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Il progetto "Gran Sasso" nel quadro di riferimento tecnico-disciplinare
Lo studio riguardante il Parco nazionale del Gran Sasso d'Italia in Abruzzo si è sviluppato nel corso di alcuni anni, con fasi successive, mentre, in seguito al vivace dibattito politico e culturale sui parchi, varie posizioni andavano consolidandosi. Posizioni attinenti vari aspetti, quali le modalità di individuazione delle aree, la suddivisione zonale, i criteri di gestione e di partecipazione nella gestione.
Una delle principali questioni, tra quelle citate, concerne senza dubbio il rapporto tra le componenti naturali e le componenti insediative del parco.
Ovviamente questo problema nasce qualora, come notoriamente accade spesso in Italia, ma non solo, nei contesti naturali, per i quali si ritiene necessario addivenire a incisivi provvedimenti di tutela, siano collocati in modo più o meno diffuso elementi della presenza umana, sia come testimonianza storica, sia, soprattutto, come realtà odierna in parziale conflitto di interessi con azioni di tutela ambientale.
Questi elementi antropici, costituiti da popoli, villaggi, infrastrutture e spazi produttivi, hanno spesso tali legami storici, tradizionali e culturali con l'ambiente naturale adiacente, tali compenetrazioni, integrazioni e coinvolgimenti nelle forme del paesaggio, che risulterebbe disciplinarmente errato, al solo fine di rimuovere o allentare le tensioni sociali, esercitare una loro semplicistica estromissione dai confini del parco.
Per questo motivo la maggior parte dei vecchi e nuovi parchi italiani, e praticamente la totalità di quelli del centromeridione, si pone su un piano di particolarità tipologica che, come è già avvenuto e avviene anche per altre nazioni, non corrisponde univocamente agli standard definitori internazionali e si colloca in posizioni intermedie rispetto alle categorie predefinite in queste strutture classificatorie '.
Nel momento in cui i parchi coinvolgono questa realtà preesistente devono integrare necessariamente i loro obiettivi teorici di conservazione naturalistica "per le generazioni future" con una ulteriore serie di obiettivi, se vogliamo apparentemente più "prosaici", che contemplano la risoluzione, almeno parziale, di problematiche tipicamente urbanistiche, quali sono quelle del riequilibrio funzionale e socioeconomico dei tessuti insediativi marginali e deboli.
Questo perché, oltretutto, la compagine antropica tutt'ora presente è, soprattutto nei territori montani, in condizioni di forte regressione demografica, sociale ed economica e, di conseguenza, è generalmente disposta ad accordare consensi al parco solo se da questo possono pervenire stimoli e occasioni per una riattivazione produttiva.
Del resto, la convinzione collettiva della funzione di stimolo economico dei parchi, più volte reiterata ed enfatizzata anche fortemente dalle stesse componenti della cultura ambientalista nelle loro iniziative divulgative, è servita a coagulare intorno alle aree protette quel relativo livello di pubblici consensi che oggi è possibile rilevare, soprattutto in sede politica, e che ha condotto, dopo trent'anni di tentativi, alla emanazione della legge 394/91.
Sul piano più propriamente tecnico, questo sviluppo concettuale si è quindi tradotto nell'affermazione di una certa tipologia di parco che comprende le componenti naturali, le componenti testimoniali dell'insediamento storico, nonché le componenti produttive e insediative attuali non come realtà passive e sottordinate, bensì come realtà interferenti in cerca di una integrazione attiva 2.
In termini programmatici alle esigenze di ognuna di queste componenti dovrebbe corrispondere un obiettivo di piano, da conseguirsi attraverso l'attuazione di azioni reciprocamente coordinate.
Nasce il dubbio che queste diverse esigenze, espresse in un contesto di parco naturale, possano considerarsi "alla pari", oppure debbano arti-
colarsi secondo una opportuna sequenzialità, sia per quanto concerne le cadenze temporali di conseguimento dei singoli obiettivi corrispondenti, sia, di conseguenza, relativamente all'attribuzione prioritaria delle risorse economiche disponibili.
Se si volessero organizzare le priorità da perseguire sul piano teorico si otterrebbe uno schema del tipo di Fig. 1, nel quale compare la relazione intercorrente tra la sequenza degli obiettivi e la cadenza delle relative azioni coordinate che, per ogni singola componente considerata, devono essere attuate in funzione del conseguimento dell'obiettivo specificato.
