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Nell'affrontare la problematica riguardante i rapporti tra la legge-quadro sulle aree protette (legge 394/91) e quella, successivamente intervenuta, sull'attività venatoria (legge 157/92), occorre, preliminarmente, distinguere tra parchi e riserve naturali nazionali e regionali.
Infatti, nei primi (parchi e riserve naturali nazionali) l'attuale legislazione sull'attività venatoria ha ribadito il divieto di caccia già operante in tali ambiti territoriali anche nella vigenza della precedente normativa di settore.
Più complessa e, quindi, fonte di problemi interpretativi, è, invece, la situazione relativa alle aree protette regionali.
In proposito si rende opportuno, prima di affrontare le specifiche problematiche concementi i rapporti tra la normativa sulle aree protette e quella sulla caccia, illustrare brevemente gli specifici disposti dalla legge 394/91 richiamati dalla vigente legislazione sull'attività venatoria. Le norme della legge-quadro in materia di aree protette (legge 394/91), cui espressamente si richiama la legislazione sull'attività venatoria, sono principalmente due: la prima riguarda il divieto di caccia nei parchi e nelle riserve naturali regionali (art.22, VI comma), disposizione rientrante nelle "norme quadro", ossia i principi fondamentali a cui le Regioni devono attenersi nel legiferare in materia di aree protette e a cui dovevano adeguare la propria legislazione, qualora già prodotta, entro il termine di un anno dall'entrata in vigore della stessa legge 394/91. La seconda norma richiamata è, poi, quella (art.32) riguardante la facoltà attribuita alle Regimi di istituire, d'intesa con gli enti gestori di aree protette e con gli enti locali interessati, "aree contigue" a quelle protette, in cui consentire l'esercizio controllato della caccia, riservato ai soli residenti, ma garantire, comunque, mediante piani e programmi, un'adeguata tute
la territoriale ed ambientale al fine di assicurare la conservazione dei valori presenti nelle limitrofe zone protette.A tali disposti della legge-quadro sulle aree protette fa espresso riferimento l'art. 21, I comma, lett. b), della legge 157/92, che, nel ribadire il divieto di caccia nei parchi e nelle riserve naturali sia nazionali che regionali, ha prorogato, rispetto alla legge 394/91 e con esclusivo riferimento ai parchi naturali regionali istituiti prima dell'entrata in vigore della stessa legge 394/91, il termine di adeguamento della legislazione regionale ai disposti sul divieto di caccia, spostandolo all' 1/1/95 (termine ora nuovamente prorogato all' l/l/96 con vari decreti legge, reiterati, da ultimo, con il d.l. 28/12/94 n. 723, art. 29, comma III, anch'esso non ancora convertito). Nel contempo la citata norma della legge 157 ha attribuito alle Regioni, sempre con esclusivo riferimento ai predetti parchi, istituiti prima dell'entrata in vigore della legge-quadro sulle aree protette, la facoltà di procedere alla loro "riperimetrazione", nei termini di proroga sopra indicati, "anche al fine dell'applicazione dell'art. 32, comma III, della legge 394/91".
Prima di entrare nel merito delle problematiche connesse al concetto di "riperimetrazione", introdotto dalla legge-quadro sull'attività venatoria, appare opportuno passare in rassegna gli effetti immediati che la normativa stessa ha determinato sull'esercizio della caccia nelle aree protette regionali, e, successivamente, prendere in esame le conseguenze che comporterà la scadenza del predetto termine di proroga stabilito dalla legge 157/92.
