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1. Disciplina comunitaria
Corte di Giustizia della Comunità Europea, sentenza 2 agosto 1993, causa C-335190, contro Spagna.
Nella sentenza in epigrafe la Corte di giustizia ha dichiarato inadempiente la Spagna per inosservanza degli obblighi imposti dalla direttiva 79/409/Cee in merito allo status e alla difesa di un habitat importante per l'avifauna (le Marismas de Santona del nord). Accogliendo la tesi della Commissione, la Corte ha ritenuto che tale zona avrebbe dovuto essere classificata come "zona di protezione speciale" poiché è popolata da un gran numero di specie minacciate e non usufruisce di un'appropriata protezione da parte delle autorità spagnole. Questa sentenza ha permesso di chiarire vari aspetti delle disposizioni della direttiva che attengono alla protezione degli habitat delle specie avicole.
In alcuni casi si sono trovate soluzioni soddisfacenti; ad esempio, nel 1993 è stata archiviata la questione sorta in merito all'applicazione della direttiva della Baia di Cadice poiché le autorità spagnole hanno adottato provvedimenti antinquinamento designando la zona in questione "zona di protezione speciale" a norma dell'articolo 4 della richiamata direttiva.
In Francia, i casi segnalati alla Commissione evidenziando spesso violazioni concomitanti delle direttive 79/409/Cee e 85/337/Cee.
E' inoltre opportuno ricordare che il tribunale di Nantes ha adito la Corte di giustizia a norma dell'articolo 177 del Trattato Cee chiedendo una pronunzia pregiudiziale sull'interpretazione delle disposizioni dell'articolo 7, par. 4 della direttiva 79/409/Cee (conservazione degli uccelli selvatici) con riferimento alla fissazione delle date di chiusura della caccia per alcune specie di questi uccelli.
In Belgio continuano a sussistere problemi di conformità della normativa regionale fiamminga e vallona con le disposizioni della direttiva testé ricordata. Nella regione fiamminga le misure di protezione delle zone designate non sono sufficienti, mentre nella regione vallona persistono tuttora problemi in merito all'esercizio venatorio nonostante una prima sentenza della Corte di giustizia. Il 25 maggio 1993 è stato inviato al Belgio un parere motivato a norma dell'articolo 171 CE. Il Belgio non ha ancora comunicato i provvedimenti necessari per recepire la seconda direttiva sulla conservazione degli uccelli (91/244/Cee).
La Germania ha adottato i provvedimenti necessari per conformarsi alle pronunce della Corte di giustizia in tema di protezione degli uccelli selvatici. La Commissione ritiene però che alcune disposizioni relative alla caccia e all'uccisione deliberata degli animali non rispondono sempre alle disposizioni della direttiva 79/409/Cee.
La Danimarca, il Lussemburgo, la Grecia e i Paesi Bassi accusano un ritardo nella recezione della direttiva 91/244/Cee che modifica la prima direttiva sugli uccelli selvatici (79/409/Cee).
La Grecia non ha ancora individuato un numero sufficiente di zone di protezione speciale a norma della direttiva 79/409/Cee né ha indicato i confini precisi delle zone designate e non ha neppure preso provvedimenti concreti per la protezione di ogni singola zona.
I problemi dell'Italia riguardano in particolare l'applicazione dell'articolo 4 sulla designazione delle zone di protezione speciale.
Nei Paesi Bassi la questione della conformità della normativa nazionale con la direttiva 79/409/Cee ha dato luogo a una seconda sentenza della Corte di giustizia nel 1992 (79). La Commissione ha avviato discussioni con le autorità olandesi allo scopo di rendere conforme alle disposizioni qualificanti della direttiva vari articoli del progetto di legge "Flora - faunawet» del 1989; nondimeno, l'iter di approvazione della nuova legge annunziata non procede speditamente e il procedimento promosso ex articulo 171 CE è tuttora in corso. La Commissione prosegue inoltre le discussioni con le autorità olandesi per ottenere da queste ultime che varie zone vengano classificate come zone speciali e umide ai sensi delle direttive 79/409/Cee e 85/411/Cee.
Regolamento Cee n. 1488194 della Commissione del 28 giugno 1994 che stabilisce i principi per la valutazione dei rischi per l'uomo e per l'ambiente delle sostanze esistenti, a norma del regolamento n. 793/93 del Consiglio (in Guce n. L. 161 del 29 giugno 1994).
La base giuridica del presente atto normativo va ricercata nel regolamento (Cee) n. 793/93 del Consiglio, relativo alla valutazione ed al controllo dei rischi presentati dalle sostanze esistenti, (in Guce n. L. 84 del 5 aprile 1993, p. 1) in particolare all'articolo 10, paragrafo 4, riguardante la responsabilità degli Stati membri della valutazione dei rischi potenziali per l'uomo e per l'ambiente elaborati sulla base di principi stabiliti entro giugno 1994.
