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1. Introduzione
La caratteristica più originale che è stata alla base della reintroduzione dello stambecco fin dai primi tentativi, risiede nelle sue motivazioni: non possiede alcuna intenzione utilitaristica ma risponde solo al desiderio di proteggere la natura. Attualmente lo stambecco occupa in Europa un posto comparabile a quello del bisonte in America (Gauthier e Villaret, 1991). La sua storia è frequentemente presentata sotto un aspetto manicheo: una fase di sterminio attribuita allo sviluppo della caccia, seguita dalla salvaguardia della specie grazie alla nascita della protezione della natura in Europa. Parte degli abitanti di montagna considera lo stambecco come un animale selvatico facilmente osservabile, ed il bovide viene frequentemente presentato come argomentazione turistica ed utilizzato nella simbologia.
La relativa esiguità e la discontinuità delle popolazioni di stambecco (Capra ibex ibex) presenti sulle Alpi italiane e, più in particolare, su quelle lombarde agli inizi degli anni '80 (Tosi e Perco, 1981) rispetto all'estensione del territorio alpino regionale, hanno indotto la Regione Lombardia a promuovere un piano di diffusione di questo ungulato - il progetto stambecco Lombardia, condotto con la collaborazione scientifica del Dipartimento di biologia dell'Università degli studi di Milano.
Nell'ambito di tale progetto, il massiccio dell'Adamello è stato individuato come una delle aree a maggiore vocazione, sia per l'ampiezza degli ambienti idonei alla vita della specie, sia per la sua posizione centrale nell'arco alpino. Terminata con successo l'operazione di reintroduzione nel complesso delle Orobie, il Parco dell'Adamello si è quindi proposto nei confronti della Regione Lombardia per la continuazione del progetto.
Le ragioni che hanno spinto l'Ente gestore ad individuare il parco quale area di reintroduzione sono molteplici:
- una delle funzioni riconosciute dell'area protetta è indubbiamente il riequilibrio della componente faunistica degli ecosistemi, che in molti casi risulta numericamente ridotta anche a causa di gestioni e pressioni venatorie irrazionali
- lo strumento di piano del parco, ed in particolare le analisi faunistiche condotte per la sua redazione, prevedevano espressamente la possibilità della reintroduzione della specie
- la reintroduzione di una specie storicamente presente come lo stambecco, se condotta su base scientifica, è da preferirsi all'introduzione di specie o razze animali alloctone, pratica che purtroppo è diffusa, soprattutto a fini venatori, nel comprensorio; da questo punto di vista l'operazione si può porre come "modello comportamentale" anche nei confronti del mondo venatorio
- la reintroduzione di una specie considerata uno dei simboli della fauna alpina comporterà indubbi benefici di immagine per l'area protetta e per la sua operatività concreta; ne è un esempio palese l'interesse che alcune aziende hanno mostrato, sino a sponsorizzare con impegni finanziari cospicui il risvolto divulgativo dell'operazione.
Alla metà del 1993 la Regione Lombardia ha deciso quindi di dare avvio alla reintroduzione dello stambecco nel Parco dell'Adamello, le cui fasi progettuali sono state presentate l'anno successivo ad un convegno organizzato a Breno. In tale occasione il Parco naturale Adamello-Brenta ha raccolto l'invito del parco lombardo ad attivarsi congiuntamente, in modo da dare al progetto una valenza più ampia. Il rapido adempimento delle pratiche amministrative e la disponibilità da parte del coordinatore scientifico del progetto lombardo hanno consentito di giungere in tempi brevi alla predisposizione di un progetto esecutivo per il settore trentino dell'Adamello, sulla base del quale risultava possibile procedere già nel 1995 alle prime liberazioni di stambecchi.
La decisione di aderire al progetto da parte del Parco Adamello-Brenta è scaturita dalla volontà di dare attuazione ai contenuti del piano faunistico di recente approvazione, che auspica il ritomo dello stambecco sulle montagne del parco dalle quali era scomparso a causa della persecuzione da parte dell'uomo.
