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Nel Cilento e Vallo di Diano, più che altrove, il rapporto uomo-ambiente si è espresso con caratteri di eccezionale rarità e bellezza.
Nella sua apparente omogeneità, nel contesto regionale Campano, tale area geografica rappresenta un microcosmo variegato di ambiti naturali ed antropici, dove, a distanze molto limitate, è facile riscontrare piccole comunità con autonome e diversificate strutture socio-culturali.
Il Cilento si presenta carico di presenze "minori" dove risultano dispersi patrimoni di cultura e storia infiniti dovuti alle stratificazioni di tante civiltà e alla bellezza dei siti che li ricevono.
Paesi arroccati tra le colline ed il mare, tra uliveti secolari e montagne protettive, paesi dispersi tra i monti, nella quiete e nella consapevole identità storica di crocevia di culture lontane e arroccamenti difensivi, paesi di valle che hanno trasformato il territorio da lacustre e paludoso a prolifico, paesi costieri prescelti per le dolci coste dalle civiltà del passato che qui hanno fondato i valori della civiltà europea.
Nello stesso tempo tale area si distacca, per gli stessi caratteri, dalle vicende storiche e culturali della sua regione di appartenenza.
La civiltà contadina del Cilento ha seguito vicende alterne di sviluppo, stasi e progresso in relazione all'influenza dei suoi coloni e dominatori, liberatori e conquistatori, Greci, Romani, Ostrogoti, Bizantini, Arabi, Longobardi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli e Francesi, ogni popolo ha lasciato ampie tracce della propria cultura, dei suoi costumi, della sua arte, delle sue tradizioni, rendendo i paesi del Cilento veri e propri musei aperti, i cui tesori sono disseminati nelle vie e nelle contrade, nelle campagne e nelle vallate, sulle magnifiche coste, sulle bellissime vette.
Le tradizioni ed i costumi ancora oggi sono retaggio e sedimento di un vissuto quotidiano che conserva quell'equilibrio "tra uomo ed ambiente, componente del fascino, del mistero ed anche dei problemi del Cilento odierno" ' .
Protagonista assoluta delle vicende e della storia del Cilento e dei suoi abitanti è certamente la natura: la sua bellezza, il suo paesaggio, la sua generosità ma anche la sua asprezza, il suo mistero e la sua avarizia, hanno reso dura la vita ai suoi abitanti e allo stesso tempo ne hanno difeso la cultura, la storia e le tradizioni.
Cultura, fascino e mistero si ritrovano tra le rovine di Velia fondata nel 540 a.C. dai Focei, abitanti dell'Asia Minore che fuggirono dal giogo persiano verso una nuova patria, lungo la strada che univa il porto all'Acropoli, sui passi di Parmenide, fondatore della scuola eleatica, sui passi di Zenone per raggiungere la splendida "Porta Rosa", trascinati da una forza quasi innaturale.
C'è poi Palinuro là dove il nocchiero di Enea lasciò il suo capitano e dove si ritrovano i resti di un antico villaggio enotrio (seconda metà del VI secolo a.C.), situati sulla collina di S. Paolo; c'è ancora l'affascinante mito della sirena Leukosia e dell'isolotto di Punta Licosa, la misteriosa costa degli Infreschi con approdi e porti naturali alternati a splendide falesie dai caldi colori, con spiagge raggiungibili solo dal mare. Ci sono poi all'interno i luoghi inesplorati e straordinari come le grotte del Bussento, il Rio Casaletto, i boschi degli Alburni, del Cervati e del Monte Sacro.
La storia del Cilento è stata fortemente influenzata dalla natura dei siti, dalla loro morfologia, dai loro collegamenti, dalla posizione montana o collinare, pianeggiante o costiera.
Tutto questo ha determinato negli anni una stratificazione di ruoli e funzioni diversificate tra le zone rivierasche, che hanno registrato un distorto sviluppo determinato da un turismo di massa disorganizzato e concentrato, e le zone interne che hanno visto nell'emigrazione lo spopolamento dei vecchi paesi e l'abbandono costante di un'agricoltura povera ed orientata all'autoconsumo.
