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1. Il Parco dei Colli Euganei è un piccolo parco regionale;
Tuttavia la faticosa esperienza di formazione del piano ambientale, previsto dalla legge istitutiva del 1989 (corrispondente al piano del parco previsto poi dalla legge-quadro nazionale) che dovrebbe guidarne la gestione, offre lo spunto per alcune considerazioni di carattere più generale. Essa documenta infatti alcune "lezioni" significative, che riguardano sopratutto:
- a) la crisi dell'idea tradizionale del parco, a fronte delle nuove domande sociali e dei nuovi problemi ambientali;
- b) i limiti delle politiche di tutela confinate all'interno delle aree protette e l'esigenza di politiche estese all'intero territorio;
- c) l'emergere di una domanda di pianificazione che, proprio a partire dalle nuove istanze ambientali e dai limiti delle politiche delle aree protette, pone in discussione le procedure, i contenuti, gli strumenti e la cultura stessa della pianificazione territoriale e paesistica.
Queste tre lezioni corrispondono ad altrettanti paradossi che è dato osservare nell'esperienza europea degli ultimi 10-15 anni in campo ambientale.
Ed aiutano forse a riflettere su tali paradossi e sulle possibili strategie di miglioramento dell'azione di tutela del patrimonio ambientale e di conservazione della natura. Inoltre, la terza induce a delineare alcuni nodi problematici che la cultura della pianificazione deve riuscire a sciogliere se vuole rispondere efficacemente alla nuova domanda sociale.
2. Un primo paradosso consiste nel fatto che la crisi di quell' "idea di parco" e di quella fiducia nel ruolo dei parchi naturali che ne hanno guidato, nel tempo, l'istituzione e la gestione, corrisponde storicamente alla fase della loro più intensa diffusione e della più rapida crescita del consenso sociale che li riguarda. In Italia in pochi anni, dalla fine degli anni Settanta ai primi anni Novanta, sopratutto per merito delle Regioni, la superficie complessiva delle aree protette è circa decuplicata ed il numero dei parchi è passato da poche unità ad oltre un centinaio. In tutta Europa, 1'86% dei parchi nazionali e naturali esistenti (con 1'86% della superficie protetta) è stato istituito a partire dagli anni Sessanta, il 73% dopo il 1970: quasi la metà sono nati negli ultimi dieci anni'. Eppure questa fase di intensa crescita, sorretta dai favori di un'opinione pubblica sempre più sensibile ai problemi ambientali ed al ruolo dei parchi (come dimostra il successo della pubblicistica relativa ai parchi nella sfera dei media), ha coinciso con il progressivo indebolimento delle concezioni tradizionali ed anzi con una crisi profonda dell'idea stessa di parco. In realtà, la stessa crescita delle aree protette ha risentito dei cambiamenti d'idee nel campo della conservazione della natura, non meno di quanto li abbia influenzati. Sopratutto in Europa e sopratutto a livello regionale, i processi culturali e istituzionali che hanno portato alla moltiplicazione delle aree protette sono stati animati da scopi e finalità diversi da quelli che guidarono la creazione dei grandi parchi naturali del secolo scorso e della prima metà di questo secolo. Alle due grandi finalità classiche - quella propriamente conservativa e quella del "pubblico godimento" - è stata affiancata, con enfasi crescente, quella della promozione dello sviluppo locale. A torto o a ragione, i nuovi parchi sono stati visti o proposti come strumenti di valorizzazione, spesso di rinascita, per le soccombenti popolazioni locali. D'altra parte la stessa diffusione territoriale delle politiche di protezione, che sempre più spesso in Europa investono aree antropizzate e paesaggi storicamente modellati dalle popolazioni locali, oppure aree afflitte da gravi problemi di marginalizzazione economica e sociale, d'abbandono agricolo e d'infragilimento demografico, lega sempre più strettamente le politiche di tutela a quelle di sviluppo. L'esperienza europea ha messo chiaramente in luce l'esigenza, più volte ribadita a livello internazionale, secondo la quale non può esservi protezione efficace dell'ambiente se non si coniuga con lo sviluppo economico delle popolazioni coinvolte (nessuno protegge meglio il territorio - si è detto spesso - di chi ha scelto di abitarvi). La nozione stessa di tutela ambientale sfocia, come si è visto, in quella dello "sviluppo sostenibile", carica di ambiguità e di speranze (Commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo, 1988).