Il piano faunistico ricostruisce la presenza storica della specie e riconosce l'attuale idoneità degli ambienti d'alta quota ad ospitarne un eventuale ritorno; in tal senso il documento si è posto come studio di fattibilità ed ha consentito di passare decisamente alle fasi attuative dell'operazione.
2. Motivazioni della reintroduzione
Le immissioni si rivelano come strumento di grande utilità nella gestione degli ambienti naturali che, se propriamente utilizzate, possono apportare grandi benefici ai sistemi biologici naturali e all'uomo. Per reintroduzione si intende la traslocazione (movimento intenzionale) finalizzata a ristabilire una popolazione vitale di una determinata entità faunistica in una parte del suo areale di documentata presenza naturale in tempi storici, nella quale risulti estinta a causa di attività umane o catastrofi naturali (Iucn, 1987: Tosi e Toso, bozza).
Le motivazioni poste alla base di operazioni di questo tipo sono da ricercarsi nella ricostituzione delle zoocenosi naturali alterate, che porta ad una loro maggiore stabilizzazione.
A tali presupposti di tipo conservazionistico si aggiungono quelli di ordine etico, simbolico ed estetico-culturale ("dovere morale" di ricostituzione di una natura impoverita da secoli di distruzioni per tramandare la massima ricchezza e varietà di vita come fonte di conoscenza e di benessere contemplativo) e, non ultime, quelle di carattere economico, legate alle possibilità di fruizione turistico-naturalistica e, in un futuro, venatoria della specie.
Appare quindi evidente l'importanza del ruolo dei parchi come punti di riferimento nell'ambito di una strategia globale di conservazione che riporti il bovide ad occupare il suo areale originario sull'intero arco alpino.
3. Fase progettuale
In accordo con Gauthier et al. (La Charte du Bouquetin, 1994), appare necessario dotarsi di mezzi che permettano di gestire scientificamente e tecnicamente questo tipo di operazioni. In tal senso è chiara la necessità di un programma organico che pianifichi le diverse fasi della reintroduzione attraverso la realizzazione di uno studio di fattibilità, e di un progetto che disciplini l'esecuzione ed il successivo controllo dell'operazione.
Per un buon successo (anche in termini costi-benefici) delle immissioni è necessario venire a conoscenza delle necessità ecologiche dello stambecco e delle sue strategie di colonizzazione e di regolazione delle consistenze in modo da soddisfare le condizioni ecologiche e sociologiche necessarie alla sopravvivenza della specie. Un'indagine storica appare determinante per poter considerare l'immissione come una reintroduzione.
Se i processi bioclimatici possono aver contributo ad una frammentazione della distribuzione della specie, lo stambecco era comunque presente in epoca storica in gran parte dell'arco alpino. Le ragioni essenziali della sua scomparsa sono state la caccia ed il bracconaggio da parte dell'uomo.
Sul massiccio dell'Adamello lo stambecco scompare con tutta probabilità alla metà del XVIII secolo. La testimonianza di presenza più recente è quella relativa all'alta Val Camonica; Rosa (in "La Val Camonica nella storia" del 1881) afferma che "alla fine del secolo XVII trovavansi ancora daini e marmotte nella Val Camonica superiore, dove capitavano ancora cervi e cinghiali, e dove sino al 1750 si videro stambecchi, e si scoprivano truppe persino di 30 camozzi".
Accertata la presenza di condizioni ambientali del tutto analoghe a quelle del periodo della sua scomparsa, il passo successivo è stato quello di individuare le zone idonee alla presenza dello stambecco e di quantificarne l'estensione attraverso l'applicazione di modelli di valutazione ambientale appositamente elaborati (Tosi et al., 1986; Pedrotti et al., in prep.). Grazie al sistema informativo territoriale, attualmente in uso e sviluppo presso la sede del Parco naturale Adamello, è stato possibile realizzare un'analisi dell'intero territorio a piccola scala ed ottenere così stime precise relativamente all'areale distributivo ed alle consistenze potenziali all'interno dei due parchi. Più in particolare l'attenzione è stata focalizzata alla determinazione di differenti livelli di idoneità delle aree di svernamento, la cui superficie totale è risultata di 7170 ettari in territorio lombardo e di circa 2600 ettari in territorio trentino per delle consistenze potenziali complessive rispettivamente di circa 1700 e 300-500 capi (figura XX).
