Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 15 - GIUGNO 1995


Come nasce il Parco del Po
Piero Mandarino*

La storia del Parco del Po piemontese comincia nel 1975 quando alcuni valenzani, a seguito dell'entrata in vigore della l.r. n. 43 che segna l'avvio della politica dei parchi, segnalano alla Giunta regionale la necessità di proteggere una zona comprendente una piccola garzaia ed un'area acquitrinosa sita in corrispondenza di un meandro abbandonato dal Po nei pressi di Valenza. La richiesta di tutela del sito, unico punto in Piemonte di nidificazione dell'airone rosso, ha lo scopo di scongiurare la sua trasformazione in campeggio e in impianti di pesca sportiva che, se portata a compimento, ne distruggerebbe completamente le componenti naturalistiche di alto valore biologico: nell'area nidificano anche il falco di palude, garzette, nitticore, germani reali, gallinelle d'acqua e molti altri uccelli.
Dopo l'inserimento della zona nel primo piano dei parchi (1977), la Garzaia di Valenza viene istituita con legge specifica nel settembre del 1979 e suddivisa in due parti: le lanche e i relitti di bosco planiziale (riserva integrale) e i pioppeti adiacenti (riserva orientata) per una superficie di 210 ettari. Pochi mesi dopo il Consiglio direttivo dell'Ente di gestione (composto da rappresentanti del Comune di Valenza e della Regione) provvede all'assunzione del primo nucleo del personale formato dal direttore, l'economo e tre guardiaparco.
Nel 1987 la Regione affida all'Ente la gestione di una seconda riserva naturale di 250 ettari sul Torrente Orba, affluente del Bormida, istituita per tutelare una consistente colonia di nitticore e il Consiglio direttivo viene integrato con i rappresentanti dei tre Comuni interessati dalla nuova area protetta mentre tre nuovi guardiaparco entrano a far parte dell'organico.
L'Ente ha un ruolo fondamentale nel promuovere la salvaguardia dapprima del Po e poi dell'Orba, assumendosi una parte decisamente scomoda perché contrastante con equilibri ed interessi consolidati; presidente, consiglieri e funzionari si impegnano cercando di combattere il diffuso disinteresse, o peggio gli atteggiamenti distruttivi verso l'ecosistema fluviale. Nei primi dieci anni di attività i guardiaparco bloccano numerosi interventi di escavazioni in alveo, di cementificazione delle sponde e di disboscamento in un tratto di fiume ben più lungo dei due chilometri di corso del Po ricadente all'interno della riserva.
Oltre duemila ragazzi delle scuole e centinaia di adulti visitano ogni anno il museo allestito nella Cascina Belvedere, sede operativa della riserva, osservano la fauna dai capanni, percorrono il greto del fiume ed imparano a conoscere la vita intorno al Po.
La battaglia condotta per molti anni porta, nel 1990, al raggiungimento del primo importante traguardo, la prima verifica della validità del lavoro impostato da poche persone con scarsi mezzi finanziari, nella Riserva di Valenza: l'istituzione, legge regionale, del "sistema delle aree protette della fascia fluviale del Po".
Il Parco del Po, come oggi è chiamato, diventa quindi realtà nel periodo di maggior sensibilità verso le problematiche ambientali (la seconda metà degli anni ottanta) a seguito di due precedenti tappe:

