Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 15 - GIUGNO 1995


La gestione delle aree protette locali: l'esempio del Bosco di Sargiano
Roberto Mercurio * e Andrea Cutini **

Introduzione
Nel 1991, nel quadro delle opere di ristrutturazione dell'intero complesso del Convento di Sargiano, fu stabilito dai Padri Francescani, proprietari dell'immobile, di studiare la ridefinizione delle funzioni e delle possibili iniziative da intraprendere per la conservazione e la gestione del bosco attiguo. Infatti da tempo, con il venir meno delle funzioni tradizionali del Convento, ossia di centro spirituale e culturale, il bosco non veniva più coltivato razionalmente.
In una relazione preliminare Cutini e Mercurio (1991) sottolineavano l'importanza del bosco anche dal punto di vista fitogeografico e, più in generale, naturalistico per la presenza di un importante nucleo di rovere (Quercus petraea (Matt.) Liebl. ).
In seguito ad indagini dettagliate fu fatta una puntuale descrizione del bosco dal punto di vista selvicolturale e vegetazionale (Cutini et al., 1993) e di recente sono state condotte ricerche sull'ecologia dei semenzali di rovere (Cutini e Mercurio, 1995).
Con la presente nota si affrontano i problemi connessi alla conservazione e alla gestione di tale area.

L'ambiente e la storia
Il convento di Sargiano dista pochi chilometri dal centro di Arezzo (IGM, 114 II N E) e la sua collocazione conferisce all'area una significativa importanza dal punto di vista paesaggistico e ricreativo. Il bosco si estende per una superficie di circa 10 ettari nel versante settentrionale di monte Lignano, tra 330 e 395 m slm. La rovere occupa la parte esposta a N-E di una vallecola che dal Convento degrada verso la sella dell'Olmo (anche se ulteriori indagini hanno permesso di accertare la presenza di singoli individui o piccoli gruppi di rovere in vallecole limitrofe in località Olmo e S. Marco). Si tratta di un'area con microclima particolare, fresco e umido, con notevoli risorse idriche, che si distingue nettamente da quello dei versanti esposti a S-SO aridi e dominati da formazioni di roverella.
L'area è omogenea dal punto di vista geologico essendo costituita dalla sola formazione del macigno (Oligocene-Miocene inferiore) da cui si sono originati suoli bruni, profondi, acidi o sub acidi, ben drenati, ricchi di sostanza organica negli orizzonti superficiali.
Secondo la classificazione di Thomthwaite l'area ricade nel clima subumido, secondo mesotermico, con moderata deficienza idrica estiva (Bigi e Rustici, 1984), mentre secondo la classificazione fitoclimatica di Pavari la stazione appartiene alla sottozona fredda del Lauretum II tipo. In base alla classificazione fitoclimatica della Toscana a sud dell'Arno (Arrigoni, 1973) il bosco rientra nei consorzi misti delle latifoglie decidue del cingolo a Quercus-Tilia-Acer di Schmid.
Le vaste foreste che dovevano occupare la zona (Foresta dell'Olmo) sono progressivamente scomparse, soprattutto nelle esposizioni più calde, a partire dal XII secolo per far posto alle colture agrarie. Dall'analisi storica risulta che la rovere veniva utilizzata per legna da ardere e che nel bosco furono introdotte altre specie per ottenere prodotti necessari al sostentamento del Convento. In una descrizione del 1746, riportata nelle Memorie del Convento, si afferma "in detto bosco oltre... legname a sufficienza per il fuoco, vi sono abeti e cipressi che servono e per abbellimento e anco per i bisogni occorrenti, o di travi o di tavole". Piantagioni di cipressi, posti a confine della proprietà e per ornare i viali, sono segnalate nel 1746 (n. 145), nel 1834, nel 1874 e nel 1941 (n. 250); piantagioni di abeti vennero eseguite nel 1746 in sostituzione di altri abbattuti e nel 1941 (n. 750) ora scomparsi. La presenza di ceppaie di castagno denota la presenza di un piccolo castagneto da frutto.
Una modesta porzione di bosco fu dissodata per essere adibita ad orto e nelle vicinanze fu creata una vasca per la raccolta dell'acqua.
Caratterizzano il bosco la presenza di piante di alloro con oltre 20 cm di diametro e annosi individui di leccio tra cui il cosiddetto leccio di "Gnicche" (soprannome di Federico Bobini, bandito aretino vissuto nell''800, che proprio su questa pianta aveva posto la sua base per gli agguati ai passanti).
Nelle Memorie del Convento (1746) si riferisce che nel XVIII secolo gran parte del bosco era circondato da un muro, esclusa la parte di fronte all'entrata della Chiesa. L'opera verrà completata nel 1803 così come si può osservare in una lapide posta nel muro.
Durante i bombardamenti del 13-16 luglio 1944 il bosco fu gravemente danneggiato tanto che nelle Memorie del Convento (1939-1979) si riporta che "non rimane altro rimedio che tagliarlo tutto sistematicamente".
Negli ultimi decenni il bosco è stato governato a ceduo con tagli a raso rilasciando matricine di più turni. L'intera superficie boscata, prima del secondo conflitto mondiale, era suddivisa in sezioni dell'ampiezza di poco inferiore all'ettaro; ogni anno, a rotazione, veniva tagliata la sezione più vecchia. In seguito ai danni subiti dalla guerra i tagli non hanno seguito una norma precisa e negli ultimi anni le ceduazioni sono state sospese ad eccezione di due tagliate di poche centinaia di m2 eseguite nel 1989. Il turno di ceduazione che, secondo le prescrizioni di massima e di polizia forestale (1968), per i boschi di rovere e leccio è di 14 anni, è stato elevato dalla legge regionale 1/1990 a 18 anni.

