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Sulla caccia a ruota libera
Attizzate da ripetute "provocazioni" governative in cui si sono distinti oltre al solito, l'ineffabile ministro dell'ambiente e il ministro dell'agricoltura, sono riprese scoppiettanti come gli incendi estivi le polemiche sulla caccia.
A renderle più pepate ci ha pensato l'on Matteoli specializzatosi in queste sortite avventurose ed anche, secondo uno stile che sembra ormai connotare il comportamento di molti esponenti del nuovo governo, in mezze ritirate, smentite e precisazioni che però poco o nulla smentiscono e precisano, bensì confermano.
Così, dopo aver detto che per lui nei parchi si può cacciare si è assistito, dinanzi alle prevedibili, corali proteste, ad un goffo tentativo di "precisazione": non in tutti i parchi ma solo in alcuni si potrebbe prendere in considerazione questa eventualità. Qui non ci interessa seguire il ministro nelle sue spericolate manovre che al pari di quelle ben più gravi che riguardano altri settori hanno solo il merito di farci apparire anche nelle sedi internazionali e specialmente in quelle comunitarie come partners inaffidabili.
Vorremmo solo prendere spunto da questi comportamenti irresponsabili per rivolgere un amichevole invito alle associazioni venatorie a non farsi trascinare in una spirale polemica da cui anch'esse hanno tutto da perdere.
Abbiamo preso atto con piacere che, in particolare, alcune di queste associazioni non sono cadute nella trappola e si sono immediatamente pronunziate perché non siano stravolte le leggi 157 e 394.
In altre vediamo invece, anche da ripetuti appelli pubblicati sulla stampa, che si considera ancora essenziale per una adeguata soluzione dei problemi venatori una sostanziale modifica della legge-quadro sulle aree protette.
Noi, abbiamo avuto modo di dirlo in altre occasioni, non condividiamo questa posizione tanto più quando la si motiva con giudizi generali sulla legge assolutamente inaccettabili. E tuttavia non consideriamo naturalmente illegittime richieste di modifica, specie se consigliate da una prima sperimentazione della legge.
Ciò che vorremmo più modestamente discutere, a fronte di atteggiamenti inequivocabilmente volti a smantellare la legge sui parchi, è se è "opportuno" in questo momento mettere l'accento sulla necessità di modificare la 394 o se non è più ragionevole e sensato operare per applicarla al meglio, rinviando ad una successiva e meno convulsa fase politico-legislativa l'eventualità di correzioni e integrazioni migliorative.
Nel prossimo numero della rivista dedicheremo a questi temi uno speciale dossier con il quale ci ripromettiamo di dare un contributo ad un dibattito troppo spesso inficiato da "ideologismi" anche legittimi ma che finiscono fatalmente per irrigidire le rispettive posizioni e per alimentare polemiche senza sbocco.
Abbiamo voluto annunciarlo con un invito ad una pacata riflessione sui rischi ai quali si va incontro se non sarà sbarrata la strada ai "provocatori". (R.M.)
Se cacciatori e parco collaborano
Toma d'attualità la questione del rapporto fra attività venatoria e aree protette; un ritorno di cui forse si faceva volentieri a meno, almeno nei termini nei quali è stato riproposto dal ministro dell'ambiente e da alcuni commentatori.
Fortunatamente l'evoluzione che c'è stata sia nella legislazione che nell'esperienza concreta rende più difficile la strada a chi propugna ritorni al passato magari solo per spirito di rivincita. I parchi sono e potrebbero sempre più diventare luoghi e occasioni di "riconciliazione", non perché qualcuno vince a discapito di altri, ma in quanto cresce la consapevolezza che l'istituzione di un parco, il lavoro necessario alla sua gestione, il confronto che si apre e la sintesi che è necessario trovare, tutto questo è un investimento sul futuro che riguarda tutti.
Certo la storia ci ha insegnato che non esiste conquista definitiva, e che occorre essere aperti a nuove evoluzioni e a prendere in considerazione anche approcci culturali diversi.
Fuori dalle generalizzazioni e proprio su questo specifico tema, caccia-parchi, vale forse la pena di valutare l'esperienza maturata al Parco regionale Boschi Carrega (in provincia di Parma).
Questo territorio della pedecollina parmense, a pochi chilometri dalla città e circondato da zone ad alto sviluppo è stato il primo ad essere istituito come parco regionale dell'Emilia-Romagna, ormai da dodici anni. Il rapporto con l'attività venatoria è stato problematico come in tante altre realtà, con il particolare che qui il parco è intervenuto in una zona che per lungo tempo è stata riserva privata di caccia e in parte territorio a gestione sociale della caccia.
L' avvento del parco ha inoltre contribuito a modificare sostanzialmente la presenza faunistica in particolare per ciò che riguarda il capriolo e il cinghiale.
In onore al principio che nei parchi occorre fare "gestione faunistica" adeguata alle caratteristiche ambientali e territoriali, ci siamo posti il problema per la proliferazione della popolazione dei cinghiali e nella fase attuale per i caprioli.
Come è noto i parchi regionali, ed in particolare quelli di modeste dimensioni, hanno grandi problemi di risorse, umane e finanziarie, con un conseguente aumento delle difficoltà per svolgere le diverse attività gestionali e amministrative.