Il regolamento in questione viene quindi a dettare i principi generali ai quali gli Stati membri dovranno attenersi per la valutazione dei rischi, al fine di evitare che difformità nelle valutazioni possano incidere negativamente sul funzionamento del mercato interno, causando inoltre un diverso livello di protezione dell'uomo e dell'ambiente in ciascun Stato membro.
Il metodo della valutazione del rischio è sancito all'articolo 3 che prevede una iniziale "identificazione del pericolo" e successivamente, se necessario, una "valutazione del rapporto dose/risposta", seguita da una "valutazione dell'esposizione" e dalla "caratterizzazione dei rischi".
Tali terminologie sono specificatamente definite all'articolo 2 mentre gli articoli 4 e S prevedono due diversi procedimenti nella valutazione del rischio "salute umana" e "ambiente".
Ai due suddetti procedimenti è sancita però una deroga in caso di effetti particolari, come la riduzione della fascia di ozono, per i quali la valutazione dei rischi è effettuata caso per caso.
E' prevista infine una relazione sulla valutazione del rischio, elaborata dal relatore designato dallo Stato membro che viene poi trasmessa alla Commissione unitamente alla strategia raccomandata.
Legge 25 gennaio 1994 n. 70: Norme per la semplificazione degli adempimenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza pubblica, nonché per l'attuazione del sistema di ecogestione e di audit ambientale (in G. U. n. 24 del 31.1.1994)
La legge n. 70/1994, che integra in alcuni aspetti la legge n. 61/1994 istitutiva dell'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente, va considerata come un ulteriore passo da un lato verso il riordino e la semplificazione delle procedure, dall'altro verso la chiarezza dei compiti istituzionali e la certezza legislativa.
La legge interviene essenzialmente in due direzioni:
- individuazione, ai fini della definizione di un modello unico di dichiarazione, delle disposizioni di legge e delle relative norme di attuazione che stabiliscono obblighi di dichiarazione, di comunicazione, di denuncia o di notificazione in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza pubblica (articolo 1, 1° comma, lettera a)
- individuazione di un termine per la presentazione del modello unico di dichiarazione, che sostituisce ogni altro diverso termine previsto dalla legislazione ambientale di settore (articolo 1, 1° comma, lettera b).
- Entro il 15 agosto è prevista l'emanazione di un Dpr che individua le disposizioni di legge e le norme che si riferiscono agli obblighi suddetti.
Il modello unico sostitutivo, che terrà luogo di ogni altra dichiarazione, dovrà essere adottato mediante Dpcm entro 30 giorni dall'emanazione del decreto del presidente della Repubblica.
Il soggetto a cui tale modello dichiarativo dovrà essere inviato viene individuato, dalla legge in oggetto, nelle camere di commercio (articolo 2). La dottrina (R. Butta) accoglie questa novità non senza alcune riserve, individuando, ad esempio, nelle future Agenzie strutture certamente più idonee per la raccolta e l'elaborazione delle dichiarazioni.
Entro il 15 marzo è prevista l'emanazione, da parte del Ministero dell'ambiente, di concerto con il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, di apposito decreto per la disciplina e le modalità di partecipazione al sistema di ecogestione e audit ambientale, considerato dal Reg. Cee 19 giugno 1993 n. 1836/1993 del Consiglio.
Decreto del Ministro dell'ambiente 17 novembre 1994: Esclusione dal perimetro provvisorio del Parco nazionale del Gargano delle aree individuate come zone fnalizzate alla costituzione di aree contigue (in G. U. n. 301 del 27.12.1994).
Decreto del Ministro dell'ambiente 22 novembre 1994: Esclusione dal perimetro provvisorio del Parco nazionale del Gran Sasso e Montz della Laga delle aree individuate come zone finalizzate alla costituzione di aree contigue (in G. U. n. 301 del 27.12.1994).
Decreto del Ministro dell'ambiente 22 novembre 1994: Esclusione dal perimetro provvisorio del Parco nazionale della Maiella delle aree individuate come zone fnalizzate alla costituzione di aree contigue (in G. U. n. 301 del 27.12.1994).
Sulla Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre 1994 sono stati pubblicati tre decreti del Ministero dell'ambiente che riguardano l'esclusione, dal perimetro del parco naturale, di alcune zone finalizzate alla costituzione delle aree contigue.
Naturalmente sono stati oggetto dei provvedimenti considerati tre parchi naturali diversi; tuttavia l'intento di segnalare insieme i decreti ministeriali è dovuto alla similarità del contenuto degli stessi.
