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Tra le varie argomentazioni che alimentano la polemica tuttora in corso tra i fautori di una drastica riduzione dei confini del Parco Ticino e quanti ne sostengono invece il mantenimento nelle attuali dimensioni, ve ne è una, di non poca importanza, sulla quale desidero fare alcune riflessioni.
Da alcuni viene infatti sostenuto che l'attuale conformazione del parco tolga ai Comuni ogni possibilità di reale governo del loro territorio: una sorta cioè di "lesa autonomia" delle competenze municipali.
Sarebbe fin troppo facile sostenere che al giorno d'oggi le scelte tecnologiche ed economiche che implicano l'uso del territorio non hanno rispetto alcuno dei confini amministrativi e che pertanto non ha alcun senso arroccarsi su posizioni di gretta difesa campanilistica.
Ma è un altro l'argomento che intendo sviscerare, e cioè il concetto di "decentramento amministrativo", cioè di contrapposizione tra un presunto centralismo del parco e una maggiore partecipazione democratica nella gestione del territorio non urbano, se affidata interamente ai singoli municipi.
Premetto subito che ritengo tale contrapposizione falsa e strumentale. Ritengo invece che la forma "confederale" (e uso volutamente questo termine in antagonismo con la forma obsoleta del consorzio) che potrebbe contraddistinguere un governo del parco partecipato, democratico e fortemente rappresentativo delle autonomie locali, non solo non lede i principi fondamentali di tale autonomia, ma rappresenta uno strumento di difesa e di rilancio delle stesse municipalità.
Farò qualche esempio, per altro molto attuale, di quanto le scelte centraliste ledano le realtà territoriali periferiche, l'autonomia dei municipi e delle popolazioni da essi rappresentate e quanto l'unico strumento seppur debole di controllo, e di controparte, sia rappresentato in queste scelte dal parco o comunque da forme simili di libera associazione comunale.
In questo momento alcune grandi scelte centraliste ad elevata valenza economica rischiano di determinare pesanti impatti ambientali sul territorio della Valle del Ticino.
Ne cito alcune.
- 1) Il treno ad alta velocità che collegherà Milano con Torino e quest'ultima città con Lione, progetto che ha visto l'immediato favore della città di Milano contro il parere dei Comuni locali che si vedranno ulteriormente gravati da un pesante intervento sul già dissestato territorio.
- 2) Il raddoppio della centrale termoelettrica di Turbigo che, non solo rappresenta un intervento tecnologico di pesante impatto ambientale in quanto tale, ma attraverso le sue diramazioni (linee elettriche) fa emergere con chiarezza la mancanza di coordinamento territoriale tra i Comuni della fascia perimetropolitana esterni al parco.
Infatti, le nuove linee elettriche che si dipartono da Turbigo non riescono a trovare corridoi adeguati per raggiungere il nord Milano in quanto l'urbanizzazione di quest'ultima e delle sue cittadine satelliti ha fatto in modo da costituire un'unica e caotica conurbazione che di fatto isola dal punto di vista del rifornimento energetico i centri produttivi.
E' diventato pertanto necessario utilizzare i pochi spazi liberi sul territorio, cioè i parchi: partendo a nord da Turbigo, l'unico percorso possibile rimasto è quello di seguire la Valle del Ticino verso sud sino a Robecco, per poi risalire con un giro vizioso che attraversa il Parco Sud Milano, sino a raggiungere Rho e i grandi centri energivori del nord Milano.
- 3) L'aereoporto intercontinentale di Malpensa grava con tutto il suo carico di inquinamenti da rumore e dell'aria sui già stressati (ambientalmente e socialmente) paesi del basso varesotto. Il parco ha partecipato alla definizione del piano regolatore di Malpensa ottenendo numerose modifiche e adattamenti in senso ambientalmente migliorativo. Ma in questo momento è un
altro l'aspetto che preoccupa, ed è quello dei collegamenti ferroviari e stradali con l'aereoporto e, soprattutto, il cosiddetto "piano d'area Malpensa", strumento di pianificazione e programmazione degli indotti, che dovrebbe costituire un elemento di riordino e riqualificazione ambientale, sociale ed economica, quale contropartita al pesante impatto ambientale causato dall'ingombrante presenza aereoportuale.