Il cambiamento di prospettiva è imposto dal cambiamento dei problemi concreti che si devono affrontare nelle aree protette: l'espansione in forme pesanti e pervasive del turismo, l'impatto distruttivo di grandi infrastrutture legate alla crescita economica e sociale, le tensioni immobiliari ed i carichi inquinanti derivanti dall'espansione degli usi urbani e produttivi. Ma il cambiamento di prospettiva riflette anche il sorgere ed il consolidarsi di nuove domande sociali, che si manifestano nelle forme più diverse: dalla crescente importanza attribuita alla qualità ambientale nelle dinamiche competitive che si dispiegano a scala globale, alla progressiva affermazione dei diritti ambientali nella coscienza collettiva, alla rinascita dei localismi e dei valori etno linguistici radicati nel territorio, al nuovo atteggiamento verso la natura che affiora sopra tutto nelle nuove generazioni, ispirato più a criteri di convivenza e di solidarietà che di antropocentrica soppraffazione. Ed è in rapporto a queste nuove domande sociali che si va ridefinendo l'idea di parco. Esse infatti inducono a portare l'attenzione sul peculiare significato simbolico e rappresentativo dei parchi naturali, sulla loro capacità di costituirsi come metafore viventi di nuovi e più accettabili rapporti con la natura e con l'ambiente. Se nei territori della modernità occorre cercare le strade dello sviluppo sostenibile, è nei parchi, più che altrove, che si possono ritrovare le tracce della riconciliazione dei ritmi e dei modi della vita quotidiana coi ritmi lenti della natura, sperimentare concretamente i tentativi di risolvere le tensioni e le contraddizioni che pesano sugli attuali rapporti tra processi sociali e processi ambientali.
Questo percorso evolutivo è emblematicamente rappresentato nell'esperienza dei Colli Euganei. Più chiaramente che in altri casi, le ragioni e le possibili strategie della conservazione incrociano qui i problemi di un'agricoltura ancora legata ai ritmi, ai modi ed alle strutture aziendali delle tradizionali colture collinari, di una gestione silvocolturale che ha consentito negli ultimi decenni un rapido e gravissimo degrado del patrimonio forestale, di uno sviluppo insediativo mosso non solo dalle spinte diffusive comuni alle regioni adriatiche ma anche, più specificamente, dagli sviluppi legati alle risorse termali, di una espansione del turismo e degli usi ricreativi che trova alimento in un ampio e denso bacino urbanizzato. Ma, nello stesso tempo, il ruolo simbolico e rappresentativo del parco trova qui riscontro nella singolarità della sua configurazione iconica e della sua stessa struttura morfologica e naturalistica, così inaspettatamente emergente dalla geometrica regolarità della pianura veneta, e nella peculiare fusione storica dei fattori naturali e culturali. L'accento che il piano del parco pone sul paesaggio non è quindi casuale. Esso risponde al tentativo di valorizzare una "identità" complessiva che può tuttora svolgere un'importante funzione retorica, didattica e di comunicazione sociale.
3. Un secondo paradosso dell'esperienza europea consiste nel fatto che proprio negli anni che hanno visto la maggior diffusione territoriale dei parchi naturali ed il relativo successo delle politiche dei parchi, è maturata una crescente consapevolezza dei limiti di tali politiche e dell'esigenza di ricorrere a strumenti di tutela più estesamente applicabili sul territorio. Naturalmente, è del tutto comprensibile che proprio la diffusione dei parchi, andando ad investire aree densamente urbanizzate o turisticizzate, abbia reso sempre più problematici i rapporti dei parchi col loro contesto territoriale: ed infatti sono questi rapporti a costituire oggi il problema centrale nella maggior parte dei parchi europei. E' diventato sempre più evidente che i principali problemi che la gestione dei parchi deve affrontare hanno origine o possono comunque trovare soluzione nelle aree di bordo o decisamente all'esterno delle aree protette. Nonostante la pervicace tendenza a "remotizzare" i parchi naturali, per tenerli lontani dalle pressioni e dai conflitti del mondo urbano-produttivo (una tendenza che ha spesso penalizzato pesantemente le politiche dei parchi, inducendo a delimitazioni irrazional-
mente ristrette alle aree più inospitali o riducendone la fruibilità), la vecchia immagine del "santuario della natura" cede sempre più spesso a quella drammatica e inquietante dell"'isola assediata". Nell'esperienza europea, sono sempre più numerosi i parchi naturali di piccole dimensioni (qualche migliaio o al massimo qualche decina di migliaia di ettari) immersi in contesti densamente urbanizzati ed industrializzati, che esercitano su di essi le più diverse pressioni: dalle richieste di suoli per usi urbani e produttivi (coi conseguenti effetti dirompenti sul mercato dei suoli agricoli), alla domanda di spazi ed attrezzature per la ricreazione e il tempo libero, all'impatto delle infrastrutture di trasporto, alla specializzazione agricola, all'inquinamento idrico ed atmosferico, eccetera. I problemi dell' "insularizzazione" delle aree protette, circondate da territori crescentemente ostili, non riguardano più soltanto gli aspetti strettamente biologici od ecologici ed hanno assunto un rilievo generale.