In uno schema così costruito compaiono in posizione preminente le attività di conservazione delle risorse naturali prima, e di quelle culturali subito a seguire. Le attività produttive e insediative hanno ovviamente una posizione subalterna in termini di consistenza di investimento e di tempi di incentivazione.
Ma è cosa ormai nota, e sancita anche in sede internazionale, che il consenso delle comunità locali è una chiave determinante per il funzionamento e la stabilità dell'organismo "parco" 3.
Pertanto, sul piano concreto, questo schema teorico non potrà veder rispettate le pur logiche consecuzioni indicate, ma dovrà, almeno nelle fasi iniziali, essere attuato agendo su tutti i fronti pesando e ripartendo opportunamente le risorsé. O meglio, nei limiti del possibile, cercando di far sì che le iniziative qualificate come prioritarie, quelle di conservazione, abbiano nel breve periodo ricadute ed effetti apprezzabili nei settori economici locali.
Viene in sostanza a configurarsi un tipico problema di ottimizzazione, contraddistinto da vincoli (le priorità e le disponibilità economiche), da risultati predeterminati da raggiungersi (gli obiettivi programmatici) e da legami di sistema (le relazioni intercorrenti tra le variabili in gioco, ovvero tra le componenti citate del sistema ambientale del parco).
Scrive Roberto Gambino a proposito del ruolo e finalità dei parchi 4 che, negli ultimi decenni, si è associata ai parchi una ulteriore finalità, oltre quelle classiche e "storiche": "...quella dello sviluppo economico e sociale delle comunità interessate. Già esplicita nelle politiche francesi delle zones périfériques che circondano i parchi nazionali, essa è stata soprattutto enfatizzata nell'esperienza dei parchi regionali europei, anche in relazione alle politiche regionali di riequilibrio territoriale e al ruolo che gli abitanti possono svolgere nella manutenzione dei territori antropizzati (tipicamente in montagna)... Su questo sfondo interpretativo, il ruolo dei parchi può e deve essere ridefinito, in funzione di strategie articolate di gestione degli spazi e delle risorse naturali. E infatti evidente che le esigenze e le prospettive di tutela-valorizzazione ambientale nel senso sopra esposto non possono certamente essere confinate all'interno dei parchi naturali, per quanto grandi e numerosi essi dovessero diventare".
A questa connotazione di parco, che presuppone un perimetro allargato, si pone in alternativa quella forma di area protetta definita spesso come "parco riserva".
Una forma di tutela dei beni naturali, quest'ultima, alla quale si tende ad associare una funzione pressoché esclusivamente conservativa scientifica e in parte turistica, più vicina senz'altro alle caratteristiche storiche di diffusione internazionale dei parchi, ma con riconosciute carenze di applicazione e di corrispondenza funzionale a una molteplicità di realtà nazionali.
Ciò non toglie che questa tipologia di area protetta, che in modo più esteso, e forse anche meno riduttivo, viene definito come un parco "riconoscibile" dal punto di vista naturalistico, goda tutt'ora di credibilità scientifica e di autorevoli sostegni 5.
In generale per ogni parco esiste una duplice applicabilità delle forme illustrate; ciò che viene a variare in ognuno dei due casi è ovviamente l'estensione dell'area protetta, nonché la sua eventuale compartimentazione in unità omogenee a tutela differenziata (zonazione). Avremo, nel secondo caso, un parco inevitabilmente più aderente agli spazi di massima rilevanza naturalistica e, inevitabilmente in pari misura, meno rapportato con il sistema insediativo gravitante nel suo intorno, se non altro perché vengono a costituirsi due organismi territoriali a gestione indipendente e non coordinata. Indubbiamente, a questi aspetti di scarsa interrelazione con l'intorno, si contrappongono dei risvolti positivi in termini di efficacia di funzionamento del parco; obiettivi più limitati, superficie inferiore, minori interferenze antropiche costituiscono tutti fattori che giocano a favore dell'agilità gestionale
e, logicamente, a favore del conseguimento del risultato di conservazione naturalistica.
Delle considerazioni analoghe possono farsi pensando al piano del parco, che in quest'ultimo caso si troverebbe di fronte a degli isolati obiettivi di conservazione e di controllo di alcune attività di fruizione territoriale, sostanzialmente turistiche, ed una quantità decisamente più ridotta di conflitti e contrapposizioni sociali da dirimere.
