PARCHI | ||
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali NUMERO 12 - GIUGNO 1994 |
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L'ente e la comunità del parco: la gestione delle aree protette dopo le leggi 394 e 142 Renzo Moschini |
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La nascita dei nuovi parchi nazionali e la discussione e attuazione della nuova legislazione regionale sulle aree protette sta rinfocolando in più di un caso diffidenze e timori nei confronti dei nuovi organi di gestione delle aree protette, che è bene non ignorare. In effetti la legge 394 ha introdotto su questo punto innovazioni di grande portata istituzionale, rispetto anche alle più "avanzate" e recenti sperimentazioni regionali, e non soltanto, come è ovvio, delle vecchie gestioni ministeriali dei parchi storici. Al nuovo ente parco è affidata infatti la titolarità degli atti fondamentali di programmazione e gestione dell'area protetta. Nel caso dei parchi nazionali la composizione dell'ente è stabilita direttamente dalla legge 394, mentre per quelli regionali essa è demandata alla legislazione regionale che potrà non ricalcare alla lettera le disposizioni nazionali, ma che dovrà comunque riconoscere all'ente ampi poteri di gestione. D'altronde è noto che gli enti consortili ai quali nella maggioranza dei casi era affidata la gestione dei parchi regionali erano già, sebbene non sempre e non dappertutto, titolari delle più importanti funzioni di programmazione e di gestione dell'area protetta. Il che spesso aveva dato luogo a tensioni con gli enti locali i quali però disponevano di un potere di interdizione così forte che in diversi casi avevano potuto bloccare, ad esempio, quei piani territoriali dei parchi che non risultavano del tutto graditi. L'ente parco previsto dalla 394 avrà invece più forza e autonomia nei confronti degli altri soggetti istituzionali. Da qui l'emergere di quelle diffidenze a cui facevamo cenno da parte degli enti locali, che temono di essere scavalcati o parzialmente espropriati di un potere delicatissimo quale è quello del governo del territorio. Tali preoccupazioni, talvolta sicuramente amplificate da una ancora scarsa dimestichezza con le nuove norme, sembrano trovare alimento e qualche giustificazione in quelle Regioni dove si è previsto nelle leggi regionali in discussione il ricorso all'ente regionale di tipo "strumentale". Il lessico, si sa, conta e parlare di ente strumentale regionale suscita comprensibili sospetti negli enti locali, i quali temono la subordinazione ad organismi "burocratici" non elettivi. Una cosa infatti sono gli enti "strumentali" ai quali la Regione in base al proprio statuto può ricorrere per la gestione di competenze proprie che non si ritiene possano o debbano essere delegate o trasferite ad altri soggetti istituzionali, ben altra e diversa cosa sono invece gli enti parco i quali debbono garantire una partecipazione non subalterna degli enti locali, non soltanto in quanto destinatari di funzioni delegate, ma anche quali titolari di competenze e funzioni amministrative proprie che debbono raccordarsi ed integrarsi con quelle regionali e statali. Se poi si tiene conto che c'è chi ascrive tra i meriti maggiori della legge 394 quello di avere finalmente "ridimensionato" i poteri degli enti locali considerati-certo non sempre a torto-poco amici dei parchi, è chiaro che le diffidenze sono destinate ad aumentare. Anche per questa via torna perciò a riproporsi il mai risolto (e mai risolvibile una volta per tutte) problema del consenso: se un parco, cioè, può essere istituito e soprattutto gestito senza o contro la volontà dei cittadini, di cui in definitiva gli enti locali elettivi sono i più diretti (sebbene non esclusivi) rappresentanti. Qui non intendiamo però riaprire o riprendere un discorso antico di cui ci siamo peraltro occupati in altre occasioni. Vogliamo invece soffermarci sull'aspetto più specificamente istituzionale della questione che finora non ci sembra sia stato sufficientemente considerato e approfondito. Per farlo dobbiamo riferirci ovviamente alle due leggi più volte ricordate, la 142 e la 394. Con la prima-ed è bene ricordare subito che essa riguarda la ripartizione e