La struttura di questi provvedimenti è infatti la medesima, così come analoghe sono anche le norme richiamate in premessa. Si accenna alla legge-quadro sulle aree protette, come referente normativo di principio e come norma che ha previsto l'istituzione dei parchi naturali; inoltre viene menzionata la legge n. 349 del 1986, istitutiva del Ministero dell'ambiente, la quale, all'articolo 5, conferisce al Ministero dell'ambiente la competenza ad individuare "...le zone di importanza naturalistica nazionale ed internazionale promuovendo in esse la costituzione di parchi e riserve naturali".
Si richiama, infine, per ciascun decreto, il rispettivo decreto ministeriale con cui il parco naturale è stato istituito. In particolare viene menzionato l'articolo 3 come norma che suddivide il territorio compreso nel perimetro del parco in due sottozone: la zona 1, caratterizzata da un rilevante interesse naturalistico, e la zona 2, caratterizzata da un maggior grado di antropizzazione.
Quest'ultima costituisce l'oggetto principale dei decreti che commentiamo: infatti il Ministero dell'ambiente ha ritenuto di escludere definitivamente dal perimetro dei Parchi nazionali del Gargano (decreto del 17 novembre 1994), del Gran Sasso e Monti della Laga (decreto del 22 novembre 1994) e della Maiella (decreto del 22 novembre 1994) tale porzione di territorio.
Nessuno dei decreti citati fornisce una motivazione della scelta effettuata dal Ministero dell'ambiente in ordine alla esclusione di dette aree dal perimetro dei parchi. I provvedimenti normativi si limitano soltanto ad enunciare la decisione del Ministero; risulta pertanto assai difficoltoso il tentativo di interpretare una simile scelta.
3. Normativa Regionale
CALABRIA
Deliberazione del Consiglio regionale 28 dicembre 1993, n. 315 - Regolamento Cee n. 2078/92 - Programma territoriale ambientale 1994 - 1998 (Bur 28 aprile 1994, n. 50, Ed. straord.).
Nella premessa del provvedimento vengono analizzati i caratteri geografici e socio-economici della Regione Calabria.
Al riguardo si precisa che:
"La Calabria è tra le Regioni del Mezzogiorno quella che meno ha saputo utilizzare le risorse provenienti dagli interventi a cofinanziamento comunitario; le incertezze e le previsioni dell'economia nazionale tra l'altro hanno posto nell'ultimo periodo e pongono nel medio termine seri dubbi sulla possibilità del realizzarsi di condizioni favorevoli alla crescita ed allo sviluppo omogeneo dell'attività produttiva ed occupazionale.
Il contesto entro cui si pone la Regione Calabria in questo decennio è completamente diverso rispetto a quello degli anni ottanta per una serie di cambiamenti di carattere economico-istituzionale che hanno inciso profondamente sulle scelte di politica economica. Il quadro generale dell'economia calabrese è quello di una economia assistita che comunque non coincide con lo sviluppo, tanto è che dall'esame degli indicatori socioeconomici la Regione è collocata all'ultimo posto della graduatoria di tutte le Regioni del Mezzogiorno.
Tale situazione nasce dall'incapacità di eliminare le cause che spingono l'economia calabrese ad organizzarsi a livelli di sussistenza o con sistemi scarsamente efficienti, incapaci di creare alternative occupazionali in settori produttivi diversi da quelli tradizionali.
Dopo essersi quindi soffermati sulle caratteristiche strutturali dell'agricoltura regionale, il documento evidenzia quali fattori limitativi i seguenti:
- nel patologico fenomeno della polverizzazione, frammentazione e dispersione fondiaria
- nel non diffuso spirito associazionistico ed imprenditoriale
- nella orografia della Regione molto accidentata che rende problematica la diffusione della meccanizzazione ed eleva i costi di produzione
- nel rilevante peso dell'alta collina e della montagna dove è difficile consolidare processi economici produttivi
- nella concorrenza che altri Paesi comunitari ed in via di sviluppo esercitano nei confronti delle produzioni tipiche mediterranee (olivi, agrumi, vitivinicoltura)
- nella distanza dei principali mercati di consumo acuita dall'assenza di una efficiente rete commerciale.