Quindi con poche risorse, una presenza notevole di cinghiali, per altro mai registrata in queste zone così basse, un forte incremento dei danni alla vegetazione e alle colture; abbiamo avanzato una proposta: coinvolgere i cacciatori nella gestione faunistica chiedendo loro di mettere la loro esperienza e la loro passione in sintonia con l'attività del parco.
All'inizio ovviamente non è stato facile soprattutto vincere la diffidenza verso un'iniziativa che, in qualche caso, è stata letta come una provocazione. Ciò nonostante, la volontà degli amministratori, l'impegno della direzione del parco e la disponibilità di settori autorevoli del mondo venatorio hanno consentito di tradurre in pratica tale proposta.
Il Consorzio del parco, la Provincia, insieme a quello che allora si chiamava Istituto nazionale biologia della selvaggina, hanno promosso un corso teorico-pratico rivolto ai cacciatori, alla fine del quale una ventina hanno ricevuto l'abilitazione di "selecontrollori" che, in sostanza, si traduce con collaboratori del parco per la gestione faunistica. Collaboratori preziosi che ormai da tre anni partecipano attivamente ai censimenti, ai piani di abbattimento del cinghiale, alla cattura dei caprioli.
Visti i positivi risultati di questa prima esperienza nel 1993 si è tenuto un secondo corso sulla gestione faunistica, in particolare del capriolo, che ha abilitato altri quindici cacciatori alla collaborazione con il parco.
In merito a quest'ultima esperienza è da sottolineare anche il riconoscimento di questi corsi da parte dell'Istituto nazionale della fauna selvatica, anche ai fini delle recenti normative regionali sulle attività venatorie.
Nel complesso si è trattato di un'esperienza molto positiva, che ha messo a confronto approcci culturali, necessità, comportamenti verso l'ambiente diversi tra loro, ma che hanno trovato la sintesi sull'importanza del rapporto fra uomo e territorio quale elemento essenziale per chiunque voglia perseguire obiettivi di tutela, conservazione e gestione dell'ambiente, almeno in zone così antropizzate. Un rapporto, tra l'altro, che richiede una grande disponibilità a mettere in discussione le proprie certezze e a comprenderne la complessità anche per evitare le banali polemiche o gli scontri "ideologici" o etici, sempre in agguato sul tema della caccia.
Questa esperienza, pure con i limiti che senz'altro contiene, fa riemergere un'altra questione ben più cruciale: i parchi per funzionare adeguatamente hanno bisogno di risorse, strumenti, normative, che siano in stretta connessione con il contesto generale; hanno bisogno di riconoscimento e autorevolezza che solo in parte si possono conquistare.
In tante occasioni si parla dei parchi come luoghi anche di sperimentazione: è vero, a patto che ciò non significhi una mera riduzione a laboratori.
Allora si può dire che i parchi, o meno asetticamente chi opera nei parchi, se ha condizioni adeguate può lavorare sull'evoluzione ambientale dimostrando come il parco può essere considerato una forma moderna di gestione territoriale. Lavorando insieme ai cacciatori, in taluni momenti si è convenuto che spesso il conflitto caccia-parchi viene usato strumentalmente o addirittura fomentato da chi ha tutt'altro interesse, in particolare da chi vuole un'omologazione del territorio e non è propriamente interessato a che si parli troppo dei parchi e del loro futuro. (Alfredo Peri, presidente del Parco regionale Boschi di Carrega)
Il parco è un Eden
Indagine qualitativa tra i turisti di Ovindoli
Vivere nel Parco significa vivere in luogo dove l'ecoturismo è il volano di uno sviluppo generale, i valori sociali sono esaltati, le condizioni di vita migliori, in piena e consapevole armonia con la natura. Così possono essere sintetizzate le aspettative dei turisti emerse dall'indagine svolta per delineare il profilo ed il vissuto di coloro che trascorrono le vacanze ad Ovindoli, paese abruzzese nel Parco regionale del Sirente Velino. L'indagine è stata promossa da Adventour Servizi Turistici di Ovindoli durante l'estate del 1993. I risultati sono stati presentati lo scorso dicembre alla comunità di Ovindoli, nella sala consiliare del Comune, capace a stento di accogliere tutti i venuti a conoscere i risultati di un tipo di ricerca mai fatta prima in Abruzzo.
Il Parco del Sirente Velino è divenuto una realtà nel luglio 1992 con la costituzione dell'Ente Parco. Perciò, indagando le opinioni su Ovindoli - prodotto turistico, è sembrato necessario capire anche come i turisti valutano questa nuova istituzione e, di conseguenza, quali sono le loro aspettative. Così nel piano di indagine sono state inserite alcune domande che potessero dare utili indicazioni in questo senso.
E' emerso che nei turisti non c'è una chiara idea di quale sia lo stadio di operatività in cui attualmente si trova il Parco. Le cause di questa confusione possono essere cercate in una non efficiente ed efficace informazione, ma soprattutto nel fatto che l'Ente Parco incontra innumerevoli ostacoli per divenire pienamente operativo. Suo malgrado, non riesce nemmeno a utilizzare i fondi a disposizione per darsi una organizzazione che gli permetta di funzionare e di cominciare a rendere visibile la sua esistenza.
