Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 14 - FEBBRAIO 1995


LIBRI

AA.VV. Il progetto delle aree protette Luigi Pellegrini Editore, 1994 (399 pagine. Lire 38.000)

I libri dedicati ai problemi delle aree protette a differenza delle guide, itinerari, cartine dei parchi che abbondano, continuano a scarseggiare. Anche per questo il libro curato da Paolella e al quale hanno contribuito numerosi autori su temi che spaziano dalla protezione alla pianificazione, dai parchi marini al management ambientale, dai sistemi urbani e rurali al recupero delle cave merita di essere segnalato e commentato.
In una recensione non si può ovviamente dar conto in maniera esauriente di un testo di 400 pagine che, accanto ai temi di carattere generale, affronta anche questioni molto specifiche e tecniche. Ci sembra più utile soffermarci su alcuni contributi di ordine generale che meritano qualche riflessione e approfondimento. Lo scritto con il quale Paolella apre il volume ripercorre le vicende della legge-quadro con valutazioni e giudizi ormai largamente acquisiti e condivisi, che solo qualche improvvido ex ministro sembrava ignorare.
Passando a illustrare la situazione determinatasi con l'approvazione della nuova legge l'autore coglie alcune contraddizioni che, a suo giudizio, riguardano soprattutto i nuovi parchi nazionali i cui territori non sempre risultano sufficientemente e organicamente studiati, per cui i perimetri sono spesso frutto di pratiche non "scientifiche", nei quali si sovrappongono talvolta diverse ipotesi di tutela, nessuna delle quali però sino ad oggi è stata applicata.
A queste contraddizioni si aggiungerebbe inoltre la "resistenza" delle Regioni che - scrive l'autore - preferiscono generalmente parchi regionali in quanto direttamente gestiti e guardano con diffidenza la creazione sul proprio territorio di areali sottoposti a soggetti "esterni" (l'Ente parco nazionale).
A noi francamente questa "resistenza" non ci pare ci sia e se, in qualche misura, può essersi manifestata, non riteniamo sia dovuta alle ragioni menzionate.
Infatti chi "preferiva" i parchi regionali a quelli nazionali (vedi in Emilia il caso del parco del crinale romagnolo) li ha istituiti senza aspettare lo Stato-Godot.
Chi invece non lo ha fatto, ed oggi "resiste" (ma bisognerebbe essere meno generici al riguardo) alla istituzione del parco nazionale non lo fa certo in nome della regionalità violata, ma per altri motivi. Tanto è vero che le Regioni più restie sono, e non per caso evidentemente, quelle che, pur avendo avuto tutto il tempo per farlo, non hanno istituito propri parchi e ora tardano a recepire la legge-quadro. Un aspetto quest'ultimo che il libro, ci pare, trascuri del tutto.
E' vero invece, come Paolella non manca di evidenziare, che le "azioni regionali non sono state, negli anni passati, né coordinate tra loro né conferenti con le amministrazioni centrali" e ciò a causa della "lunga latitanza" dello Stato. Il che ha prodotto applicazioni diversificate non riconducibili ad una visione unica ed omogenea del ruolo della protezione e del sistema delle aree protette dell'intero Paese.
Non ci sentiamo invece di condividere il giudizio che la composizione allargata a vari soggetti interessati dell'ente parco lo avrebbe trasformato in un macro-organismo eterogeneo. Quella composizione "eterogenea" (e comunque non "macro", solo che si pensi alla composizione di molti "vecchi" enti parco), risponde ad una scelta importante anche se troppe volte non correttamente interpretata e intesa anche da parte di chi ne ha, diciamo così, "beneficiato".
Intendiamo dire che l'inclusione di più soggetti anche non istituzionali nell'ente non mirava, contrariamente a quel che pensano ancora certe associazioni, a far posto a nuovi e più fidati controllori nei confronti delle rappresentanze degli enti locali; da qui, ad esempio, anche certe as-