Con riferimento alla prima questione, va rilevato che l'entrata in vigore della legge 157/92 ha comportato, nei parchi e riserve naturali regionali, la seguente situazione:
- il divieto di caccia opera automaticamente nelle riserve naturali regionali in qualunque data istituite e di qualunque tipo esse siano (cioè integrali o orientate o parziali) e ciò indipendentemente dall'avvenuto adeguamento o meno della legislazione regionale a quella statale,
- l'attività venatoria è automaticamente vietata nei parchi naturali regionali istituiti dopo l'en-
trata in vigore della legge-quadro sulle aree protette (legge 394/91);
- l'attività venatoria è consentita in regime di proroga fino all' l/l/96 (tenuto conto del citato d.l. 723/94) solo nei parchi naturali regionali istituiti prima dell'entrata in vigore della citata legge 394/91. In relazione a tali parchi occorre, però, precisare che:
- a) l'attività venatoria è, comunque, preclusa in quei parchi naturali regionali, in cui già prima dell'entrata in vigore delle leggi-quadro 394/91 e 157/92 operava il divieto di caccia (vedi, ad esempio, i parchi naturali istituiti dalla Regione Piemonte);
- b) in quei parchi naturali regionali, in cui l'esercizio dell'attività venatoria è consentito in regime di proroga, il divieto di caccia opera, comunque, nelle riserve naturali istituite all'interno del perimetro dei parchi stessi.
Effettuata la predetta panoramica vanno, ora, analizzate le diverse ipotesi che verranno a crearsi alla scadenza del succitato termine di proroga, relativamente all'esercizio dell'attività venatoria nei parchi naturali regionali istituiti prima dell'entrata in vigore della legge 394.
Prima possibile ipotesi riguarda il mancato adeguamento, nei predetti termini (1/1/95 ora 1/1/96), della legislazione regionale ai disposti sul divieto di caccia: in tal caso il divieto in questione scatterà automaticamente nei parchi regionali istituiti prima dell'entrata in vigore della legge 394/91, indipendentemente dal mancato adeguamento della legislazione regionale.
Seconda ipotesi consiste nell'adeguamento della legislazione regionale attraverso il mero recepimento dei disposti della legislazione statale sul divieto di caccia: in tal caso il divieto stesso opererà nei medesimi ambiti territoriali a parco già perimetrati dalla Regione prima dell'entrata in vigore della legge 394/91.
Terza e più complessa ipotesi consiste, infine, nell'adeguamento della legislazione regionale ai disposti sul divieto di caccia mediante l'operazione di "riperimetrazione" dei parchi istituiti prima dell'entrata in vigore della legge 394/91, ossia attraverso l'esercizio della facoltà attribuita alle Regioni dalla sopra citata norma della legge 157/92 (art. 21, I comma, lett. b). In tal caso l'adeguamento della legislazione regionale avviene mediante l'individuazione di quelle aree, da qualificarsi come parco vero e proprio, aventi particolare rilevanza faunistico-naturalistica, in cui vietare la caccia, e nella contestuale perimetrazione delle aree contigue, in cui, per il loro minor interesse faunistico-naturalistico, consentire l'esercizio controllato della caccia, riservato ai soli residenti, ma garantire, comunque, un'adeguata tutela territoriale ed ambientale
In relazione a tali modalità di adeguamento sorgono, però, due ordini di problemi, il primo connesso al concetto di "riperimetrazione" e alla conseguenziale definizione della natura delle aree contigue, il secondo relativo alle ripercussioni di detta riperimetrazione sul sistema pianificatorio dei parchi regionali.
Con riferimento al primo ordine di problemi sembra potersi ritenere che le aree contigue, da individuare in sede di riperimetrazione, abbiano natura di vere e proprie aree pre-parco, dirette a proteggere i valori presenti nei limitrofi ambiti a parco naturale e, quindi, da assoggettare ad apposite forme di tutela, finalizzate principalmente alla conservazione e valorizzazione degli elementi faunistico-naturalistici caratterizzanti i parchi stessi.
A sostegno di tale tesi interpretativa concorrono una serie di considerazioni.
In primo luogo non sembra fondatamente ipotizzabile che il legislatore, mediante una legge settoriale, quale si configura, appunto, quella sull'attività venatoria, abbia inteso incidere, attraverso il meccanismo della riperimetrazione, su aspetti diversi da quelli specificatamente faunistici, arrivando, addirittura, a sottrarre porzioni di territorio regionale, originariamente protetto, da ogni forma di tutela ambientale, così da azzerare, di fatto, la produzione normativa regionale, peraltro molto copiosa, formatasi in materia di aree protette prima dell'entrata in vigore delle leggi quadro 394/91 e 157/92.