Esiste, però, la convinzione, nettamente prevalente, che il Parco costituisce la premessa per un positivo sviluppo del turismo in tutta la zona. Quindi gli ospiti attuali riconoscono nella scelta della tutela ambientale il presupposto per rendere appetibile e competitiva 1 ' offerta turistica della località. Seguendo questa indicazione, la popolazione, ed in particolare gli operatori economici, possono operare per realizzare un futuro più prospero.
Nessuno dei turisti ritiene che il Parco possa influire negativamente sul turismo, mentre un quarto del campione non risponde o confessa di non avere le idee chiare. Le incertezze probabilmente potrebbero essere diminuite dando più dettagliate e complete informazioni sul moderno concetto di parco naturale e sul suo modello di sviluppo economico ecocompatibile. Dal complesso dell'indagine risulta, infatti, che nessun turista è contro il Parco. Le risposte date a due specifiche domande, delineano sia i motivi di scelta della località sia la sua immagine, attraverso il riferimento a fattori turistici naturali presenti nel territorio del Sirente Velino, mentre le strutture propriamente turistiche, i cosiddetti "fattori artificiali", sono totalmente ignorate.
Ma le risposte più interessanti vengono da chi ha indicato cosa si aspetta dall'attivazione del Parco. Quasi un terzo delle espressioni usate esprime l'idea che il Parco permetterà di conservare l'attuale patrimonio ambientale.
Altri, invece, si attendono uno sforzo teso ad incrementarlo. Viene manifestata anche l'aspettativa che il Parco possa consentire, a residenti e turisti, di apprendere e migliorare le proprie conoscenze sulle problematiche ecologiche, acquisendo maggiore consapevolezza e sensibilità a questi temi. Quasi a naturale corollario ed integrazione, viene esplicitamente prefigurato un incremento e miglioramento qualitativo dell'offerta di servizi ed attrezzature che permettano di conoscere e godere le attrattive ambientali-storico-culturali della zona. Ma i turisti prevedono anche che l'esistenza del Parco favorisca l'avvio di un processo di miglioramento e incremento dei servizi turistici generali. In pratica, i clienti-turisti avanzano già una domanda qualificata di servizi e strutture, specifiche e generali, che permetterà il sorgere di molteplici nuove iniziative imprenditoriali, offrendo ai residenti diffuse opportunità di lavoro. Accompagnatori di media montagna, guide naturalistiche e storico-archeologiche, animatori, addetti ai transfer, affittacamere e piccoli-medi albergatori, ristoratori, artigiani di attività tradizionali rivitalizzati da nuovo interesse, restauratori di antiche abitazioni, bioagricoltori e bio-allevatori, forestali, tutti potranno trovare lo stimolo verso un lavoro richiesto ed apprezzato da svolgere nel territorio di residenza. A queste si aggiungono le persone che troveranno impiego direttamente nella struttura del Parco. L'aspettativa forse più sorprendentemente manifestata dai turisti, è quella verso un migliore ordine civile-sociale che il parco consentirà di realizzare sul suo territorio. I turisti ritengono che, là dove c'è impegno nel tutelare l'armonia della natura e nel ripristinare gli equilibri violati, non ci possa non essere ordine e rispetto tra gli esseri umani. Si aspettano che qui si viva in pace, con regole certe, riconciliati con gli uomini, la propria storia e l'ambiente, in un contesto sociale di alta civiltà; e che qui le condizioni di vita possano essere di una qualità migliore, con il recupero di valori profondi ma anche con la conquista di agi prima sconosciuti. Insomma, i turisti sono consapevoli che il Parco potrà permettere di innescare un processo virtuoso che elevi realmente le condizioni di vita locale.
Infine, ribadiscono esplicitamente che l'istituzione del Parco movimenterà flussi turistici crescenti, fautori e moltiplicatori dei processi appena descritti. (Elio Torlontano, consulente in Marketing turistico, da Rerum Natura n. 6194)
Nel cuore del parco nazionale più grande d'Europa
A Matonti di Laureana Cilento è aperto il Museo di Storia naturale del Cilento, l'unico museo naturalistico della Campania, sorto per iniziativa di naturalisti cilentani.
La stessa scelta di collocarlo sulla fascia collinare rappresenta la coerenza di privilegiare lo sviluppo e la centralità delle aree interne: peraltro esso è a pochi chilometri da Agropoli e facilmente raggiungibile da tutta la costa.
L'orario estivo di apertura è 17-21 tutti i giorni, mentre di sabato e nei giorni festivi è aperto anche di mattina (10- 13): è possibile per gruppi e comitive prenotare anche fuori orario (tel. 0974/ 832577). Prezzo L.5.000 e per ragazzi L.3.000. Il museo sorprende il visitatore per l'ampiezza delle collezioni e la ricchezza delle varietà e dei diorami.
Suggestivo l'ingresso nel quale è collocata una grande quercia con esemplari di uccelli e della fauna del sottobosco; segue la sala di botanica con tavole botaniche della macchia mediterranea; le tre sale di omitologia espongono centinaia di esemplari (splendida la collezione dei rapaci, diurni e notturni).
Al secondo piano il diorama della palude, e a fianco la sala dei mammiferi: qui troneggia superbo il grande esemplare di cervo nobile nella posizione del bramito, con l'istrice, la lince, il cervo axis, il capriolo e il camoscio e altri esemplari di camivori e roditori. Segue il diorama della scogliera, di grande effetto per la naturalezza della rappresentazione (notevole la tartaruga marina); poi la sala marina con varie collezioni e quattro acquari mediterranei, in cui è estremamente suggestiva l'osservazione dei vari pesci e molluschi.
