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Qualsiasi legge nuova presenta sempre problemi di interpretazione, oltre che di collocazione e raccordo rispetto ad altre normative. Essi risultano tanto più rilevanti e complessi quando investono i rapporti tra Stato, Regioni, Enti locali.
Ciò vale in particolare per la 394 le cui vicende sono state profondamente segnate da questa specificità, cioè dal contrastato e difficile rapporto tra diversi poteri e livelli istituzionali che ne hanno seriamente ritardato l'approvazione. La sentenza della Corte Costituzionale 336/92 costituisce da questo punto di vista un buon viatico per la legge perchè sgombra il campo da una insidia: quella che potesse riaprirsi dopo le estenuanti polemiche del passato una nuova stagione di contese tra Stato e Regioni. Dopo questa sentenza, con la quale si riconosce la costituzionalità della legge, i problemi si spostano ora interamente sul piano politico e tecnico della gestione concreta, che deve avvenire però nel pieno rispetto della legge, cioè senza prevaricazioni che potrebbero, quelli sì, risultare costituzionalmente eccepibili. Non a caso infatti la Corte ribadisce ancora una volta il principio della "leale collaborazione", mettendo bene in chiaro che le intese e le forme di collaborazione stabilite dalla 394 andranno verificate di volta in volta per commisurarne concretamente la loro rispondenza a questa esigenza di collaborazione, tanto più necessaria in questo caso in quanto ci troviamo di fronte ad "un complesso intreccio di competenze concorrenti dello Stato, delle Regioni (e Province Autonome) e degli Enti locali .
Fatta questa premessa, vorremmo soffermarci su alcuni commenti e interpretazioni di natura giuridico-amministrativa che sono stati fatti sulla legge, in sedi diverse.
Vorremmo cominciare da quanto ha scritto Federico Spantigati in un commento precedente l'approvazione della legge ma riferibile al testo poi varato dal Parlamento.
L'Autore contesta l'impianto della legge in quanto errata non sul piano del diritto, il quale attiene ai meccanismi del potere; competenze che si sovrappongono, diritti che confliggono, con altre protezioni di interesse eccetera', ma sul piano giuridico il quale attiene invece alla qualità degli interessi fissando delle gerarchie che ne privilegiano alcuni a fronte dei quali altri risultano, nel confronto, soccombenti.
"In altre parole - dice l'Autore con specifico riferimento alla 394 - l'errore giuridico riguarda il potere disponibile per la tutela, la forma giuridica della tutela, l'interesse prevalente per la tutela. Trent'anni di insuccesso sono conseguenza coerente della gravità e profondità di questo errore .
E errore è, ad esempio, considerare l'ambiente un bene da cui discenderebbe l'esistenza di un interesse generale che ne misura la qualità in modo oggettivo. Questo presupporrebbe una unanimità delle decisioni e non la regola della maggioranza dei consensi, quale è prevista invece dalla legge 394, ove il principio di unanimità sarebbe presente solo nelle firme apposte al testo da tutti i partiti. Non potendo seguire l'Autore in questa sua argomentazione, ci limiteremo a segnalare la conclusione piuttosto singolare se non "curiosa' in cui egli sostiene che i soli cambiamenti utili a rendere efficace la legge sono: I ) il piano del parco deve essere approvato dalle Regioni interessate e non con decreto del Ministro dell'Ambiente; 2) il piano economico-sociale predisposto dall'Ente parco deve essere approvato dal Governo in Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell'Ambiente e non dalle Regioni e dagli Enti locali.
Su come vada inteso oggi alla luce anche della 394 il concetto di protezione si sofferma anche Paolo Maddalena in un saggio "La legge-quadro sulle aree protette', che passa in rassegna l insieme del testo della legge.