Fisionomia della vegetazione
Per l'inquadramento e la definizione delle caratteristiche fisionomiche del bosco di Sargiano si è fatto riferimento a criteri ecologici e vegetazionali utili anche ai fini gestionali. I principali tipi colturali sono:

  • 1) formazione di sempreverdi. E' circoscritta alle esposizioni più calde e alle parti meno umide. La copertura superiore è costituita quasi esclusivamente dal leccio che è la specie dominante. Negli strati inferiori le specie più frequenti sono: l'orniello, il corbezzolo, la lentaggine, il pungitopo e il leccio. Sporadica la rinnovazione di leccio e orniello. Pressoché assenti le specie erbacee.
  • 2) Formazione a dominanza di rovere. E la formazione nettamente prevalente e può essere a sua volta suddivisa nei seguenti tipi strutturali (tabella 1).
    • a) Popolamento con struttura bistratificata (tipo A). La rovere è la.specie prevalente sia nello strato superiore che in quello inferiore. Lo strato superiore è costituito da matricine di circa 50 anni (altezza media 12 m, densità di 175 piante ad ettaro) e da polloni di rovere. Lo strato inferiore presenta una densità di 2550 ceppaie ad ettaro; oltre alla rovere si trovano varie specie tra le quali prevale il corbezzolo che indica un aspetto della degradazione della cenosi originaria. La rinnovazione naturale di rovere è presente in modo diffuso con semenzali anche di 4-5 anni e una densità media di 168 m2. Ciò dimostra l'adattabilità di questa specie all'ambiente nonché una certa tolleranza all'ombra così come evidenziato da Camus (1938) e da Becker e Levy (1990). Infatti, da osservazioni condotte all'interno di questo tipo strutturale, si sono registrati valori di radiazione pari a circa il 3% di quella sopra il piano delle chiome. Oltre alla rovere si rinnovano pure l'alloro e sporadicamente il ciavardello, il ciliegio e il leccio. La componente erbacea è pressoché assente.
    • b) Questo tipo strutturale (tipo B), limitato alle zone di impluvio, è meglio conservato rispetto al precedente. Lo strato superiore è costituito da matricine (altezza media di 17.5 m, densità 159 piante ad ettaro) e polloni di rovere. Lo strato inferiore, con altezza compresa tra i 6 e i 10 m, è formato da polloni di rovere, orniello, carpino bianco e nero e, in minor misura, di leccio. Anche qui, nonostante il notevole grado di copertura, è presente rinnovazione naturale di rovere e alloro. Si tratta però quasi esclusivamente di semenzali dell'anno, dal momento che la quantità di luce disponibile è cosi limitata da non consentirne la sopravvivenza. Il sottobosco è costituito da pungitopo, edera e ciclamino (Figura 1).
    • c) Il tipo C si distingue dai precedenti per il maggior sviluppo delle piante, dovuto tra l'altro ad una età più avanzata. Lo strato superiore è formato da matricine (altezza media 17.8 m, con
      una densità di 157 soggetti ad ettaro) e polloni di rovere. Rispetto al tipo precedente si hanno valori superiori di area basimetrica dovuti alle maggiori dimensioni medie dei polloni. Lo strato inferiore presenta una maggiore ricchezza floristica con prevalenza di orniello, leccio, corbezzolo e lentaggine. La rinnovazione naturale di rovere è praticamente inesistente.
    • d) Popolamento con struttura monostratificata (tipo D) che assume la fisionomia di una vera e propria fustaia. Si riscontra solo su piccole superfici. E caratterizzato da una minore densità rispetto agli altri casi e da uno strato superiore costituito da matricine (altezza media di 17.3 m, diametro medio di 31.2 cm, densità di 125 piante ad eKaro) e da alcuni polloni di grosse dimensioni. Rappresenta il tipo strutturale più evoluto. Lo strato inferiore non è ben distinto e comunque tende a scomparire: molte ceppaie di corbezzolo sono deperienti o morte. Anche qui nonostante la notevole copertura (la radiazione misurata sottocopertura è risultata inferiore al 2% della radiazione incidente) è presente rinnovazione di rovere (150 semenzali per metro quadrato).