Le collezioni di geologia e di mineralogia, ricche di splendidi cristalli chiude la visita.
Sono oltre 1500 esemplari, un allestimento museo grafico sorprendente, che sicuramente sia chi è appassionato d'ambiente, ma anche il villeggiante sulla costa cilentana non vorrà escludere dai propri itinerari, anche perché in collina si può godere il fresco e visitare il paese.
Il Trentino si appresta a compiere un gravissimo passo indietro nel campo della tutela ambientale
La nuova Giunta provinciale intende annullare di fatto la legge di tutela dei biotopi di rilevante interesse ambientale e con essa i biotopi stessi, i ripristini ambientali già realizzati e quelli che si stanno progettando, il progetto didattico-educativo per le scuole giunto con successo al quarto anno di attività, ed infine gli interventi per il turismo culturale, per un godimento sobrio, modesto, ma culturalmente elevato di queste aree.
- Nel giugno del 1986 il Consiglio provinciale della Provincia autonoma di Trento (Pat) approvò la legge provinciale n. 14 del 23/06/1986 che detta "Norme per la salvaguardia dei biotopi di rilevante interesse ambientale, culturale e scientifico" e che rimanda al piano urbanistico provinciale (Pup) l'individuazione dei biotopi di tale rilevante interesse da sottoporre a tutela.
Nel febbraio del 1987 viene licenziata la revisione periodica del Pup, ed in essa vengono individuate 68 piccole aree naturali che furono definite "biotopi di particolare interesse ambientale, culturale e scientifico", da porre sotto vincolo di tutela ai sensi della sopracitata legge 14/86 e la cui competenza fu affidata al Servizio parchi e foreste demaniali della Pat. Furono individuate altre 219 aree di interesse "minore", la cui competenza fu affidata ai comprensori prima e ai Comuni poi. Per esse non fu fatto in pratica mai nulla, e la legge sembra non esistere.
Nell'agosto del 1988 il Consiglio provinciale della Pat approva la legge provinciale n. 28/88 che disciplina la valutazione di impatto ambientale (Via) e che modifica, integrandola, la legge provinciale n. 14/86: viene cioè introdotta una norma grazie alla quale tutti i 68 biotopi individuati dal Pup vengono di fatto tutelati da subito ed in via transitoria in attesa che siano ad uno ad uno tutelati con delibera definitiva.
In applicazione della legge n.14/86, che d'ora in poi chiameremo per brevità e comodità "legge dei biotopi", per ciascun biotopo deve essere redatto un "progetto di definizione naturalistica e catastale" che individua esattamente e sulla base di rigidi criteri scientifico-naturalistici il confine del territorio da tutelare, nonché tutte le proprietà interessate. Sulla base di questo progetto, la Giunta provinciale provvede a decretare la tutela definitiva di ciascun biotopo con specifica deliberazione. E' un iter istitutivo lungo, ma estremamente garantista perché, prima della deliberazione, chiede ed in genere recepisce le osservazioni di tutti, privati cittadini, proprietari,Comuni, comprensori e comitati agricoli comprensoriali. Dopo la deliberazione è inoltre possibile il ricorso.
- b) I risultati conseguiti
Allo stato attuale (21 luglio 1994) il lavoro del Servizio parchi e foreste demaniali della Pat, della commissione scientifica e dei loro collaboratori ha portato ai seguenti risultati
- per tutti i 68 biotopi di interesse provinciale è stato redatto il progetto di definizione naturalistica e catastale;
- 38 biotopi sono stati definitivamente istituiti; per gli altri 30 l'iter istitutivo è molto avanzato; - dei 38 biotopi istituiti si può ben affermare che almeno 8 sono stati salvati "in extremis" da progetti che li avrebbero completamente distrutti o alterati tanto seriamente e profondamente da farli cambiare perfino nell'aspetto;
- su 7 dei 38 biotopi istituiti sono state effettuate consistenti opere di ripristino naturalistico: sono state tolte strade in rilevato, discariche abusive di rifiuti, elementi ed interi sistemi drenanti in torbiere di alta quota, un enorme edificio e relativo piazzale asfaltato adibito a stabilimento di cava della torba, eccetera;
- per altri 7 dei 38 biotopi istituiti sono stati elaborati i progetti di ripristino naturalistico e si stanno avviando i lavori che porteranno anche alla rinaturalizzazione delle "cinture di rispetto".
Tutto questo cesserà?
Il nuovo Consiglio provinciale della Pat ha dichiarato pubblicamente di voler smantellare la legge sui biotopi. Il nuovo assessore competente (il Popolare Danilo Zanoni) ha promesso entro sei mesi una nuova legge.
Ovviamente non è semplice, ma tuttavia basta trovare un meccanismo subdolo ma efficace. Ed in effetti il nuovo Consiglio e la nuova Giunta vogliono rivedere i confini dei biotopi già istituiti; vogliono sospendere l'istituzione dei rimanenti 30 biotopi, forse sino a quando, nel 1997, sarà licenziata la revisione del Pup nel quale i biotopi individuati, anziché aumentare, potrebbero anche essere cancellati; vogliono rivedere i vincoli, naturalmente per ridurli; vogliono infine - ed è la cosa certamente più grave - passarne le competenze ai Comuni, togliendole al proprio Servizio parchi e foreste demaniali.