L'Autore osserva preliminarmente che sarebbe stato preferibile parlare di legge sulla protezione della natura piuttosto che di legge-quadro sulle aree protette, perchè è la natura oggetto di protezione intesa come complesso di beni che sono tra loro in un rapporto di continua interazione fino al punto di costituire un sistema'.
La natura infatti è tutelata come valore in sé, come sistema, anche se essa - e questo è importante - è vista anche come bene, "cioè come qualcosa che ha riferimento all'uomo .
Insomma c'è un valore in sé, intrinseco della natura, ma c'è anche un valore ambientale il quale concerne il valore della natura in relazione all'uomo.
Ciò fa dire al Maddalena che 'al principio antropocentrico ... si è sostituito il principio biocentrico'.
Da questo rovesciamento di orizzonte rispetto ad una impostazione che non faceva assurgere a valore la natura, ne discende anche l'esigenza di riconsiderare integralmente la prospettiva delineata dal DPR 616 tutta interna all art. 1 17 della Costituzione e quindi alle materie dell'agricoltura, dell'urbanistica di competenza regionale. Anche la Corte ha affermato chiaramente che le nuove norme di legge della 394 "sono dirette a sostituire la precedente ripartizione di competenze effettuata, in via provvisoria, dall'art. 83 del DPR n. 616 del 77 .
Secondo l'Autore la 394, richiamando gli artt. 9 e 32 della Costituzione, "sposta invece chiaramente il problema e fa ricadere la protezione della natura e dell'ambiente fra i compiti della Repubblica, la quale, per un verso indica la Comunità, lo Stato comunità, e per altro verso (sotto il profilo strettamente soggettivo dello Stato-persona) indica lo Stato, le Regioni e gli Enti territoriali'.
Ne discende che allo Stato in questa ottica spetta non solo di "individuare' i territori di interesse internazionale, nazionale e interregionale ma anche di istituire su di essi parchi e riserve nazionali.
Purtroppo, dice l'Autore, l'art. 2 della 394 che doveva risolvere il problema di come stabilire quali sono le aree di interesse internazionale o nazionale e quali sono le aree di interesse regionale è "uno degli articoli meno chiari dell intera legge e gli elementi che si possono evincere da esso sono invero scarsi .
In effetti sull'art. 2 si erano già incentrate prima e dopo l'approvazione della legge molte critiche che ne avevano sottolineato soprattutto il carattere "tautologico', in quanto più che indicare i criteri in base ai quali stabilire il discrimine, la legge in ultima analisi rinvia puramente e semplicemente a quella esigenza di distinzione che rimane però confusa e indistinta nella legge.
Sono le carenze e le vistose contraddizioni di questo tipo che fanno dire ad un altro Autore, lo Scano, che la 394 "si autodetermina pomposamente 'legge-quadro sulle aree protette', quasi a pretendere di soddisfare esaustivamente, con i suoi disposti, ai compiti della attività legislativa statale attinenti alla tutela dell'identità culturale' del territorio, se non anche della sua 'integrità fisica'.
La severità del giudizio sulla legge non impedisce però allo Scano, proprio in riferimento all'art. 2 che come abbiamo visto appare particolarmente lacunoso, di scrivere che le definizioni dei 'parchi nazionali', 'dei parchi naturali regionali' e delle riserve naturali' date dai primi 3 commi dell'art. 2, sono sostanzialmente omogenee con quelle elaborate dall'Unione Internazionale per la Conservazione della natura. Il che, sia detto per inciso, ripropone anche a livello internazionale il problema di una classificazione che aiuti a superare gli inconvenienti in cui è incappata anche la 394; in attesa di più precise e meno tautologiche classificazioni può aiutare, come scrive il Maddalena, a stabilire il valore di un'area secondo criteri distintivi tra interesse prettamente naturalistico o ambientale. Una distinzione che rimanda a quella già ricordata dell'Autore a proposito della natura come valore in sé e all'ambiente che invece racchiude, diciamo così, la relazione tra natura e attività umane.