Per quanto poi specificatamente relativo all'applicazione del Regolamento Cee n. 2078/92, il documento così precisa gli interventi: "2.1. La Regione si propone, con l'applicazione delle misure d'intervento previste dal reg. Cee 2078/92 di limitare al massimo ai produttori il danno derivante dal passaggio della vecchia politica agricola comunitaria alla nuova, considerando le difficoltà di ordine strutturale e di reddito che ancora caratterizzano le aziende agricole regionali. L'attivazione delle misure è auspicabile possa trovare ampia applicazione e possa incentivare e stimolare l'inserimento di attività di innovazione tecnologica, produttiva e socio-strutturale. Considerata la particolare conformazione orogeografica ed ambientale, nonché la particolare configurazione e distribuzione territoriale delle diverse produzioni agricole, si ritiene di dover individuare l'intero territorio regionale quale zona d'intervento di tutte le misure di accompagnamento previste dal regolamento ed in particolare: a) impiego di metodi di produzione agricola che riducano gli effetti inquinanti dell'agricoltura b) estensivizzazione favorevole all'ambiente c) promozione forme di conduzione dei terreni agricoli compatibili con la tutela ed il miglioramento dell'ambiente, spazio naturale, paesaggio e delle risorse naturali del suolo e delle diversità genetiche d) incentivazione della cura dei terreni agricoli e forestali abbandonati e) incoraggiamento per un periodo di lunga durata dei seminativi per scopi di carattere ambientale f) incoraggiamento per la gestione dei terreni per l'accesso del pubblico ad attività ricreative g) promozione per la sensibilizzazione e la formazione degli agricoltori a metodi di produzione agricola compatibile con la tutela ambientale h) valorizzazione e protezione dei parchi. Per quanto relativo ai criteri per il riparto di contributi, si prevede di assumere a riferimento i seguenti: a) data presentazione domanda e protocollo d'arrivo al Settore decentrato dell'agricoltura ex Ipa b) le zone a tutela idrogeologica e naturalistica e paesaggistica c) adiacenza di corsi d'acqua, sorgiva, canali di bonifica, zone umide d) realizzazione di piantine, boschetti, siepi, eccetera e) parchi, riserve, oasi di protezione faunistica f) riserve faunistiche venatorie, parchi didattici g) riduzioni produzioni eccedentarie. Il documento definisce quindi le modalità per le istruttorie delle domande, i controlli e le sanzioni e, le singole azioni programmatiche per l'applicazione del regime di aiuti della Cee.
EMILIA-ROMAGNA
Legge regionale 29 marzo 1993 n. 16: Soppressione dell'azienda per il riequilibrio faunistico ed ittico del territorio (Bur 1.4.1993 n. 29).
Legge regionale 29 marzo 1993 n. 29: Soppressione dell'azienda regionale delle foreste (Bur 1.4.1993 n. 29).
PIEMONTE
Circolare del Presidente della Giunta regionale 17 febbraio 1994, n. 8/AMB/SAN - Legge 21 gennaio 1994, n. 61, conversione del D.L. 4 dicembre 1993, n. 496, recante disposizioni urgenti sulla riorganizzazione dei controlli ambientali e istituzione della Agenzia nazionale per la protezione ambientale. Criteri interpretativi delle norme transitorie di cui all'articolo 2, comma 3, e all'articolo 5 (Bur 23 febbraio 1994 n. 8).
Premesso che dopo l'esito del referendum ambientale del 18 aprile 1993, che ha condotto all'abrogazione di alcune norme della legge n. 833/78, il Parlamento ha convertito con significative modificazioni il D.L. 4 dicembre 1993, n. 496, recante disposizioni urgenti sulla riorganizzazione dei controlli ambientali e l'istituzione dell'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (legge 21 gennaio 1994, n. 61, pubblicata sulla G.U. n. 21 del 27 gennaio 1994), la circolare regionale intende fornire alcune disposizioni urgenti sulla riorganizzazione dei controlli ambientali e sull'istituzione e funzionamento dell'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente, in particolare sul regime transitorio per quanto relativo all'esercizio delle funzioni amministrative in materia ambientale di cui agli articoli 2 e 5 della legge n 61 del 1994.
In tale quadro la circolare riguarda la tipologia delle competenze attribuite, in questa fase, alle Province. In merito alla demarcazione dei controlli ambientali rispetto alla concatenata materia della prevenzione igienico-sanitaria, la legge n. 61/94 sancisce all'articolo 1, comma 2, che restano ferme le attribuzioni tecniche e di controllo, e quelle amministrative spettanti al Servizio sanitario nazionale e relative all'igiene degli alimenti, ai servizi veterinari, all'igiene, prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro e all'igiene e sanità pubblica.
Legge regionale 10 novembre 1994 n. 45: Norme in materia di pianificazione del territorio: modifiche alla legge regionale 5 dicembre 1977 n. 56 e successive modifiche ed integrazioni, e alle leggi regionali 16 marzo 1989 n. 16 e 3 aprile 1989 n. 20 (Bur n. 46 del 16 novembre 1994).
La recente legge piemontese si segnala per l'articolazione degli strumenti di pianificazione in relazione al livello istituzionale competente.
