PARCHI | ||
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali NUMERO 14 - FEBBRAIO 1995 |
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Editoriale |
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Della gestione Matteoli del Ministero dell'Ambiente ricorderemo le arroganti provocazioni, le ripetute gaffes, l'inaffidabilità e l'incompetenza. Ricorderemo anche lo smantellamento della segreteria tecnica per i Parchi, le gravi inadempienze e i troppi commissariamenti e, insieme, i tentativi, per fortuna non sempre andati a segno, di rivedere anziché rispettare e applicare leggi e normative vigenti come quella sulle aree protette. E' bene ricordare perché ora c'è da rimediare, e questo competerà innanzitutto al nuovo ministro, ma certo non solo a lui. E tuttavia per rimediare non basteranno i pur indispensabili e urgenti provvedimenti riparatori, primo fra tutti il ritorno alla legalità degli atti, il ripristino di una struttura ministeriale efficiente, la nomina dei presidenti e dei direttori dei Parchi, l'insediamento degli organi ed altro ancora. Il danno arrecato in questi mesi da una gestione che ben pochi rimpiangeranno è serio perché la politica ministeriale, prima ancora che per gli episodi e le vicende appena ricordati, si è caratterizzata in tutta la sua pericolosità per il tentativo, ostinatamente perseguito, di riportare indietro, a prima della legge 394, il dibattito e le scelte sulla politica di protezione. Si è cercato in parole povere di "delegittimare" attraverso atti, comportamenti e dichiarazioni sempre improntati ad una non nascosta, anzi ostentata ostilità nei confronti dei Parchi, il ruolo, la concezione stessa delle aree protette quale è stata codificata dalla legge nazionale. Un bilancio di questi mesi non può perciò limitarsi a fare il puntuale inventario dei singoli provvedimenti o infortuni del ministro (ma non soltanto suoi). Tutto sommato, se si trattasse soltanto di questo il danno sarebbe non trascurabile, ma non poi così pesante. Più grave è invece l'aver riportato indietro un dibattito che a fatica, superando e vincendo antichi e tenaci pregiudizi, aveva segnato una svolta culturale prima ancora che politica, ora rimessa in gioco, contestata e persino sbeffeggiata con grande soddisfazione ovviamente di chi aveva dovuto alla fin fine far buon viso al voto del Parlamento. Abbiamo assistito così ad un vero e proprio tentativo, per quanto gestito con rozzezza e spesso con imperizia, di "restaurazione". Il successo della nostra manifestazione di Roma "in difesa dei Parchi" si spiega d'altronde soprattutto alla luce di questo tentativo, che preoccupa e sprona evidentemente molti a mobilitarsi per respingerlo. Ne fanno fede anche le preoccupate denunce di taluni organi di stampa solitamente non molto attenti e sensibili a certe tematiche. E tuttavia va detto, con altrettanto realismo e franchezza, che gli inspiegabili silenzi della grande stampa ed anche di quella più specializzata e attenta ai problemi ambientali sulla nostra manifestazione e i suoi obiettivi denotano ancora, probabilmente, più che una distrazione, una scarsa, inadeguata percezione della portata di questi rischi al di fuori dell'ambiente degli addetti ai lavori. Deve far riflettere, ad esempio, il silenzio di tanti esponenti della cultura che pure in altri momenti e stagioni avevano fatto sentire la loro autorevole voce in "difesa dei Parchi" e che oggi sembrano ignorare quel che avviene. Eppure gli effetti negativi di questa scomposta offensiva contro tutto ciò che evoca maggiore considerazione e rispetto per l'ambiente e la natura sono assai evidenti, se è vero che in molte realtà del Paese si registra da mesi ormai una ripresa di ostilità non solo contro i nuovi parchi in via di istituzione, ma anche di quelli già istituiti, spesso da molti anni. Posizioni, umori che avevano perduto qualsiasi dignità e presentabilità - e non