Se volessimo esemplificare potremmo dire che rientrano in un interesse prettamente naturalistico interventi volti a preservare determinati 'ambienti' (biotopi, specificità geologiche, eccetera) mentre hanno carattere prevalentemente ambientale quelli indirizzati a territori in cui sono presenti oltre che 'specificità' naturali anche attività umane, che devono diventare sostenibili per non mettere a repentaglio quelle stesse 'specificità'.
Abbiamo voluto deliberatamente indugiare un pò su questi aspetti che possono apparire in qualche misura astratti rispetto a questioni sicuramente più incalzanti e difficili per chi deve alla fin fine misurarsi concretamente con l'applicazione e gestione della legge, perchè con la 394 si è riaperta e deve rimanere aperta una riflessione sui contenuti stessi della protezione che sarebbe colpevolmente miope lasciar cadere, sia pure in nome di una concretezza che ha bisogno oggi più di ieri di riferimenti concettuali e culturali chiari
Il rapporto Stato - Regioni - Enti locali nella 394
Risolto diciamo così sul piano 'costituzionale' il rapporto Stato-Regioni-Enti locali nei termini accennati, resta da vedere come esso è stato concretamente 'incardinato, congegnato e definito' dalla legge.
La 394 ha affidato la gestione di questo rapporto principalmente ad organi quali il Comitato Stato-Regioni e la Consulta tecnica ed a strumenti quali il Piano Triennale e la Carta della Natura, la classificazione delle aree protette nonchè al Piano del parco e al Piano pluriennale economico. Come scrive il Maddalena, la 394 ' presenta una contraddizione costituita da un insanabile contrasto tra quanto prevede l'art. 3 comma 4, lett. b. (e quanto prevede l'art. 4 comma 1, lett. a.).'
Il punto è: il programma adottato dal Comitato deve riguardare soltanto le aree protette di interesse internazionale e nazionale (art. 3) o anche le aree di interesse regionale come dice l'art. 4?
"La questione non è di poco conto poichè una cosa è affidare al Comitato l'adozione del programma riguardante soltanto le aree di interesse internazionale e nazionale, altro è affidare al Comitato l'adozione di un programma che riguarda l'intera gestione delle aree protette, ivi compresi i parchi e le riserve regionali'.
Poichè sul piano letterale il contrasto è insanabile, il Maddalena ritiene sulla base dell'interpretazione logica e sistematica che la soluzione giusta è quella dell'art. 4, in cui sono appunto comprese anche le aree protette regionali.
Se così non fosse non si comprenderebbe perchè nel Comitato sono presenti i rappresentanti delle Regioni.
Una diversa interpretazione porterebbe infatti al paradosso che le Regioni decidono autonomamente per quanto riguarda le aree protette regionali e intervengono' nelle decisioni dello Stato attinenti ai parchi internazionali e
nazionali, mentre lo Stato non potrebbe intervenire nelle decisioni regionali .
Stabilito quindi che il programma del Comitato riguarda tutte le aree protette incluse quelle regionali, come si concilia questo con il comma 8 dell'art. 2 nel quale si dice che la classificazione e l'istituzione dei parchi e delle riserve naturali di interesse regionale e locale sono effettuate dalle Regioni '?.
Anche qui come nel caso precedente, a parere del Maddalena, non è con l'interpretazione letterale che si può sciogliere la contraddizione, per cui il riferimento alla classificazione da effettuarsi da parte delle Regioni non può altro significare che le Regioni stesse, nell'ambito delle aree classificate dalla legge o dal Comitato come di interesse regionale o locale, possono operare ulteriori classificazioni'.