In prossimità delle principali zone di svernamento sono stati in seguito individuati i siti destinati ai rilasci, che dovevano rispondere a specifici requisiti, tra i quali una buona accessibilità per gli automezzi utilizzati per il trasporto degli animali. In base alla dislocazione delle aree idonee così individuate ed alle conoscenze sulla biologia della specie, è stato ipotizzato che i due nuclei rilasciati facciano in realtà parte di un'unica metapopolazione caratterizzante il massiccio dell'Adamello-Presanella, rivestendo di ulteriore significato biologico la stretta collaborazione mostrata dai due parchi appartenenti a realtà amministrativamente distinte. Per una valutazione dei potenziali effetti dovuti alla reintroduzione e delle eventuali conseguenze sulla biocenosi, è stata presa in considerazione la possibilità di eventuali interazioni negative tra lo stambecco ed il camoscio. Tale incompatibilità sembra manifestarsi esclusivamente in comprensori contraddistinti da fondovalli posti a quote elevate o da una limitata estensione delle praterie d'altitudine, e, quindi, viste le caratteristiche ambientali dell'Adamello, è da ritenersi come un'ipotesi remota.
E' infine da non trascurare l'importanza socia~t di operazioni di questo tipo: il progetto può diventare esecutivo solamente a condizione di una buona accettazione ed "appropriazione" dello stambecco da parte della popolazione locale. In tal senso sono state sviluppate azioni di educazione e sensibilizzazione volte a far comprendere l'importanza dell'operazione.
Uno dei tratti caratterizzanti il rapporto tra uomo e territorio nelle vallate lombarde attigue al massiccio dell'Adamello è sicuramente la radicata tradizione venatoria, che assume caratteri peculiari e difficilmente riscontrabili in altre parti d'Italia:
- a) la densità di cacciatori rispetto al numero di abitanti e rispetto all'estensione territoriale è tra le più elevate
- b) non esiste, se non marginalmente, alcuna tradizione o cultura di caccia programmata: lo stesso concetto di caccia di selezione fatica ad affermarsi. Ne è un indice chiaro la recente decisione delle autorità venatorie provinciali di consentire la caccia agli ungulati con l'ausilio del segugio in un ambito di caccia della Valle Camonica, il che ha suscitato forti polemiche nello stesso mondo venatorio e non ha praticamente riscontro in altre aree alpine
- c) soprattutto nella media e bassa Valle Camonica la caccia più diffusa in zona Alpi è quella alla penna (, coturnice) con cane da ferma; questa forma di prelievo venatorio, per le sue modalità concrete di esercizio, rende difficile l'introduzione pratica dei principi della caccia programmata.
D'altro canto esiste in Valle Camonica un forte legame delle popolazioni locali al proprio territorio, che trova espressione nella frequentazione a fini colturali dei versanti, ancora oggi ravvisabile in buona misura.
Da queste considerazioni discende che è risultato necessario il pieno coinvolgimento del mondo venatorio nel progetto di reintroduzione: non vi è infatti dubbio che un'eventuale non accettazione dello stesso da parte dei cacciatori ne avrebbe comportato il fallimento. Questo coinvolgimento è stato condizionato non poco dalle diffidenze nei confronti del parco, da sempre visto come fattore limitante l'esercizio della caccia. Vi è però da constatare che l'occuparsi da parte del parco di un tema (gestione faunistica) affine alla caccia o percepito come tale, ha portato ad una possibilità di confronto ed alla comprensione del progetto da parte dei cacciatori locali.
Questa accettazione è stata indubbiamente facilitata dall'attenzione posta alla sua divulgazione tra gli scolari della Valle Camonica. La citata disponibilità di mezzi finanziari messi a disposizione dall'azienda sponsorizzatrice ha permesso l'impostazione di una capillare campagna di informazione, che ha coinvolto l'insieme delle scuole della Valle. La reintroduzione dello stambecco è così divenuta un evento pubblico, seguito con partecipazione da larghi strati della popolazione, che ne ha percepita l'importanza sotto molteplici aspetti.