Si tratta quindi di effettuare una scelta che, tutto sommato, lascia poco spazio al compromesso. La legislazione nazionale sembra che questa scelta l'abbia compiuta nel momento in cui la legge 394/91, all'articolo 1 (Finalità e ambito della legge) recita: "(...) allo scopo di perseguire, in particolare, le seguenti finalità: (...) b. applicazione di metodi di gestione e di restauro ambientale idonei a realizzare una integrazione tra uomo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici ed architettonici e delle attività agro-silvopastorali e tradizionali".
Nonché quando si trova, all'articolo 7, che le misure di incentivazione sono finalizzate ai seguenti interventi:
a) restauro dei centri storici ed edifici di particolare valore storico e culturale;
b) recupero dei nuclei abitati rurali;
d) opere di conservazione e di restauro ambientale del territorio, ivi comprese le attività agricole e forestali.
Da quanto appare dalla lettura di questi, ma anche di altri passi, l'estromissione sistematica dei centri abitati e degli spazi comunque antropizzati dai parchi non faceva parte delle intenzioni legislative.
"...la legge sottolinea molto bene la sua idea ispiratrice di fondo: la tutela della natura non implica l'estromissione dell'uomo e delle sue attività..." ribadisce P. Maddalena nel Commentario alla legge n. 394/91 in Aree naturali protette curato da Gianluigi Ceruti 6. E ancora, sempre nello stesso commentario, R. Scarciglia a proposito del sopra citato articolo 7 della legge osserva come "...l'ordine di priorità individuato dal legislatore privilegia la valorizzazione e il recupero dell'esistente (...), ma anche dei nuclei abitati rurali, per sottolineare lo stretto rapporto tra il parco e coloro che lo abitano".
Le linee strategiche per il piano
Metodologia e criteri
La metodologia di lavoro, utilizzata per organizzare le proposte di pianificazione della tutela e della valorizzazione del comprensorio montano del Gran Sasso, è stata già ampiamente trattata in un primo contributo di ricerca pubblicato nel 1988 e in un ulteriore volume in corso di pubblicazione '.
Nella introduzione alla metodologia a corredo dello studio così Gian Ludovico Rolli illustra i criteri utilizzati:
"La metodologia proposta si richiama all'approccio "sistemico" della pianificazione.
Essa tende a far discendere da un unico processo integrato di pianificazione la determinazione di un possibile assetto futuro del territorio allo studio, inteso come sistema ambiente naturale insediamento umano, nel quale assetto siano opportunamente compatibilizzate le modalità di tutela delle risorse ambientali e di sviluppo dell'insediamento.
Secondo l'approccio sistemico la gestione della pianificazione avviene in termini dinamici, come sequenza ciclica di operazioni tendenti ad individuare, tra le varie alternative possibili, quel futuro stato del sistema territoriale considerato che determina condizioni ottimali di coerenza con gli obiettivi di volta in volta prefissati.
L'assetto territoriale programmato si identifica pertanto con l'ipotesi di piano assunta, tappa finale del processo di pianificazione.
Caratteristica fondamentale dell'approccio sistemico è la possibilità di controllo del processo di pianificazione, sulla base di informazioni assunte durante le fasi di formazione e di gestione del piano, mediante i principi della cibemetica.
Il sistema territoriale considerato è costituito da due sub-sistemi:
- l'ambiente naturale
- l'insediamento umano stabile e periodico (turistico)
Il piano consiste, come si è detto, nella definizione del futuro stato del sistema che determina le migliori condizioni di coerenza con gli obiettivi assunti; esso sarà articolato in più piani di settore, ciascuno dei quali indicherà gli interventi necessari per giungere alle condizioni finali anzidette, secondo determinate "traiettorie".
- Lo stato finale del sistema, o assetto di piano, è configurato in funzione del perseguimento di quattro obiettivi fondamentali:
- la razionalizzazione ed il potenziamento del settore produttivo primario
- la salvaguardia dell'ambiente naturale
- il miglioramento delle condizioni sociali delle popolazioni locali
- lo sviluppo del turismo"
Questa metodologia, seppur elaborata contestualmente al Parco del Gran Sasso, può ritenersi abbastanza generale da poter essere proposta come riferimento per la pianificazione della tutela e della valorizzazione di un'area montana di alto valore ambientale e comunque di un parco in cui fosse rilevante la componente culturale e insediativa storica.