ricomposizione dei poteri regionali e locali, a differenza della seconda che tocca l'insieme dei poteri dello Stato ornamento-le Regioni e gli enti locali sono chiamati ad operare soprattutto un riassetto delloro funzioni e delle forme di gestione associata delle stesse. Il tutto all'insegna di una maggiore efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa a cui mirano appunto le forme nuove e più moderne di gestioe della cosa pubblica: aziende, S.p.A., nuovi ) consorzi, eccetera. L'ente locale, per poter rafforzare e qualificare il suo ruolo di governo, deve perseguire simultaeamente due obiettivi; una più diretta e autonorma responsabilizzazione degli apparati ed uffici amministrativi rispetto agli organi politici, la ricerca di nuovi e diversificati strumenti di gestione che, a seconda della tipologia dei servizi e delle attività, accresca comunque la loro autonomia funzionale anche con il ricorso a modelli già collaudati nel settore privato. E' l'inizio di una svolta destinata a incidere profondamente nella vita degli enti locali, nel loro modo di lavorare e di entrare in rapporti con i cittadini. Infatti questa variegata tipologia di strumenti opererà nei settori più diversi: servizi pubblici essenziali come i trasporti, l'igiene pubblica, l'energia e così via. Attraverso queste nuove forme di gestione previste dalla 142, insieme alla possibilità di ricorrere alla chiamata diretta di tecnici qualificati delle nuove giunte comunali e provinciali prevista dalla nuova legge elettorale per l'elezione dei sindaci e dei presidenti delle Province, si è inteso evidentemente "spoliticizzare" al massimo la gestione amministrativa assicurando al tempo stesso una robusta iniezione di professionalità nelle sue strutture. Dobbiamo chiederci ora in che modo e in quale misura il tema parchi si colloca in questo nuovo contesto politico-istituzionale. Prima però è opportuno, ai fini del ragionamento che intendiamo sviluppare, ribadire che la 394 diversamente dalla 142 ha investito tutti i rami dello Stato e non soltanto quelli più bassi. Essa infatti, ridefinendone la natura, ha collocato la competenza dei parchi nell'ambito dello Stato in quanto la "materia" non è riconducibile ai settori di competenza regionale (agricoltura o urbanistica a cui faceva riferimento il D.P.R. 616) bensì all'ambiente, o meglio "al patrimonio naturale del Paese". Questa "ricollocazione", ancorché sanzionata da una sentenza della corte costituzionale, è stata ribadita e confermata anche dalla commissione bicamerale per le riforme istituzionali che nel riscrivere l'art. 70 della Costituzione, in cui si fissano le competenze dello Stato, al punto 15 ha inserito la "tutela dell'ecosistema; beni culturali e naturali di interesse nazionale". Perché questa nuova "ripartizione" non desse luogo ai noti e deleteri fenomeni di contrapposizione, che ha indotto più volte la Corte Costituzionale ad invocare (poco ascoltata) il principio della "leale collaborazione", la 394 proprio all'art. 1 stabilisce che gli obiettivi della conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale vanno perseguiti in "forma coordinata" tra i vari livelli istituzionali. La legge non a caso prevede specifici strumenti e prescrive precise procedure volti a realizzare questo scopo: le intese, le conferenze di servizio a seconda che si tratti di effettuare le nomine, adottare i piani, eccetera. Anche la discussione sulle "competenze" e il ruolo degli enti locali, se non vogliamo incorrere in grossolani errori di valutazione, va collocata in questo nuovo contesto istituzionale e normativo. Con la 142 e la 394, che debbono essere considerate sempre in stretta connessione, gli enti locali vengono a disporre, per quanto riguarda le aree protette, di alcune funzioni e competenze proprie e di "corresponsabilità", o potremmo dire anche di "contitolarità", che non sono quindi esclusive, ma che debbono ugualmente essere salvaguardate e rispettate dallo Stato e dalle Regioni in quanto considerate norme di valore costituzionale. Anche le competenze specifiche, vedi gli art. 14 e 15 della 142 per quanto riguarda soprattutto le Provincie, perché possano concretizzarsi a tutti gli effetti, debbono trovare una precisa "collocazione" regionale sia in base all'art. 3 della 142 che all'art. 23 della 394, che rimandano non certo casualmente ad una "nuova" legislazione regionale. Da ciò ne consegue, tanto per fare un esempio, che anche un parco provinciale può essere istituito solo su territori non "occupati" da altri parchi nazionali o regionali, e che esso deve comunque trovar posto, diciamo così, nel piano regionale della aree protette, specialmente se intende, come è giusto, usufruire anche dei finanziamenti regionali che a loro volta si gioveranno di quelli nazionali. Insomma anche le competenze e le funzioni proprie degli enti locali e delle Provincie in particolare possono essere pienamente ed efficacemente esercitate soltanto a condizione che esse si raccordino con i poteri e la legislazione regionale. Se le cose stanno così è evidente che l'istituzione e la gestione dei parchi nazionali e regionali tocca anche responsabilità degli enti locali in quanto, come recita l'art. 1 della 394, la conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale va perseguita in "forma coordinata". La lettura contestuale delle due leggi (142 e 394) induce pertanto a far riferimento alla prima per quanto riguarda le novità introdotte sulle forme associative degli enti locali di cui le Regioni debbono tenere conto anche per ciò che attiene alla gestione di loro competenze e funzioni. Si tratta in sostanza di "spostare" verso il basso la gestione amministrativa evitando il più possibile il ricorso ad enti "strumentali" a carattere regionale, perché questa è la condizione indispensabile per "rimodellare" funzioni e competenze comunali, provinciali e regionali come vuole appunto l'art. 3 della 142. E ciò è tanto più necessario perché la legge 394 stabilisce che le Regioni possono istituire parchi regionali e riserve naturali utilizzando soprattutto e di preferenza i patrimoni forestali regionali, provinciali, comunali e di enti pubblici. Se con questa norma infatti si è inteso stabilire che le Regioni hanno uno spazio di manovra a tutto campo, ne consegue anche che in questi interventi esse debbono raccordarsi sempre più e sempre meglio con Provincie e Comuni nei cui territori ed anche "proprietà" si intende intervenire. Un punto questo che la legge 394 non ha affatto ignorato, prevedendo fra l'altro apposite conferenze tra Regione ed enti locali per definire tempi e modalità per l'istituzione dei parchi regionali. Ne risulta, come si vede, un sistema piuttosto complesso di strumenti e di procedure volti ad assicurare in tutti i casi, cioè per tutti i tipi di parchi, quella "forma coordinata", già richiamata. Un sistema che discende però, questo non dobbiamo perderlo mai di vista, da una nuova ripartizione delle competenze tra Stato, Regioni ed enti locali derivante dal fatto che la titolarità delle aree protette è stata ricondotta (con riferimento agli articoli 9 e 32 della Costituzione, i quali come sappiamo riguardano il "paesaggio" e il "diritto alla salute") a principi e valori a carattere generale e non competenze e materie settoriali. Ecco perché la legittima preoccupazione degli enti locali e specialmente delle Provincie di non essere tagliati fuori dall'istituzione e gestione delle aree protette non può appigliarsi ad una qualche competenza "esclusiva" che, come abbiamo cercato sia pure sommariamente di evidenziare, o non esiste o anche quando c'è riguarda sempre e in ogni caso anche altre titolarità soprattutto a carattere legislativo e programmatorio, dello Stato e delle Regioni. In questa situazione ricercare soddisfacenti ed efficaci "forme coordinate" di azione, muovendo da modelli e impostazioni di tipo "spartitorio", e in buona sostanza "gerarchico", può produrre soltanto conflitti dai quali peraltro potrebbero avvantaggiarsi, alla fin fine, soltanto i livelli "superiori", mentre deve affermarsi semmai il principio di "sussidiarietà". Principio in base al quale, a seconda delle situazioni concrete, prevarrà il ruolo non del soggetto gerarchicamente più forte ma di quello più idoneo e vicino agli interessi da tutelare. Ogni altra impostazione, ed intendiamo riferirci in particolare alle posizioni assunte, ad esempio, in Lombardia da alcune forze politiche nei confronti