surde polemiche su chi deve avere la "maggioranza" negli enti.
Al contrario, con questo "strappo" istituzionale si voleva più semplicemente (ambiziosamente) integrare, ossia "arricchire" le rappresentanze istituzionali con l'esperienza e la cultura ambientalista.
Infine, quanto alla scelta delle aree protette conveniamo con l'autore che essa appare sovente "casuale", non tale da "implicare" la creazione di un sistema di aree protette e non, aggiungiamo noi, un mero elenco di parchi.
E tuttavia non ci sembra che esaminando la localizzazione delle aree protette nazionali si sia voluto situarle in areali "dove la domanda di utilizzazione dei territori è ridotta". Se ciò fosse vero l'istituzione dei nuovi parchi dovrebbe risultare piuttosto "facile", ed invece come ben sappiamo non è purtroppo così.
E se le proteste non mancano e le opposizioni sono forti e combattive vuol dire che quella domanda di utilizzazione del territorio non è poi così "ridotta", né quei territori sono così "marginali". Diversi autori nel libro si occupano dei temi della pianificazione delle aree protette. Karrer in particolare si sofferma sulle più recenti normative in materia (431, 183, 394) registrando il perdurare di gravi ritardi che rendono scarsamente "credibili" i vari piani che non si traducono "mai in realtà". Ciò dipenderebbe anche dalla "scarsa credibilità dei soggetti istituzionali preposti alla costruzione di questa pianificazione (che nel caso dei parchi l'autore equipara alle "deprecate Usl"), destinati quindi ad "accentuare i conflitti con i poteri dei Comuni" piuttosto che sviluppare il tanto necessario "management della natura". Ma si è sicuri che i conflitti che oggi si registrano nel predisporre i piani sparirebbero d'incanto mettendo mano (come pure è urgente fare) ad una più concreta gestione dell'ambiente?
E' giusto infine sottolineare come fa l'autore che questa pianificazione non sarebbe "impossibile da tradurre operativamente solo che lo volessimo davvero, rinunciando ciascuno ad un po' di potere", purché con ciò non si voglia dire che i nuovi enti parco debbono tornare ad essere vasi di coccio tra vasi di ferro.
Al rapporto tra aree protette e restanti sistemi territoriali è dedicato lo scritto di C. Blasi.
L'autore afferma che "la situazione in Italia è ancora statica: i pochi parchi esistenti si limitano ad una prevalente, quanto importante, azione di protezione dato che manca di fatto un piano coerente di attività che integri fattivamente l'area protetta nel contesto territoriale".
In verità i parchi in Italia non sono pochi, ma è vero che quello del rapporto con il "contesto" più generale è un problema serio ed anche il più "nuovo", potremmo dire, dopo l'approvazione della legge-quadro, ma anche di altre importanti leggi quali la 142, eccetera.
Secondo l'autore "mentre per i parchi nazionali e le riserve si cominciano ad avere le idee più chiare, rimane molto nebuloso il ruolo delle aree protette a scala regionale e provinciale".
Diverse Regioni infatti stanno realizzando piani di protezione della natura che interessano superfici molto estese, e questo da una parte crea panico tra le popolazioni locali, dall'altra rischia di determinare di fatto un abbandono del territorio che non entra nel sistema protetto".
Confessiamo che ignoriamo del tutto su quali dati di fatto l'autore fondi questi giudizi a cominciare dalla distinzione che egli opera tra parchi nazionali e regionali (quelli provinciali al momento non esistono e quindi non costituiscono un problema).