Sarà annullato l'ufficio biotopi istituito all'interno del Servizio parchi e foreste demaniali della Pat; saranno messi in dubbio l'operato e l'esistenza stessa della Commissione scientifica; sarà fermato il progetto "Biotopi: occasioni per educare"; non esisterà più un responsabile del piano di valorizzazione, l'UCUI principi informatori, tesi prima di tutto a conservare e ad educare piuttosto che a "consumare turisticamente", saranno clamorosamente disattesi.
Gli oppositori dei biotopi protetti sostengono che i vincoli di tutela "imbalsamano il territorio", che "bloccano tutto". I contadini lamentano di non poter più coltivare; i cacciatori di non poter più esercitare quello che definiscono un loro diritto. Infine, si dice che i biotopi "rubano" il territorio ai legittimi proprietari, e gratis per di più.
Infine, la solita rivendicazione che, se i biotopi meritano di essere conservati perché integri, "il merito alla fine, è proprio degli agricoltori proprietari che hanno lavorato con rispetto e amore per la natura".
- c) Ecco confutate le bugie degli oppositori dei biotopi protetti
Gli argomenti degli oppositori dei biotopi protetti sono per lo più affermazioni false, facilmente confutabili con dati concreti.
Primo: la maggior parte dei biotopi, protetti o da proteggere, è individuata ovviamente in territori cosiddetti "improduttivi" (paludi, torbiere, franemarocche, eccetera.).
Secondo: i 68 biotopi di interesse provinciale individuati dal Pup coprono una superficie complessiva di circa 3.000 ettari, pari a meno dello 0,5% della superficie totale della Provincia. I 38 biotopi finora istituiti hanno una superficie complessiva di 1.640 ettari, meno dello 0,3% della superficie totale della provincia.
Terzo: nei 38 biotopi istituiti sono compresi, nelle fasce di rispetto, 61 ettari di terreni seminativi che corrispondono al 4% della superficie totale dei biotopi istituiti, ed allo 0,22% della superficie di tutti i seminativi della provincia. Sempre nei 38 biotopi istituiti, sono compresi 169 ettari di prati falciabili, corrispondenti all'11% della superficie totale dei biotopi istituiti, ed allo 0,14% della superficie di tutti i prati falciabili della provincia. Considerando che i 30 biotopi non ancora istituiti si trovano quasi tutti in alta montagna, questi dati non varierebbero di molto anche se questi 30 biotopi venissero istituiti.
Quarto: nei biotopi istituiti viene concessa la pratica delle attività agricole preesistenti. Unico vincolo, il divieto del cambio di destinazione delle aree interessate.
Quinto: la Provincia autonoma di Trento provvede all'acquisto (attenzione: non applica l'esproprio coatto!), ai prezzi previsti dalla legge, dei terreni - all'interno dei biotopi - sui quali è necessario intervenire anche per ripristini minimali. Le tariffe previste dalla legge sono decisamente convenienti per il venditore.
Sesto: buona parte delle superfici sottoposte a vincolo di tutela sono già di proprietà pubblica. Infine, bisogna ricordare che molti biotopi sono stati "salvati" proprio dalle "attenzioni" dei proprietari che già avevano previsto di trasformarli in discariche di inerti derivanti dalla lavorazione del porfido, in laghetti di pesca sportiva (ovviamente dopo aver praticato una accurata "pulizia"), in campi da golf, autodromi (sì alle Marocche di Dro è stato progettato anche un autodromo ! ), eccetera. Naturalmente, con grande amore per la natura!
Eccessivo pessimismo?
Certamente no: la nuova Giunta provinciale ha dato recentissimamente una inequivocabile prova concreta delle sue intenzioni. Ha infatti dato un primo micidiale colpo di piccone alla tutela dei due Parchi naturali esistenti in provincia di Trento, quello di Paneveggio-Pale di S. Martino e quello di Adamello-Brenta): si stanno aprendo di fatto tutte le strade forestali in essi esistenti alla libera circolazione automobilistica. I permessi potranno infatti essere concessi anche per imprecisati motivi di "tradizione" e "affezione" a certe località. (Da Velaverde news, luglio 1994, Edizioni del Progetto Velaverde, Trento)
Obiettivo 21
L'impegno dei parchi per il XXI secolo
E' possibile "mettere in sintonia" e migliorare la preparazione degli operatori delle aree protette italiane, pur mantenendo inalterata la caratterizzazione e l'autonomia gestionale di ciascuna area in cui lavorano? Ed è possibile creare nella "gente dei parchi" un nuovo e speciale senso di appartenenza a un'idea, a una sfera di interessi comuni, motivandola sia sul piano professionale, sia sul piano più strettamente personale?
A queste domande cerca di rispondere una nuova iniziativa che sta per essere attivata su tutto il territorio nazionale, e che interesserà, gradualmente, il personale di gestione delle aree protette del nostro Paese.
Si tratta di Obiettivo XXI, un progetto innovativo di qualificazione ed aggiornamento professionale promosso dal "Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali" e realizzato con la collaborazione dell'Istituto Pangea, Istituto Europeo per l'Educazione e la Formazione Professionale per l'Ambiente.