In questo contesto aggredito da un consumismo galoppante e da una frenetica omologazione di
modelli e valori, il Cilento ha conservato, nel suo lento divenire e sedimentare di alternative dominanti, un modello di "qualità della vita" che trova le sue radici in un attaccamento alla cultura e alle tradizioni locali, tipico della civiltà contadina mediterranea.
La legge-quadro sulle aree protette ha assunto un particolare significato in un'area come quella del Cilento dove non esiste un'elevata pressione antropica tipica delle aree cittadine, metropolitane ed industrializzate.
Qui la presenza dell'uomo, nelle aree montane e costiere più disagiate, rischia di continuare a diminuire per poi scomparire per l'atrofia delle attività produttive tradizionali, per l'aumento della sensazione di isolamento culturale e geografico, unita al conseguente impoverimento delle risorse del territorio, con l'innesco di fenomeni di degrado tipici dell'abbandono.
In sintesi tali aree necessitano di interventi capaci di assicurare un livello minimo di presenza dell'uomo nel territorio, in una condizione che lo renda protagonista della vita propria e dell'ambiente circostante, nel pieno rispetto reciproco della dignità di entrambi per preservare, difendere e ripristinare quelle eccezionali testimonianze del lavoro costruttivo svolto da entrambi.
Tra gli obiettivi della legge vi è lo sviluppo di una serie di attività, anche economiche, nel pieno rispetto dei meccanismi dell'equilibrio ecologico del territorio, con la promozione e l'incentivazione della presenza dell'uomo, soprattutto dove sono da evitare i fenomeni di frattura ecologica e di degrado territoriale, quali calanchi, frane, dissesti, erosione, arretramenti costieri, desertificazione.
Si può e si deve parlare di una difesa "attiva" tesa a non immobilizzare la situazione attuale, a non creare un parco storico archeologico (una sorta di museo all'aperto inviso ai più) favorendo invece opportunamente il ruolo e lo sviluppo delle attività produttive (e delle iniziative tese a ciò) come l'agriturismo, le attività sportive, l'artigianato ed il turismo di qualità.
Il parco, calato nella realtà socio-economica cilentana, a densità demografica diversificata, con un territorio prevalentemente montuoso ricco di insediamenti decentrati e carente di materie prime in grado di consentire un duraturo sviluppo industriale, viene ad essere un'occasione unica di integrazione tra conservazione e sviluppo, unico mezzo per la reale valorizzazione delle risorse locali.
Attualmente il parco si trova di fronte posizioni ed opposizioni varie, che tra disinformazione, controinformazione e demagogia lo hanno portato fino ad essere visto a volte come una manna miracolosa foriera di veri e propri miracoli economici in tempi rapidi; altre volte come un vero e proprio ostacolo al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni locali.
Se da un lato i movimenti protezionistici, con facili promesse e spesso dimentichi delle realtà tecniche, professionali e decisionali che la gestione di tali aree comporterà, auspicano interventi semplicistici ed "integralistici", poco rispettosi delle esigenze degli abitanti, dall'altro i detrattori del parco portano avanti, con spunti che rasentano quasi il terrorismo psicologico, una serie di dubbi sull'agricoltura, la pastorizia, l'attività edilizia ed il turismo.
A ciò bisognerà tentare di fornire delle risposte per evitare che si continui ad infierire su di un parco nato male e che proprio non sembra decollare.
L'agricoltura non ha nulla da temere dal parco. Bisognerà certo riconsiderare la gestione agronomica del territorio con assistenza tecnica reale e professionale, con esperienze modello che (non a parole) realmente assistano gli agricoltori impegnati alle volte in gestioni irrazionali, antieconomiche e senza organizzazione alcuna.
Basti pensare alle esistenti possibilità di recupero qualitativo, in forme legate all'economia di mercato (con valutazioni ed analisi costi benefici e controlli qualitativi), incentivate dalla Comunità Economica Europea, (Reg. Com. 2078/'92, 2080/'92) del patrimonio agricolo, nella ristrutturazione produttiva di realtà locali note ovunque (come il famoso olio d'oliva dei superbi esemplari di Pisciotta, dei fichi del Cilento, delle castagne locali, eccetera), con organizzazioni e consorzi dei produttori, acquisto di potere sul mercato e richiesta di marchi di origine controllata.