- Le operazioni espletate sono state inserite in un diagramma-flusso che fornisce le fondamentali indicazioni relative alla sequenza con la quale si giunge alla proposta di condizioni di uscita per il sistema territoriale considerato.
In-put sostanziali di avvio del processo sono le componenti dei subsistemi naturale ed insediativo-antropico:
- valori naturalistici documentati - caratteri morfologici e fisici
- altimetria
- clivometria - geologia - idrologia - valori culturali - modalità di uso del suolo - attrezzatura turistica - struttura insediativa Oltre a queste componenti è stato esaminato il sistema dei riferimenti costituiti da:
- vincoli ambientali
- pianificazione comunale
Un primo impiego interpretativo di questo corredo cognitivo di base ha condotto alla individuazione di alcune potenzialità territoriali, soprattutto con riferimento agli aspetti della utilizzazione agraria dei suoli e delle suscettività ricreative e turistiche.
- Per quanto riguarda il settore agricolo è stato seguito un criterio di classificazione, secondo gli schemi della metodologia Land Classification 8. Le potenzialità di uso turistico del suolo sono state invece elaborate in parte mediante criteri deduttivi studiati in questa occasione, in parte attingendo a esperienze già condotte attinenti la materia specifica.
Il successivo passaggio di metodo ha portato alla stesura di alcuni progetti settoriali, quali quelli della zonazione del parco nazionale e di utilizzazione ottimale dei suoli.
La costruzione dello schema zonale del parco è una delle operazioni metodologiche principali contenute nel presente lavoro, in quanto ha rappresentato un momento sperimentale per la definizione di alcuni criteri atti a definire la classificazione dei territori a fini di tutela e la loro manipolazione per ottenere i risultati prescritti dall'articolo 12, legge-quadro 394/91, ovvero le quattro zone di "uso, godimento e tutela":
- riserva integrale
- riserva generale orientata - area di protezione
Area di promozione economica e sociale
Si tratta di una fase nella quale vengono raccolti i contributi di gran parte delle indagini condotte preliminarmente, quali quelle sui valori ambientali, sugli usi antropici e sul quadro istituzionale dei vincoli territoriali.
Stabiliti gli elementi rilevanti sotto il profilo vegetazionale, zoologico, storico-architettonico, geologico, paesaggistico sono state analizzate le localizzazioni e le concentrazioni di questi elementi, incorporando i profili di inviluppo all'interno delle singole macrozone secondo i criteri di seguito illustrati. In particolare sono stati ascritti alla riserva integrale le grandi estensioni forestali compatte, i biotopi di particolare rilevanza, le aree culminali dei rilievi montuosi, i nevai permanenti e i ghiacciai, i siti di elevato valore faunistico e vegetazionale, i monumenti naturali, le eccelse manifestazioni dell'azione carsica, eolica, glaciale, idrica.
Tutti questi elementi, costituenti di fatto spazi da sottoporre ad un provvedimento di "non trasformabilità", vengono fisicamente raggruppati nella specificata zona omogenea di tutela cercando di non creare isole, ma di formare un continuum territoriale.
Con criterio analogo vengono inseriti nella riserva generale orientata quegli spazi che, pur avendo connotati ambientali di un certo rilievo, sono stati però in misura maggiore interessati dall'azione antropica, quali gli elementi del paesaggio agrario, le manifestazioni diffuse del car-
sismo, le aree forestali discontinue e non censite tra i biotopi di particolare valenza, le grandi superfìci di pascolo.
Le aree di promozione economica e sociale vengono individuate sulla base dei loro caratteri qualificanti, già definiti dalla legge. Si tratta di tutti quegli spazi che hanno subito estese modificazioni antropiche per motivi insediativi ordinari o per motivi legati alla valorizzazione turistica. Pertanto sono state definite come tali le aree che comprendono i bacini sciistici attrezzati, le aree alberghiere o comunque sviluppate sotto il profilo ricettivo e, più in generale, tutte le aree urbanizzate dei centri pedemontani naturalmente vocate a divenire poli di promozione economica e sociale.
Le aree di protezione risultano quale connettivo territoriale delle tre zone appena citate, configurandosi come spazio "residuo" della operazione di individuazione delle stesse.
Bisogna aggiungere che, all'interno delle varie aree di riserva, sono state aggregate anche quelle zone nelle quali era già vigente un provvedimento analogo di tutela. In particolare sono state coinvolte alcune riserve regionali integrali e orientate, alcuni nuclei di riserva statale e alcune zone di massima tutela individuate in sede di di piano regionale paesistico ex lege 1.431/85.