Ma a questi problemi che, nascendo per così dire dall'interno delle aree protette, costringono sempre più spesso ad allargare il campo d'attenzione al contesto territoriale, si affiancano i problemi non meno gravi che la crisi ambientale e le stesse nuove domande sociali disegnano sull'intero territorio, moltiplicando e diversificando le istanze di tutela. Già la World Charter for Nature del 1982 affermava la necessità di allargare all'intero territorio le politiche di protezione delle risorse terrestri: la nozione di sviluppo sostenibile perderebbe d'altronde di significato se si pretendesse di confinarne l'applicazione all'interno di aree "speciali", in quanto tali ritagliate o ritagliabili dal contesto. E' questa una sfida che, soprattutto in Europa e soprattutto negli ultimi anni, ha assunto contomi sempre più precisi: ne è un esempio la direttiva comunitaria volta alla costituzione e alla difesa di una "rete ecologica europea" in grado di connettere gli ecosistemi di maggior valore e di fungere da autentica "infrastruttura" ecologica a salvaguardia della diversità biologica e della stabilità ecosistemica.
I Colli Euganei sono un bell'esempio di "isola assediata". Premuti su tre lati da intense spinte urbanizzative che hanno ormai quasi cancellato le trame della bonifica delle aree un tempo paludose ritagliate ai loro piedi, esposti ad una domanda fruitiva che tende a trasformarli in un grande parco urbano, i Colli non sono certamente salvabili con politiche che si limitino a tutelare le aree residue di maggior pregio naturalistico. Come in tanti altri parchi, è necessario spostare l'attenzione dal "cuore" del parco alla sua periferia, dove si moltiplicano le tensioni ed i conflitti ma dove anche si può tentare di trovarne le soluzioni più idonee a ridurre le minacce che pesano su tutto il parco. E' questo un tentativo che caratterizza in modo assai netto il piano del parco e la stessa legge istitutiva (che non a caso prevede che il piano esprima direttive anche per le aree limitrofe): e che certamente espone, come qualche critico non ha mancato di osservare, al rischio di spostare troppo l'accento dagli aspetti strettamente naturalistici a quelli più propriamente urbanistici, con tutto quanto ciò comporta anche nei confronti delle competenze specifiche degli enti locali. Ma l'esperienza di questo piano dimostra che il problema è più articolato di quanto non appaia a prima vista, soprattutto perché:
- esso non riguarda soltanto o direttamente le scelte urbanistiche dei Comuni, ma anche e principalmente le relazioni ecologiche (ad esempio i corridoi ecologici di connessione con le risorse naturali esterne) e paesistiche, che con quelle scelte interferiscono;
- esso obbliga a ripensare la delimitazione del parco, in funzione delle esigenze di coerenza e solidarietà paesistica ed ambientale che si riscontrano nelle aree di bordo (nel caso specifico, tali esigenze hanno indotto a proporre, utilizzando la possibilità prevista dalla legge istitutiva, un drastico allargamento dei confini: ma non necessariamente il ripensamento comporta un allargamento);
- esso si collega strettamente alla questione delle "aree contigue", previste dalla legge quadro 394/1991 ma ancora generalmente assenti attomo alle aree protette (nel caso specifico il piano avanza delle proposte, concertate col piano territoriale provinciale, che tuttavia devono trovare riscontro in altre sedi decisionali).