Anche in questo caso, come già verificato in altre situazioni analoghe, l'accettazione di un progetto che comporta conseguenze sul territorio è direttamente proporzionale al livello di informazione fornito.
Anche per il Parco Adamello-Brenta un aspetto essenziale delle fasi preliminari del progetto è consistito nell'informazione rivolta alle categorie interessate ed all'opinione pubblica in genere. Da un lato si trattava di coinvolgere le categorie attive sul territorio e competenti in materia faunistica (forestali, cacciatori, ricercatori), chiedendo loro la disponibilità a collaborare nelle fasi di monitoraggio e di vigilanza. D'altra parte si era consapevoli della valenza educativa del progetto, che offriva l'occasione per illustrare le motivazioni del ritomo dello stambecco e per fornire una concreta dimostrazione di salvaguardia attiva della natura da parte dei due parchi.
La crescita della sensibilità ecologica passa infatti anche attraverso la realizzazione di progetti scientificamente rigorosi, dei quali sia possibile fornire una semplice ma esauriente spiegazione alle persone, in particolare a quelle direttamente interessate in quanto residenti o attive sul territorio, senza escludere i numerosi visitatori che possono così apprezzare l'aumentata varietà biologica del territorio derivante dal ritorno di una specie animale.
4. Iniziative di educazione e sensibilizzazione
Le iniziative di sensibilizzazione della popolazione locale al progetto sono state tra quelle che più direttamente hanno coinvolto i due parchi; tali iniziative hanno riguardato in modo particolare il mondo della scuola, che è stato coinvolto a più livelli e con diverse modalità. Le motivazioni che hanno indotto ad individuare negli alunni il soggetto principale di sensibilizzazione sono essenzialmente due:
- attraverso il contatto con i bambini ed i ragazzi si riescono a raggiungere gli adulti, il cui coinvolgimento diretto nella maggior parte dei casi non è facile.
Un'iniziativa molto importante è stata la realizzazione e l'illustrazione a numerose classi delle due aree di un audiovisivo, composto da circa 60 diapositive, illustrante la biologia e l'etologia dello stambecco, la sua distribuzione, le motivazioni e le fasi della reintroduzione. Questa capillare informazione, resa possibile nel settore lombardo anche grazie al contributo delle guardie ecologiche volontarie, ha permesso agli alunni delle scuole di venire a conoscenza dell'iniziativa, del suo significato ambientale e culturale, del lavoro sotteso ad un progetto di questo tipo. Si è così creata la coscienza dell'importanza della reintroduzione e l'aspettativa della sua concreta realizzazione. Punto focale delle iniziative verso la scuola è stato la realizzazione di un concorso a premi nel quale ogni classe della Valle Camonica veniva invitata a predisporre un elaborato riguardante lo stambecco: gli alunni sono così divenuti parte attiva del progetto ed il concorso ha visto la partecipazione di quasi tutte le scuole dell'obbligo locali. Alcune delle scolaresche coinvolte sono state invitate ad assistere alla liberazione degli animali: indubbiamente tale scelta si è rivelata positiva, a giudicare dall'entusiasmo dei ragazzi.
Sono stati anche prodotti strumenti di informazione più usuali, quali dépliants, adesivi, pannelli informativi, che hanno consentito una diffusione capillare dell'iniziativa: da citare è anche la realizzazione in Lombardia di un gioco da tavolo legato alla reintroduzione dello stambecco.
I due Enti parco hanno preventivamente organizzato alcuni incontri di presentazione del progetto, al fine di informare correttamente l'opinione pubblica e di raccogliere suggerimenti ed indicazioni utili alla buona riuscita della reintroduzione. In qualità di relatori sono intervenuti i coordinatori scientifici ed i rappresentanti delle amministrazioni coinvolte nell'operazione. Una particolare attenzione è stata riservata al mondo venatorio, allo scopo di stabilire un contatto preferenziale con la categoria più sensibile alle operazioni faunistiche: in tal senso sono state approfondite le tematiche delle interrelazioni tra stambecco e altri ungulati e delle future possibilità di prelievo venatorio a carico della specie.
