Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 11 - FEBBRAIO 1994


Un nuovo protagonista economico
Sergio Fiorini*

Il successo dei parchi si basa sul consenso, ed il consenso si ottiene soprattutto sulla base di un buon risultato economico.
Nel medio e lungo periodo si potranno misurare i risultati di una politica protezionistica anche sulla base del differenziale di reddito ottenuto attraverso l'imposizione di vincoli di tutela. Infatti non si può condannare nessuno a sostenere una qualsiasi politica al di fuori di un concetto di convenienza economica.
In alternativa a ciò il consenso ai parchi può essere ottenuto solo in casi di aree disabitate oppure abitate solo marginalmente e comunque destinate ad un più o meno rapido declino. Ciò significa riproporre pari pari la vecchia e desueta contrapposizione tra l'uomo, produttore di ricchezza, e la natura, fonte di ricchezza in quanto questa viene sfruttata. Ed ancora la contrapposizione tra la città e la campagna, fra la cultura urbana e la cultura rurale, tra l'ambiente come luogo nel quale si vive stabilmente e l'ambiente come consumo del tempo libero.
Questa dicotomia ancora non si è ricomposta. Chi opera nelle aree protette, trovandosi ad amministrare una cosa pubblica in ambienti naturali e di montagna, è posto quotidianamente di fronte a due poli opposti: c'è chi, da una parte, si considera puro difensore della natura, e propone un impianto scientificamente corretto (sotto questo profilo inattaccabile) e chi dall'altra parte sostiene che una pratica millenaria di uso del territorio ha permesso l'evoluzione delle comunità in quel territorio residenti, ed ha consegnato ambienti sufficientemente salvaguardati. Sotto un profilo socio-economico è altrettanto corretto sostenere una continuità di queste pratiche.
Ma si tratta appunto di un dibattito ormai superato, anche se non del tutto risolto, che pecca di accademismo, non appassiona più, rimane sulla carte e poco si concilia con un ambientalismo vero che incontra nella concretizzazione di politiche attive la sua cartina al tornasole.
Oggi si nota un altro fenomeno. Mentre esistono i protezionisti ad oltranza, per i quali l'ambiente deve giovare solo allo spirito, trovo meno attivi i produttivisti spinti (almeno da noi, intorno alle aree di elevato pregio ambientale). Sembra però che sia venuta formandosi una nuova tendenza: quella di un proto-ambientalismo, forse un pò opportunista ma concettualmente disponibile, che assume sfumature e tratti molto vasti.
Credo infatti che i tenaci oppositori del protezionismo siano ormai quasi esclusivamente ridotti a quelle poche persone che si sono visti ledere direttamente interessi reali spesso di tipo speculativo, oppure socio-culturali, come le punte più estreme del mondo della caccia. E in mezzo c'è tutto un mondo che non si può definire contrario ai parchi, di cui fa parte il montanaro che si aspetta dal parco una risposta in termini economico-occupazionali ai problemi di tenuta della sua comunità; l'agricoltore che risolverebbe volentieri i suoi dubbi verso il parco con una serie politica di incentivi e di risarcimenti; l'operatore turistico che non può non vedere nel parco una possibilità in più. Si tratta perciò di affrontare un primo assunto: la definizione socio-economica del vincolo ed il suo valore nello sviluppo di un territorio.
Il vincolo può essere territoriale, paesaggistico, idrogeologico, oppure posto a protezione di un determinato habitat. Al vincolo si dà sempre un certo valore naturalistico, legato all'assetto equilibrato del territorio, ma non si è ancora riusciti ad attribuirgli una valutazione economica, se non per un enunciato in sé corretto e condivisibile ma tutto da dimostrarsi: quello che un'area vincolata, guardando alla lunga durata, è di maggior pregio rispetto ad una priva di vincoli. Qui ci sono esempi, difficilmente ripetibili, come il valore immobiliare a Cortina d'Ampezzo o il reddito pro capite e i depositi bancari a Civitella Alfedena.