Al riguardo la Corte nella sentenza più volte richiamata, rispondendo alle eccezioni sollevate dalla Provincia Autonoma di Bolzano sui poteri programmatori del Comitato afferma: "atteso che l'individuazione dell'area protetta di rilievo regionale (provinciale) compete alla Regione (o alla Provincia Autonoma) interessata, la delimitazione di massima delle aree medesime cui si riferisce l'art. 4 primo comma lettera b), non può consistere che in una conferma della delimitazione effettuata in via provvisoria dalla Regione (o dalla Provincia) interessata o in una ridelineazione dei limiti stessi in caso di interferenza con confini di aree protette di rilievo nazionale o internazionale .
Quello della perimetrazione provvisoria appena richiamato è un altro aspetto irrisolto dalla legge.
Infatti in analogia con quanto previsto per i parchi nazionali si dovrebbe pensare, scrive ancora il Maddalena, che, per quanto riguarda le Regioni, alla delimitazione provvisoria effettuata in sede di programma, dovrebbe seguire la delimitazione in via definitiva effettuata dalla legge regionale . Senonchè l'art. 23 della legge-quadro, a proposito della legge regionale che istituisce il parco regionale, parla ancora di "perimetrazione provvisoria .
La contraddizione della legge va sciolta considerando la delimitazione effettuata dalla legge regionale come definitiva. Ciò vale anche per le aree protette di interesse locale, le aree verdi urbane e suburbane in quanto rientrano nelle aree di interesse regionale, e son previste dal programma al pari di queste.
Stabilito quali atti e passaggi precedono e accompagnano 1 istituzione dei parchi nazionali e regionali un altro problema interpretativo di grande rilievo si pone a proposito dello strumento con il quale istituire i parchi nazionali (per quelli regionali la norma è chiara e non presenta particolari problemi interpretativi).
L'art. 4 parla di istituzione e delimitazione in via definitiva con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'Ambiente sentita la Regione. Un atto quindi di alta amministrazione, e cioè un DPR.
Senonchè, osserva il Maddalena, il comma 6 dello stesso art. 4 sancisce che 'salvo quanto previsto dall'art. 34, commi I e 2, e dall'art. 35, commi 1, 3, 4, 5, alla istituzione di Enti parco si provvede sulla base di apposito provvedimento legislativo'.
Insomma legge o provvedimento amministrativo?
Per il Maddalena non ci sono dubbi: "I parchi nazionali sono istituiti con DPR a seguito di proposta del Ministro dell'Ambiente e sentite le Regioni interessate (ovvero d'intesa, se si tratta di Regioni a Statuto speciale), nelle aree previste come 'aree di reperimento' da provvedimenti legislativi, ovvero direttamente con provvedimenti legislativi .
Ruolo e compiti della Regione
L'impianto della legge come abbiamo visto anche nella sottolineatura della Corte ha introdotto rilevanti 'correzioni' rispetto alla norma del 616 'ridisegnando' nuovi ruoli dello Stato e delle Regioni.
Ci si è chiesti da più parti se tali innovazioni hanno ridimensionato in qualche misura le competenze e il ruolo delle Regioni.
In particolare l'interrogativo ha riguardato cosa e in che misura le disposizioni della 394 sono da ritenersi direttamente e specificamente applicabili negli ambiti di competenza regionale.
Nella sentenza della Corte è detto che devono intendersi come norma di riforma economico-sociale e, in quanto tali, applicabili anche alle materie di competenza esclusiva, soltanto i principi relativi alla partecipazione degli Enti locali alla istituzione e alla gestione delle aree protette, nonchè quelli relativi alla pubblicità degli atti concernenti l'istituzione dell'area protetta e la definizione del piano del parco'. Si aggiunge inoltre ad ulteriore specificazione che il legislatore ha inteso "chiaramente non considerare le norme ricomprese nel titolo 111 della 394 ( norme quadro) tra quelle ricadenti nei principi di riforma economico-sociale, ad eccezione, come abbiamo visto, di quelli concernenti la partecipazione e il coinvolgimento degli Enti locali.
Il che ci sembra oltretutto coerente anche con unaltra legge molto importante: la 142.