In definitiva si può affermare che il momento del rilascio è stato preceduto da una serie organica di azioni informative ed educative nei confronti delle comunità locali, che ha permesso di rendere "pubblico" il progetto, e di farlo sentire come proprio da larghi strati di popolazione. Queste iniziative avevano anche lo scopo di isolare culturalmente eventuali azioni di bracconaggio; in realtà il risultato di maggior rilievo ottenuto è stato una riscoperta dei valori e delle potenzialità del territorio protetto percepito come portatore di azioni attive e non solo di vincoli e limitazioni.
La fase del rilascio è stata seguita dalla predisposizione di una scheda di avvistamento per la raccolta di informazioni e per il coinvolgimento attivo di quante più persone possibile. Tra gli altri strumenti informativi è da citare l'affidamento di incarichi per la realizzazione in entrambi i parchi di specifici documentari filmati, illustranti lo svolgimento del progetto a partire dalle sue fasi preliminari.
5. Fase esecutiva
Un dettagliato programma esecutivo ha successivamente previsto tutte le azioni e definito tutte le componenti operative coinvolte nella reintroduzione, rappresentando il termine di riferimento rispetto al quale assegnare incarichi, realizzare interventi, controllare e valutare l'attuazione in itinere del programma.
Nel maggio 1995 ha preso avvio la fase operativa con le catture effettuate mediante telenarcosi nel Parco naturale dell'Argentera.
I 30 soggetti destinati all'immissione, catturati dal personale del parco tra il 2 e il 3 maggio, sono stati marcati con targhe auricolari colorate ad entrambe le orecchie per poterne poi riconoscere l'identità anche mediante avvistamenti a grande distanza. Caratterizzati da un rapporto sessi paritario e da una struttura d'età rappresentativa di tutte le classi sociali (figura XX), gli stambecchi sono stati trasportati durante la notte sino ai luoghi dei rilasci, individualmente, ovvero in gruppo all'interno di un singolo grosso cassone posto su di un camion, e sono stati direttamente liberati la mattina successiva nei siti individuati come idonei per i rilasci. La prima liberazione ha riguardato il territorio lombardo, dove il 4 maggio sono stati rilasciati 20 animali nei pressi di Malga Premassone (1595 metri s.l.m.), in Val Malga, mentre la seconda è stata effettuata il 5 maggio in territorio trentino, presso Malga Praino (1567 metri s.l.m.) in Valle di San Valentino, con l'ulteriore liberazione di 10 capi.
Per consentire un controllo continuo nel tempo degli spostamenti degli stambecchi immessi e facilitare l'analisi delle dinamiche territoriali e demografiche del nuovo nucleo, 20 soggetti sono stati muniti di radiocollare al momento della cattura e vengono seguiti con cadenza settimanale in entrambi i parchi, mediante osservazioni a vista e tecniche di radiotracking.
Tale fase di controllo è l'ultimo, ma non meno importante, passo di una corretta pianificazione. L'analisi critica delle scelte ambientali effettuate in fase di progettazione (confrontate con quanto successivamente "scelto" dagli stambecchi stessi) e la verifica dell'accrescimento iniziale della popolazione sono chiari criteri di valutazione del buon adattamento al nuovo ambiente e della vitalità della popolazione. Ciascuna nuova reintroduzione, oltre all'intrinseco valore conservazionistico, costituisce un mezzo quasi sperimentale per aumentare la nostra esperienza, sia perfezionando le tecniche di immissione che consolidando le nostre conoscenze sull'eco-etologia dello stambecco.