Estremamente interessanti ma comunque insufficienti. Di fatto non c'è ancora una cultura dell'economia ecologica diffusa, e fino a quando questa non sarà formata non ci sarà risposta convincente alla domanda che ci si pone quando si vanno a istituire aree protette, parchi regionali, parchi nazionali e piani di protezione della natura. Le teorie dello sviluppo sostenibile sono infatti dimostrate ad un livello di macroeconomia. Si parte dall'abbattimento delle foreste amazzoniche, dalle piogge acide e dalla desertificazione, dal buco dell'ozono e dall'innalzamento della temperatura della crosta terrestre e si arriva incontestabilmente a dimostrare che tutto ciò favorisce l'arricchimento rapido ma sfrutta risorse naturali non rinnovabili, porta all'impoverimento ed all'aumento del divario tra il nord e il sud del mondo. Allo squilibrio dell'ecosistema sono imputabili in gran parte la siccità e la carestia e quindi le grandi nuove emigrazioni che rendono ancor di più invivibili le aree urbane dei Paesi cosiddetti industrializzati e provocano reazioni di rigetto. A questi fenomeni si associa la de-industrializzazione e la conseguente disoccupazione, scatenando vasti fenomeni di instabilità sociale, di aggressività e di intolleranza se non di vera e propria belligeranza.
Il cerchio perverso così si chiude e solo l'obiettivo della "società sostenibile" può romperlo e costruirne un altro, funzionante in armonia con la natura. Ma, se a livello dei massimi sistemi lo sviluppo sostenibile è ben delineato, alla nostra scala di grandezza, nel Parco del Gigante o in quello degli Alti Tauri, piuttosto che in quello dell'Etna o in un parco regionale francese, da questo tipo di risposta siamo ancora lontani.
L'articolarsi dell'economia ecologica non ha modelli, non è ancora una terza via.
Da qui l'idea dello stage formativo e la necessità di dare una continuità allo studio della disciplina, meglio definibile come interdisciplina, che però merita confronti aperti, merita una letteratura a formare la quale devono cimentarsi innanzitutto gli amministratori e gli operatori delle aree protette. Pensiamo che a questa interdisciplina possa essere data continuità con un gruppo di lavoro permanente del Coordinamento nazionale parchi, un osservatorio, centro di raccolta dati, punto dal quale producono e si offrono spunti per operare concretamente sul campo. Per avvicinarsi all'economia ecologica dei parchi che sono aree per definizione ben evidenziate e perimetrali, occorre essere consapevoli che quasi sempre le aree protette vengono ad essere istituite là dove lo sviluppo economico tradizionale e di conseguenza la solidità economica in termini di produzione e di reddito delle comunità locali presentano caratteri del tutto peculiari e distini rispetto al resto delle comunità circostanti a livello provinciale e regionale: e la maggior parte delle volte peculiarità significa marginalità e grave difficoltà. Peculiarità e distinzione sono una ricchezza. D'altro canto non si capisce perchè tutto il mondo debba svilupparsi allo stesso modo, perchè in Africa, in America o in Europa occorra rispondere alle stesse regole dell'economia.
Forse che l'uomo trae giovamento da modelli imitativi di altri?
Quasi sempre, al contrario, ne è subalterno, soffre, sempre più spesso soccombe. A questo proposito sono interessanti parole scritte da Ettore Tibaldi: "... Diversi popoli hanno costruito diverse economie, e diverse culture. Il nostro pianeta è infatti multi-culturale, perchè ospita contemporaneamente i grandi sistemi industriali del Giappone, i pastori della Sardegna, gli agricoltori della California e i cacciatori aborigeni d'Australia. In alcuni luoghi si sono sviluppate le industrie: prima in Inghilterra, poi negli Stati Uniti, poi nell'Urss e nell'Europa orientale, dopo, anche in Germania, Francia, Giappone e Italia. Questi Paesi sono stati definiti sviluppati e gli altri in via di sviluppo, come se, per forza, tutte le altre aree del mondo dovessero seguire lo stesso destino".