E' quasi inutile aggiungere che le esigenze sopra richiamate, ben evidenziate nell'esperienza dei Colli Euganei, non trovano adeguato riscontro nella legge-quadro nazionale, che, affidando
al piano del parco un ruolo integralmente "sostitutivo" nei confronti di ogni altro tipo di piano all'interno dell'area protetta, introduce una separazione netta nelle scelte e negli strumenti riferiti rispettivamente all' esterno ed all'interno della stessa.
4. Un terzo paradosso dell'esperienza europea nasce dal fatto che proprio la forte e quasi inaspettata domanda di pianificazione, emersa in rapporto alle politiche dei parchi e più in generale alle politiche ambientali, ha accelerato ed aggravato la crisi della cultura della pianificazione, costringendo ad un impietoso e radicale ripensamento dei suoi statuti, dei suoi scopi, dei suoi contenuti e dei suoi strumenti analitici e progettuali. A questo proposito occorre anzitutto ricordare che il ricorso alla pianificazione per la gestione degli spazi e delle risorse naturali ed in particolare dei parchi, consolidato fin dall'inizio del secolo nell'esperienza statunitense, solo negli ultimi anni ha assunto carattere generalizzato e, almeno in molti Paesi, istituzionalizzato nell'esperienza europea: ancora in anni recenti Paesi non certo privi di robuste tradizioni nel campo della protezione della natura, come i paesi del Nord Europa, preferivano basare la gestione dei parchi sulle poche schematiche disposizioni delle leggi istitutive. Nell'esperienza italiana il ricorso ai piani rappresenta un aspetto certamente qualificante di una tendenza relativamente recente, inaugurata con la legge Galasso del 1985 (i piani paesistici), proseguita con la legge sulla difesa del suolo del 1989 (i piani di bacino) e poi con la legge-quadro sulle aree protette (i piani dei parchi come strumenti obbligatori di gestione). Non si può inoltre non ricordare che la nuova domanda di piano nata dalla svolta ambientalista degli anni Settanta vede la luce proprio negli anni di massima crisi della cultura urbanistica, segnati dalle frettolose dichiarazioni di "morte del piano" da parte di un vasto schieramento politico-culturale. Nel tentativo di spiegare quel ritardo e questo contrasto si è fatto riferimento ai grandi cambiamenti economici e sociali che si son ripercossi nelle problematiche ambientali, accentuandone drammaticamente la complessità, la gravità e la diffusione spaziale e mettendo progressivamente alle corde le politiche settoriali, gli interventi d'emergenza, i programmi straordinari a breve termine. A fronte di ciò, si chiede alla pianificazione di svolgere un ruolo, difficilmente sostituibile, nella direzione di:
- a) delineare le strategie complessive, sufficientemente estese e lungimiranti, con cui orientare le azioni nei diversi settori e nei diversi soggetti, verso gli obiettivi di tutela e di sviluppo sostenibile assunti;
- b) differenziare la disciplina degli usi e degli interventi, in funzione dei caratteri e delle condizioni specifiche dei siti e delle risorse;
- c) motivare e giustificare, con procedure pubbliche e trasparenti, le scelte proposte, evidenziandone gli esiti attesi sui sistemi ambientali coinvolti.
Si tratta evidentemente di richieste che richiamano le migliori tradizioni della cultura della pianificazione; ma che, nello stesso tempo, ne mettono in cruda evidenza le attuali difficoltà. Basterebbe pensare alle difficoltà in cui si dibatte il "pensiero strategico" contemporaneo, di fronte alla crescente imprevedibilità delle dinamiche reali ed all'articolazione complessa dei processi decisionali; o ai limiti degli strumenti tradizionali degli urbanisti, soprattutto della "zonizzazione", strumento principe per la differenziazione intenzionale dello spazio; o all'indebolimento dei tradizionali modelli di legittimazione delle scelte.
Queste difficoltà sono ben evidenziate nell'esperienza del piano dei Colli; e le innovazioni introdotte tentano di superarle. Un forte accento sul contenuto programmatico e progettuale delle strategie proposte trova riscontro nell'enfasi posta sui progetti del piano: quelli "tematici" non meno che quelli riferiti ad ambiti circoscritti, che ospitano situazioni particolarmente critiche od occasioni importanti di trasformazioni innovative. L'importanza attribuita alle "unità di paesaggio", in termini non solo analitico-interpretativi ma anche progettuali-normativi, risponde al tentativo di valorizzare le identità locali, con forme di disciplina che interessano le relazioni anziché gli oggetti, ad integrazione e complemento della disciplina recata dalle norme che fanno invece riferimento alla tradizionale zonizzazione, prevista dalla legge istitutiva. Ed il sistema valutativo (che trova nella griglia di lettura strutturale del paesaggio una base di
partenza) tenta di porre le premesse per una gestione in grado di fondare le proprie scelte sulla conoscenza dinamica e condivisa delle poste in gioco e degli esiti attesi.