ci riferiamo soltanto agli eccessi di certi settori venatori - sono tornati a manifestarsi sovente in maniera persino virulenta contro "il parco", prima ancora che contro o questa o quella ipotesi o scelta. E' l'idea stessa di parco che viene nuovamente a caricarsi di tutti quegli assurdi disvalori che evocano disastri e disgrazie, che ben conosciamo. C'è insomma un ritorno di quella che potremmo definire la "demonizzazione" dell'area protetta, a cui ha fortemente contribuito il ministro, ma con lui molti altri, noti e meno noti, i quali hanno ridato legittimità, anche se non dignità, a posizioni, paure, strumentalizzazioni, che hanno risospinto il dibattito e il confronto a livelli sconfortanti. Un "ritorno" che non può sorprendere, solo che si consideri in che conto sono stati tenuti in questi mesi i problemi ambientali. Le aree protette sotto questo profilo hanno fatto da cavia per una politica tutta volta a rilanciare interventi e opere delle cui conseguenze abbiamo avuto l'ennesima riprova e conferma con l'alluvione che ha colpito alcune regioni del paese. Da qui, oggi, si deve ripartire se vogliamo "rimediare" davvero ai danni fatti; dobbiamo cioè innanzitutto ridare piena legittimità e credibilità alla politica delle aree protette, di cui si è cercato di ridimensionare, prima ancora dei perimetri, il ruolo e la presenza. La manifestazione di Roma aveva questo preciso significato e scopo; rilanciare una politica nazionale delle aree protette intese come sistema, come progetto vòlto non solo ad aumentare il numero dei parchi ma a cambiare, qualificandola, la politica ambientale del nostro Paese. Se questo è il giusto obiettivo da perseguire è chiaro che esso deve riuscire a mobilitare, come abbiamo cominciato a fare a Roma, tutti coloro che non considerano l'ambiente un intralcio, ma un occasione e una ricchezza. Le dichiarazioni del presidente del Consiglio Dini alla Camera dei deputati, in cui le turbolenze finanziarie sono state equiparate alle drammatiche vicende ambientali - prima fra tutte la recente alluvione che ha colpito vaste zone del Nord - costituiscono indubbiamente, sotto questo profilo, una positiva novità, che risulta tanto più gradita dopo la parentesi Matteoliana. Non capita spesso, specie di questi tempi, sentire affermare da un presidente del Consiglio che "occorre ripensare gli strumenti e le azioni della politica ambientale, che riconosca alle risorse ambientali la natura di capitale da valorizzare, non di rendita da esaurire". Meno opportuna è stata invece la decisione di accorpare il Ministero dell'ambiente a quello dei lavori pubblici, ritenuta da taluno "contro natura", e che, in ogni caso, contraddice con le tendenze seguite in tutta Europa ed alle quali ci eravamo faticosamente uniformati anche noi. Già il ministro che ha preceduto il professor Baratta aveva contribuito a rendere non solo meno autorevole e credibile il Ministero dell'ambiente, ma anche a smantellarne le già fragili strutture. Dopo gli sforzi per ricondurre alla titolarità del Ministero dell'ambiente importanti spezzoni di competenze dislocati in altri Ministeri e, segnatamente, in quello, ora soppresso, dell'agricoltura ed in quello della marina mercantile, i quali ancora non hanno dato, per la verità, risultati soddisfacenti, questo accorpamento con un Ministero come quello dei lavori pubblici non può effettivamente essere considerato positivamente. Positiva e apprezzata è stata invece la nomina, tra sottosegretari del professor Emilio Gerelli, del quale è nota la competenza e l'impegno in una materia, quella economica, tutt'ora dominata da scarsa attenzione e considerazione delle tematiche ed esigenze ambientali. Il nostro augurio è che le dichiarazioni del presidente del Consiglio e l'impegno dei nuovi titolari dell'ambiente, consentano anche ai parchi di ritrovare, dopo questi infausti mesi, l'attenzione ed il sostegno necessari. |