisorie ed incerte, ambivalenza nella finalità, mancanza di aggregazioni forti ed attive, specie localmente, che si facciano portatrici della tematica "parco" .
Il rischio maggiore è che la recessione in corso comporti un ulteriore peggioramento. Soprattutto se aggiungiamo a limiti strutturali' un appesantimento burocratico, che finisce per schiacciare gli operatori dei parchi. Una pressione che rischia non soltanto di togliere tempo, ma anche e soprattutto di togliere "ossigeno" e capacità di cogliere nessi, mettere in contatto energie, intelligenze e competenze diverse. A questo riguardo la ricerca sociale, forse ultima (in ordine di tempo) branca del sapere ad occuparsi di aree protette, può fornire alcuni spunti di riflessione.
Intanto va ricordato che i parchi, le loro finalità, il loro modo di operare, in ultima analisi, toccano un "nervo scoperto", non ben definito ma significativo. Si tratta della contraddizione che divide chi sostiene un'ideologia della crescita quantitativa illimitata e chi sostiene invece la necessità di un equilibrio tra la natura, le sue risorse ed i bisogni umani. Filosofie troppo lontane dai nostri problemi quotidiani? Apparentemente sì, nella pratica invece ...
E veniamo alle conclusioni del libro, appunto recensito da Moschini, "La natura in vetrina di Giorgio Osti.
Pur tenendo conto delle particolarità della ricerca, sono senz'altro da evidenziare due questioni di fondo: la necessità di uscire dall'ambiguità per quanto riguarda la finalità ed il modello di parco (Osti parla di ambivalenza di parco-recinto e parco multiuso) ed il pericolo di enfatizzazione legato alla considerazione dei parchi quali progetti globali di intervento sul territorio, caricati di eccessive valenze politiche.
I problemi che stringono da presso i parchi possono essere ricondotti anche a limiti culturali. Se i parchi non devono essere utopiche prospettive di gestione globale del territorio, questo non vuol dire che non debbano, in qualche modo, farsi portatori di una carica culturale globale e forse anche un pò utopica, di un mutato rapporto tra uomo e natura. Una globalità che non è soltanto filosofica, ma anche tecnica.
Un solo esempio. Tra i danni più gravi, che la gestione attuale delle risorse genera, è la riduzione accellerata della biodiversità. Al Convegno di Caracas se n'è dibattuto a lungo e ferocemente. Ora, in che misura i nostri parchi sono coscienti di costituire un baluardo, parziale magari, ma significativo, a questa distruzione sistematica? E se lo sono, in che misura spiegano e diffondono questo valore, non di singoli gruppi, ma della specie umana e della sua esistenza sulla terra? Quando promuoviamo i parchi ci diffondiamo sulla bellezza, la ricchezza, la preziosità racchiusa nei loro confini: ma quanto parliamo di queste finalità? Quando accompagnamo le scolaresche nei parchi (soltanto in Piemonte sono oltre sessantamila gli studenti che visitano i parchi in un anno), quanto riusciamo a trasmettere ( e quanto ci preoccupiamo di trasmettere) i valori essenziali degli equilibri ambientali, quelli che il nostro modello di vita sconvolge: il silenzio, i cicli naturali; i tempi lunghissimi della biologia, la percezione del mondo e dell'ambiente?
Il nostro Paese sta attraversando indubbiamente un periodo di cambiamento, di fermento ma anche di crisi. Invece di aspettare che la burrasca passi per tornare a spiegare le vele del consumo senza curarsi di che cosa si produce, come, a scapito di chi, con quali costi e quale rapporto con la natura, perchè non provare a dare corpo e peso a ragionamenti che è pensabile siano di interesse generale. Si parla di una fase di ricerca di valori, qualcuno accenna persino a nodi "etici"; chi opera nei parchi possiede un'etica della natura, cerca di argomentarla?
Intervenendo ad un convegno padre Balducci ebbe giustamente a dire che l'amore per la natura non può essere compensativo" mentre occorre costruire dei valori, "un'etica non entropica" che è premura per la gente del futuro. Il rispetto dell'energia fa parte della coscienza morale .
In altre parole, i parchi non possono risolvere tutti i problemi di gestione ambientale, ma nemmeno affrontare i compiti previsti dalle leggi istitutive senza essere pervasi da questa dimensione, definibile culturale in mancanza di altri termini meno abusati. Se a questa maturazione corrisponde il necessario snellimento amministrativo e burocratico delle strutture di gestione, i parchi confermerebbero il proprio ruolo di laboratori dove sperimentare l'integrazione delle competenze e delle problematiche comunque esistenti in materia di uso del territorio con apporti specifici, garantiti dalla presenza di personale capace di coordinare ed attuare attività in campo naturalistico, attività di ricerca, di didattica e, più in generale, di fruizione, di conoscenza e valorizzazione dei patrimoni. Quali altri enti territoriali potrebbero, nell'attuale situazione socio-politica, fare altrettanto? Forse in questo modo le comunità locali non "soffriranno i parchi e le relative strutture amministrative; così, forse, chi lavora nei parchi può trovare una prospettiva, un senso di appartenenza ad un progetto che interessa più generalmente la società. Utopie? E foss'anche?

Direttore di Piemonte Parchi