  • l'inserimento, nel 1985, della fascia fluviale del Po nel piano dei parchi regionale;
  • la decisione, nel 1986, del Consiglio regionale di sviluppare nell'ambito del "programma finalizzato Po" un apposito progetto per tutta la fascia fluviale del Po in territorio piemontese in relazione all'applicazione della legge 431/85 per la tutela paesistica ed ambientale.
    Per comodità gestionale il parco viene suddiviso in tre parti, ognuna delle quali affidata ad un Ente appositamente costituito;
  • dalle sorgenti fino alla confluenza con il Torrente Maira (il tratto cuneese);
  • dalla confluenza col Maira fino alla confluenza con la Dora Baltea (il tratto torinese);
  • dalla confluenza con la Dora Baltea sino alla confluenza con il Torrente Scrivia (il tratto alessandrino-vercellese).
    E' su quest'ultimo tratto che intendo soffermare l'attenzione; quello su cui si è incentrata la prima idea di tutela del territorio fluviale, l'unico dei tre Enti pienamente funzionante in quanto "costruito" sulla struttura della preesistente Garzaia di Valenza.
    Lungo circa 90 chilometri il parco interessa l'area golenale per una superficie di 14.000 ettari e si articola su 6 riserve naturali ed un'area attrezzata, raccordate tra loro da zone di salvaguardia. L'istituzione del Parco del Po avviene al termine di un lungo dibattito culturale sul concetto di area protetta che aveva portato al superamento (almeno fra gli addetti ai lavori) della comune idea di parco: non più unica fonte di vincoli ma portatore di nuove opportunità per la popolazione in esso residente; un dibattito che si era tradotto nella modifica della precedente legge regionale n. 43/75 (legge-quadro piemontese).
    Oltre alla valorizzazione e qualificazione delle economie presenti sul territorio la nuova leggequadro (la n. 12 del 22 marzo 1990), considerata dagli esponenti del mondo agricolo una condizione basilare per l'istituzione del parco, riconosce le aree protette "zone sensibili" dal punto di vista ambientale ai sensi delle disposizioni comunitarie e quindi particolarmente favorite nella concessione dei finanziamenti.
    Anche gli organi degli Enti di gestione vengono modificati e unificati: oltre alla figura del presidente, la legge introduce la Giunta esecutiva mentre tra i membri del Consiglio direttivo, oltre ai rappresentanti dei Comuni e agli esperti di nomina regionale, inserisce i rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole, delle associazioni ambientaliste.
    Tuttavia sono proprio i forti ritardi nella nomina degli esperti da parte della Regione e della designazione dei rappresentanti delle organizzazioni agricole a prolungare oltre ogni previsione la gestione "provvisoria" del parco, contribuendo ad alimentare un clima di sfiducia nei confronti delle istituzioni. Dalla data dell'istituzione, per diciannove mesi, l'intero parco viene infatti gestito dal Consiglio delle riserve della Garzaia di Valenza e del Torrente Orba.
    Il Consiglio del parco, integrato nel frattempo dai membri nominati dalle Province di Alessandria e Vercelli in seguito alla riforma delle autonomie locali, diviene pienamente rappresentativo soltanto nel novembre 1992 con la nomina del presidente e della Giunta esecutiva.
    Da questa data il Consiglio, composto da quarantuno membri, delibera il programma annuale di gestione, i bilanci ed i provvedimenti relativi al personale. Si tratta quindi di un organo molto allargato che, se da un lato consente la rappresentanza di tutti i Comuni (26 in totale), dall'altro crea talvolta problemi di funzionamento.
    Alla Giunta esecutiva, composta dal presidente, dal vice presidente e da 7 membri del Consiglio spetta il compito di predisporre le proposte di deliberazione relative agli atti di competenza del Consiglio e di mettere in atto il programma annuale deliberando le spese, i contratti, gli incarichi e le consulenze professionali.

Le attività
Oltre all'attività didattica, editoriale e di vigilanza il parco (il cui personale è oggi costituito dal direttore, 7 guardiaparco, 1 responsabile amministrativo, 1 responsabile della vigilanza, 1 responsabile della fruizione e 2 impiegati amministrativi, coadiuvati da 4 obiettori di coscienza in servizio sostitutivo civile e da 4 guide naturalistiche) conduce ricerche idrobiologiche, idrogeologiche, chimiche, faunistiche e botaniche anche grazie a collaborazioni con laureandi, tecnici esterni e istituti di scuola media di ordine inferiore e superiore ed è sede nazionale dell'Istituto di educazione alla terra, ramo italiano dell'Institute for Earth Education, l'associazione internazionale che promuove e diffonde un nuovo modo di "insegnare la natura".
Il personale del parco riceve e cura gli animali selvatici feriti tentando, con discreto successo, la loro riabilitazione e la successiva liberazione. Da tre anni in un'area di 17 ettari interna alla Riserva naturale orientata della Garzaia di Valenza sono in corso i lavori per il recupero ambientale di terreni agricoli mediante la ricostituzione di ambienti diversificati adatti alla sosta e alla nidificazione dell'avifauna e la realizzazione delle relative strutture per la fruizione.