In secondo luogo il dato testuale dell'art.32 della legge 394/91 induce fondatamente ad attribuire alle aree contigue natura di territori di protezione del parco. Infatti il legislatore, nel disciplinare la facoltà delle Regioni di istituire le aree contigue, individua sia le finalità da perseguire attraverso tale operazione, consistenti proprio nell'assicurare la conservazione dei valori presenti nei limitrofi parchi naturali, sia le con-
dizioni per l'esercizio di detta facoltà, ossia il raggiungimento della preventiva intesa tra Regione ed Ente gestore di parco e la necessità di garantire, mediante piani e programmi, la tutela ambientale delle aree contigue stesse.
In sostanza, posto che il più volte citato art. 32 collega direttamente l'esercizio della predetta facoltà regionale alla necessità di intervenire a protezione dei valori presenti nelle aree protette, è evidente che il legislatore abbia espressamente voluto attribuire alle aree contigue natura di veri e propri territori di protezione di parchi naturali regionali, come tali sottoposte a vincolo paesaggistico e, quindi, a pianificazione paesistica. Non si dimentichi, infatti, che esplicitamente la legge c.d. "Galasso" (legge 431/85) assoggetta alla disciplina sulla tutela delle bellezze naturali i territori di protezione di parchi naturali sia statali che regionali!
Dunque, tanto la ratio quanto il dato testuale stesso dell'art. 32 legge 394/91 inducono fondatamente a considerare le aree contigue quali vere e proprie aree pre-parco, in cui garantire, in ragione della loro prossimità ai territori di maggior pregio naturalistico e faunistico, un'adeguata tutela territoriale e paesistica, nonché l'applicazione della legislazione in materia di beni ambientali.
Ulteriore considerazione a sostegno della tesi sopra esposta consiste nel fatto che il legislatore abbia previsto la "riperimetrazione" in argomento solo con riferimento ai parchi regionali istituiti prima dell'entrata in vigore della legge-quadro 394/91, perimetrati, quindi, dalle Regioni in assenza di un quadro normativo statale, di riferimento in materia di aree protette. Erano ben note, infatti, realtà regionali di parchi d'area vasta, quali i parchi lombardi (si pensi ai parchi relativi alle aste fluviali), comprendenti nel loro perimetro sia porzioni di territorio di particolare rilevanza faunistico-naturalistica, sia aree fortemente antropizzate, quindi di minor interesse faunistico e naturalistico, il cui livello di tutela si era reso, all'epoca, necessario in considerazione della loro contiguità con gli ambiti di maggior pregio ambientale.
Sulla base di tali valutazioni, quindi, con la legge 157 si è voluto attribuire alla Regione la facoltà di riconsiderare, alla luce dei disposti contenuti nella legge-quadro sulle aree protette, nel
frattempo intervenuti, le scelte originariamente effettuate nel settore dei parchi, riperimetrando, a tal fine, gli ambiti di tutela faunistica e le relative aree contigue e graduando, di conseguenza, in tali territori, i rispettivi livelli di tutela, caratterizzati da contenuti più tipicamente faunistici e naturalistici (comprensivi, pertanto, del divieto di caccia) nei territori a parco così come riperimetrati), diretti, invece, a contenere lo sviluppo edilizio e a regolamentare, in generale, le trasformazioni territoriali, mediante una disciplina più tipicamente urbanistica e paesistica, nelle aree contigue.
Seconda problematica, peraltro strettamente connessa a quella concernente la natura delle aree contigue, riguarda, poi, le ripercussioni della riperimetrazione sul sistema pianificatorio dei parchi regionali. Si tratta, in sostanza, di valutare se il piano di parco possa direttamente disciplinare le aree contigue e produrre, di conseguenza, sulle stesse tutti i propri effetti.