Una distinzione tra parchi nazionali e regionali oggi ha senso solo per quanto riguarda il profilo istituzionale, per tutto il resto non ci sono differenze apprezzabili; non per niente la legge-quadro nel delineare le nuove finalità della protezione ha attinto largamente proprio dalle esperienze dei parchi regionali. Ancor più oscura è l'affermazione sulla "fuga" dai territori prescelti per i piani di protezione della natura (ma si vuol dire i piani dei parchi? dal testo non è chiaro) nonché quella sull'abbandono a loro stessi dei territori esterni ai parchi.
Abbiamo l'impressione che l'autore vada un po' a ruota libera ignorando un dato elementare e cioè che i territori maggiormente "abbandonati", ossia non protetti da adeguate norme e soprattutto da efficaci politiche, si trovano principalmente in quelle Regioni prive del tutto o quasi di parchi regionali.
Sono infatti le Regioni maggiormente dotate di parchi quelle che esercitano un più efficace controllo ed una più incisiva tutela anche nei terri-
tori esterni alle aree protette. D'altronde questo è abbastanza naturale considerato che i parchi regionali, prima ancora che venisse approvata la legge-quadro, furono istituiti con finalità precise, prima fra tutte quella di divenire luoghi di sperimentazione, ossia laboratori le cui ricerche sono rivolte anche all'esterno.
Il piano di un parco infatti "per propria natura come scrive Saini nel suo intervento - è strumento che deve essere adeguato al territorio di riferimento" e garantisce "il raccordo tra ogni piano e il governo del territorio circostante".
Tutto il contrario insomma di quello che sostiene Blasi. Sotto questo profilo non ci pare di poter condividere neppure il giudizio di Karrer il quale scrive che i parchi regionali sono ormai da considerare dei "parchi sviluppo" più simili alla nostra comunità montana che non ai parchi naturali, e che proprio la non accettazione sociale dei parchi sta spingendo a trovare altri strumenti di protezione delle aree a più "elevata naturalità". Se con questa affermazione si vuol dire che oggi i parchi debbono misurarsi anche con lo "sviluppo" si dice cosa giusta, ma allora non è vero che ciò riguardi esclusivamente e neppure principalmente i parchi regionali, essendo esso un problema di tutte le aree protette oggi, come dimostrano anche le più recenti elaborazioni dell'Uicn. Se invece si voleva dire, come è più probabile, che l'attenzione eccessiva a certi problemi sta snaturando le finalità della protezione al punto che per essa bisogna già pensare ad altre e più idonee forme e strumenti di tutela, non si capisce perché non è detto su quali esempi concreti si fondi un siffatto giudizio.
A noi risulta, al contrario, stando anche a recenti indagini svolte su una fascia piuttosto ampia e significativa di parchi regionali (i cui dati purtroppo rimangono chiusi nei cassetti del Ministero dell'ambiente che pure ha finanziato la ricerca), che semmai le aree protette regionali se vogliono raccordare bene i due momenti - chiamiamoli così - sviluppo e protezione, debbono provvedere in molti casi a superare le attuali micro-dimensioni. D'altronde l'esigenza, fatta propria dalla legge-quadro, di collocare la protezione delle aree ad alta naturalità in una più ampia e complessa dimensione ambientale e territoriale, scaturisce proprio dalla presa d'atto dell'impossibilità di tutelare efficacemente singoli lembi di territorio, per quanto pregiati, al di fuori di una gestione su scala più generale.
Il libro offre, come abbiamo detto, molti altri spunti e temi ad un dibattito che negli ultimi tempi è sembrato girare un po' troppo su se stesso. Anche per questo se ne consiglia la lettura che ci auguriamo possa contribuire ad uscire dalle schermaglie tutte "politiche" a cui ci ha costretti una congiuntura che speriamo lasci presto il posto a più attente e serie riflessioni su cosa significa oggi progettare e gestire le aree protette. (R.M.)