"Abbiamo scelto questo nome" dice Bino Li Calsi, presidente del Coordinamento, per sottolineare il ruolo delle aree protette nel quadro degli impegni presi dai governi del mondo in occasione del Vertice di Rio de Janeiro. La cosidetta "Agenda 21", uno dei risultati di questo summit mondiale, indica gli impegni da prendere per percorrere la strada dello sviluppo sostenibile, l'unica possibile per il futuro. Anche le aree protette, come "modelli" applicativi dei principi e delle tecniche di gestione compatibile delle risorse, debbono e possono fare la loro parte. Questa iniziativa è una delle risposte possibili, e serve proprio a migliorare la preparazione di chi, per professione, ha scelto di portare la responsabilità di gestire la natura del nostro Paese" .
Il progetto prevede la realizzazione di una serie di corsi di qualificazione ed aggiornamento professionale rivolti in prima istanza al personale delle aree protette. Le azioni formative sono state studiate mettendo a confronto ed integrando le esperienze del "Coordinamento" con quelle dell'Istituto Pangea, la prima organizzazione italiana interamente dedicata all'educazione ed alla formazione professionale per l'ambiente. Il risultato è un ciclo di 14 corsi, ognuno della durata di una settimana (45 ore complessive), che copre praticamente tutte le tematiche della gestione delle aree protette.
Otto corsi riguardano le problematiche collegate alla sorveglianza ed alla gestione tecnica delle aree protette; sei corsi, invece, affrontano temi relativi all'organizzazione ed alla gestione amministrativa delle aree stesse.
Il ciclo completo, che si svolgerà nello scenario del Parco nazionale del Circeo, dove l'Istituto Pangea ha sede, può essere percorso dai soggetti interessati in un arco di tempo di circa due anni; sarà anche possibile impostare un percorso parziale a seconda delle necessità della singola area protetta.
Dal punto di vista operativo, "Obiettivo XXI" prevede lo svolgimento dei primi corsi a partire dal prossimo autunno: a tal fine il Coordinamento e l'Istituto Pangea hanno già iniziato la spedizione agli enti gestori delle aree protette del materiale informativo contenente i dettagli sull'iniziativa e le modalità di partecipazione.
Più in particolare, gli otto corsi che sviluppano le tematiche della sorveglianza e della gestione tecnica delle aree protette sono:
- I parchi come strumento di conservazione
- Legislazione ambientale (con riferimenti specifici alle competenze del personale di sorveglianza ed alla vigilanza ecologica in generale). - Principi e tecniche di interpretazione naturalistica
- Criteri di organizzazione e gestione dei servizi di educazione ambientale
- La sicurezza dei visitatori di un'area protetta - Gestione del patrimonio vegetazionale
- Gestione del patrimonio faunistico
- Prevenzione e lotta antincendio.
- I sei corsi dedicati ai temi dell'organizzazione e della gestione amministrativa delle aree protette sono invece:
- I parchi come strumento di conservazione
- Legislazione ambientale (con riferimenti specifici alla gestione amministrativa delle aree protette)
- Criteri di organizzazione e gestione dei servizi di educazione ambientale
- Management ed informatica - Tecniche di amministrazione - Principi e tecniche di interpretazione naturalistica.
"Siamo convinti che Obiettivo XXI sia un programma di grande interesse per la multiforme realtà dei parchi italiani" dichiara Maurilio Cipparone, presidente dell'Istituto Pangea,"in quanto con la convenzione stipulata per la sua realizzazione tra il Coordinamento ed il nostro istituto, sono state anche poste le basi per una collaborazione privilegiata tra l'organizzazione che comprende la quasi totalità delle aree protette italiane "gestite', e l'unica "scuola" specializzata nelle attività formative per i parchi e per la gestione delle risorse naturali. Va sottolineato, poi, il valore di riferimento professionale e culturale che i corsi assumeranno. Essi potranno essere frequentati anche da altri soggetti che, a diverso titolo, si interesseranno di problemi ambientali, ad esempio dal personale che negli enti pubblici si occupa di pianificazione territoriale e soprattutto di tutela, gestione e valorizzazione delle risorse naturali".
Chi è l'Istituto Pangea
E' la prima organizzazione non governativa italiana, senza finalità di lucro, creata per essere esclusivamente dedicata all'educazione ambientale ed alla formazione professionale per la tutela e la gestione dei parchi e delle risorse naturali.
L'istituto è stato fondato da noti ambientalisti e da specialisti nelle tematiche della didattica, della comunicazione e dell'informazione, della gestione del territorio, dei parchi e delle riserve naturali.
L'organizzazione, cui aderisce in qualità di socio fondatore anche il Comune di Sabaudia, gode del patrocinio del Consiglio regionale del Lazio e dispone di un comitato tecnico-scientifico i cui componenti sono esponenti di rilievo internazionale della cultura scientifica ed ambientalista.
L'Istituto Pangea ha sede in Sabaudia, nel territorio del Parco nazionale del Circeo, parco con cui collabora fattivamente e che per la legge 394/1991 dovrebbe assumere sempre più carattere formativo e dimostrativo ai fini della didattica, dell'addestramento, della ricerca e della sperimentazione scientifica.