Il legislatore individua i seguenti strumenti per l'organizzazione e la disciplina del territorio:
- a) a livello regionale: il Piano territoriale regionale, anche per parti, e ne esplica ed ordina gli indirizzi di pianificazione del territorio
- b) a livello provinciale e di area metropolitana: i Piani territoriali provinciali formati dalle Province ed il Piano territoriale metropolitano formato dalla città metropolitana che considerano il territorio della Provincia o dell'area metropolitana, delineano l'assetto strutturale del territorio e fissano i criteri per la disciplina delle trasformazioni, in conformità con gli indirizzi di pianificazione regionale
- c) a livello sub regionale e sub provinciale, per particolari ambiti territoriali o per l'attuazione di progetti o politiche complesse: i Progetti territoriali operativi e Piani paesistici; i Progetti territoriali operativi considerano particolari ambiti sub-regionali o sub-provinciali aventi specifico interesse economico, ambientale o naturalistico ovvero interessati da progetti specifici o da iniziative di politica complessa, mentre i Piani paesistici considerano, anch'essi, particolari ambiti territoriali aventi preminenti caratteristiche di rilevante valore ambientale-paesistico
- d) a livello comunale: i Piani regolatori generali, aventi per oggetto il territorio del singolo Comune, o di più Comuni riuniti in forme associate, ed i relativi strumenti di attuazione.
Il processo di pianificazione del territorio viene dunque realizzato da una pluralità di enti locali territoriali nell'ambito delle rispettive competenze, tenendo conto dei Piani riguardanti l'ambito territoriale considerato o comunque interessato, ed assicurando il rispetto delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale, formulate dallo Stato di attuazione dell'articolo 81, primo comma, lettera a), del dpr 24 luglio 1977, n. 616.
Gli strumenti di pianificazione territoriale considerano i contenuti e le prescrizioni dei piani e dei programmi settoriali che hanno incidenza territoriale e che sono redatti in applicazione di disposizioni normative nazionali e regionali e provvedono al loro coordinamento nel rispetto delle competenze degli organi statali interessati. Il Piano territoriale regionale, i Piani territoriali provinciali, il Piano territoriale metropolitano ed i Progetti territoriali operativi, qualora contengano una specifica ed esauriente considerazione dei valori ambientali delle porzioni di territorio da tutelare e da valorizzare, hanno anche efficacia ai fini della tutela del paesaggio e ottemperano al disposto dell'articolo l-bis della legge 8 agosto 1985, n. 431; I'esistenza di detta condizione e l'efficacia dei Piani ai fini paesaggistici sono riconosciute e dichiarate espressamente in sede di adozione.
Gli strumenti di pianificazione territoriale costituiscono quadro di riferimento e di indirizzo per la formazione degli strumenti urbanistici e per la redazione dei piani settoriali i quali devono dimostrare la congruenza con gli stessi.
Per quanto attiene ai contenuti ed agli elaborati dei Piani paesistici si applicano le norme di cui agli articoli 5 e 6 della legge regionale 3 aprile 1989, n. 20.
Per quanto attiene ai Piani dei parchi e delle altre aree protette naturali si applicano le norme previste dalle vigenti leggi di settore.
TRENTINO-ALTO ADIGE
Provincia autonoma di Trento. Deliberazione della Giunta provinciale 18 febbraio 1994, n. 1551 - L.P. 29 agosto 1988, n. 28 - L.P. 4 marzo 1980, n. 6, successivamente modificata e integrata dalla L.P. 16 dicembre 1993, n. 42: Indirizzi e criteri di coordinamento tra le procedure di valutazione di impatto ambientale (Via) e le procedure in materia di cave e torbiere (Bur 29 marzo 1994, n. 13).
Il provvedimento reca le indicazioni e gli indirizzi di carattere generale per coordinare e razionalizzare il funzionamento e l'attività amministrativa derivante dall'applicazione delle leggi provinciali n. 28/88 e n. 6/80, successivamente modificata e integrata dalla legge provinciale n. 42/93.
Obiettivo specifico del provvedimento è quello di formulare idonei criteri di coordinamento tra le funzioni istruttorie del Servizio protezione ambiente e le competenze di cui alla legge provinciale n. 6/80 recante "Disciplina dell'attività di ricerca e di coltivazione delle cave e torbiere della Provincia autonoma di Trento", integrando quanto già disposto con la deliberazione n. 9448 in data 31 luglio 1992, che stabilisce le indicazioni e gli indirizzi di carattere generale al fine di coordinare e razionalizzare il funzionamento dell'attività amministrativa derivante dall'applicazione delle leggi provinciali prima richiamate. L'allegato A alla delibera n. 1551/94 definisce le procedure per le domande di compatibilità ambientale.