Ne discende - è questa l'opinione dello Scano - che nell'attività legislativa regionale converrà "considerare come limiti invalicabili solamente i principi fondamentali enunciati come tali dal comma I dell'art. 22, come norme direttamente operative quelle concernenti amministrazioni e/o funzioni statali (segnatamente l'art. 26 ed il comma 2 dell'art. 27), e come utili "linee guida' tutte le altre disposizioni, subordinatamente innanzitutto a principi fondamentali enunciati in altre leggi dello Stato, o da esse chiaramente desumibili, ed in secondo luogo agli orientamenti generali della produzione legislativa regionale'.
Anche il Maddalena ritiene che l'art. 22 o meglio la legge abbia "voluto lasciare alle Regioni la più ampia autonomia' come si può chiaramente evincere dal fatto che 'men tre per i parchi nazionali e le riserve statali la legge-quadro prevede una procedura alquanto dettagliata, per i parchi e le riserve regionali la legge-quadro si limita alla enunciazione dei principi .
Da quanto siamo venuti fin qui annotando le opinioni sembrano largamente convergere nel riconoscere che la 394 non lega le mani, diciamo così, alle Regioni lasciando loro ampi spazi di manovra sul piano legislativo e operativo, sia pure all'interno di una intelaiatura della legge', per usare l espressione della Corte Costituzionale, che assegna allo Stato un ruolo determinante non più circoscritto alla individuazione delle aree su cui istituire parchi internazionali e nazionali .
Ciò ovviamente non significa che non si pongano problemi di corretta interpretazione della legge perchè l operato delle Regioni possa adeguatamente ed efficacemente 'conformarsi' alle nuove disposizioni legislative nazionali.
Di alcuni di questi problemi abbiamo già avuto modo di parlare quando ci siamo occupati ad esempio della delimitazione provvisoria e definitiva delle nuove aree protette regionali e locali da inserire nel programma nazionale.
Analogamente andrà tenuta in debita considerazione la raccomandazione, chiamiamola così, contenuta nel piano decennale per l'ambiente laddove, a proposito della approvazione e adeguamento delle leggi regionali sulle aree protette, sottolinea l'esigenza di omogeneizzare le "categorie di classificazione delle aree protette regionali in relazione alle categorie proposte dal Comitato interministeriale'.
Le questioni più delicate però riguardano indubbiamente il "rispetto' di quei principi generali dianzi richiamati compresi quelli naturalmente derivanti dalla legge 142.
L'art. 22 stabilisce come è noto che la partecipazione degli Enti locali al procedimento di istituzione dell'area protetta si realizza "attraverso conferenze per la redazione di un documento di indirizzo relativo all'analisi territoriale dell'area' con tutto quel che segue.
Su queste conferenze che non hanno neppure quel carattere vincolante' previsto per altre forme di contrattazione programmatica dalla 142 e dalla 241, se è vero come dice lo Scano che ' non è affatto detto debbano decidere all'umanità, ed a ben vedere neppure che debbano deliberare, sono state manifestate perplessità da più parti.
Si teme forse che queste conferenze finiscano per ritardare anzichè favorire le decisioni, ma proprio l interpretazione appena riportata dello Scano dovrebbe in qualche misura tranquillizzare, con l'avvertenza beninteso che oggi, specialmente in relazione anche alla 142 e ai nuovi compiti assegnati alle Province, vanno valorizzate e incoraggiate tutte quelle forme idonee ad attivare circuiti virtuosi e sinergici tra i diversi livelli istituzionali .
Il ruolo degli Enti locali
Il ruolo degli Enti locali è stato per anni uno degli aspetti cruciali e tra i più controversi nel dibattito sulle aree protette.
