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La circolare con la quale l'ex ministro Adriana Poli Bortone intendeva autorizzare le Regioni ad ammazzare la peppola, il fringuello e tutte le specie protette, è stata annullata dal Tar di Parma dopo un ricorso presentato dalla Lipu.
I suoi effetti nefasti decadono su tutto il territorio nazionale. Ma non c'è da illudersi che sia finita qui: adesso le forze politiche di maggioranza percorrono la via parlamentare nel tentativo di peggiorare la normativa sulla caccia e quella sui parchi. Negli uffici ministeriali circolano proposte di legge predisposte da Alleanza nazionale e Lega nord con le quali si punta a permettere la caccia nei parchi, aumentare l'elenco delle specie cacciabili, allungare fino a marzo il periodo di calendario venatorio, a smantellare gli Atc (Ambiti territoriali di caccia), a ripristinare il commercio degli uccelli vietato dalla direttiva Cee e dalla legge 157/92 (...)
Poche luci
(...) La legge 157/92 non è una buona legge. E' una legge con molte ombre e poche luci. Se oggi ci attestiamo sulla difesa di questa legge non lo facciamo perché pensiamo che quella sulla caccia sia la normativa migliore possibile: tutt'altro. Lo facciamo perché riteniamo che in questo contesto politico sia necessario applicare la 157/92 soprattutto in quelle norme che, pur in modo insoddisfacente, iniziano a prefigurare un nuovo modo di gestire l'attività venatoria in consonanza con la tutela dell'ambiente.
Tutto il territorio agro-silvo-pastorale è sottoposto ad opera di tutela e miglioramento ambientale: è quanto dispone la 157.
La protezione della fauna selvatica e degli habitat naturali non è dunque prerogativa solo delle aree protette, ma rientra in una politica più complessiva di rispetto del territorio, di conservazione delle sue risorse naturali e di ripristino di situazioni ambientali oggi degradate. I regolamenti comunitari come il 2078, il 2080, il Life, i programmi leader per lo sviluppo delle zone rurali, la convenzione sulla biodiversità rappresentano altrettante occasioni per dare attuazione ad una politica di gestione in senso ampio del territorio e della sua componente naturale...
In Italia c'è grande assenza di censimenti sulla consistenza della fauna. Qualunque programmazione faunistico-venatoria non può prescindere da questo. Del resto lo prevede espressamente la stessa legge 157. Le Regioni devono istituire le nuove zone di protezione lungo le rotte di migrazione dell'avifauna, come prevede la direttiva europea 79/409.
Il nostro Paese ha già ricevuto una condanna dalla Corte di giustizia di Lussemburgo per non aver provveduto ad istituire queste zone di protezione. Alcune Regioni tendono ad istituire le aree di protezione della fauna migratoria là dove già esistono zone vietate alla caccia. Ma la Comunità europea ci chiede di istituire nuove aree protette e la stessa legge 157, art. l, recita esplicitamente che "le Regioni e le Province autonome in attuazione delle citate direttive 79 / 409 / Cee, 85 / 411 / Cee e 91 / 244 / Cee provvedono ad istituire lungo le rotte di migrazione dell'avifauna" le zone da proteggere segnalate dall'Infs.
Legame tra cacciatore e territorio
(...) La 157 è una legge che stabilisce il legame cacciatore-territorio? Certamente no, se si considera il disposto blando dell'articolo 14 della legge che non fissa limiti alla grandezza degli ambiti territoriali di caccia se non quelli di dimensioni sub-provinciali.
Le leggi regionali di attuazione della normativa nazionale prevedono Atc grandi quasi come l'intera provincia. E' evidente che in questo modo non si crea alcun legame cacciatore-territorio, al massimo si riduce il nomadismo venatorio. E, a questo proposito, salvo rari casi, non è stato tenuto in alcuna considerazione il documento dell'Infs sui criteri di programmazione faunistico-venatoria previsto all'art. 10 della 157. Quel documento indica in un massimo di l5mila ettari la grandezza degli Atc.
La realtà delle leggi regionali e dei piani faunistici è ben diversa. In alcuni casi si fissano addirittura degli ettaraggi minimi degli Atc non inferiori a 50mila o 60mila. Siamo al ridicolo! E il ridicolo è contenuto anche nell'articolo 14, comma 3, della 157 che stabilisce il numero minimo anziché il numero massimo dei cacciatori che possono accedere agli Atc.