  • 3) Ex semininativi. Attualmente negli spazi un tempo destinati ad orto è in atto una lenta ricostituzione del bosco ad opera di specie arbustive (sanguinella, rosa canina, rovo, prugnolo, vitalba, alloro, eccetera) e arboree (carpino nero, acero campestre, rovere, leccio, eccetera).
  • 4) Frutteto. Intomo al fabbricato del Convento si estendeva il frutteto. Oggi questa superficie non è più coltivata e una vegetazione a prevalenza di nitrofile sta soffocando i fruttiferi ancora presenti, conferendo a questi spazi un aspetto disordinato e caotico.
  • 5) Altre piante di interesse storico ed estetico. Di particolare significato, oltre i grossi individui di alloro e leccio, sono i filari di cipressi che "da sempre" delimitano i viali e i confini della proprietà.

L'importanza del Bosco di Sargiano
Il bosco di Sargiano rappresenta una cenosi di estremo interesse sotto vari aspetti.
La consistente presenza della rovere costituisce una singolarità nell'ambito delle stazioni di rovere dell'Italia centro-meridionale, dove la specie è sempre stata segnalata allo stato sporadico. Dal punto di vista geobotanico la struttura del bosco e la sua composizione floristica mostrano un'affinità con i boschi di rovere appenninici e in particolare della Liguria (Oberdorfer e Hofmann, 1967), della Toscana meridionale (De Dominicis e Casini, 1979) e dell'Umbria (Pedrotti et al., 1982), anche se alcune peculiarità pongono la stazione di Sargiano in una situazione di autonomia fitogeografica di estremo interesse. In particolare l'assenza del cerro, la presenza di specie mediterranee termofile (Arbutus unedo, Quercus ilex, Asplenium onopteris, Rubia peregrina) di cui alcune assenti negli altri boschi citati (Asparagus acutifolius, Viburnum tinus) e di alcune temmo-igrofile (Laurus nobilis) conferisce a questa stazione caratteristiche proprie, non riscontrabili in altri popolamenti (Cutini et al., 1993).
Dal punto di vista selvicolturale si nota che il governo a ceduo, in questa stazione, non è risultato incompatibile con la conservazione della rovere. Inoltre la struttura e composizione attuale sono tali da far prevedere una rapida evoluzione della cenosi verso il bosco d'alto fusto.
I fattori che possono aver favorito la permanenza della rovere sono: l'assenza del cerro, temibile concorrente; le capacità intrinseche della rovere stessa, in quanto specie con elevata facoltà pollonifera e in grado di rinnovarsi abbondantemente sotto copertura; il tipo di trattamento che, rilasciando numerose matricine di rovere, ha consentito l'insediarsi di una densa e diffusa rinnovazione naturale. Quest'ultimo elemento conferma che la rovere trova in questa stazione, seppur di collina e a bassa quota, condizioni ottimali di vegetazione.
Più in generale questo bosco si è ben conservato per la gestione oculata operata dai Francescani, ordine che, rifacendosi alla visione del Fondatore, considera l'uomo come una componente del Creato che ha, da una parte, il diritto di usare delle risorse naturali, e dall'altro il dovere di conservare e custodire tali beni per le generazioni future.
E significativo, a tal proposito, il fatto che la rovere nel Bosco di Sargiano rappresenta di gran lunga la specie principale, mentre in quelli limitrofi, in condizioni ambientali analoghe, prevalgono la roverella e il cerro, con la rovere presente in modo più sporadico.