del Parco regionale del Ticino, le quali facendo leva in maniera distorta e strumentale sul ruolo dei Comuni e delle Provincie, mirano dichiaratamente a scardinare il sistema regionale di aree protette esistente, è in palese contrasto con la lettera e lo spirito della legge 394. La sortita della Provincia di Pavia è apparsa così provocatoria che persino la Lega Nord federale ha sentito il bisogno di "correggerla", ribadendo che in ogni caso proprio i confini del Parco sono una garanzia contro il processo di urbanizzazione in atto che consuma il territorio agricolo. Comuni e Provincie, contrariamente a quanto si vorrebbe maliziosamente e semplicisticamente accreditare, non sono "penalizzati" dalla nuova legislazione sulle aree protette e ancor meno lo saranno se specialmente le Regioni sapranno e vorranno avvalersi, rispettandole, sia della legge 394 che della 142. Il nuovo contesto nazionale e regionale entro cui gli enti locali sono chiamati oggi a muoversi richiede però una "riconsiderazione" del ruolo delle autonomie secondo parametri e concetti che in buona misura sembrano ancora poco presenti nel dibattito e nella iniziativa dei poteri locali. In effetti in talune situazioni, si prenda ad esempio la vicenda del Parco nazionale dell'Arcipelago Toscano, specialmente da parte dei Comuni ma in qualche caso anche da parte delle Provincie, sembra prevalere ancora una volta una risposta di tipo "negativo", vale a dire di pura e semplice "interdizione" nei confronti degli altri livelli istituzionali; Regione e Stato. Un ruolo questo, è doveroso ricordarlo, che già in passato ha mostrato tutti i suoi limiti, collocando spesso gli enti locali in una posizione di critica sfuocata e sterile nei confronti del "centralismo", quando non si accompagna ad una chiara ed effettiva capacità propositiva. Oggi, rifiutare per "principio" proposte e ipotesi solo perché "centraliste", ossia perché provenienti dagli organi dello Stato (o della Regione) sulla base di leggi nazionali, sulle quali, secondo interpretazioni di comodo e sovente demagogiche, dovrebbero decidere "esclusivamente" le popolazioni locali, mostra ancor più la corda. I parchi, tutti, nazionali, regionali, provinciali e locali possono e debbono nascere ed essere gestiti oggi soltanto sulla base di un concorso di più livelli istituzionali e di varie rappresentanze sociali e culturali, attraverso procedure chiaramente fissate dalla legge proprio per "garantire" il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati. In nessun caso è previsto che a decidere sia un solo livello istituzionale. Continuare pertanto, come da più parti si sta facendo, a liquidare proposte, discutibili certo, ma proprio per questo da discutere e non da respingere in blocco solo perché "statali", e come tali perciò considerate "centralistiche", può incontrare indubbiamente il consenso di chi spesso grossolanamente si oppone talvolta frontalmente, in altri casi in maniera meno scoperta ai parchi, difficilmente però farà assumere agli enti locali un ruolo costruttivo. A questo livello infatti il "localismo" esasperato, cioè incapace di interloquire con gli altri soggetti istituzionali, assemblerà alla rinfusa quanto di più ambiguo, rozzo e mistificante si muove contro una politica di tutela che in tutta Europa e dalla Comunità europea viene perseguita con rinnovato vigore. Colpisce infatti nelle posizioni di certi enti locali l'assoluta mancanza di percezione di cosa rappresentino oggi le politiche di protezione non soltanto nel nostro Paese, nella prospettiva di una riconversione della economia italiana e continentale; della tutela appunto come opportunità ed occasione di uno sviluppo di tipo diverso. E singolare ma altamente illuminante che proprio dove più forte è la protesta contro le proposte dello "Stato" (o delle Regioni) per le quali si chiedono anche referendum a raffica, più fragile o del tutto assente è una qualsiasi "controproposta" degli enti locali, i quali sanno solo ripetere il loro "no" al parco, senza riuscire ad avanzare serie e credibili ipotesi alternative o correttive. In questo modo gli enti locali, lo vogliano o no, anziché protagonisti di una iniziativa capace di farsi carico, nella realtà locale, di