La pianificazione
Nel periodo successivo all'approvazione della legge-quadro nazionale 394/91 (recepita dalla Regione con la l.r. 36/92), caratterizzato dal no-to "calo di tensione" generale sulle problematiche ambientali, continua in Piemonte il processo formativo del progetto Po (già richiamato in precedenza) che coinvolge, oltre agli uffici regionali di vari settori, gli organi strumentali della Regione, l'Irpi/Cnr, nonché esperti e centri di ricerca esterni. Il prodotto finale è il progetto territoriale operativo "Tutela e valorizzazione delle risorse ambientali del Po" che individua su tutto il corso del Po piemontese, e su una fascia più ampia di quella interessata dal parco, le aree di prevalente interesse naturalistico, quelle di prevalente interesse agricolo, quelle urbanizzate, quelle in cui realizzare interventi di recupero ambientale con specifici progetti.
Per ogni zona il progetto prevede normative a tutela delle risorse primarie, della tutela del suolo dal dissesto idrogeologico e detta criteri, indirizzi e prescrizioni che devono essere osservati nella formazione dei piani a livello comunale.
Tre sono le strategie del progetto.
La prima è di natura idraulica: essa introduce il concetto di "fascia di pertinenza fluviale" restituendo importanza fondamentale alle aree di espansione delle acque di piena e interpretando quindi i contenuti della legge 183/89 la cui filosofia è quella di realizzare il governo delle acque attraverso norme, incentivi, interventi di uso del territorio.
La seconda strategia riguarda gli usi agro-forestali: la grossa ambizione del progetto è quella di cercare di ottenere le modificazioni dell'uso del suolo non con i vincoli ma con orientamenti e incentivi (contributi dei regolamenti Cee 2078 e 2080/92).
La terza riguarda la fruizione pubblica: la fascia fluviale dovrà tornare ad essere fruibile dalla collettività, si dovrà migliorare l'accessibilità delle sponde potenziando i percorsi rivieraschi e le attrezzature.
Il progetto, limitatamente al territorio del parco, ha quindi valore di piano d'area (piano del parco) e viene pertanto adottato nel giugno 1994 dal Consiglio del parco previo accoglimento, nel corso di apposite conferenze con gli Enti locali e incontri con le associazioni agricole, di molte delle osservazioni presentate.
Anche la Giunta regionale, per la parte di sua competenza esterna al parco, provvede all'adozione del progetto nell'agosto successivo.
Tuttavia, non appena le salvaguardie che impediscono le modificazioni dell'uso del suolo nella fascia di pertinenza fluviale e nelle aree di maggior pregio ambientale producono i primi effetti, si assiste alla reazione di alcuni amministratori locali che lamentano l'imposizione di vincoli inaccettabili e cercano di screditare il parco e la Regione che lo ha istituito.
Saranno purtroppo i noti eventi del 6 novembre a mettere drammaticamente in evidenza quanto siano essenziali gli spazi che possono laminare le piene e quanto sia indispensabile invertire la tendenza che aveva portato, nei decenni precedenti, ad interferire nella dinamica del fiume.
Ma la ricerca del capro espiatorio nel dopo alluvione porta in alcuni casi ad accusare ancora il parco, "colpevole" di aver fatto rispettare la direttiva in materia di attività estrattive dell'autorità di bacino in vigore su tutti i fiumi padani (che consente il prelievo di inerti solo per motivate esigenze di carattere idraulico) e di avere di conseguenza favorito l'accumularsi della ghiaia nell'alveo del fiume. Tutto ciò nonostante uno studio sull'assetto idrogeologico su un tratto di 100 chilometri, promosso sulla base di accordi socio-economici intercorsi tra Regione, Provincia di Vercelli, Comune di Trino ed Enel, dimostri, in maniera incontrovertibile, mediante il confronto delle sezioni d'alveo rilevate in epoche differenti, il generale abbassamento (e non l'innalzamento) dell'alveo del Po (in proposito rimando il lettore all'articolo "Alluvione e gestione dei fiumi" a firma di Giorgio Assini, presidente del parco, che la rivista ha ospitato nel n. 14 del febbraio scorso).
L'attacco al progetto territoriale operativo va oltre gli atteggiamenti vittimistici che solitamente vengono riservati ai tentativi di pianificazione di area vasta: in alcuni casi è avversato con motivazioni poco chiare, volte a creare disinformazione tra la gente, in altri casi strumentalizzato in maniera inaccettabile per scopi politici, in altri ancora non capito nella sua importanza.
Tuttavia il 7 marzo scorso, al termine della legislatura, il Consiglio regionale conclude l'iter del progetto Po con l'approvazione congiunta dei due strumenti: Pto e Piano d'area.
Questa è la strada fino ad oggi percorsa in Piemonte verso la tutela del maggior fiume italiano.

* Vice presidente del parco