IV International Conference - Towards the world governing of the environment - Giorgio Cini Foundation, 2-5 giugno 1994, Venice, Italy
La IV conferenza intemazionale dell'ambiente, organizzata dalla Fondazione della Corte internazionale dell'ambiente, dal Cnr, dalla Regione Veneto, dalla Provincia e dal Comune di Venezia, ha fatto confluire, presso la fondazione Cini, oltre 450 rappresentanti ed esperti da tutto il mondo per promuovere un dibattito teso a definire una politica comune per la protezione della salute del pianeta e finalizzato a promuovere l'istituzione del Tribunale internazionale dell'ambiente.
Ideale prosecuzione dell'Earth Summit di Rio de Janeiro del 1992, la conferenza di Venezia - come spiega il consigliere Amedeo Postiglione che ne è stato il principale promotore - si ispira al concetto che "a questioni globali occorre fomire soluzioni altrettanto globali a livello mondiale, poiché la terra, quale unitario ecosistema vivente, dai delicati e complessi equilibri, deve essere controllata e difesa in sede mondiale con una serie di nomme di cui sia possibile garantire la reale applicazione attraverso un organismo che stia al disopra degli Stati".
L'istituzione della Corte intemazionale dell'ambiente si fonda sul presupposto che senza una profonda base scientifica interdisciplinare i grandi temi dell'ambiente non possono essere neppure affrontati.
Perciò la conferenza si articola in cinque forum con i contributi di esperti, italiani e stranieri, nei vari settori:
- forum 1: la politica e l'economia;
- forum 2: le legislazioni;
- forum 3: le scienze sociali;
- forum 4: l'arte e la cultura;
- forum 5: la religione e gli studi scientifici. Lo scopo è chiaro: utilizzare la base scientifica per passare dalla fase di denuncia a quella propositiva caratterizzata da concrete azioni di difesa ambientale ai vari livelli, locale, nazionale, comunitario, mondiale.
Sono stati realizzati anche momenti di dibattito comune nell'intento di fornire, agli Stati ed alla comunità internazionale, più concrete indicazioni in ordine agli organi ed agli strumenti di effettivo controllo e garanzia dell'ambiente.
L'articolazione del programma ha seguito una finalità ed una logica unitaria.
Il contributo della politica e dell'economia, di cui al forum n. 1, appare fondamentale per l'adozione di strumenti efficaci di prevenzione del danno ambientale.
Si fa notare come la politica abbia cercato finora di realizzare un difficile bilanciamento di interessi tra ambiente e sviluppo. L'attenzione tende ora a spostarsi sull'esigenza di realizzare effettivamente la compatibilità dello sviluppo, non solo perché le popolazioni esprimono una più precisa ed insistente domanda di qualità della vita, ma anche per ragioni economiche, in quanto l'internazionalizzazione dei processi economici di produzione e consumo, senza regole nuove, penalizzerebbe proprio i soggetti che investono in nuove tecnologie se gli altri operatori non internazionalizzano allo stesso modo i costi ambientali. Giova sottolineare che lo sviluppo economico a medio e lungo periodo sarà compromesso se poggerà su una base non sana (risorse deteriorate e popolazioni danneggiate nella salute).
Anche il contributo sociale di cui al forum 3 deve considerarsi non accessorio ma decisivo.
I danni ambientali colpiscono in primo luogo la società nella quale viviamo nelle sue varie componenti ed a tutti i livelli: appare perciò del tutto naturale che i cittadini chiedano di poter svolgere un ruolo attivo di collaborazione con le istituzioni attraverso gli strumenti noti della informazione, partecipazione e accesso.
Specchio significativo del bisogno sociale di ambiente appare la stampa, divenuta un canale attento ai nuovi bisogni.
Nasce nel mondo una nuova coscienza ecologica non solo in alcune frange più sensibili, ma nella generalità della popolazione.
E' un fenomeno molto importante, in quanto persone e società costituiscono una risorsa positiva per risolvere i problemi ambientali e per sollecitare le istituzioni a non attendere oltre nell'impegno concreto ed in scelte anche coraggiose.
Anche su questo versante si leva una domanda di protezione, che coinvolge, in prospettiva temporale, le future generazioni. La cultura di una società è la base su cui si fonda la legislazione, l'amministrazione e l'azione di un eventuale tribunale dell'ambiente. Da una migliore conoscenza del contributo della cultura dipende il rilancio di una più incisiva azione di protezione ambientale e il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile adottati dalla comunità internazionale nella conferenza di Rio del 1992. Interviene ancora, nella conferenza di Venezia, con indubbia valenza innovativa, anche il dibattito sui temi etico-religiosi e scientifici di cui al forum n. 5, ossia sugli aspetti più profondi della cultura.
Per ultimo, in senso logico, si pone il problema giuridico-istituzionale dell'ambiente, di cui al forum n. 2. Diritto ed istituzioni devono poter accogliere le spinte globali della società, razionalizzandole in termini di certezza e doverosità di comportamenti.
Si registra uno sviluppo imponente della legislazione ambientale a livello regionale, nazionale, comunitario ed internazionale nei vari settori: aria, acqua, natura, suolo, impatto ambientale. Si moltiplicano gli strumenti giuridici non solo repressivi ma preventivi.