- Tale piano, commissionato dalla Regione Lombardia alla Provincia di Varese, dopo una lunga, laboriosa (e costosa!) gestazione, ha visto la luce all'inizio del '91 per subito morire soffocato dalle polemiche.
Cosa era successo? Anziché un piano di riordino dello sviluppo e di riqualificazione dell'ambiente ne era uscito un misterioso collage dei "desiderata" dei vari "signori degli affari".
Nuovi centri commerciali, altre aree industriali, "parchi tecnologico-scientifici", mega impianti sportivi e chi più ne ha più ne metta. Ancora una volta aveva tentato il colpo di mano il "comitato d'affari" costituito dal mixer tra grossa imprenditoria milanese-varesotta, affaristi locali, banche, camere di commercio, eccetera.
In tutti questi casi il Parco Ticino ha rappresentato l'unico, se pur debole, strumento di contrapposizione o di controllo democratico all'egemonia delle scelte centraliste.
Come è possibile allora per alcuni sostenere la teoria della "lesa autonomia dei municipi"?
La risposta non è semplice.
Innanzitutto occorre ricordare che il parco è, per eccellenza, un istituto che attraverso la pianificazione territoriale regola (o almeno prova a regolare) l'uso coordinato del territorio e delle risorse naturali ad esso affidate; di conseguenza, il parco rappresenta un esempio di massima democraticità nell'operare scelte di gestione territoriale coordinata (l'assemblea del Consorzio è formata da tutti i rappresentanti dei quarantasei Comuni e delle tre Province che ne fanno parte, e tra di essi vengono scelti gli organismi direttivi).
Il parco, in quanto organismo altamente democratico, alla fin fine è governato da tutte le componenti sociali e culturali che le amministrazioni locali esprimono, e quindi porta dentro di sé tutte le contraddizioni e le necessarie forme di mediazione presenti nelle stesse.
Il parco ha trascurato alcuni elementi essenziali che vanno valorizzati ovvero radicalmente modificati. Tali elementi sono:
- l'eccessiva partiticizzazione che spesso ha comportato la spartizione del governo secondo regole matematiche tra le rappresentatività delle forze politiche, tenendo in poco o nullo conto le competenze e le qualità tecniche e amministrative delle persone;
- anche per le cose ben fatte (e sono tante) il parco non ha saputo informare a sufficienza la popolazione delle sue attività, soprattutto perché con le popolazioni residenti non ha mantenuto un filo diretto delegando a ciò i Comuni consorziati, Comuni che in molti casi hanno ignorato tale ruolo; anzi, spesso alcune amministrazioni comunali hanno scaricato sul parco le proprie incapacità e responsabilità amministrative, togliendo così ai cittadini la possibilità di avere una corretta informazione sull'operato del Consorzio;
- perché, a fronte di un apparato burocratico relativamente sviluppato, la cronica mancanza di fondi e contributi in cui il parco è stato (volutamente?) tenuto da Stato e Regione, ha fatto sì che poca sia stata la capacità di incidere realmente e in modo propositivo sul territorio, offrendo servizi concreti alla popolazione;
- perché la stessa Regione e le altre amministrazioni dello Stato hanno sempre guardato con sospetto al parco, se non con paura, evitando quindi che una forma di relativa partecipazione democratica, e ripeto quasi "confederale", divenisse troppo potente e tale da contrastare il reale potere dei grandi centri decisionali (Regione, Stato e sue articolazioni: Anas, Enel, Agip, Snam, Sea, eccetera). Il parco rappresenta una "rivoluzione culturale" nella gestione democratica del territorio: ma per compiere tale rivoluzione sono necessari uomini e mezzi; la controrivoluzione, prima latente e ora manifesta, è consistita nel negare al parco sia i mezzi economici che gli strumenti necessari ad operare;
- perché l'eccessiva burocratizzazione e in alcuni casi la scarsa preparazione dei funzionari ha esasperato, anziché risolvere, alcuni dei conflitti che si sono andati via via evidenziando.
Occorre ricordare inoltre che il parco è stato sì fortemente voluto dalle popolazioni locali per contrastare gli effetti dell'urbanizzazione selvaggia, ma allo stesso modo esso è stato fortemente voluto anche dalle forze culturali e politiche metropolitane, consapevoli della necessità di porre un freno all'espansione incontrollata della città e di contribuire a costruire con il parco un luogo "privilegiato" che servisse da area di svago e di recupero di valori sociali e naturalistici per i cittadini.