Criteri per la conservazione e la gestione
Il bosco di Sargiano, allo stato attuale, si trova in uno stato di abbandono. Dato l'interesse dell'intero complesso e in particolare della stazione di rovere si pone il problema di individuare gli interventi idonei per la conservazione e la gestione.
Tra le misure più urgenti Cutini e Mercurio (1991) hanno proposto la sospensione delle ceduazioni per favorire l'evoluzione del soprassuolo verso una struttura e una composizione quanto più vicina a quella originaria, effettuando diradamenti moderati nelle porzioni più evolute per accelerare i processi di conversione verso la fustaia. Inoltre, per riqualificare l'area, sono stati previsti: il taglio delle piante morte di cipresso e la cura di quelle deperienti al fine di limitare la diffusione del cancro; il controllo della caccia abusiva e il divieto della raccolta dei prodotti del sottobosco (alloro, pungitopo, funghi); la disciplina dell'accesso e il ripristino della viabilità; interventi di dendrochirurgia sulle piante monumentali; il recupero dell'area occupata dall'orto e dal frutteto.
In pratica non è stato possibile mettere in atto nessuna delle misure previste. I vincoli legislativi esistenti, d'altro canto, non sono di per sé sufficienti a porre un limite allo stato di degrado. In particolare il bosco di Sargiano è sottoposto al vincolo idrogeologico a norma del R.D. 3267/1923 e della legge forestale della Regione Toscana n. 1/1990; al vincolo paesaggistico secondo la legge n. 431/1985 (legge Galasso). L'area è inoltre inclusa nel sistema regionale delle aree protette di cui all'articolo 10 della L.R. 52/1982 e successive modificazioni e classificata nella categoria A, ossia aree che presentano interesse paesaggistico ambientale d'insieme, con carattere prevalentemente estensivo
(Del. C.R. n. 296 del 19/7/1988 integrata con Delibera n. 130/1990). Secondo invece il PRG del Comune di Arezzo l'area ricade nella zona E 5 "agricola speciale aree protette" dove però non esiste alcun vincolo per la parte boscata; infatti "il piano favorisce gli interventi di coltura e sfruttamento delle risorse arboree".
Occorre quindi individuare gli strumenti da utilizzare dal punto di vista normativo e gestionale per porre realmente sotto tutela il bosco anche perché i Padri Francescani non sono nelle condizioni di poter esercitare alcun controllo né provvedere direttamente alla gestione.
Tra gli enti con competenze sull'ambiente e il territorio, la Provincia può svolgere un ruolo determinante per la protezione e la salvaguardia di biotopi di rilevante interesse ma di piccola estensione come il bosco di Sargiano. Infatti la legge n. 142/1990 sull'ordinamento delle autonomie locali e la legge-quadro sulle aree protette (n. 394/1991) attribuiscono specifiche competenze agli Enti locali nel processo di istituzione e di gestione delle aree protette. Perciò sono stati avviati dei contatti con l'Assessorato all'ambiente della Provincia di Arezzo che hanno portato alla formulazione di una convenzione (in fase di stipula) tra la Provincia Toscana di S. Francesco Stigmatizzato e la Provincia di Arezzo, con lo scopo di garantire, nel quadro di una promozione religiosa, culturale e naturalistica del complesso, una corretta gestione del bosco, la conservazione dei caratteri originali dell'ambiente e la tutela dei valori naturalistici presenti. Il compito di elaborare le linee generali di gestione, di vigilare sul corretto utilizzo del bosco, di proporre iniziative di tutela, di promozione, di studio e di divulgazione dei valori naturalistici è affidato ad una commissione tecnico-scientifica. La formulazione organica di tali obiettivi è demandata all'elaborazione di un piano di gestione pluriennale che dovrebbe contenere tra l'altro una diagnosi dello stato del bosco, fornire precise indicazioni sulle modalità di esecuzione degli interventi colturali, definire le attività compatibili con la tutela del bosco e l'uso dei beni convenzionati.
Con la stipula della convenzione si potranno attuare le iniziative previste con una duplice finalità: salvaguardare un'area di estremo interesse storico-naturalistico e nel contempo creare un polo didattico-formativo a servizio delle comunità locali.
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BIBLIOGRAFIA

