Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 12 - GIUGNO 1994


OSSERVATORIO INTERNAZIONALE
a cura di Giovanni Valdré *

Africa: 'allarme rosso" dell'Iucn per i grandi parchi e le aree umide

Le aree umide protette dei fiumi Limpopo nell'Africa australe e del Save Sabi dello Zimbabwe, note per l'eccezionale ricchezza della loro biodiversità e per il valore degli habitat che le costituivano, oggi non esistono più e i due grandi fiumi sono ridotti a miseri corsi d'acqua stagionali, che non sboccano nemmeno più nell'Oceano Indiano, perché si seccano per via.
Forse questo fenomeno esprime nel modo più efficace la catastrofe ecologica che si sta abbattendo in maniera drammatica e forse irreversibile sull'assetto idrologico di un continente che sembra lontano ed estraneo dai destini ambientali del nostro Paese, ma che invece lo coinvolge direttamente, così come è stato sostenuto e dimostrato nel corso della XXXIV sessione di lavoro della commissione Iucn per le aree protette del Nord Africa e Medio Oriente dell'ottobre del 1992, ospitata dal Parco dell'Etna.
I fiumi africani e le zone umide ad essi adiacenti costituiscono un fattore vitale per l'avvenire economico e per la stessa sopravvivenza della comunità umana dell'Africa che vive per circa il 70% di agricoltura o di pesca. Ma la portata dei grandi corsi d'acqua come il Nilo, lo Zambesi, il Chari-Logone, negli ultimi dieci anni si è fortemente ridotta, modificando il clima, con sempre meno pioggia ed un tasso di evaporazione più alto e con il conseguente progredire del processo di desertificazione.
Se la Conferenza internazionale di Dublino del gennaio 1992 ha previsto che nel corso dei prossimi decenni il "problema acqua" diverrà critico nella maggior parte delle regioni del mondo, in Africa questa emergenza si impone già in tutta la sua drammaticità, tanto da essere posta tra i problemi prioritari planetari dell'Iucn che ha promosso il "Programma di salvezza per le zone umide africane", coinvolgendo in esso i governi
locali e la commissione internazionale per i parchi nazionali ed aree protette.
Sono state condotte già approfondite ricerche interdisciplinari che hanno evidenziato come cause determinanti dell'alterazione degli equilibri idrici dell'Africa sono l'errata politica di gestione ambientale e l'esplosione demografica.
Patrik Dugan, coordinatore del programma delle zone umide, riconosce che il problema della minaccia di desertificazione dei parchi e delle riserve umide africane è un aspetto della situazione idrica generale-«il nostro pianeta non dispone di sufficiente acqua dolce e l'uomo non può continuare ad usare tale risorsa come ha fatto generalmente sino ad oggi. Noi dobbiamo modificare la politica di gestione delle risorse idriche non solamente in Africa, ma a livello mondiale»-; tuttavia sostiene che «quello africano è un problema prioritario».
Sotto accusa è la politica di gestione dei bacini idrici che ha privilegiato la realizzazione di grandi dighe e di colossali sistemi di irrigazione che praticamente hanno segmentato tutti i principali fiumi africani, li hanno regimentati e depauperati delle aree di allagamento secondo una strategia di sviluppo economico e sociale promossa dai Paesi sviluppati.
La diga dell'Akosombo in Gana è alta 115 metri, lo sbarramento sul Lago Volta ha creato il più grande bacino artificiale del mondo di ben 8.482 km2, il lago Nasser in Egitto si estende su una lunghezza di-Km. 575.
Il progetto Zaire-Ciad-Niger, che aveva per obiettivo l'irrigazione della regione arida del Sahel prevedeva di utilizzare le acque dello Zaire che si trova a una distanza di 1.300 km.
Queste ciclopiche e costosissime opere non hanno valutato le conseguenze dell'impatto ambientale né rispettato i cicli naturali, tanto che a distanza di alcuni decenni gli studi evidenziano come i risultati di una tale politica d'urto siano nella gran parte deludenti, anche perché la maggioranza dei progetti «non disponeva di sufficienti