Roberto Gambino I Parchi naturali europei dal piano alla gestione Nuova Italia Scientifica, 1994 (323 pagine. L. 46000)

Una ricerca durata 4 anni, condotta da 5 università italiane, finanziata dal Ministero dell'università e della ricerca scientifica con il contributo della CEE, alla quale ha collaborato il CNR, che ha interessato 22 Paesi e circa 300 parchi nazionali o naturali sulla base di un questionario discusso sul posto con i responsabili della gestione delle aree protette: il tutto coordinato da Roberto Gambino del Politecnico di Torino.
I risultati di questo impegnativo lavoro sono ora raccolti nel libro I parchi naturali europei. Il libro non deluderà, ne siamo certi, le aspettative del lettore al quale viene offerta, come forse mai era accaduto in precedenza, una documentazione ed una riflessione che, pur muovendo, come avverte il sottotitolo, dal piano, ossia dalle normative ed esperienze di pianificazione ha investito, potremmo dire per naturale 'lievitazione', il complesso delle tematiche della protezione.
Il libro infatti sia nella prima parte, nella quale Roberto Gambino, Andrea Simoncini e Attilia Peano danno conto degli orientamenti e delle tendenze in atto in Europa sui temi della pianificazione ma anche della politica generale di conservazione, alla luce anche delle più recenti normative comunitarie, che nella seconda, dove sono messe a confronto le esperienze di Norvegia, Danimarca, Gran Bretagna, Olanda, Germania, Repubblica Ceca, Francia, Portogallo, Spagna, Svizzera, Austria, Italia e Russia (nella terza sono raccolte 18 schede riguardanti 18 parchi europei e un'ampia bibliografia) evita accuratamente e intelligentemente ogni 'appesantimento' tecnico, per delineare subito con grande chiarezza ed essenzialità i nodi cruciali di una politica dei parchi oggi.
E lo fa colmando una vistosa lacuna rappresentata, come giustamente viene ricordato nella prefazione, dalla scarsa conoscenza di ciò che accade nei vari Paesi, il che 'non agevola le riflessioni critiche, da cui ogni istanza di rinnovamento deve prendere le mosse, e frena la convergenza degli sforzi verso le mete comuni'.
Basterebbero evidentemente queste ragioni a consigliarne la lettura, e non solo, perché il libro per il suo carattere può suggerire e sopportare anche particolari momenti e iniziative di studio e di approfondimento, a chi non si accontenti di 'orecchiare' quel che succede fuori dai nostri confini. Il libro tocca questioni di grande attualità che costituiscono i veri nodi cruciali del dibattito e dell'impegno legislativo, istituzionale, culturale e gestionale nel campo delle aree protette. Un dato in particolare emerge con grande nettezza da questa ricerca; tutti i Paesi europei presi in esame, pur partendo da realtà, storie, culture, leggi ed esperienze assolutamente peculiari, le quali sono riuscite in molti casi a 'tradurre' felicemente in lingua 'nazionale' stimoli e suggestioni provenienti da culture ed esperienze 'straniere', non europee, si stanno cimentando con gli stessi problemi, facendo i conti con le stesse difficoltà, sperimentando lo stesso tipo di innovazioni. Certo, a questo ha contribuito e contribuisce, non c'è dubbio, nonostante le chiusure nazionali alle quali abbiamo fatto cenno e che rendono così difficoltosa la circolazione di idee e di informazioni, il dibattito e l'elaborazione di organismi internazionali quali l'Uicn, che, soprattutto negli ultimi anni, hanno saputo correggere il tiro per quanto riguarda i parchi europei, per troppo tempo assimilati erroneamente ad altre realtà internazionali, assolutamente incomparabili con quelle del nostro continente.
E tuttavia questa crescente, e per qualche aspetto persino imprevedibile sintonia di orientamenti e di intenti, maturata nella maggior parte dei casi 'autonomamente', è da attribuirsi, noi crediamo, principalmente alle verifiche anche critiche a cui i vari Paesi sono stati indotti dinanzi alla nuova situazione ambientale.
Non è sicuramente casuale, ad esempio, che proprio in materia di pianificazione delle aree protette, ambito nel quale le differenze tra i vari Paesi erano notevoli e marcate (si andava dai Paesi che non prevedevano alcuna specifica forma di pianificazione, specialmente nei parchi nazionali, a situazioni nelle quali invece tali strumenti erano prescritti), oggi si registri un sostanziale avvicinamento, il quale beninteso non cancella di colpo le differenze, ma le colloca all'interno di una scelta di fondo, che appare sempre più convergente ed omogenea.
Si veda, ad esempio, quello che sta succedendo in Norvegia, dove pure le aree protette hanno caratteristiche così poco 'europee'; anche lì ora si prevedono strumenti di pianificazione. Lo stesso sta accadendo in Svizzera dove è stato messo a punto anche un protocollo aggiuntivo alla convenzione per le Alpi su 'economia e società', nel quale i temi dello sviluppo si rapportano al funzionamento degli strumenti urbanistici e di pianificazione relativi anche alle aree protette, sottoposti abbastanza recentemente a non lievi adeguamenti.