ABRUZZO
Legge regionale 16 gennaio 1995 n. 18: Norme per la conservazione, tutela, trasformazione del territorio della Regione Abruzzo (Bur 20 maggio 1995)-
Obiettivi della presente legge regionale possono individuarsi in particolare nei seguenti punti essenziali:
- 1) il coordinamento della pianificazione territoriale con gli obiettivi della programmazione socio-economica della Regione
- 2) la programmazione degli interventi e della spesa pubblica sul territorio, a livello regionale e locale
- 3) I'approfondita e sistematica conoscenza del territorio in tutti gli aspetti storici, sociali, economici e fisici attraverso la predisposizione della carta regionale dell'uso del suolo e degli atti e documenti di pianificazione ai vari livelli
- 4) la difesa attiva e la valorizzazione del patrimonio naturale con particolare riguardo ai beni ambientali e culturali, alla tutela idrogeologica e difesa del suolo, nell'ambito delle funzioni previsto dal dpr 616/77
- 5) la piena e razionale utilizzazione delle risorse ed in particolare delle aree agricole e boschive, nonché del patrimonio abitativo, produttivo ed infrastrutturale esistente
- 6) lo sviluppo equilibrato del territorio attraverso il controllo qualitativo e quantitativo dei diversi tipi di insediamento
- 7) la partecipazione democratica delle Comunità abruzzesi al processo di formazione della politica dell'uso del suolo urbano ed extra-urbano
- 8) la riaffermazione della rilevanza pubblica dei processi di trasformazione del territorio ai vari livelli del governo locale
- 9) lo snellimento dei procedimenti di formazione, approvazione e adeguamento degli strumenti di pianificazione
- 10) la predisposizione di adeguati strumenti e strutture tecniche amministrative e finanziarie ai vari livelli istituzionali di pianificazione, per il perseguimento degli obiettivi programmatici e l'esercizio dei poteri di cui alla presente legge
- 11) la valorizzazione delle autonomie locali singole e in forma associata
- 12) l'operatività ed esecutività degli strumenti di pianificazione
- 13) l'elevazione del contenuto tecnico progettuale dei piani anche attraverso la creazione di strutture interdisciplinari, al fine di garantire l'uniformità e la comparabilità degli elaborati di piano.
Legge regionale 3 aprile 1995 n. 28: Norme concernenti la gestione delle foreste demaniali regionali (Bur n. 10 del 28 aprile 1995).
Legge regionale 31 marzo 1994 n. 32: Nuove norme in materia di agriturismo (Bur n. 11, speciale del 31 marzo 1995).
BASILICATA
Legge regionale 27 marzo 1995 n. 35: Disciplina della raccolta, coltivazione, conservazione e commercializzazione dei tartufi (Bur n. 25 del 3 aprile 1995).
Deliberazione C.R. 7 marzo 1995, n. 1629: Istituzione del servizio fitosanitario regionale (Bur n. 27 del 16 aprile 1995).
Legge regionale 24 marzo 1995, n. 8: Norme per la realizzazione di impianti surricoli funzionali allo sviluppo delle attività agricole (Bur n. 16 del 3 aprile 1995).
EMILIA-ROMAGNA
Legge regionale 30 gennaio 1995, n. 6: Norme in materia di programmazione e pianificazione territoriale in attuazione della legge 8 giugno 1990 n. 142 e modifiche e integrazioni alla legislazione urbanistica ed edilizia (Bur n. 15 del 5 febbraio 1995).
La legge in epigrafe prevede il riordino della legislazione regionale in materia di programmazione e pianificazione territoriale ed urbanistica, al fine di perseguire i seguenti obiettivi:
- a) realizzare, secondo quanto previsto dal comma 3 dell'articolo 3 della legge 8 giugno 1990, n. 142, un efficiente sistema delle autonomie al servizio dello sviluppo economico, sociale e civil
- b) valorizzare il ruolo e l'attività di programmazione e pianificazione territoriale ed urbanistica delle Province e dei Comuni, razionalizzando l'esercizio delle competenze attribuite ai diversi livelli istituzionali
- c) precisare il raccordo funzionale tra i diversi strumenti della programmazione e della pianificazione.
Corte Cosfituzionale 20 luglio 1994, n. 318
La Corte, con la sentenza n. 269/93 aveva già sottoposto a vaglio di legittimità costituzionale la disciplina di cui all'articolo 1 sexies, aggiunto al D.L. m 312/85 dalla legge di conversione n. 431 dello stesso anno, per effetto della quale è sottoposto alle medesime sanzioni ogni intervento edilizio compiuto senza la previa autorizzazione paesistica, indipendentemente dalla circostanza che questa sia successivamente intervenuta. In quella sede, la previsione di sanzioni penali per le opere autorizzate in sanatoria era stata ritenuta legittima, ricalcando un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato (cfr. ordinanze n. 510/93 e n. 187/94).