dati e conoscenze sull'area di progetto» (AQ. T. Salau 1982).
La realizzazione di queste grandi opere, oltre ad indebitare gli Stati africani, ha alterato l'assetto idrologico del continente: si sono ridotte le aree di allagamento stagionale dei grandi fiumi (5.000 Km2 nel Senegal, 6.000 nel Niger, 90.000 nel Ciad pari a due volte la superficie della Svizzera), modificato gli habitat con gravi conseguenze al patrimonio della flora e della fauna, variato il clima e la media delle precipitazioni, senza che si realizzasse l'atteso miracolo economico.
Anche i parchi e soprattutto le riserve naturali umide hanno sofferto per le scelte gestionali infelici: basti pensare al faraonico progetto, fortunatamente non compiuto, che prevedeva il prosciugamento del sistema paludoso del sud che si estende per 18.000 Km2 nel Sudan, una delle aree umide più importanti nel mondo, per tentare di alzare, attraverso un canale lungo 360 Km., il livello del Lago Ciad, operazione giudicata oggi del tutto velleitaria.
Sostiene William Adam docente all'Università di Cambridge che «... non è il principio di pianificazione integrata della risorsa acqua che è la causa dei danni prodotti, ma è il carattere grandioso dei piani che così spesso sono stati proposti».
Le ricerche dell'Iucn ripropongono, oggi, altre filosofie di sviluppo e di gestione ambientale, come quella che fu elaborata dal geografo scozzese Dudley Stamp che sosteneva di non alterare le tecniche elementari dell'agricoltura tradizionale africana, convinto che questa praticava già un sistema agricolo che, con marginali correttivi, «offriva una protezione quasi completa contro l'erosione del suolo ed il livello di fertilità».
Poiché il fenomeno degli allagamenti in corrispondenza delle piene stagionali dei fiumi e le vaste aree umide offrivano agli africani una vasta gamma di risorse naturali rinnovabili ed un servizio "gratuito" all'economia locale, gli indirizzi gestionali che si vanno configurando sono quelli di un abbandono della politica delle grandi opere ed il ritorno ad un uso del territorio rispettoso
dei cicli naturali e conforme alle tradizioni ed alla cultura dei popoli africani.
I grandi parchi e le riserve naturali umide, così come sono stati danneggiati dalla sconsiderata politica delle grandi opere, vedono oggi, in una strategia di sviluppo economico-sociale più rispettosa dei valori ambientali, una prospettiva di recupero dei primitivi valori e della ricchezza della biodiversità.
Ma con ogni probabilità anche le buone intenzioni dell'Iucn non sortiranno l'effetto sperato in quanto sul continente africano grava una più grave minaccia che tende a banalizzare ogni strategia ambientale: l'esplosione demografica, definita da Francois Ramade, docente di ecologia generale alla Sorbona, come la più grave catastrofe ecologica che oggi l'umanità deve affrontare.
Tra il 1960 e il 1990 la popolazione africana è raddoppiata arrivando a 450 milioni di individui; gli esperti prevedono che essa raddoppierà ogni 21 anni, superando il miliardo entro il 2010.
Questo incremento demografico, se non subirà flessioni, avrà un impatto incalcolabile sulla risorsa acqua, indispensabile alla sopravvivenza e allo sviluppo delle popolazioni, in un continente semi arido, con una pluviometria capricciosa ed un mosaico d'ecosistemi fragili.
Accanto al dramma delle popolazioni si avrà quello degli irripetibili, unici, preziosi sistemi naturali dei grandi parchi che non solo appartengono all'Africa, ma costituiscono soprattutto il bene più prezioso del patrimonio mondiale.

Bibliografia

- Adam W., Wasting the rain, Eartscan Londra, 1992.
- Dugan P. J., La conservation des zones humides, Iucn Gland, 1990.
- Iucn, Sauver la Planète, Iucn Gland, 1991.
- Ramade F., Catastrofi ecologiche, Mc Graw-Hill, 1989.
- Scudder e Thayer, The African Experience, Westview Boulder, 1993.