Ed in concomitanza con questa 'correzione' della legislazione e delle normative riguardanti le aree protette, si è fatta strada un po' in tutti i Paesi la convinzione che la gestione dei parchi deve essere affidata ad organi autonomi 'forti', proprio perché debbono essere in grado di gestire queste nuove competenze a loro assegnate in materia di pianificazione del territorio.
Registriamo così un po' ovunque due notevoli innovazioni; il superamento dell'idea che un parco può essere gestito senza un piano e al contempo che un piano possa essere elaborato e attuato senza un organo titolare in cui siano adeguatamente rappresentate le istituzioni centrali, regionali e locali ed anche altre rappresentanze dei cittadini, esperti, eccetera. Nel panorama europeo, se non andiamo errati, solo la Provincia di Bolzano ormai gestisce direttamente le aree protette.
Sullo sfondo di queste importanti novità che caratterizzano il quadro europeo senza sostanziali differenze tra i vari Paesi, si avverte ovunque l'incombere di una situazione economico-sociale che ha ormai sparigliato tutte le carte con le quali i parchi debbono oggi giocare la loro difficile partita.
A far saltare il banco di una gestione fino a pochi anni fa tutto sommato 'tranquilla' delle aree protette, perché incastonata in una condizione ambientale certamente non a rischio generale, è stato appunto il profondo cambiamento intervenuto nel rapporto economia-ambiente.
Quando agricoltura e turismo, dopo aver già arrecato danni enormi, rischiano ormai di cancellare irrimediabilmente paesaggi e ambienti modellati il più delle volte da secoli di presenza umana e portano questa minaccia ai confini e all'interno delle stesse aree protette, è chiaro che occorrono risposte nuove sia per quanto riguarda la ' scala' che la tipologia degli interventi.
E la scala non può essere che quella 'europea'. Infatti proprio i Paesi che di più risentono, anche nella gestione delle aree protette, dei conflitti in campo agricolo, confidano molto nelle nuove direttive comunitarie in materia di agricoltura e foreste. Ma alla scala giusta deve corrispondere anche una efficace strumentazione dei singoli Paesi. Da qui le correzioni apportate o in via di attuazione, nelle disposizioni relative alla pianificazione del territorio, le quali non riguardano solamente i nuovi poteri affidati al parco e al suo piano, ma anche ed in particolare il rapporto tra la pianificazione dell'area protetta e il contesto generale.
Anche su questo fronte i vari Paesi europei stanno significativamente orientandosi verso soluzioni convergenti anche se non identiche. D'altronde non sarebbe forse neppure consigliabile e utile, oltreché possibile, cancellare tradizioni, esperienze assolutamente diverse in nome di una uniformità che non gioverebbe a nessuno.
Ciò che conta è la presa d'atto, che ci pare ormai comune a tutti i Paesi europei presi in esame nel libro, del nesso sempre più stretto da un lato tra il territorio protetto e il contesto generale, e dall'altro lato tra politica di conservazione e sviluppo ecosostenibile. L'intreccio tra questi aspetti, fino a poco tempo fa praticamente ignorati o considerati limitatamente a piccoli e circoscritti ambiti territoriali, essendo dominante ancora una concezione 'vincolistica' della conservazione, è il nodo cruciale, come appare chiaramente dal libro, con cui stanno facendo i conti tutti i Paesi europei. Si tratta ovviamente di un processo appena avviato, il quale registra spesso ritardi, si scontra con resistenze ed ostacoli e ri-
schia talvolta di ' sbilanciarsi' ora in una direzione troppo chiusa alle esigenze dello 'sviluppo', ora, forse più spesso, nella direzione opposta, di cui fanno le spese le esigenze di tutela.
Ma le oscillazioni e le incertezze da cui nessun Paese europeo va esente, manifestando anche nelle difficoltà le proprie 'specificità' nazionali derivanti dalla propria storia ed anche dalle diverse condizioni oggettive, non mutano il dato di fondo a cui accennavamo; per tutti è suonata la campana dell'innovazione nella concezione e gestione delle aree protette.
Può ancora registrarsi che in qualche Paese questo sforzo rimanga incentrato prevalentemente sugli organi centrali dello Stato (vedi ad esempio il Portogallo), mentre in altri a struttura 'federale' questa responsabilità gravi principalmente sulle regioni o lander (vedi la Germania, ma in misura assai marcata anche la Spagna); ma anche in questo caso ovunque si avverte la necessità di stabilire forme sempre più dirette e vincolanti di collaborazione tra i vari livelli istituzionali, vuoi per raccordare al meglio le varie titolarità degli strumenti di pianificazione ambientale e urbanistica, vuoi, e non di meno, per coinvolgere le popolazioni in scelte che richiedono, per essere compiute e efficacemente gestite, il più ampio consenso.
Il libro di Gambino ha il merito, e non è davvero poco, di documentare efficacemente e lucidamente come questo difficile e impegnativo processo è stato avviato e viene gestito.
Per il nostro Paese, infine, il libro è un forte richiamo perché quel che è cominciato, non sempre bene e speditamente, con la legge-quadro non si areni alle prime battute. (R. M.)

