PARCHI | ||
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali NUMERO 14 - FEBBRAIO 1995 |
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I rapporti tra i parchi europei Renzo Moschini |
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Presentando sul numero 11 un articolo sul Parco dello Stelvio accennavamo alle difficoltà che ancora si incontrano nella informazione, e ancor più nel confronto, di esperienze diverse anche sul piano nazionale, tra singole Regioni e Provincie autonome. In quella occasione ci riferivamo segnatamente a Bolzano, rammaricandoci di non poter conoscere le valutazioni, le riflessioni ed eventualmente i rilievi critici degli amministratori altoatesini sulla loro esperienza nella gestione delle aree protette, che in quella provincia peraltro presenta notevoli peculiarità rispetto alla realtà delle altre regioni italiane. Questa riluttanza ad aprirsi maggiormente ad un confronto più sciolto e diretto ci sembrava tanto più ingiustificata riguardando esperienze non solo originali, ma maturate in una realtà di "frontiera" e pertanto "contaminate" da questa contiguità; in un'area, quella alpina, che oggi presenta molteplici motivi di interesse storico, culturale ma anche istituzionale e amministrativo. Per quanto ci riguarda, da un po' di tempo stiamo fornendo materiali e documentazione sulla situazione di altri Paesi ora di carattere generale (vedi i contributi sui parchi francesi ed inglesi), ora più mirati su situazioni regionali (Aragona) o anche su singoli parchi particolarmente significativi (Baviera). Abbiamo avuto numerosi attestati a conferma che questo nostro sforzo, non semplice né facile, è stato molto apprezzato dai lettori. Cercheremo pertanto di proseguire in questo impegno e se possibile di renderlo ancor più incisivo. Dobbiamo però osservare che incontriamo difficoltà enormi ad avere contatti con i Paesi anche a noi vicini e soprattutto con le riviste "gemelle", sempre che in Francia, in Germania o in Spagna ce ne siano ancora; l'unica che riceviamo regolarmente è quella inglese. Già questo fatto conferma, se ce ne fosse bisogno, come sia ancora problematico, spesso impossibile, sapere quel che succede negli altri. Paesi, negli altri parchi, nonostante la presenza di associazioni europee a questo preposte. Il problema, s'intende, va ben al di là, per portata e implicazioni, di questi aspetti diciamo così "interni" all'associazionismo dei parchi, che pure a nostro giudizio sembra in affanno, se è vero, tanto per fare un esempio fra i tanti possibili, che nulla riusciamo a sapere del dibattito che in una serie di Paesi europei si è riaperto anche sul piano legislativo sul tema delle aree protette. Stessa musica per quanto riguarda la pianificazione dei parchi, altro aspetto cruciale nel momento in cui essi si trovano nella loro azione proiettati verso l'ambiente esterno e quindi nella necessità di stabilire rapporti con i vari strumenti e istituzioni preposti al governo del territorio; per sapere quali esperienze, anche molto diversificate, si stanno facendo in Europa bisogna affidarsi, ad esempio, al libro curato da Roberto Gambino sui parchi naturali europei. Insomma, se vogliamo sapere qualcosa su questioni fondamentali che ci riguardano, bisogna affidarsi a ricerche universitarie che raramente però, o in misura estremamente limitata, giungono a chi opera nelle aree protette. Chi raccoglie oggi nel nostro Paese queste leggi, questi materiali, queste informazioni, a chi possiamo rivolgerci per conoscerli, e chi fa la stessa cosa per le direttive e i regolamenti comunitari visto che persino a livello istituzionale spesso se ne sa poco? Sappiamo, ad esempio - anche su questo basta leggere quel che scrive Gambino - delle difficoltà, dei veri e propri sabotaggi che non hanno finora permesso a Italia, Francia e Svizzera di portare avanti seriamente il discorso sul Parco del Monte Bianco, per il quale tra il dire e il fare sembra proprio ci sia di mezzo se non il mare certamente le Alpi. Anche di questo si sa poco; si sa però, e ciò colpisce e inquieta di più, delle difficoltà di scambio anche di informazioni scientifiche, operative e amministrative tra Paesi che pure hanno siglato intese e protocolli. Se intoppi ci sono tra Paesi e parchi che operano in territori contigui o comunque situati all'interno di aree, quale appunto quella alpina, che in base alla convenzione delle Alpi, ai contatti intercorsi tra Regioni e Stati confinanti dovrebbero e potrebbero collaborare per realizzare programmi comuni, "progetti pilota", nel quadro di specifiche direttive comunitarie o intese governative, non ci vuol molto a capire come possono andare le cose con gli altri Paesi. Colpisce, ad esempio, che Paesi nei quali i parchi hanno ormai un radicamento e una tradizione di tutto rispetto quanto a consistenza e risultati, di cui anche