Molti sono i nodi problematici che questa esperienza ha posto in luce e che hanno certamente portata più generale. In particolare:
- a) la difficoltà d'integrazione delle politiche "speciali" di protezione con i processi "ordinari" di pianificazione (territoriale, urbanistica e paesistica) e di gestione del contesto territoriale; cui corrisponde la difficoltà di dialogo e di interazione tra i diversi soggetti a vario titolo operanti nel contesto territoriale, in particolare tra l'Ente di gestione del parco e gli Enti locali interessati;
- b) la difficoltà d'integrazione delle politiche di vincolo con le politiche di spesa; o, più precisamente, delle forme di disciplina poste in essere dal piano coi programmi d'investimento, di promozione e di sostegno (in particolare per le attività agroforestali) necessari per passare da misure passive e scarsamente efficaci di difesa a politiche di tutela attiva e di sviluppo sostenibile;
- c) la difficoltà di introdurre nel processo di pianificazione e di gestione procedure e strumenti di valutazione capaci di portare buone ragioni per le scelte da prendere, senza infliggere costi e penalizzazioni inaccettabili agli attori locali.
Si tratta, com'è evidente, di nodi densi di implicazioni politico-istituzionali: se il primo mette in discussione la scelta "separatista" della L.394/1991 e l'insostenibile confusione dei processi di pianificazione, dando concreta attuazione al principio costituzionale delle autonomie interrelate, il secondo dovrebbe indurre ad andare oltre la schematica distinzione tra il "piano del parco" ed il "piano pluriennale economico e sociale per lo sviluppo delle attività compatibili", mentre il terzo sollecita riforme radicali della pianificazione in senso dialogico ed argomentativo. Ma si tratta di nodi da sciogliere, se si vuole rafforzare il ruolo che i parchi possono
svolgere per il miglioramento della qualità complessiva dell'ambiente in cui viviamo.
(I) Questi dati, come gran parte dei riferimenti seguenti all'esperienza europea, sono tratti dalle ricerche sulla Pianificazione dei Parchi naturali in Europa (PPNE) condotte dal Politecnico di Torino, Dipartimento Interateneo Territorio, con la collaborazione di un vasto network europeo che comprende alcune decine di istituti universitari e di centri di ricerca di tutta Europa, in corso dal 1988. Nell'ambito di tali attività è stato costituito, preso il Politecnico di Torino, un apposito Centro Europeo di Documentazione (CED). Una sintesi dei risultati finora emersi è pubblicata in "Parchi naturali in Europa" (a cura di R. Gambino), Roma, La Nuova Italia Scientifica,1994.
Piano ambientale del Parco regionale dei Colli Euganei
- Promosso dall'Ente parco dei Colli Euganei ai sensi della L.R. 16/8/1984 n. 40 e della L.R. 10/10/1989 istitutiva del parco stesso
- La redazione del piano, sotto la direzione del direttore del parco ingegnere U. Frank, è stata avviata nel dicembre del 1990 con la nomina dei consulenti: la società SAF per la formazione del quadro conoscitivo; R. Gambino con F. Thomasset, P. Castelnovi, P. Ferrero, P. M. Stanchi, T. Rossi, M. Zocco per le ricerche sul "Paesaggio sensibile"; il professore Prestamburgo ed il professore Tempesta per gli approfondimenti sulle tematiche agricole
- Dopo l'approvazione del documento programmatico preliminare (ottobre 1991) da parte del Consiglio dell'Ente, e la presentazione degli elaborati di analisi è stata avviata la fase progettuale (dicembre 1992) coordinata da R. Gambino con l'ausilio della soc. SAF e del gruppo F. Thomasset, P. Castelnovi, P. Ferrero, P. M. Stanchi, T. Rossi, M. Zocco. Tale fase è terminata nel marzo del 1994, con l'adozione dell'Ente; il piano è in attesa di approvazione da parte della Regione.
* Urbanista del Politecnico di Torino |