John Brackenbury Insetti in volo Edagricole, Bologna Prefazione di Giorgio Celli (192 pagine, 100 illustrazioni, rilegato. Prezzo L. 50.000)

Sebbene viviamo nell'età dei viaggi aerei, non comprendiamo veramente il fenomeno del volo e poche volte ci domandiamo come si possa volare. Ancora più difficile risulta capire cosa significhi parlare di movimento in aria se ci riferiamo agli insetti, piccolissimi animaletti che devono confrontarsi con forze esterne, e se pensiamo come questi volatili con le loro ali possano essere in grado di resistere alle sollecitazioni prodotte dal peso e dalle vibrazioni. Ecco finalmente un lavoro che permette di entrare in questo mondo fantastico ma sconosciuto. John Brackenbury, biologo dell'Università di Cambridge, ha indagato la complessità del volo degli insetti ed immortalato cavallette, scarabei, farfalle, grilli, eccetera, con sorprendenti immagini che ora riempiono le pagine del libro Insetti in volo. Il volume, che si apre con una brillante prefazione del professore Giorgio Celli, rivela come gli insetti abbiano nella progettazione della "macchina per volare" un approccio completamente diverso da quello degli uccelli e da quello degli aeroplani. Viene spiegato il sistema che permette quelle straordinarie capacità acrobatiche, e per la prima volta sono mostrate nei dettagli le meraviglie di questo meccanismo in azione. Grazie alle foto a colori ad altissima definizione, frutto di tecniche fotografiche elaborate specificamente per un mirato programma di ricerca scientifica, l'autore svela un universo finora ignoto agli amanti della natura.
Con un linguaggio accessibile a tutti e con estrema chiarezza John Brackenbury spiega al lettore i segreti e le meraviglie sui salti e sul volo di piccoli esseri viventi osservati, studiati e fotografati in quattro anni di meticoloso lavoro.
Veramente un bel libro per un lettore disposto a concentrarsi su qualcosa di ottima qualità.

Daniele Canossini e Giuliano Cervi Sulle antiche
vie In Emilia-Romagna e Toscana, attraverso l'Appennino CAI,
Comitato scientifico Artigrafiche Tomari, Bologna 1994 (247 pagine, s.i.p.)

E' il momento della riscoperta dell'Appennino. Cime poco elevate e non altrettanto famose come quelle alpine, panorami meno grandiosi, ma un grande patrimonio storico, architettonico e artistico che rende la catena appenninica uno dei terreni privilegiati per l'escursionismo culturale. In questa direzione si muove il volume di Daniele Canossini e Giuliano Cervi. Si tratta di una pubblicazione fortemente voluta dal Consorzio Tosco-Emiliano-Romagnolo del CAI e, alla base, vi è la trattazione organica di 15 percorsi transappenninici che ripercorrono gli antichi assi viari già frequentati dalle prime popolazioni italiche, poi dagli etruschi e dai romani, dai popoli del nord e dai pellegrini medievali in viaggio verso la fabbrica di S. Pietro a Roma.
La dorsale appenninica come spina di collegamento fra il nord e il sud d'Europa, asse viario commerciale, militare, culturale e religioso, crogiolo di razze e lingue. I 15 percorsi descritti con grande precisione seguono l'asse della catena appenninica in direzione nord-est/sud-ovest (da Piacenza a Cesena, da Genova ad Arezzo toccando tutte le più note località toscane ed emiliano-romagnole) uniscono alla precisione delle indicazioni per l'escursionista una lettura dei dati ambientali e culturali dei territori attraversati. La parte introduttiva del volume è dedicata agli aspetti geologici, botanici e faunistici, alle fasi del popolamento e agli insediamenti.
Che il libro si imperni soprattutto sulla valorizzazione culturale e ambientale del territorio è ampiamente espresso nella prefazione, datata 30 ottobre 1993, del presidente generale del CAI Roberto De Martin quando scrive: "L'odierna inaugurazione del Parco nazionale delle foreste casentinesi - fortemente voluto dal CAI - incrementerà certamente l'interesse verso questo splendido territorio e... susciterà attenzioni poliedriche verso la montagna". (O. B.)