Questo è fattibile grazie al parco che è lo strumento che consente di svincolarsi dai limiti degli attuali strumenti amministrativi, Regione, Provincia e Comunità montane.
Tutto ciò per non dire delle possibilità di crescita professionale e sociale legate all'istruzione nel settore agronomico, forestale ed ambientale (basti pensare ai corsi che potrebbero tenersi per riqualificare operai forestali e braccianti agricoli), e alla scarsissima considerazione in cui vengono attualmente tenuti (di essi ci si ricorda solo in periodi di campagna elettorale).
La pastorizia dovrà divenire per forza di cose allevamento, tralasciando gli ormai vetusti ed improponibili sistemi di rapina e degrado del territorio.
Il numero degli incendi procurati dai pastori è correlato all'abbandono delle aree delle colline e delle montagne, e alla considerazione di essere l'unica utenza (attuale) di tale patrimonio legata alla scarsità di competenze tecniche per comprendere che l'intaccare tali riserve ambientali comprometterà il capitale.
Il parco è lo strumento che può, confortato dalla ricerca e dall'assistenza tecnico-professionale, aiutare gli operatori per realizzare strutture razionali di allevamento, ricercando e riproponendo forme migliori di gestione del territorio (rotazioni, studio dei carichi, dei foraggi), per riproporre razze rustiche locali e forme di vendita dei prodotti dell'allevamento (sia esso bovino, caprino ed ovino).
Sperimentazioni già effettuate in altri parchi unitamente ad una valida politica di sviluppo possono portare a riproporre in chiave moderna le attività agricolo-silvo-pastorali, tutelando il territorio ed offrendo tutela culturale alle tradizioni della popolazione coinvolta.
L'edilizia, almeno quella non speculativa, diretta quindi a soddisfare i reali bisogni della gente non ha nulla da temere dal parco, poiché nelle zone dei centri abitati (quando anche esse non risultino del tutto esterne al parco) continuano ad avere vigore le norme degli strumenti urbanistici comunali.
Nelle zone del parco destinate ad attività specificatamente agricole, produttive e ricettive, la costituzione di edifici necessari allo svolgimento di tali attività può avvenire in base ad un'apposita normativa.
Il turismo richiede un discorso assai più ampio. In via di principio occorre enunciare il semplice concetto che l'unico turismo incompatibile con un parco è quello che compromette e manomette gli ambienti più delicati. In particolare occorre esaminare e valutare convenientemente le possibilità di realizzare impianti per lo sci da discesa (!) e, allo stesso modo, impedire un turismo speculativo, basato cioè sulla svendita ai privati dei suoli comunali e sulla costruzione di "residences" deturpanti, lottizzazioni per villette e simili.
Queste strutture possono certamente trovare posto al di fuori delle aree di protezione, in prossimità dei centri abitati, o in zone appositamente individuate dalla strumentazione urbanistica, con caratteristiche tali da assicurare la salvaguardia del paesaggio e del contesto in cui sorgerebbe ogni insediamento.
Le limitazioni di cui sopra avrebbero il risultato immediato di salvare la materia prima del turismo stesso, cioè spazi liberi e paesaggio. Si può aggiungere che, anche se tali limitazioni fossero viste unicamente come vincoli (cosa che non è), già da sole potrebbero servire per consigliare tutta una serie di alternative (dal campeggio all'agriturismo reale e allo sci di fondo).
In armonia con gli scopi del parco si possono prevedere iniziative collaterali della Regione con appositi programmi o progetti speciali relativi a: turismo escursionistico, con favorevoli possibilità di sviluppi, quali la considerazione della vicinanza ai grandi bacini di utenza di Salemo, Avellino, Napoli, Potenza, il tutto legato all'avanzata realizzazione di opere di viabilità veloce che renderanno la zona più raggiungibile. Si può anche pensare al dirottamento verso l'interno di quote dei notevoli flussi turistici estivi.