l'Uicn si avvale da sempre, non riescano, o almeno non cerchino di comunicare tra di loro, a scambiarsi esperienze, di mettere a confronto idee e progetti. Ci sono, è vero, le associazioni dei parchi affiliate o comunque collegate alla Uicn, le quali sono riuscite anche negli ultimi tempi a mettere a punto, a elaborare pregevoli documenti sul ruolo delle aree protette, la loro classificazione, eccetera. Documenti che hanno il merito di definire e inquadrare, sulla base di una intelligente riflessione su quanto è accaduto in questi anni, il ruolo che oggi compete alle aree protette nella loro variegata tipologia. Quel che manca, o è ancora assolutamente insufficiente, è però la capacità, la possibilità di mettere in contatto e a confronto in maniera diretta parchi spesso assai diversi sotto tanti profili, ma accomunati dal loro nuovo ruolo, che è quello di impegnarsi e misurarsi con lo sviluppo ecosostenibile su una scala non più meramente locale, chiusa cioè nell'ambito della propria specificità. Ciò appare tanto più inspiegabile se si pensa che in base al trattato di Maastricht debbono operare in sintonia istituzionale non soltanto gli Stati e i governi, ma anche le Regioni e gli Enti locali, alcuni dei quali peraltro (Germania soprattutto) accedono già anche a questi livelli subnazionali di governo direttamente agli uffici comunitari. Nelle sedi comunitarie si mettono a punto e si decidono ormai direttive e programmi anche finanziari specialmente per quanto riguarda l'ambiente o settori a fortissimo impatto ambientale quali l'agricoltura, le cui implicazioni ed effetti sono sempre più destinate a condizionare le scelte e l'operato anche delle aree protette di tutti i paesi comunitari. Sono insomma sempre di più le decisioni comunitarie relative anche al comparto delle aree protette alle quali gli Stati nazionali e i loro governi locali debbono uniformarsi. Come è possibile allora per i parchi europei operare, sintonizzandosi con queste nuove sedi di governo e di legislazione, senza coordinare iniziative e impegni? Se è assurdo per i singoli governi agire separatamente non è certo più saggio che i parchi si muovano ognuno per conto proprio, magari cercando di farsi le scarpe l'un con l'altro, come spesso purtroppo accade ancora agli Stati. Vi sono oggi istituti universitari del nostro e di altri Paesi europei che stanno mettendo a punto progetti "pilota" per parchi di più Paesi in settori specifici quali l'agricoltura. Si tratta di iniziative spesso in bozzolo che hanno il pregio però di innalzare il livello della ricerca e della sperimentazione anche per i parchi. Dobbiamo chiederci se può mancare il contributo diretto e autonomo di chi delle aree protette ha la titolarità. Possono bastare per questo i congressi o quegli appuntamenti periodici tra le associazioni? Non crediamo proprio. In occasione della presentazione a Roma di Parks for life, Hugh Synge, rappresentante dell'Uicn, ha proposto che anche il nostro Paese consideri l'opportunità di istallare un "Forum nazionale" quale contributo italiano alla preparazione del congresso mondiale dei parchi previsto per il 2002. Fare previsioni in proposito, mentre il Ministero dell'ambiente ha smantellato quel poco di segreteria tecnica che esisteva, più che azzardato appare inutile. Anche per questa incertezza nazionale più forte che mai è allora la necessità per il Coordinamento dei parchi e per le altre associazioni, istituzioni, centri di ricerca e di studio che operano nel settore dotarsi di strumenti coordinati idonei a uscire da questa situazione assolutamente insoddisfacente. Mai come oggi vi è stato bisogno infatti non solo di un impegno coordinato a livello nazionale ma anche di un impegno che eviti assurde distinzioni tra parchi nazionali o regionali i quali debbono, al di là della diversa titolarità della gestione, misurarsi con gli stessi problemi, che non a caso le direttive e i regolamenti comunitari non distinguono dal momento che il turismo o l'agricoltura non possono certo avere impatti o presentare problemi diversi a seconda che riguardino un'area protetta nazionale o regionale. Con gli accordi di Maastricht si è insediato presso la comunità un organismo consultivo di cui fanno parte le rappresentanze delle Regioni e degli Enti locali europei che ha il compito di pronunciarsi preventivamente sulle decisioni della Cee. Si tratta delle stesse istituzioni che hanno la titolarità dei parchi regionali ed in parte anche nazionali. Come possiamo entrare in rapporto con questi livelli istituzionali nei quali si decidono tra l'altro direttive e regolamenti destinati a condizionare in misura rilevante anche l'operato delle aree protette? Ecco un tema di riflessione, ma anche di iniziativa e di impegno concreto per chiunque oggi non voglia restare spettatore inerme di quel che bolle nella pentola europea. |