In merito a tale problematica, va rilevato che dalla natura di aree pre-parco, fondatamente attribuibile, per le argomentazioni sopra esposte, alle aree contigue, discende la necessità che tali territori vengano pianificati mediante il piano del parco, il quale si configura come lo strumento più idoneo a garantire, stante la sua valenza territoriale e paesistica, quei livelli di tutela che tanto la legge 394/91 (all'art. 32), quanto la legge Galasso assicurano alle aree contigue stesse. Solo con il piano di parco, infatti, possono essere graduate, con contestuale riferimento all'ambito di parco vero e proprio e ai territori pre-parco, ossia alle aree contigue, i rispettivi livelli di tutela, e possono raggiungersi, nel contempo, quelle intese tra Regione ed Ente gestore di parco indispensabili, secondo l'art. 32 della legge 394/91, al fine di individuare e disciplinare le aree contigue stesse. Non si dimentichi, infatti, che il piano di parco, in base alla legge-quadro in materia di aree protette, nonché secondo le previsioni della legislazione già operante in molte Regioni, è adottato dall'Ente gestore di parco ed approvato dalla Regione.
In sostanza, attraverso il piano di parco, contestualmente si ottempera a tutte le condizioni, sia procedurali che sostanziali, previste dalla legge 394 per l'individuazione della aree contigue, poiché con tale piano, da un lato, vengono assi-
curate, come sopra detto, quelle intese con l'Ente gestore di parco che la Regione deve raggiungere, per espresso disposto normativo, al fine di perimetrare e disciplinare le aree stesse, e, dall'altro, si garantisce quel livello di tutela territoriale e paesistica, che tanto la legge 394 quanto la legge Galasso stabiliscono per le aree in argomento. Inoltre, il piano del parco costituisce, rispetto ad altri strumenti pianificatori, quali, ad esempio, il P.T.C. provinciale, di cui alla legge 142/90, lo strumento più idoneo a garantire la salvaguardia delle aree contigue proprio in relazione alla loro finalità di conservazione dei valori presenti nei limitrofi territori protetti. Infatti il piano di parco, disciplinando contestualmente i territori a parco e le aree contigue, consente di individuare in tali aree quelle forme di tutela che meglio garantiscono la conservazione e la valorizzazione dei valori presenti negli ambiti di maggior pregio ambientale, ossia nel parco.
Proprio sulla base di tali considerazioni vanno tracciandosi, peraltro, a livello regionale modelli di riperimetrazione da effettuarsi attraverso lo strumento pianificatorio del parco. E' il caso della Regione Lombardia, in cui è già all'esame del Consiglio regionale un progetto di legge, di iniziativa di Giunta, che individua nel piano di parco, da approvarsi con legge su proposta dell'Ente gestore, lo strumento necessario per riperimetrare, ai soli fini venatori e perentoriamente
entro i termini stabiliti dalla legge-quadro sulla caccia (1/1/95 ora 1/1/96), i parchi istituiti prima dell'entrata in vigore della legge 394/91: la mancata riperimetrazione del parco entro il predetto termine comporterà l'automatico assoggettamento al divieto di caccia dell'intero territorio a parco originariamente perimetrato dalla Regione. Secondo questo progetto di legge, su cui, peraltro, è stata impostata la proposta di P.T.C. del parco della Valle del Lambro, recentemente adottata, in via sostitutiva, dalla Giunta regionale lombarda, attraverso il piano di parco vengono contestualmente perimetrate le aree di tutela faunistica, in cui scatta il divieto di caccia, e quelle contigue, in cui l'esercizio venatorio è consentito ai soli residenti, e si sottopongono, nel contempo, entrambi i territori a livelli di tutela differenziati in ragione delle rispettive peculiarità.
Con il progetto di legge in argomento la Regione Lombardia sembra, quindi, intenzionata ad adeguarsi, attraverso il meccanismo della riperimetrazione demandato al piano di parco, ai disposti della legge-quadro sul divieto di caccia e ad attribuire alle aree contigue natura di vere e proprie aree pre-parco, come tali sottoposte allo strumento pianificatorio del parco stesso e alla disciplina sulla tutela delle bellezze naturali.
* Funzionario Regione Lombardia |