A tali progetti dovrà fin d'ora prepararsi la gestione locale, con l'organizzazione dell'offerta escursionistica, con l'inserimento dei propri itinerari (testati, controllati e mantenuti), nella rete del Sentiero Italia, con l'internazionalizzazione, l'unificazione e la razionalizzazione della segnaletica, con l'analisi costi benefici per singolo tratto da realizzarsi, con la realizzazione di parcheggi a valle, di servizi di minibus; con la formazione delle guide e soprattutto tenendo presente l'educazione ambientale dei visitatori, eccetera ricettività - La presenza di un parco è il migliore presupposto per sviluppare l'agriturismo reale, cioè l'ospitalità nelle aziende agricole con
la partecipazione alla vita dell'azienda e alla conoscenza dei metodi e dei prodotti aziendali. L'agriturismo che viene proposto quasi ovunque in Italia è ormai lontano da tale significato originario, visto che in molte realtà si praticano prezzi da Hotel a 4 - 5 stelle, si ritrovano piscine ed altre amenità.
Il Parco del Cilento ed il suo ambiente sociale e culturale vivono in maniera primordiale tale esperienza ed i futuri centri agrituristici possono senz'altro ottenere vantaggi da tale "arretratezza", considerando la bellezza, la sincerità ed il valore dell'ospitalità cilentana, unitamente alle sue raffinatezze gastronomiche. La realizzazione di ciò in maniera utile e corretta avverrà solo se tali centri sapranno presentarsi sul mercato organizzati in una rete locale agrituristica ufficiale, legata al parco, ad un suo logo, con una pubblicità gestita direttamente dal parco sul territorio nazionale e con legami ufficiali con enti statali per il turismo all'estero, con garanzia dei prezzi e dell'offerta, quindi senza il peso, gli oneri e le inutili percentuali di agenzie intermediarie di altre città.
Grande sviluppo potrebbe trovare anche il campeggio consentito in aree marginali al parco, appositamente individuabili come previsto dalla strumentazione urbanistica dei Comuni, certamente interessante per la sua economicità e per l'importanza che il fenomeno ha all'estero.
La ricettività tradizionale potrebbe essere ugualmente incrementata perché non necessariamente incompatibile con il parco, a patto che tali insediamenti avvengano all'esterno delle zone di particolare protezione (ovvero in ambiti ben definiti, previsti per tali attrezzature dalla normativa territoriale del parco e non solo quindi dagli strumenti urbanistici comunali) e che le modalità di realizzazione (tipologie edilizie, altezze, ubicazione, eccetera) siano tali da garantire il rispetto dell'ambiente in cui si inseriscono, specie se in prossimità dei centri storici dei paesi
artigianato - Anche questa è una delle attività che allo stato attuale, sebbene languente, potrebbe trovare nuove ragioni di essere con il parco in funzione. La sempre maggiore richiesta di oggetti di fattura tradizionale, la ricerca di materiali poveri, naturali ed il forte movimento turistico durante la stagione estiva può essere l'occasione per ravvivare un settore di attività legato in ma-
niera inscindibile alle tradizioni popolari. A distanza di anni il parco, il cui decollo reale non è avvenuto, offre ancora, nonostante tutti i ritardi ed i problemi, delle possibilità uniche per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio naturale, artistico e culturale.
Note varie
L'istituzione del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano risale all'approvazione della legge-quadro sulle aree protette n. 394/'91 che individua come area di riferimento le vette degli Albumi, del Cervati, del Gelbison, del Monte Stella e del Monte Bulgheria.
Il Monte Cervati con i suoi 1898 metri è il più alto della Campania, fatta eccezione per il Massiccio del Matese, la cui sommità sorge però nel vicino Molise.
Da un punto di vista paesaggistico il Cervati si presenta come una montagna dai rilievi netti e distinti da quelli delle alture circostanti, dalle forme dolci e regolari sul versante che guarda verso Sanza, mentre il versante che guarda verso Piaggine è caratterizzato da immense rupi verticali biancheggianti che si intervallano con bellissimi boschi di alto fusto di faggio.