Pertanto oggi i territori naturali e agricoli racchiusi nel parco rappresentano un patrimonio universale e atemporale, un valore di tutti i cittadini della nostra Regione.
- Quale equilibrio occorre trovare allora tra una giusta difesa dell'autonomia, della cultura e delle tradizioni (per altro cultura e tradizioni in via di rapida estinzione e difendibili proprio dal parco) delle popolazioni locali, con i valori universali rappresentati dal patrimonio biologico, storico, naturale e paesaggistico, racchiusi nel Parco del Ticino?
- Credo si possa dare una sola risposta: occorre un salto culturale generalizzato che attrezzi i cittadini a confrontarsi con la politica dell'ambiente senza essere né strumenti di parte, né strumenti di potere. In tal senso è stata esemplare l'ultima esperienza, vissuta in prima persona, relativa al tentativo di dotare il Parco del Ticino di un nuovo e più moderno piano territoriale di coordinamento in sostituzione di quello, oramai datato, approvato nel 1980 dalla Regione Lombardia.
Le grandi forze immobiliari, i cavatori, le corporazioni sportive (cacciatori, pescatori, fuoristradisti, motoscafisti e chi più ne ha più ne metta) i falsi agricoltori, che dietro il paravento dell'attività agricola vorrebbero fare "il salto di qualità" entrando nel mondo delle speculazioni immobiliari, "il partito trasversale dei furbi e dei bari", non hanno trovato nulla di meglio che sollevare una serie di proteste e rivendicazioni in un momento in cui il parco tentava di darsi nuove regole in modo ancora più democratico e partecipato di quello avvenuto nei lontani anni settanta, tentando di rimettere in discussione la stessa legittimità del parco ad operare.
A tirare le fila di tale rivolta si è trovata un'istituzione, la Provincia (nel caso specifico la Provincia di Pavia).
E' vero che con la legge 142/90 alle Province sono state delegate competenze e responsabilità territoriali tali da rivoluzionare totalmente e in senso maggiormente partecipato e democratico la gestione del territorio, ma è altrettanto vero che poche sono ancora le Province italiane preparate, attrezzate ed in grado di assumere oggi tali incarichi con capacità e cognizione di causa. Così, anziché approfittare dell'esperienza ultraventennale in materia del Parco del Ticino, sposando una visione di potere anziché una visione di servizio, si è dato vita ad un contenzioso che ha avuto come unico risultato quello di tenere bloccata da ormai due anni l'attività del Parco del Ticino, senza peraltro portare nulla in cambio alla Provincia di Pavia e soprattutto alle popolazioni locali.
Se non si passa dalla visione dei "poteri contrapposti" a quella della "leale collaborazione" allora lo stallo continuerà a scapito delle popolazioni e del territorio e ciò vale non solo per il Parco del Ticino, ma per tutte le altre componenti amministrative della nostra Nazione: Stato, Regione, Province, Comunità montane, Comuni.
Al punto in cui siamo credo che senza una forte reazione dei municipi e una cosciente scelta lealmente autonomista delle popolazioni, sia impossibile formulare ipotesi di compromesso per salvare il parco e con esso il territorio e l'ambiente della Valle del Ticino.
Solo attraverso una profonda trasformazione del parco in una struttura ancora più partecipata e ancora più vicina alla "Confederazione dei Comuni", dando vita a una forte Comunità del parco che sia reale portavoce degli interessi e delle esigenze delle popolazioni, in grado di confrontarsi democraticamente con gli altri legittimi interessi che il parco è chiamato a difendere, solo attraverso una rifondazione del parco anche attraverso un referendum popolare, si può pensare di smascherare l'attuale "partito trasversale dei bari e dei furbi" che sta strumentalizzando le contraddizioni insite nelle forze politiche che governano e nel parco stesso, per asservirlo ai propri interessi.
In tutto ciò sarà importante che chi crede nel parco e nel suo insostituibile ruolo nella gestione democratica del territorio svolga un'assidua, continua, puntuale opera di informazione e di educazione ambientale
* Direttore Parco del Ticino |