Alla base di tale indirizzo vi è la considerazione che l'integrità ambientale è un bene unitario che può risultare compromesso anche da interventi minori; così, in relazione a opere eseguite in violazione dei vincoli paesaggistici, i provvedimenti autorizzatori emessi in sanatoria non estinguono il reato come, invece, previsto per le violazioni edilizie dell'articolo 22, comma 3, della legge n. 47/85.
Nella fattispecie in esame, analoghe valutazioni portano a escludere la fondatezza della censura di irragionevolezza della norma di cui al comma 2 del citato articolo 1 sexies, che "impone" al giudice in caso di condanna per violazione della c.d. Legge Galasso, di ordinare la rimessione in ripristino dello stato originario a spese del condannato, indipendentemente dalle determinazioni legittimamente adottate dalle autorità amministrative, territoriali competenti (l'imputato aveva prodotto, nel corso del dibattimento, copia del provvedimento con cui l'amministrazione provinciale, ai sensi dell'articolo 15 della legge n. 1497/39, irrogava una sanzione pecuniaria senza remissione in pristino). L'obbligo a carico del giudice contrasta - secondo il pretore di Vicenza (sezione distaccata di Schio) - con il principio di ragionevolezza, nonché con quello di uguaglianza (articolo 3 Cost.), sotto il profilo del divieto di attribuzione di un medesimo trattamento sanzionatorio a situazioni tra loro differenti. Diverso l'avviso della Corte, per la quale il predetto obbligo, imposto per la più incisiva tutela di un interesse primario della collettività, si colloca in modo autonomo dai poteri e dalle valutazioni della P.A., configurandosi quale conseguenza necessaria di interventi modificativi del territorio in zone sottoposte a vincolo paesaggistico, in mancanza di una previa verifica di compatibilità ambientale, da cui l'esigenza di un completo recupero dell'integrità dell'interesse tutelato. (Nella sentenza n. 376/93, la questione di legittimità, sollevata in riferimento al diverso parametro del buon andamento della P.A. di cui all'articolo 97 Cost., era stata rigettata, sempre nella considerazione che l'esercizio della funzione giurisdizionale "è estraneo alla tematica del buon andamento dell'amministrazione").
Corte costituzionale, 6-13 febbraio 1995, n. 35: Giudizio di legittimità in via principale per conflitto di attribuzione tra Stato e Regione (G.U. n. 7 del 15 febbraio 1995, 1~ serie sp.).
In data 13 febbraio 1995 la Corte costituzionale ha emesso la sentenza n. 35 concernente il giudizio di legittimità costituzionale in via principale degli articoli 8, primo comma, lettera a), e 10, primo comma, lettera a), della legge regionale Lazio del 4 maggio 1994 recante "Istituzione della riserva natura parziale Selva del Lamone". L'articolo 9, primo comma, lettera a) disciplina la cattura delle specie animali consentendola al solo scopo della ricerca scientifica; I'articolo 10, primo comma, lettera a) invece, vieta la pratica della caccia all'interno della riserva naturale parziale Selva di Lamone, ma fa salvi "i diritti di uso civico".
La questione di legittimità costituzionale relativa all'articolo 9 della legge regionale Lazio è ritenuta fondata. Tale articolo 9, infatti, subordina l'esercizio della caccia alla sussistenza di motivi di studio e di ricerca scientifica "sulla base di un piano organico, funzionale alle finalità della riserva, preventivamente approvato dall'ente gestore, sentito l'assessorato regionale all'ambiente ed il comitato tecnico-scientifico".
Questa previsione normativa, a giudizio della Corte costituzionale, si pone in contrasto con il dettato dell'articolo 4, primo comma, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 e del coordinato disposto delle leggi 11 febbraio 1992, n. 157 e 6 dicembre 1991, n. 394. Infatti le suddette leggi statali, in particolare la legge n. 4 del 1992, prevedono che l'esercizio della caccia possa essere effettuato soltanto previo parere dell'Istituto nazionale della fauna selvatica e dispongono inoltre che i beneficiari dell'autorizzazione siano esclusivamente gli istituti scientifici, le università, il Cnr ed i musei di storia naturale. Tale disposizione è volta a garantire l'effettiva realizzazione degli obiettivi scientifici sottesi alla cattura degli animali che vivono nella riserva; solo così, infatti, si ritiene che possa essere rispettata la finalità pubblicistica di protezione della fauna locale e quindi, in generale, dell'ambiente.
Il legislatore statale ha infatti predisposto un meccanismo di controllo centrale (il parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica) che la legge regionale del Lazio ha eliminato affidando il controllo stesso all'ente-gestore della riserva nonché all'assessorato regionale all'ambiente. In tal modo è venuta meno la possibilità di regolamentare lo svolgimento della caccia in maniera uniforme in tutte le Regioni.