Un ruolo molto significativo è svolto dalla giurisdizione. L'attività giurisdizionale costituisce un momento giuridico-politico essenziale perché attua le norme e realizza lo scambio con i messaggi che arrivano dai vari settori della società.
In Italia, ad esempio, la Corte suprema di Cassazione ha svolto un ruolo interpretativo molto incisivo in tema di paesaggio, natura, protezione delle risorse idriche, rifiuti, tutela della salute. La Corte ha riconosciuto l'esistenza del danno ambientale quale illecito anche civile, da prevenire e riparare.
Il danno ambientale, a ben vedere, costituisce offesa non solo alla natura, ma anche alla persona, titolare di un diritto-dovere umano fondamentale all'ambiente. Conseguentemente la Corte ha ammesso le associazioni di protezione dell'ambiente nei procedimenti giurisdizionali.
La conferenza di Venezia rappresenta un passo avanti nella campagna di sensibilizzazione che la Fondazione per la Corte internazionale dell'ambiente sta conducendo dal 1988 e si aggiunge agli altri incontri internazionali promossi a Roma nel 1989, a Firenze nel 1991 ed a Rio nel 1992, ai quali è stato dato un importante contributo della Corte suprema di Cassazione italiana, attraverso il centro elettronico di documentazione giuridica e l'apposita segreteria scientifica coordinata dal consigliere Amedeo Postiglione. In particolare viene approfondita, attraverso i contributi di ciascuno dei cinque forum, l'ipotesi della costituzione di una Corte internazionale dell'ambiente quale organo autonomo della comunità mondiale.
Infatti non può sottacersi che la Corte internazionale dell 'Aia non si è mai occupata di ambiente perché è aperta solo agli Stati.
Molto positivi sono invece i modelli esistenti di protezione dei diritti umani (Corte di Strasburgo e Corte interamericana). Considerato che l'ambiente costituisce un diritto fondamentale di ogni uomo, sia negli ordinamenti interni di vari Paesi, sia in sede internazionale, si pone, oggi, il problema di un organo di garanzia mondiale dell'ambiente in quanto diritto fondamentale di ogni uomo
La Corte internazionale dell ' ambiente, così come si è venuta profilando alla conferenza di Venezia, presenta alcune caratteristiche fondamentali che possono così sintetizzarsi:
- 1) Una Corte della Comunità internazionale (non dell'attuale ONU)
L'attuale assetto delle Nazioni Unite deve essere profondamente modificato in senso democratico in modo da esprimere i bisogni della Comunità internazionale. La principale sfida del 2000 è costituita dalla necessità ed urgenza di difendere "la sostenibilità della vita sulla terra": occorre perciò una "Corte della terra", non un semplice organo dell'attuale sistema delle N.U. Di conseguenza, occorre una convenzione quadro nuova che possa prevedere nuovi principi per l'ambiente ed un nuovo organo di applicazione di questi principi.
- 2) Una Corte di giustizia ecologica per i rapporti Nord-Sud
E' fondamentale porre l'accento sull'utilizzo equilibrato delle risorse comuni, stabilendo alcune regole chiare di base in tal senso per i rapporti Nord-Sud del pianeta.
- 3) Una Corte per le generazioni future
Al di là della retorica, il diritto alla vita delle generazioni future deve avere oggi un organo di garanzia, necessariamente internazionale.
- 4) Una Corte internazionale per la prevenzione e la riparazione del danno ambientale
E' noto che il danno ambientale - che non conosce frontiere - è collegato agli attuali processi di produzione e consumo ed al tipo di organizzazione sociale. Questa realtà non può essere affrontata con successo solo con gli strumenti nazionali.
- 5) Una Corte internazionale non solo dei governi ma anche delle persone
Il diritto umano all'ambiente, proprio per sua natura universale, postula un organo di garanzia di pari livello in sede mondiale. Occorre garantire processi sociali di democratizzazione e controllo dell'ambiente (reale informazione e partecipazione dei cittadini alle decisioni sull'ambiente; diritto di accesso anche alla giustizia non solo nei singoli Paesi, ma anche davanti ad organi sovranazionali ed internazionali).
- 6) Una Corte internazionale come forum dichiarativo del diritto internazionale esistente
Potrebbe essere la prima tappa della costituzione della Corte, posto che comincia a formarsi un sistema di norme internazionali, e di obblighi più precisi degli Stati (norme consuetudinarie - tra cui quella fondamentale del "crimine ecologico internazionale" - e norme convenzionali e di spinta al processo di codificazione).
- 7) Una Corte internazionale come strumento di evoluzione del diritto internazionale dell'ambiente
Una concezione realistica del diritto implica la necessità della gradualità ed anche della rispondenza a bisogni concreti.
Se è vero che non è possibile una Corte senza norme, è anche vero che la prassi giurisprudenziale costituisce un potente fattore di evoluzione del diritto.
Questo è vero anche per l'ambiente, causa di reali conflitti, in sede mondiale, non risolvibili solo con i tradizionali strumenti della diplomazia tra Stati.
A conclusione della presente nota sintetica si fa rinvio ad un volumetto del consigliere Amedeo Postiglione, "The global village without regulations, ethical, economical, social and legal motivations for an Intemational Court of the Environment", Firenze, 1994, che sintetizza le ragioni e gli obiettivi della conferenza. (Nicola Assini)
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