Il Maddalena, che all'argomento nella sua pur ampia e analitica disamina della legge dedica una fugacissima attenzione, annota tuttavia che Regioni ed Enti locali "entrano pesantemente attraverso la comunità del parco nel Consiglio direttivo dell'Ente parco alla cui composizione concorrono appunto anche le rappresentanze locali. Il giudizio può apparire forse un pò troppo generoso, certo non in sintonia con quel lo espresso da Innocenzo Gorlani, il quale, riferendosi al programma triennale per le aree naturali protette, sottolinea che esso è elaborato al di fuori di qualsiasi partecipazione delle Regioni e degli Enti locali interessati, intendendosi per questa la possibilità di prendere parte al procedimento amministrativo, che invece come abbiamo visto costituisce 'principio, cioè condizione invalicabile per l'operato delle Regioni.
Lo Scano il quale come abbiamo visto già a proposito delle Conferenze per la definizione del documento di indirizzo ritiene che comunque una volta consultati gli Enti si può procedere, riferendosi in particolare all inciso dell'art. 22 a far salve le funzioni amministrative delle Province, espressione introdotta come si ricorderà all'ultimo momento, osserva che essa è volta essenzialmente a far salva "la propria faccia, od almeno a provarcisi'.
Tale riconoscimento a suo parere riguardando l'interesse provinciale e come tale interamente rientrante nell'ambito di una Provincia, deve intendersi come rivolto innanzitutto alla formazione dei relativi strumenti di pianificazione.
Ne discenderebbe che, ancorchè in maniera non "tassativa', I' individuazione del comma 2 dell'art. 25 della legge in esame, per cui "il piano per il parco è adottato dall'organismo di gestione del parco ed è approvato dalla Regione', può essere disatteso. Ma su questo punto torneremo quando si parlerà dei piani .
Se per i Comuni quindi la legge stabilisce chiaramente il loro ruolo nel senso che ne è prevista la partecipazione ai procedimenti istitutivi dei parchi nonchè alla gestione attraverso la comunità del parco e conseguenti nomine negli enti di gestione, per le Province come già si vede la questione è più complessa e meno scontata.
Ed infatti proprio su questo punto si sono registrate molto presto discussioni e divergenze.
Le Province hanno giustamente, almeno a livello della loro associazione rappresentativa nazionale (I'UPI) e in qualche Regione, manifestato una volontà di partecipazione e di coinvolgimento nella gestione delle aree protette che ha dovuto fare i conti con situazioni e posizioni che hanno dato luogo anche a qualche incomprensione.
S'intende che questi fenomeni hanno riguardato Regioni dove esiste già un sistema più o meno diffuso e funzionante di aree protette regionali.
E il caso del Piemonte, dove almeno all inizio si sono dovute conciliare una richiesta vigorosa delle Province, finora escluse dalla gestione dei parchi, a svolgere un ruolo consono alle nuove disposizioni della 394 e della 142, e una realtà ormai consolidata e funzionante che poteva rischiare di entrare in crisi se non "adeguata' con equilibrio e saggezza.
La legge regionale del Piemonte ha risolto in maniera tutto sommato soddisfacente i problemi, coinvolgendo le Province nella gestione degli Enti parco, prevedendo che i parchi provinciali entrano a tutti gli effetti nella programmazione regionale sebbene gestiti dalle Province alle quali sarà assicurato anche il finanziamento di progetti e iniziative. Le Province con gli altri Enti locali parteciperanno inoltre alle conferenze per la definizione dei piani, eccetera.
Dopo un avvio "caldo', con critiche di incongruità alla Regione si è così potuti addivenire ad una sostanziale intesa che tiene conto di una raccomandazione che l'UPI in un suo documento nazionale aveva rivolto a tutte le Province, e cioè a non concentrare la loro attenzione unicamente sui problemi della ' gestione, ma di qualificare e valorizzare il proprio ruolo soprattutto nella partecipazione alla definizione degli strumenti di indirizzo specialmente per quanto riguarda il piano del parco ed in particolare il piano economico-sociale.