Proprio per evitare una simile conseguenza e per sottolineare ulteriormente l'importanza di una tutela ambientale omogenea per tutto il territorio dello Stato, la Corte costituzionale ha ritenuto di accogliere il ricorso presentato dal presidente del Consiglio dei ministri e dichiarare l'incostituzionalità dell'articolo 9, primo comma, lettera a) della legge regionale Lazio approvata il 4 maggio 1994.
Per quanto riguarda il contenuto dell'articolo 10, primo comma, lettera a) la Corte costituzionale conclude succintamente respingendo la questione di legittimità costituzionale e sostenendo che dalla lettera della delibera del Consiglio dei ministri, delibera con cui si impugna la legge regionale considerata, emerge la chiara intenzione del Consiglio dei ministri stesso di sottoporre al vaglio della Corte in particolare l'articolo 9. Pertanto la suddetta delibera va ritenuta inadeguata a fondare il ricorso presidenziale anche nei confronti dell'articolo 10, primo comma, lettera 4).
Corte costituzionale, 6-13 febbraio 1995, n. 36: Giudizio per conflitto di attribuzione tra Stato e Regione (G.U. n. 8 del 22 febbraio 1995, 1~ serie sp.).
La Corte costituzionale, con la sentenza in epigrafe ha ritenuto infondato il ricorso promosso dalla Regione Campania avverso il dpr del 15 giugno 1994. Con tal ricorso la Regione Campania ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato lamentando una lesione della sfera delle attribuzioni regionali per aver disposto la sostituzione dell'amministrazione statale con quella regionale.
La questione riguarda la redazione e l'approvazione del piano territoriale paesistico della Regione Campania, ai sensi del primo comma dell'articolo 1-bis della legge 8 agosto 1985, n. 431. Tale norma conferisce alle Regioni il potere di redigere e quindi approvare i piani paesistici o i piani urbanistico-territoriali.
Si tratta di strumenti urbanistici contenenti la disciplina dell'assetto del territorio ed aventi la finalità di prevedere uno sviluppo edilizio conforme alle esigenze ed alle caratteristiche del territorio stesso. Il secondo comma dell'articolo 1-bis della legge n. 431 del 1985 stabilisce che, in caso d'inerzia dell'amministrazione regionale, il Ministero per i beni culturali ed ambientali si debba sostituire alla Regione ed ultimare la procedura per l'approvazione del piano paesistico. Tale sostituzione costituisce appunto il contenuto del contestato dpr del 15 giugno 1994 avverso il quale la Regione Campania ha presentato ricorso.
Secondo quanto asserito dalla Regione, il Ministero dei beni culturali ed ambientali si è sostituito agli organi regionali senza che sussistesse l'inerzia degli stessi, inerzia che rappresenta invece l'unico presupposto in base al quale è consentito dalla legge n. 431 del 1985 il potere ablatorio dello Stato nei confronti delle Regioni.
Secondo la Regione ricorrente essa non è rimasta affatto inerte ma ha provveduto, con una serie di atti, ad ottemperare agli obblighi imposti dalla legge "Galasso" (n. 431 del 1985).
Al contrario, le argomentazioni avanzate dall'avvocatura dello Stato sono volte a dimostrare che la Regione Campania non ha attuato, nei termini richiesti dalla legge (cioè entro il 31 dicembre 1986), le previsioni normative. In tal modo, per effetto della mancata adozione dei piani regionali, si è creato una grave situazione di pericolo per i valori paesistici del territorio campano e si sono altresì causati diffusi fenomeni di abusivismo edilizio perché è stato assolutamente difficoltoso prolungare così a lungo la misura cautelare contenuta nel decreto del Ministero dei beni culturali ed ambientali del 28 marzo 1985.
Tale misura consiste nell'assoluto divieto di modificare il territorio protetto fino all'approvazione dei piani regionali.
La Corte costituzionale, accogliendo le argomentazioni proposte dall'avvocatura dello Stato, ha ritenuto il ricorso infondato. La Corte, infatti, ha ravvisato la sussistenza del presupposto richiesto dalla norma per dare luogo all'intervento ablatorio del Ministero competente ossia la "persistente inattività" della Regione.
Dalla lettura della sentenza si evince che, secondo la Corte, gli atti indicati dalla Regione come esecutivi degli obblighi richiesti dalla legge n. 431 del 1985 non hanno in realtà sortito alcun risultato conclusivo oppure hanno dettato interventi solo per porzioni limitate di territorio, pertanto non possono considerarsi atti idonei e sufficienti ad impedire l'adozione sostitutiva dell'amministrazione statale.
Per quanto riguarda la lamentata mancanza di "leale cooperazione" tra Stato e Regione, la Corte costituzionale ritiene che nulla si possa eccepire al comportamento dell'amministrazione statale, la quale ha più volte diffidato la Regione ad adempiere. |