La parte più bella e caratteristica del Monte Cervati è quindi proprio quella del secolare bosco dei Temponi e la vetta dove dominano le balze ed i bastioni verticali di rocce, apparentemente inaccessibili.
Il Cervati è anche luogo di tradizionali manifestazioni che documentano una fede vissuta nei secoli dalle comunità locali. Quasi sulla vetta sorge la piccola Chiesetta della Madonna della neve (1852 mslm), di interessante architettura rustica con la facciata in conci di pietra. Poco più in basso, splendidamente inserita nello scenario delle rupi sospese a dominare la Foresta dei Temponi, si apre una piccola grotta da secoli adattata a cappella che conserva un'immagine della Madonna. Questo singolare complesso religioso è meta di un pellegrinaggio annuale da Sanza e dai centri della zona, che sta a testimoniare una forte religiosità che l'informazione di massa e le mode culturali odierne non sono ancora riuscite a cancellare.
Nel parco sono anche compresi i Monti Albumi, la parte settentrionale del Cilento, estesi su di una superficie di circa 200 chilometri quadrati. Il loro nome deriva da albus, il colore biancastro dei calcari del Cretaceo. La natura calcarea ha originato delle bellissime grotte tra cui si possono ricordare quelle di Castelcivita, quelle di Pertosa, abitate fin dal Neolitico, con degli intrecci chilometrici, ed in cui, nei pressi di Polla, sono stati reperiti resti di stambecchi, di cinghiali e dell'uro, bovide oggi estinto (Bos primigenius). Il panorama che si gode dalla sommità del Massiccio a circa 1742 mslm è di una bellezza eccezionale: gli Albumi rappresentano infatti un balcone naturale dal quale è possibile osservare l'intera Piana del Sele, del Tanagro, del Calore, i contrafforti interni del Cilento ed il mare lontano.
Gli aspetti naturalistici del Cilento sono interessantissimi: è stata accertata la presenza dell'aquila reale (Aguila chrysaetos), certa quella dello sparviere (Accipiter nisus), della rarissima cotumice (Alectoris graeca), (soprattutto nel tratto appenninico compreso tra Sanza e Rofrano, dove esiste un'oasi di protezione della fauna istituita dalla Giunta regionale), del raro gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax), specie caratteristica dell'alta montagna ed in diminuzione ovunque. Sembra anche che sia da ritenere attendibile la segnalazione della presenza del gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus).
Sono anche presenti e nidificanti il picchio verde (Picus viridis), il picchio rosso maggiore (Dendrocopos major) ed il rarissimo picchio nero (Dryocopus major), da pochissimi anni scoperto in Campania.
Tra i mammiferi sono presenti il cinghiale, la martora, il tasso, la volpe ed il lupo.
Per gli aspetti forestali il Cilento si presenta assai interessante. Nella zona di Sanza è presente la betulla; da notare poi i bellissimi boschi di Cerro che sovrastano la Valle dell'Infemo, le faggete, imponenti e tra le più belle d'Italia, che circondano tutte le zone dei Monti Gelbison, Cervati ed Albumi.
Tra le faggete la Foresta dei Temponi presenta poi dei particolari unici (messi a rischio da proposte di realizzazione di impianti da sci nel Comune di Piaggine). Sul Cervati esistono poi delle caratteristiche distese di lavanda che coprono di azzurro le zone non boscate.
Interessantissimi sono poi le formazioni dei castagneti con tutti i legami che tale specie ha con la cultura contadina.
La composizione è varia spaziando all'ontano, al carpino, bianco e nero, al perastro, all'acero fino alle interessantissime tracce dell'abete bianco, la cui presenza e rinnovazione naturale è accertata, ancora oggi, non solo tra i toponimi locali (Passo della Beta) e nelle travi portanti delle abitazioni più antiche.
NOTE
1. da Luigi Rossi, Cultura e civilizzazione, in AA.VV., Il Cilento tesoro della Campania, ed. Fiorentino, Napoli.
* Architetto, Università degli Studi di Napoli
Federico II, Facoltà di architettura,
Dipartimento di configurazione ed attuazione
dell'architettura
** Dottore forestale, libero professionista |