Regione Liguria - Comunità Europea
Alta via dei monti liguri
Legge regionale 25/1, 93, n. 5
1994 (fascicolo con 8 cartine)

La pubblicazione di libri e carte dedicati a itinerari per tutte le gambe e tutte le tasche prosegue come è noto a ritmi frenetici e non sembra conoscere rallentamenti o difficoltà di sorta.
Se abbiamo deciso di segnalare tra tanta offerta l'opuscolo della Regione Liguria dedicato all'alta via dei monti liguri c'è una ragione molto precisa: si tratta infatti di una legge regionale che, inquadrando e coordinando una serie di progetti Pim, mira a "promuovere il migliora-
mento, l'attrezzatura e la conoscenza di un itinerario già da alcuni anni creato e segnalato a cura del Cai e della Unioncamere liguri e dalla Federazione italiana escursionismo.
Una legge che non si limita però ad indicare, con l'ausilio di otto fogli cartografici, i percorsi tappa, le strutture e i servizi di appoggio e ciò che c'è da vedere lungo i 400 chilometri di questa lunga cavalcata. La Regione Liguria con questa iniziativa si propone infatti di rafforzare, offrendo appunto un aggiornato strumento normativo e il sostegno finanziario di risorse comunitarie e regionali, la presenza sul territorio di attività volte ad un turismo e a forme di impiego del tempo libero compatibili con l'ambiente e sostenute dalla collaborazione delle istituzioni e del volontariato, attraverso un organismo di coordinamento regionale.
Questa legge, come altre analoghe riguardanti, ad esempio, le varie forme di escursionismo che la stessa Regione Liguria ha in programma e che altre Regioni hanno già varato, confermano che a fronte del crescente sviluppo delle più varie forme di turismo e di svago occorre, senza ricorrere ad ingiustificati divieti, introdurre adeguate forme di regolazione e controllo. (R.M.)

M. Caldonazzi - P. Pedrini S. Zanghellini
F. Barbieri Gli uccelli del Parco Adamello-Brenta Parco Documenti (ed. Parco Adamello-Brenta) 1994 (196 pagine)

La pubblicazione è il risultato di una impegnativa ricerca condotta negli anni 1992 e 1993 nel territorio del parco che ha portato a censire l'ornitocenosi dello stesso con particolare riferimento alle specie appartenenti all'ordine dei passeriformi. A queste ultime, accomunate spesso sotto la voce "piccoli uccelli canori", non vengono riservati, anche nelle aree protette, studi particolari e ci si limita alla compilazione di liste specifiche definite sulla base di dati bibliografici disponibili. In realtà però queste specie rappresentano una frazione importante delle cenosi e contribuiscono quindi in maniera sostanziale ad elevare la diversità faunistica degli ecosistemi. Non va inoltre dimenticato che i piccoli uccelli rappresentano spesso una buona percentuale degli "avvistamenti faunistici" che i fruitori dei parchi riescono ad effettuare. Per questo la loro conoscenza va incoraggiata e divulgata nella maniera più vasta.
La ricerca descritta nella pubblicazione è stata condotta con il metodo della survey: in campo omitologico con questo termine si intende l'analisi dell'avifauna di un'ampia area ottenuta attraverso percorsi inframmezzati da numerose soste di breve durata, nel corso delle quali vengono raccolti i dati quali-quantitativi sull'ornitocenosi e sulle caratteristiche ambientali delle stazioni di ascolto. Sono state così censite 69 specie per ciascuna delle quali è stata predisposta una scheda composta dalle seguanti voci: categoria fenologica, riferita all'ambito del parco; categoria corologica; preferenze ambientali; distribuzione e presenza nel parco. (S. F.)

Bruno Bravetti
Giambattista Miliani, storia di un uomo
Humana Editrice, Ancona 1994
(177 pagine, foto d'archivio. L. 18.000)