Come si vede siamo ben lontani da un serio legame cacciatore-territorio.
Nella legge 394/91, invece, all'articolo 32, quello sulle aree contigue, si è posto il problema della limitazione dell'attività venatoria nelle zone vicine ai parchi e alle aree naturali protette.
La legge in questione stabilisce che nelle aree contigue la caccia è riservata solo ai residenti delle aree protette e di quelle contigue: un modo per limitare la pratica venatoria in zone limitrofe alle aree protette. Sarebbe forse stato meglio stabilire il numero massimo dei cacciatori che possono accedere all'area contigua. Cioè stabilire il carico venatorio rispetto al territorio: anche perché in certe parti del territorio nazionale vi possono essere aree contigue dove il numero dei cacciatori residenti è comunque alto rispetto alle potenzialità faunistiche. Né d'altra parte si può ritenere, come fanno le associazioni venatorie, che l'articolo 32 della 394 non ha più efficacia perché riferito alla precedente normativa venatoria, la 968. E' evidente che le aree contigue hanno piena validità - del resto ribadita dalla Corte costituzionale - e che l'attività venatoria in esse esercitata deve rapportarsi agli ambiti territoriali di caccia. L'area contigua, intesa anche come zona dove si pratica l'attività venatoria in modo più ridotto, deve essere un cuscinetto fra l'area protetta e il territorio dove si esercita la caccia secondo le norme stabilite dalla 157/92. L'area contigua può essere una parte di territorio incluso in un ambito territoriale di caccia oppure può essere un Atc, in quanto tale comprensivo della sola area contigua.
La funzione dell'area contigua non è solo quella della gestione venatoria, ma, come prevede l'articolo 32 della 394, anche quella della tutela ambientale che trova una conformità con l'area naturale protetta. In altre parole, le aree contigue possono diventare zone dove si sperimentano forme di gestione del territorio e dell'attività venatoria assieme ad una tutela rafforzata dell'ambiente. Vale a dire molto meno caccia indiscriminata e protezione ambientale molto vicina a quella dell'area protetta. In molti casi lo stesso tipo di tutela dal punto di vista urbanistico e non solo urbanistico. Vale la pena di ricordare che anche la Convenzione sulla biodiversità, ratificata dal Parlamento italiano, stabilisce che le aree limitrofe a quelle protette devono godere di una protezione più estesa rispetto a quel territorio che non rientra fra i parchi o fra gli altri istituti di protezione.
Una buona occasione per i Comuni
La legge 394/91, in particolare, rappresenta una grande occasione di crescita economica ed occupazionale per molte zone marginali del Paese. Non c'è dubbio che nei prossimi anni molti Comuni, interessati a favorire uno sviluppo sostenibile in linea con le nuove sensibilità ambientaliste del Paese, chiederanno di far parte delle aree naturali protette. Lo hanno già chiesto negli anni scorsi alcuni Comuni dell'Abruzzo e del Molise che sono entrati a far parte del Parco nazionale d'Abruzzo. I Comuni compresi nei parchi - art.7 legge 394/91 - ma anche le Province e i privati cittadini, riceveranno incentivi economici per tutta una serie di attività eco-compatibili. L'Abruzzo, il più verde d'Italia per territorio protetto, riceverà un forte impulso in termini di occupazione e di reddito in virtù della sua peculiarità di Regione che, molto oculatamente, ha tutelato e intende tutelare le parti migliori del suo territorio. Altre Regioni, in primo luogo quelle del Mezzogiorno d'Italia, potranno percorrere la stessa strada dell'Abruzzo.
Tuttavia, lo sviluppo eco-compatibile di molte Regioni e Comuni d'Italia trova ostacolo (e lo troverà sempre di più negli anni a venire) nella norma della legge 157/92 che riguarda il 2030% del territorio agro-silvo-pastorale inibito alla pratica venatoria. L'art. 10, comma 3 della 157/92 è anacronisticamente centralista.
Non possiamo stabilire una quota massima di territorio oltre il quale le Regioni e gli Enti locali non possono intervenire con misure di protezione. Semmai bisogna stabilire, al contrario, una quota minima di territorio da proteggere al fine di rendere compatibile l'esigenza generale di tutela della natura con la programmazione in sede locale, lasciando alla discrezione delle Regioni, le Province e dei Comuni, la possibilità o meno di aumentare il territorio protetto.
* Deputato
(tratto da Nohzie verdi n. 2, 28 gennaio 1995) |