Diverso il ruolo assegnato alle Province dalla legge regionale dell'Emilia-Romagna.
Qui ad elaborare il piano in collaborazione con i Comuni e le Comunità montane e ad adottarlo è la Provincia e non l'Ente parco che vi concorre come gli altri Enti locali. Una soluzione come si vede vicina alla ipotesi dello Scano, diversa da quella piemontese la quale va nella direzione di impegnare le Province su un 'piano alto e non di mera gestione che presenta però qualche problema, anche sotto il profilo "normativo', che l'esperienza contribuirà, ne siamo certi, a chiarire. Ci riferiamo, come è evidente, al ruolo dell'Ente parco che in Emilia non a caso si è voluto confermare in un assetto certamente più vicino alle vecchie strutture associative piuttosto che alle nuove che si sta cercando di sperimentare un pò in tutte le Regioni . Anche se questa affermazione va accompagnata da una doverosa precisazione, e cioè che fino a questo momento si tratta purtroppo soltanto di ipotesi non avendo nessun'altra Regione legiferato.
In effetti sul tipo di ente a cui affidare la gestione dei parchi regionali in conformità alle disposizione dell'art. 22 della 394 la discussione è più che mai aperta, né si può negare che permangano zone di incertezza ed anche di confusione.
Se fino all' approvazione della legge nazionale il dibattito aveva riguardato il "come' assicurare al meglio la rappresentanza degli Enti locali negli Enti di gestione, con la 394 è stato previsto un nuovo organismo che dovrà, diciamo così, affiancare l'Ente parco e cioè la Comunità del parco.
Si tratta, come scrive il Maddalena, di "uno strumento di diretto collegamento con le forze sociali, la cui presenza nella gestione del parco è assicurata sia con le designazioni che con l'attività di proposta e consulenza' . E chiaro che comunque si voglia valutare il ruolo di questo nuovo organismo esso dovrebbe facilitare l'istituzione dell'Ente di gestione in quanto gli Enti locali disporranno in ogni caso, qualunque sia cioè il tipo di ente prescelto di una propria rappresentanza, direttamente designata.
Il Piemonte coerentemente con il suo precedente assetto legislativo che prevedeva già un ente di gestione a carattere regionale e non consortile ha confermato quella scelta, integrandola nel senso di assicurare una rappresentanza anche delle Province; ha istituito inoltre le Comunità del parco sul modello previsto per i parchi regionali. L'Emilia-Romagna invece, come abbiamo già visto, ha optato per il modello consortile e anzichè la Comunità ha previsto una Consulta di cui fanno parte le associazioni varie dal momento che gli Enti locali sono rappresentanti "direttamente' nell'ente di gestione.
In altre Regioni circolano ipotesi varie e diverse e non è possibile al momento fare previsioni né sulla loro "attendibilità' né sui tempi di approvazione.
Bibliografia
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- Agricola Bruno, Audizione del Direttore generale del Servizio conservazione della natura del Ministero dell'Ambiente, sullo stato di attuazione della legge 394 del '91 in materia di aree protette; atti parlamentari Camera dei Deputati seduta del 23 settembre 92.
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- Dossier Parchi, La legge-quadro sulle aree protette, ad un anno dall'entrata in vigore. Dicembre '92.
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- Maddalena Paolo, La legge-quadro sulle aree protette, Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, marzo 92.
- Maistri Roberto, La terra dei Fanes, Oasis dicembre 92.
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- Saini Roberto, Anche I'Emilia-Romagna si adegua alla legge-quadro, Parchi, n. 8 '93.
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- Scano Luigi, Sarà complessa l'attuazione della legge 394, Urbanistica Informazioni, 121 '92.
- Sentenza della Corte Costituzionale n. 336/92 sui giudizi di costituzionalità della legge 394.
- Simoncini Andrea, i piani delle aree protette nella legislazione attuale, Atti Convegno Torino 30/31 ottobre 92. |