E' evidente che il metodo consente una larga discrezionalità, soprattutto quando si stemperano i differenziali di valore ambientale e si devono apprezzare variazioni dello stesso estremamente fievoli per definire le attribuzioni a zone di tutela di incisività intermedia o bassa (riserve orientate, aree di protezione).
In ogni caso l'applicazione sperimentale del criterio descritto nel caso del Parco del Gran Sasso è servita anche per approfondire in sede di ricerca il tema della rilettura dei criteri di zonazione analizzando criticamente questo ormai tradizionale procedimento e comparandolo con diverse esperienze compiute in altri casi nazionali e internazionali 9.
Le forme principali di uso territoriale (conservazione, uso agricolo, uso turistico e insediativo) vengono confrontate reciprocamente nell'ambito di una valutazione incrociata di compatibilità. La valutazione tende ad evidenziare i rapporti problematici che si manifestano in corrispondenza di luoghi particolari, idonei teoricamente per più usi, ma con palese impossibilità di coe-
sistenza tra gli usi medesimi per motivi di reciproco disturbo.
Ovviamente, trattandosi di pianificazione di un'area con riconosciuto e incontestabile valore ambientale, le esigenze di conservazione assumono generalmente il ruolo di carattere dominante, mentre le esigenze di uso antropico costituiscono di fatto gli elementi recessivi.
Nella valutazione di compatibilità è chiaro che la dominanza e la recessività vengono esercitate con modalità di forza variabile, dipendentemente dal grado di rilevanza ambientale che viene, di volta in volta, riconosciuto agli spazi considerati.
La definizione delle modalità della tutela, dell'uso agrario e dell'uso insediativo e turistico consente, a questo stadio di progressione, di esprimere una prima valutazione sulle esigenze in termini di strutture gestionali e turistiche del parco.
Queste esigenze, rilevate a livello qualitativo, vengono dotate di un supporto quantitativo facendo entrare in campo la dotazione attualmente esistente di patrimonio edilizio inoccupato disponibile nei centri storici, fornendo pertanto allo studio una precisa collocazione filosofica culturale e tecnica in materia di recupero dei centri storici in abbandono '°.
L'analisi compiuta sulla struttura urbana fornisce le indicazioni indispensabili per valutare l'entità teoricamente disponibile di contenitori edilizi idonei ad accogliere, tra l'altro, l'insieme delle nuove funzioni produttive, gestionali e turistiche.
Per il solo territorio di studio ricadente nel comprensorio provinciale dell'Aquila, le stanze non utilizzate, rilevate dalle indagini censuarie dell'ISTAT del 1991, possono stimarsi in oltre 16.000 (esclusa l'area urbana aquilana), pari a circa il 30% dell'intero patrimonio edilizio presente.
Se una simile disponibilità immobiliare potesse venire interamente utilizzata, anche solo per ricettività turistica, potrebbero, a semplice titolo di esempio, ricavarsene oltre 10.000 posti letto. Come abbiamo già avuto modo di dire, si tratta fondamentalmente di indirizzi di pianificazione, contenenti sia le indicazioni per interventi specifici, sia per interventi definiti "complessi", che interessano gli ambiti di recupero edilizio, gli ambiti di riqualificazione urbanistica e gli ambiti di potenziamento dei servizi sociali. Vengono in particolare differenziati alcuni pesi funzionali, quali quelli gestionali, produttivi agricoli, artigianali, direzionali e più genericamente divulgativi e culturali.
Le esigenze di restauro paesaggistico del suolo vengono sottolineate mediante la proposizione di alcune circostanze problematiche, attinenti a siti in condizioni di grave degrado per i quali diviene irrinunciabile un'azione organica di ripristino formale.
In definitiva vengono formulate indicazioni di massima la cui precisazione in termini di piano è subordinata da un lato ad un ampliamento della sfera conoscitiva dei caratteri territoriali, mentre d'altra parte esiste la necessità di compiere approfondimenti e valutazioni di ordine dimensionale ed economico-sociale, possibili in sede di allestimento del piano del parco di cui all'articolo 12 della legge 394/91.