Noi, perciò, con le aree protette, dobbiamo proporci e proporre uno sviluppo originale. Uno sviluppo che è diverso anche da quello della società nazionale e regionale. Non è avulso dal contesto, non è separato, ma è poggiato sulle risorse locali e sulla capacità delle comunità locali di interpretare e valorizzare queste risorse.
Credo che la nostra attenzione debba rivolgersi principalmente ad esempi di economia stabilizzata, cioè aventi effetti duraturi. Anche nel nostro Parco, pur nella modestia della sua esperienza,
non mancano casi da citare come elementi di una microeconomia. Nel settore turistico, a fronte della fatica quotidiana a stare sul campo delle strutture tradizionali, riescono bene e con piena soddisfazione dei gestori alcuni rifugi alpini e campeggi.
Alcune strutture in tutto, però.
Abbastanza per individuare una tendenza?
Inoltre, se così fosse, quale può essere il limite quantitativo oltre il quale il flusso turistico nel parco può diventare dannoso?
Ed ancora, quale interazione con alberghi, impianti di risalita, industria della ricettività e del divertimento di tipo tradizionale?
Si tratta di nodi ancora non sciolti, che gli stessi programmi di sviluppo dei parchi devono affrontare.
Noto ancora che il nesso tra ecologia ed economia è ben presente sotto un profilo "negativo" quando si tratta di imprese che producono inquinamento, creando diseconomie esterne per la collettività, per compensare le quali, riparando ai danni, c'è chi propone tasse ambientali; ma lo è molto meno in senso positivo. Il concetto di "esternalità"- di cui parla anche Barry Commoner facendo l'esempio di come una villetta ai margini di un parco aumenti il proprio valore godendo, dall'esterno, degli effetti benefici della tutela che quindi favorisce, in un certo senso, una transazione economica- non sembra quello che fa scattare meccanismi di riconversione economica.
Per quanto ci riguarda, alcune idee stanno già maturando e sono alla base del nostro programma di sviluppo, la cui finalità è costituire un polo di sviluppo ecosostenibile: il parco area pregiata e nota, in cui sono esaltate le qualità ambientali. I passaggi fondamentali del programma di sviluppo

  • 1. Protezione e tutela - qualità essenziale
  • 2. Cura del paesaggio, della bellezza estetica, dell'immagine, del particolare
  • 3. Valorizzazione e riproposizione del patrimonio storico e culturale - qualità complementari
  • 4. Favorire lo sviluppo di nuove culture professionali ed imprenditoriali - obiettivi finali
  • 5. Favorire lo sviluppo di una microeconomia locale integrata nella macroeconomia ambientale. Gli strumenti sono:
    • Ente parco come agenzia permanente per lo sviluppo sostenibile
    • Gruppo di lavoro (Centro studi) nazionale sull'economia dei parchi - Stage/tavola rotonda
    • Coordinamento intersettoriale degli interventi pubblici e dell'azione congiunta pubblico-privato. E indispensabile un grande sforzo del settore pubblico e degli operatori privati.
      Sulla base della diversità, riconosciuta ai parchi, occorre programmare un nuovo tipo di economia quanto meno in queste aree, comunque ad iniziare da esse. Ci vogliono risorse pubbliche, non necessariamente aggiuntive, ma più opportunamente riconvertire da altri settori per riequilibrare.
      Occorre un programma concordato con l'impresa privata, che spenda anch'essa risorse in questa direzione. Certo non si può fare tutto nei parchi. Un parco non è un'isola a sé stante, una specie di Eden, modello di vita felice e irripetibile. E velleitario pensarlo. Al parco, ed al suo ente di gestione, compete un ruolo di agenzia per lo sviluppo sostenibile, che propone un sistema ed un ambito nel quale possono svilupparsi le attività economiche proprie di un'area protetta.

* Presidente del Parco del Gigante