"Quando un tempo verrà per cui questo in cui viviamo sarà remoto di secoli, i monti riavranno le loro chiome, e i posteri lontani parleranno delle distruzioni dei boschi, operate all'epoca nostra, come di una colpa assai più grave di quella che noi facciamo a chi sotterrò e distrusse i capolavori di arte antica".
Così scriveva Giambattista Miliani nel 1892 in un saggio dedicato ai "Monti della Sibilla".
Da pochi anni era stata attivata la ferrovia Ancona-Roma ed i boschi dell'Appennino centrale erano stati spogliati per costruire le traversine.
L'industriale fabrianese (1856-1937), famoso per aver trasformato la cartiera patema da azienda artigianale a grande e moderno complesso industriale, ancora oggi fra i più famosi nel mondo, è stato anche un ambientalista in epoche non certo sospette.
Con "Giambattista Miliani, storia di un uomo", il giornalista Bruno Bravetti ne ricostruisce la vita mettendo a fuoco anche l'impegno in difesa dell'ambiente.
Appassionato e competente di agricoltura, è stato parlamentare dal 1905 per la Democrazia li-
berale, ministro dell'agricoltura nel 1917, senatore del Regno nel 1927, ha fondato l'Istituto nazionale agricoltori, presieduto l'Associazione agricoltori italiani e la "pro montibus et silvis" e fu animatore della festa degli alberi.
Fin da giovanissimo dedica le proprie energie intellettuali alla difesa dei monti; nel 1883, in polemica con un grande agrario locale, scrive "Le capre ed i boschi nel territorio fabrianese" per dichiarare la propria avversione al pascolo di questi animali. Tuttavia ammette che non sono state le capre a ridurre a mal partito i boschi dato che "certamente non hanno potuto divorarvi i faggi, gli aceri, le querce e tutti gli alberi altissimi che li popolavano, ma è indiscutibile che, una volta abbattuti quegli alberi, e rimasti solo i cespugli, il dente del bestiame pascolante, soprattutto della capra, è la causa principale del non poter essi in alcun modo rilevarsi dallo squallore in cui presentemente si trovano". Audace alpinista, ha scalato le cime più alte in Europa ed America latina; da giovane ha accompagnato più volte sui Sibillini Quintino Sella.
Nel 1905 visita il Parco di Yellowstone ed al ritomo scrive un saggio per la "Nuova antologia" e si augura che anche in Italia si proceda a definire ed organizzare parchi naturali. Con questa ricerca l'autore recupera alla memoria collettiva una personalità di spicco che, senza mai lasciare le Marche e Fabriano, è stato al passo con i tempi e, girando il mondo, ha fatto tesoro delle tante esperienze vissute.
Ad 80 anni, con la transiberiana, raggiunse Mosca, Pechino e Tokio, compì un'escursione sul Fuijama, e già preparava una visita in India (S.C.).

Giuliano Doria, Sebastiano Salvidio Atlante degli anfibi e rettili della Liguria Regione Liguria, Genova, 1994 (151 pagine, 35 tavole a colori fuori testo)

Anfibi e rettili tipici di climi diversi e di aree geografiche lontane coabitano il territorio della Liguria, piccola regione ricca di una straordinaria varietà di ambienti. Si tratta di una situazione il cui interesse scientifico e la cui importanza
ecologica non sono ancora abbastanza conosciuti. In questo volume, il secondo della collana "Cataloghi dei beni naturali", sono descritte quaranta specie di anfibi e rettili della Liguria, lo stato delle popolazioni e dei loro habitat.
L'opera, realizzata con rigore scientifico e illustrata con numerose fotografie e bellissimi disegni in tavole fuori testo, si propone come strumento di piacevole consultazione utile sia ai più esigenti "addetti ai lavori", sia a fini didattici e divulgativi.
In particolare l'efficace e innovativa visualizzazione grafica delle "tavole dicotomiche" (sistema di classificazione fondato sulla progressiva differenziazione di caratteri morfologici) riuscirà particolarmente adatta ad insegnanti ed educatori e a tutti gli appassionati che desiderino imparare a riconoscere le diverse specie.
In appendice è riportato il testo commentato della legge della Regione Liguria 22.1.1992 n. 4, riguardante non solo la protezione dei singoli individui appartenenti alle varie specie di anfibi e rettili, ma anche la tutela dei loro habitat.

Mauro Biagioni Guida al Parco fluviale della Magra Luna Editore, 1994 (174 pagine)

Le guide ai parchi stanno crescendo a vista d'occhio, e ciò è senz'altro un bene.
Non tutte le guide, però, riescono a fornire una visione d'insieme del parco, di cui sovente vengono privilegiati gli aspetti escursionistici.
La Guida al Parco fluviale del Magra, a cura del Consorzio per la gestione del parco, è riuscita a realizzare un giusto equilibrio tra le diverse caratteristiche dell'area protetta, dal suo passato lontano al suo presente così carico di problemi per l'ambiente naturale e sociale.
Con questa pubblicazione, tra l'altro, si arricchisce la conoscenza di una Regione, la Liguria, che negli ultimi tempi si è molto impegnata a fornire pregevoli documentazioni ed informazioni su un territorio con un grande patrimonio naturalistico fortemente minacciato da una grande pressione antropica.