- Arrigoni P. V., Ricerche fitoclimatiche sulla Toscana a Sud dell'Arno, Atti Soc. Tosc. Sc. Nat. Mem., Anno 1972, Serie B, Vol. LXXIX: 97-106, 1973.
- Becker M., Levy G., Le point sur l'écologie du chène sessile et du chène pédunculé, Rév. Forest. Franc., 42 (2): 148-154, 1990.
- Bigi L., Rustici L., Regime idrico dei suoli e tipi climatici in Toscana, Dipartimento agricoltura e foreste, Regione Toscana, Firenze, 1984.
- Camus A., Les Chènes, Tome II, Lechevalier, Paris, 1938.
- Cutini A., Mercurio R., Moggi G., Viciani D., Osservazioni su una nuova stazione di rovere (Quercus petraea (Matt.) Liebl.) in Toscana, Atti e Mem. dell'Accademia Petrarca di lettere, arti e scienze (Arezzo), n.s. Vol. LIV (1992): 319-341, 1993.
- Cutini A., Mercurio R., Osservazioni preliminari sull'ecologia di semenzali di rovere (Quercus petraea (Matt.) Liebl), in stampa, 1995.
- De Dominicis V., Casini S., Memoria illustrativa per la carta della vegetazione della Val di Farma (Colline Metallifere), Atti Soc. Tosc. Sci. Nat., Mem., Serie B, 86: 1-36, 1979.
- Oberdorfer E., Hofmann A., Beitrag zur Kenntnis der Vegetation des Nordapennin, Beitr. Naturk. Forsch. Suedw.-Deuthsch., 26: 83-139, 1967.
- Pedrotti F., Ballelli S., Biondi E., La végétation de l'ancien bassin lacustre de Gubbio (Italie centrale), Doc. phytosoc., n.s. 6: 221-243, 1982.

Fonti manoscritte inedite:

- Cutini A., Mercurio R., Proposte per la conservazione e la valorizzazione del bosco di Sargiano, Arezzo, 7 gennaio 1991,5 pp., 1991.
- Memorie del Convento di Sargiano de Minori Osservanti Riformati del P. S. Francesco della Provincia di Toscana fuori d'Arezzo. Raccolti da manoscritti antichi, da un religioso della medesima Provincia, nell'anno 1746. Conservate presso l'archivio del Convento di Sargiano, 1991.
- Memorie del Convento di Sargiano, anni: 19341979, Volume II. Conservate presso l'archivio del Convento di Sargiano.

* Istituto Colture legnose agrarie e forestali, Università di Reggio Calabria
** Istituto Sperimentale per la selvicoltura