Il costante controllo degli stambecchi, operato durante le prime delicate fasi di colonizzazione del comprensorio dell'Adamello, ha permesso di controllare i loro spostamenti sul territorio e di ottenere dei dati preliminari sull'e- stensione delle aree occupate durante i mesi successivi ai rilasci. A quattro mesi dai rilasci la situazione ha confermato quanto ipotizzabile in base a precedenti esperienze (Pedrotti, 1995). Le femmine hanno mostrato un comportamento caratterizzato da minore erratismo rimanendo, in molti casi, fedeli alle aree dei rilasci con raggi di spostamenti entro i 4 chilometri e un massimo di 6-8 chilometri lineari, percorsi da due femmine subadulte liberate in territorio lombardo. Al contrario, i maschi hanno evidenziato un'attività esplorativa più marcata che li ha portati a compiere spostamenti continui anche di notevole entità.
Di particolare interesse il massimo spostamento effettuato da due maschi subadulti di quattro anni che, dal versante trentino del massiccio dell'Adamello, con un tragitto di circa 20 chilometri si sono portati, durante il mese di luglio, fino sulle creste della valle del Miller imbrancandosi con stambecchi liberati sul territorio lombardo (figura XX).
Un dato di questo tipo conferma che i due nuclei di stambecchi, derivanti dai rilasci operati su un unico complesso montuoso ma in aree appartenenti a realtà amministrative distinte, possono essere considerati come un'unica metapopolazione con notevoli possibilità di continui contatti e scambi di individui.
Il territorio utilizzato dal nucleo trentino di animali, in questi primi mesi, ha un'estensione di circa 2.500 ettari ed è compreso tra la valle di San Valentino, la Val di Borzago e la zona del Monte Carè Alto alla testata della Val di Fumo (figura XX).
Più vasto l'areale utilizzato dagli stambecchi nel territorio lombardo per una superficie complessiva di circa 5.200 ettari e un'area di massima frequentazione (core area) di 1.700 ettari, corrispondente alle principali zone di cresta comprese tra la destra della valle del Miller, il Pian della Regina - Monte Marser, sino al Passo Poia tra Val Salarno e Valle Adamè.
Sempre durante il primo periodo successivo ai rilasci degli animali è stata impostata la rilevazione dei loro ritmi di attività grazie ai particolari sensori presenti nei radiocollari. Uno studio di questo tipo porterà a conoscere meglio le abitudini del bovide e quindi ad approfondire le conoscenze sulla sua biologia (figura XX).
Da rilevare la perdita di due femmine adulte rinvenute morte, la prima per stress e conseguente miopatia generativa nelle fasi immediatamente successive ai rilasci, e la seconda sotto una valanga nell'alta valle del Miller.
A fronte di questa notizia negativa, sono da segnalare le prime 5 osservazioni di piccoli nati all'inizio dell'estate che vanno a incrementare la neocolonia e a rinforzarne la presenza.
7. Prospettive future
I rilasci degli animali dovrebbero concludersi, per l'area dei due parchi, nella primavera del 1996. E' però di estrema importanza che l'interesse suscitato dal progetto venga mantenuto alto, soprattutto nel periodo in cui le colonie immesse non hanno ancora raggiunto effetti che ne garantiscano la stabilità.
Per questo motivo sono in via di predisposizione una serie di azioni educative ed informative protratte nel tempo.
Gli audiovisivi, integrati con le immagini dei rilasci e degli stambecchi sul territorio dei parchi, verranno riproposti nel corrente anno scolastico, alimentando la conoscenza di come sta proseguendo l'iniziativa.
Di maggior spessore è l'inserimento di specifici programmi riguardanti lo stambecco, la sua osservazione sul territorio e lo studio della specie tra le iniziative di educazione ambientale intraprese dai centri informativi dei parchi sin dalla scorsa estate.
L'insieme delle azioni intraprese e la loro continuazione nel tempo sta facendo divenire la presenza dello stambecco un patrimonio comune alla popolazione delle valli interessate, con indubbi benefici nel legame psicologico tra l'uomo e il suo territorio.
Uno dei risultati più importanti è stato l'avvio di un rapporto di collaborazione fattivo tra i confinanti Parchi Adamello e Adamello-Brenta: la presenza di un progetto concreto comune ha permesso di attivare canali di comunicazione generale tra le due aree protette.
* Parco naturale Adamello-Brenta
** Università di Milano, sede di Varese
*** Parco naturale dell'Adamello Lombardo |