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Nelle Marche è in vigore dall'agosto scorso una legge regionale, la 34/92, che disciplina il sistema della pianificazione territoriale tenendo conto del nuovo ruolo che in questo campo è assegnato alle Province dalla L. 142/90; le nuove norme, tra l'altro, regolamentano la formazione dei piani territoriali di coordinamento provinciali, ed attribuiscono alle Province il compito di approvare sia i piani comunali che gli stessi piani provinciali, sui quali alla Regione compete soltanto il giudizio preventivo di conformità col proprio Piano di Inquadramento Territoriale.
E noto, inoltre, che nelle Marche, è stato istituito da qualche anno, dopo vicende molto travagliate, il Parco Regionale del Conero; sull'area di questo Parco è vigente un Piano Paesistico che, pur essendo stato originato dalla Legge Galasso, ha tutte le caratteristiche per essere anche un buon Piano di Parco, tanto che la legge-quadro in discussione prende atto della circostanza e conferisce al Piano Paesistico del Conero anche il valore, a tutti gli effetti, di Piano del Parco.
Il Piano del Conero ha una struttura normativa articolata, come è consuetudine ormai prevalente in questo tipo di piani, secondo tre ordini di prescrizioni: quelle relative ai sottosistemi tematici (botanico, geologico-geomorfologico, faunistico, agricolo, storico-culturale), quelle relative alle zone omogenee, che sono le unità minime dell'articolazione normativa, ed infine quelle relative agli ambiti e sub-ambiti fisiografici, che rappresentano, invece, le grandi partizioni strutturali del territorio del parco.
A questa struttura si sovrappongono i progetti di tutela e valorizzazione, che sintetizzano i suggerimenti che il Piano dà in merito agli interventi principali da attuare e che rappresentano, insieme alla stessa dichiarata unificazione della normativa urbanistico-territoriale con quella paesistico-ambientale, il tentativo di risolvere l'antico problema di coniugare le azioni di salvaguardia
con quelle di valorizzazione.
Il fatto che il Piano del Conero sia un buon piano è utile per evidenziare alcuni limiti di carattere generale impliciti anche nelle esperienze di pianificazione più interessanti finora compiute e per svolgere alcune riflessioni sul rapporto tra pianificazione delle aree protette e sistema complessivo della pianificazione territoriale.
La prima riguarda la delimitazione dell'area: il Piano, per un insieme di ragioni che attualmente sembrano insuperabili, ha per oggetto un'area i cui confini sono determinati secondo criteri ormai datati (risalgono, infatti, alla L. 149/39); un' area, comunque, concepita come separata dal resto del territorio, in quanto luogo privilegiato, sede di particolari valori: questa divisione del territorio tra parti da sottoporre a specifiche condizioni di tutela e parti destinate alle trasformazioni, e che, di fatto, sono ritenute meno bisognose di forme di controllo rigoroso, è oggi sottoposta a cospicue e fondate critiche.
La seconda riflessione riguarda lo spettro dei fenomeni che sono presi in considerazione dal Piano: nonostante l'accento posto sulle azioni di "tutela e valorizzazione" e nonostante il programmatico, corretto, superamento della distinzione tra normativa urbanistico-territoriale e normativa paesistico-ambientale, il Piano rimane ancorato alla considerazione degli aspetti fisici del territorio, secondo la tradizione disciplinare finora dominante che porta a sottovalutare il complesso intreccio di fattori (socio-culturali, antropologici, oltre che economici e di altra natura) che nella realtà condizionano i modi d'uso del territorio e la possibilità di governarne le trasformazioni.
Infine, per quanto riguarda il rapporto con gli altri piani, il Piano del Conero è inserito, nè poteva allora farsi altrimenti, in un ordine gerarchico che vede il Piano di livello regionale sovrastare sui Piani Territoriali d'Area (secondo la legge regionale 26/87, ora abrogata) e questi ultimi prevalere sui piani comunali.
Con l'entrata in vigore della legge regionale 34/ 92 e con la legge-quadro sui parchi si stanno ora concretizzando nelle Marche le condizioni per tentare di superare almeno alcuni di questi limiti, in primo luogo attraverso l'integrazione dei piani dei parchi nel P.T.C. delle Province.
Infatti è coi P.T.C. che si potrà correttamente affrontare il tema dei rapporti dell'area "privilegiata" del parco non solo coi territori contermini (per questo il P.T.C. sembra essere la sede appropriata per la corretta individuazione dei confini del parco), ma soprattutto con l'ambito territoriale più vasto: quello nel quale, tra l'altro, si evidenziano le "regole insediative" che hanno guidato, nel tempo, l'uso e le trasformazioni anche del territorio del parco. L'interpretazione di queste regole è la condizione necessaria per la appropriata definzione dei processi futuri di trasformazione del territorio (ivi compresa l'area del parco) e costituisce il compito principale del piano.
E ovvio, per inciso, che il termine "trasformazione" va inteso in senso lato e può comprendere anche un regime di apparentemente rigida conservazione: infatti, i fenomeni territoriali certamente non si sottraggono al principio di indeterminazione di Heisenberg, secondo cui anche la semplice osservazione modifica ciò che viene osservato attraverso l'interrelazione tra osservante ed osservato.
Le "regole insediative" sono individuate non solo in rapporto ad una dimensione territoriale adeguata, ma, soprattutto, in rapporto alla complessità dei fattori che si combinano sul territorio; da esse possono scaturire utili indicazioni su come attuare una pianificazione che tenga conto, ad esempio, dei modi di vita attuali e futuri degli abitanti ed, in definitiva, su come rendere credibili e concrete le ipotesi di valorizzazione delle risorse naturali.
Ancora, le "regole insediative", proprio per la loro natura non direttamente "fisica", non possono costituire il tramite per una relazione non gerarchica tra i diversi livelli della pianificazione (regionale, provinciale, comunale), ponendosi come il comune punto di riferimento. Il passaggio dall'uno all'altro dovrebbe essere regolato dal principio della complementarietà e dell'interazione continua e reciproca, per cui ogni livello del piano contribuisce alla definizione complessiva delle scelte con propri contributi specifici e necessari.
Il piano dell'area protetta si inserisce in questo sistema con caratteri suoi propri, ad una scala che generalmente è superiore a quella del Comune ed è inferiore a quella della Provincia..
Purtroppo questa scala della pianificazione non è esplicitamente prevista nella legge regionale 34/ 92: in attesa di una modifica di questa legge che tenda ad accogliere nella sua architettura questi piani di livello intermedio, è opportuno che sia la stessa legge-quadro sui parchi a conferire ai piani delle aree protette il necessario grado di integrazione col P.T.C. delle Province. Anche la fase comunale della pianificazione, in omaggio al citato principio dell'interazione reciproca tra i piani, dovrebbe essere concepita in termini di contributo alla progettazione e non più come mero adeguamento a posteriori alle prescrizioni dei piani "sovraordinati".
E' evidente, dall'insieme di questi ragionamenti, quale sia il soggetto istituzionale che appare legittimato ad approvare il piano dell'area protetta: infatti non può essere altro che la Provincia, titolare a tutti gli effetti, a norma della legge 142 e, nelle Marche, della legge regionale 34, del compito di pianificazione in area vasta, ovverosia del compito di operare in quella dimensione del piano nella quale emergono le "regole insediative" . Anche nel caso di aree protette estese su territori di due Province, l'approvazione da parte della Regione dovrebbe, comunque, essere preceduta dal giudizio di congruenza col proprio P.T.C. espresso da ciascuna Provincia.
* U.P.I. Marche |