Agganciato strettamente a questo passaggio dovrà esserci lo studio degli impatti socioeconomici del parco, delle reazioni dell'attuale compagine sociale alle condizioni imposte dal nuovo assetto del territorio, degli effettivi scenari economici e assetti insediativi configurabili a breve, medio e lungo termine in seguito all'attuazione delle diverse fasi istitutive del parco.
E evidente, dalle considerazioni esposte, come venga considerato il ruolo del piano nel caso presentato. Uno strumento con un carattere certamente non totalizzante, quale è quello paventato dalla legge 394/91", ma con proprietà di coordinamento complessivo di un insieme di attività.
La caratteristica di "coordinamento" non toglie però incisività al piano in alcuni particolari settori, quali quelli della gestione della tutela delle risorse naturali e della utilizzazione turistica delle medesime, che dovrebbe trovare nel momento normativo dello strumento una trattazione anche di dettaglio.
Dovrebbero essere oggetto di questi approfondimenti gli interventi di restauro paesaggistico, di organizzazione degli assetti della gestione e di alcune delle principali attrezzature di servizio all'utenza turistica, quali la rete sentieristica, la segnaletica, le postazioni di informazione ed assistenza, i servizi culturali, alcune forme di ricettività convenzionata.
Certamente potrebbero demandarsi all'ordinaria e tradizionale iniziativa delle amministrazioni locali i provvedimenti connessi alle trasformazioni urbanistiche dei centri, non sottraendo però il piano a una funzione di specificazione normativa nei riguardi di una serie di questioni comuni per aree geografiche alle realtà insediative presenti sul territorio del Gran Sasso. A titolo di esempio si può citare l'area geografica, coincidente anche con un'area "storiografica" della Baronia di Carapelle e zone limitrofe 12, del versante sud-orientale della catena montuosa, dove sono collocati diversi centri storici - Castel del Monte, S. Stefano di Sessanio, Calascio, Castelvecchio Calvisio, Carapelle Calvisio, Villa S. Lucia - tutti con origini databili intorno al XIII secolo, con tipologie costruttive e architettoniche ricorrenti, caratteristiche tecnologiche e materiali comuni, analoghe conformazioni degli hinterland agrari, spesso in analoghe posizioni morfologiche, con comuni problemi di spopolamento e di degrado fisico ed economico.
Si pensi a questo proposito alle possibilità per le norme di piano del parco di poter incidere rigorosamente su alcuni aspetti del recupero funzionale degli edifici storici, del restauro tipologico ed architettonico, delle modalità di eventuale espansione edilizia e di trasformazione produttiva dei suoli, attraverso una schedatura e una definizione qualitativa di quadri prestazionali, anche secondo esperienze di studio già condotte 13, vincolando le amministrazioni a recepire integralmente nei propri strumenti queste prescrizioni di validità complessiva.
Scrive Marcello Vittorini in un recente contributo di studio sul Parco del Gran Sasso d'Italia 14: "...non basta seguire la via "tradizionale", peraltro prevista dalla legge 394/91, consistente nella istituzione di un apposito ente, sottoposto a vigilanza ministeriale, al di fuori del sistema delle autonomie locali. E' necessario invece, secondo meccanismi procedurali che in larga parte sono da inventare, coinvolgere nella gestione del parco le Comunità montane e i Comuni, in collaborazione con organismi regionali e nazionali, sulla base di criteri, indirizzi e norme derivanti dalla piena utilizzazione dei meccanismi di pianificazione, di intervento e di spesa prevista dalle leggi vigenti. A partire dagli strumenti urbanistici e dai bilanci comunali, che dovrarnno essere formati ed attuati secondo norme di collaborazione e di integrazione fin'ora mai sperimen-
tate". Se è vero, come esprimono queste parole, che esiste la necessità per le amministrazioni locali di "immergersi" a pieno titolo nella gestione dei parchi, è pur vero che, almeno fino alla data attuale, le stesse amministrazioni, o meglio la maggior parte di esse, ha dato prova di non essere in grado di leggere nel modo appropriato il ruolo del centro amministrato, nè tantomeno, di saper graduare e controllare con criteri "studiati" e soprattutto realistici, le trasformazioni dei suoli e degli edifici e, ancora peggio, le espansioni.
Certamente danni abnormi al patrimonio paesaggistico e insediativo storico non ce ne sono stati, almeno nei casi poc'anzi citati. Ma questo solo perché si tratta di luoghi ormai privi da anni di domanda nel settore immobiliare.