esigenze e valori generali nuovi che segnano profondamente la nostra epoca, si trovano, e sempre più si troveranno, a svolgere una funzione di "freno", all'insegna di slogan (vedi quelli sulla "mummificazione" del territorio, sui divieti che bloccano tutto, il territorio è nostro e guai a chi ce lo tocca e così via) che sempre più malamente riescono a nascondere innanzitutto una sconcertante disinformazione su cosa sono i parchi oggi e su che cosa prevede la legge al riguardo. Non rende assolutamente più credibile e nobile questa battaglia di retroguardia la denuncia martellante dei pericoli del "centralismo" e il richiamo monotono dei valori "autonomistici", che mai come in queste circostanze appaiono per quello che sono: una via di fuga per non misurarsi con coraggio e competenza con i problemi politici e culturali nuovi, con i quali tutto il sistema istituzionale del nostro Paese, autonomie locali per prime, deve fare i conti. Non sorprende perciò che questo virulento ritorno di fiamma contro il "centralismo", di cui sarebbe gravemente affetta la legge 394, sia solitamente accompagnato da rozze e incredibili semplificazioni e approssimazioni sulle finalità e le norme di una legge che almeno gli amministratori dovrebbero e conoscere, specie quando intendono giudicarla e contestarla, e di eui talvolta rivendicano confuse e imprecisate modifiche. Con ciò non si intende evidentemente sostenere che la legge sia intoccabile o che gli atti del ministero siano esenti da errori, talvolta persino sconcertanti, come è accaduto specialmente nella prima fase di emanazione dei decreti di perimetrazione provvisoria. Si vuole molto più semplicemente dire che gli errori ministeriali vanno contestati per quello che sono, facendo ricorso ed avvalendosi pienamente degli strumenti e delle procedure previste dalla stessa legge 394 che offre già oggi ampi spazi alla iniziativa degli enti locali. Sotto questo profilo colpisce in particolare il silenzio non solo sulle "procedure" garantiste previste dalla 394, ma soprattutto sul carattere e il ruolo del nuovo ente parco ed anche della comunità del parco che è organo del tutto inedito. Con l'ente parco regionale (ma anche con quello nazionale) gli enti locali sono chiamati per la prima volta ad assumersi una responsabilità diretta e collegiale nella designazione dei propri rappresentanti. I designati infatti dovranno avere comprovate competenze (per i vecchi consorzi questo non era richiesto) e rappresentare non i "singoli" enti, ma la "comunità" del parco. Si dovrà in sostanza indicare una "squadra" che nell'ente dovrà misurarsi e confrontarsi con le altre rappresentanze sociali e culturali. Al tempo stesso i "titolari" dei Comuni e delle Provincie (sindaci e presidenti) faranno parte della comunità del parco chiamata non solo a "controllare" il lavoro dell'ente parco ma soprattutto ad avanzare proposte e programmi che sappiano integrare, raccordare gli impegni del parco con quelli "ordinari" degli enti locali, che anche in questo caso sono tenuti ad agire "collegialmente" e non più singolarmente, secondo logiche particolaristiche e di campanile. Proprio per questo, della Comunità non debbono far parte, a differenza dell'ente di gestione, soggetti diversi da quelli istituzionali. Ora quel che stupisce, stando a quanto le polemiche richiamate ci consentono di valutare, è che a queste importanti novità istituzionali e culturali quasi nessuno, a livello delle amministrazioni locali, faccia riferimento. Sorprende perché proprio in queste novità è sicuramente l'antidoto più efficace contro quei rischi che parecchi polemicamente paventano, ma che proprio la legge tanto bistrattata oggi consente di fronteggiare. In particolare ci sembra opportuno mettere l'accento su un punto che meriterebbe sicuramente maggiori approfondimenti, al quale vogliamo dedicare qui solo qualche notazione. Il fatto che per i parchi oggi siano previsti (ed è probabilmente l'unico caso tra le tante e diverse forme di gestione previste dalla legislazione vigente per la gestione associata delle attività degli enti locali) due organismi e non uno, sia pure con un grado differenziato di responsabilità, consente di guardare all'ente parco non come ad un "altro" ente locale al quale sono assegnati compiti in qualche modo "sottratti" a Comuni e Provincie. Al contrario, l'ente parco per composizione e competenze si configura quale organo "specializzato" in quella particolare e complessa gestione dell'area protetta. Un organo al servizio di "tutte" le istituzioni elettive operanti nel territorio. Non un ente quindi "altro" e pertanto "concorrente" degli altri enti locali, ma al loro esclusivo servizio. Un ente che sarà tanto più idoneo ad assolvere questa delicata funzione di "servizio", quanto più gli enti locali e le associazioni rappresentative e culturali saranno stati capaci di affidarlo in mani sicure, dotate di adeguate competenze e professionalità. Il parco, in quanto strumento "eccezionale" di tutela deve essere gestito infatti sulla base di precise competenze tecnico-scientifiche e non sulla base di criteri "politici" ai quali deve invece ispirarsi l'operato dei Comuni, Provincie, Regioni e Stato. Il parco, si può dire, sta alle istituzioni come le soprintendenze stanno allo Stato e alle Regioni, come l'azienda di trasporto sta al Comune e alla Provincia. L'area protetta oggi, al pari e più di altre attività e servizi per i quali la legislazione più recente (vedi fra le ultime la legge Galli sulle acque) rimanda a gestioni a scala quasi sempre sovracomunale e non di rado interprovinciale, agisce per tipologia di problemi e dimensione territoriale su di una scala in cui convergono più livelli istituzionali. Pretendere specialmente in questo caso, in cui si tutelano come abbiamo visto "valori" e interessi di portata non "locale", sui quali sempre più si interviene a livello sovranazionale (si pensi alle direttive e ai regolamenti comunitari in agricoltura, ambiente, eccetera)-che l'ultima parola spetti esclusivamente e definitivamente ai "residenti" è semplicemente una schiocchezza. Se il destino dell'Amazzonia riguarda oltre agli indios anche noi, non si vede perché il futuro dell'Arcipelago Toscano non riguardi oltre agli elbani e ai residenti di Capraia o del Giglio anche i non toscani e Roma. Perché questo intreccio di interessi locali e generali possa equilibratamente convivere con reciproci vantaggi occorre appunto che l'ente chiamato a gestire l'area protetta abbia quei requisiti di competenza e professionalità che anche sotto questo profilo possono essere assicurati attingendo e ricorrendo a diverse provenienze specialistiche, la cui unica o più qualificante prerogativa non può consistere davvero nell'essere del "posto". Non si capirebbe perché un'azienda o un Comune o una Provincia o una Università possono avvalersi di tecnici ed esperti nazionali e ciò dovrebbe fare scandalo nel caso di una area protetta, specie se a carattere nazionale o regionale. Proprio in quanto ente "specializzato", al servizio delle istituzioni, il parco non solo può, ma deve potersi avvalere di apporti non solo locali. Solo così esso può garantire un "servizio" qualificato agli enti locali, alla Regione e allo Stato. In caso contrario avremmo un "servizio" meno qualificato, anche se esso potrebbe apparire più "fidato" secondo logiche però i cui effetti perversi abbiamo pesantemente scontato in tanti rami della pubblica amministrazione. Tanto ciò è vero che all'ente si è voluto (e deve pur significare qualcosa, anche se in genere si continua a non parlarne) affiancare un altro organo: la comunità del parco. Una scelta che non avrebbe avuto alcun senso se l'ente parco non avesse appunto quelle caratteristiche di organo "specializzato" a cui facevamo cenno. Se l'ente di gestione avesse quei caratteri di "politicità" che taluni temono non si giustificherebbe in alcun modo la creazione di un altro organo chiaramente di natura politica che risulterebbe palesemente un doppione. La comunità del parco invece si giustifica ed ha una funzione che naturalmente, al pari di quella di altri nuovi organismi previsti ad esempio dalla 142, ha bisogno della verifica sul campo. Una verifica che richiede però da parte degli enti locali, delle Regioni e dello Stato di guardare alla gestione dei parchi con occhiali nuovi ai quali ancora in troppi sembrano preferire quelli vecchi che evidentemente rendono l'immagine confusa e distorta. |