Ben diversa è la condizione di alcuni altri centri dove invece un certo interesse immobiliare permane, seppur in prevalenza rivolto verso le seconde case. Basti pensare ad alcuni insediamenti pedemontani del Gran Sasso, siti nel Comune dell'Aquila, come Collebrincioni, Aragno, Filetto o altri del versante teramano come Cerchiara o Casale S. Nicola; tutti insediamenti ormai piacevoli da guardare solo in "campo lungo", ma che rivelano drammatiche alterazioni urbanistiche e tipologiche una volta osservati dall'interno.
Si è quindi di fronte all'opportunità di far derivare da una responsabilizzazione "endogena" la esigenza di trasformazione coordinata, misurata e adeguata alla effettiva utilizzazione dell'insediamento con criteri di minima modificazione.
- 1. In particolare, riferendosi allo schema adottato in sede Iucn (Unione internazionale per la conservazione della natura), un parco nazionale con le caratteristiche di cui si è detto dovrebbe collocarsi in posizione intermedia tra la categoria II (National Park) e la categoria V (Protected Landscape or Seascape). Si veda Iucn: 1993 United Nations List of National Parks and Protected Areas. Iucn, Gland, Switzerland and Cambridge, UK, 1993.
- 2. Sargolini M., Parco nazionale dei Monti Sibillini. Processi conoscitivi per la redazione del piano. Parametro, n. 203, Faenza, 1994.
- 3. Iucn: Parks for life: Report of the IVth World Congress on National Parks and Protected Areas. Reccomandation 6 - People and Protected Areas. Iucn, Gland Switzerland, 1993.
- 4. Gambino R., I parchi naturali. Ed. NIS, Roma, 1991.
- 5. Pedrotti F., Comunicazione tavola rotonda "Studi per la zonazione del Parco nazionale dei Sibillini", Roma, 6.6.94.
- 6. Ceruti G., Aree naturali protette. Ed. Domus, Milano, 1993.
- 7. Cfr. Rolli G. L., Romano B., Progetto Gran Sasso, metodologia per la pianifcazione della tutela e della valorizzazione di un'area montana di alto valore ambientale. Università degli Studi dell'Aquila, Facoltà di ingegneria, Dipartimento di architettura e urbanistica, L'Aquila, 1988. Vedi inoltre, degli stessi Autori, Progetto parco, tutela e valorizzazione dell'ambiente nel comprensorio del Gran Sasso d'Italia. Università dell'Aquila, Dipartimento di architettura e urbanistica (in pubblicazione).
- 8. Per una panoramica sintetica delle metodologie di classificazione del territorio a fini agrari si veda: Vacca S., La valutazione dei caratteri del territorio nella pianifìcazione. F. Angeli Ed., Milano, 1992.
- 9. Romano B., La zonazione nelle aree protette. Parametro n. 196, Faenza, 1993.
- 10. Rolli G. L., Romano B., Sulpizii S.: I centri storici nella struttura territoriale: il recupero dei ruoli funzionali. Ricerca: Recupero integrato delle strutture urbanistiche e edilizie dei centri storici in abbandono nelle aree interne della Regione Abruzzo. Regione Abruzzo, Dipartimento di architettura e urbanistica, Università dell'Aquila, L'Aquila, 1993.
- 11. L'articolo 12, comma 7 della legge 394/91 recita: il piano ha effetto di dichiarazione di pubblico generale interesse e di urgenza e di indifferibilità per gli interventi in esso previsti e sostituisce a ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di pianificazione.
- 12. Si veda Clementi A: L'organizzazione demica del Gran Sasso nel medio evo. Ed. Libreria Colacchi, L'Aquila, 1991.
- 13. Si veda a tale proposito Zordan L., De Bernardinis P., Lombardi M. F., Morganti R., Recupero su base tipologica e prestazionale. Metodologia e indirizzi operativi. Ricerca: Recupero integrato delle strutture urbanistiche e edilizie dei centri storici in abbandono nelle aree interne della Regione Abruzzo. Regione Abruzzo. Dipartimento di architettura e urbanistica, Università dell'Aquila, L'Aquila, 1993.
- 14. Vittorini M. (a cura): Studio per il Parco del Gran Sasso d'Italia. Regione Abruzzo, Comunità montana Campo Imperatore - Piano di Navelli. L'Aquila, 1994.
* Dipartimento di architettura e urbanistica Università dell'Aquila |