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La festa di San Rossore ed il Convegno di Gargnano in cui abbiamo ricordato Valerio Giacomini sono stati anche un'occasione per discutere delle "luci e ombre" della legge 394.
Nei due appuntamenti abbiamo naturalmente preso le mosse da angolazioni assai diverse, in quanto differenti erano le occasioni e le finalità. Politico-istituzionale, la verifica avviata alla festa in un incontro con i rappresentanti dei parchi, delle istituzioni regionali e locali, al quale è intervenuto anche il nuovo ministro dell'ambiente. Di carattere e respiro culturale, sebbene non disancorato dall'incombenza di situazioni molto concrete, la discussione di Gargnano.
Un tratto però, in qualche modo, le ha accomunate: la riflessione su come assicurare ai parchi un futuro meno precario ed a rischio.
Alla festa l'attenzione si è concentrata sulla legge intesa come "strumento" operativo, di cui avvertiamo, a cinque anni dalla sua entrata in vigore, anche le "ombre" che non possiamo ignorare e di cui soprattutto dobbiamo individuare e capire con maggiore chiarezza le cause, per poterle efficacemente rimuovere; fatte salve, ovviamente, le finalità della legge. L'impressione, voglio dirlo subito, è che vi sia ancora qualche impaccio, qualche incertezza, ad affrontare questo dibattito certo con senso della misura ed equilibrio, ma anche con il realismo che la situazione ormai impone. Infatti il punto che finora non sembra essere stato colto in tutta la sua portata riguarda, diciamo così, il contesto entro cui il dibattito sulla legge, ma più in generale sulla politica per i parchi, si colloca oggi, cioè il confronto serrato sulle riforme istituzionali.
La legge, in questi anni di rodaggio, ha subìto ripetuti attacchi da parte di forze che, molto apertamente e dichiaratamente, volevano liquidarla. Noi abbiamo fatto bene, quindi, a difenderla, a respingere le perentorie richieste di modifica il cui scopo era unicamente quello di affossarla.
E poi qualsiasi legge richiede un ragionevole tempo di prova prima di dover essere sottoposta ad eventuali correzioni.
Detto questo e ribadito che la legge va naturalmente attuata nelle sue parti rimaste del tutto, o in buona misura, lettera morta, va aggiunto però che le disfunzioni, i limiti della legge, nel corso di questi cinque anni sono andati evidenziandosi sempre di più.
E per disfunzioni e limiti non intendiamo tanto l'elenco, pur cospicuo, delle inadempienze, dei ritardi, dei rinvii e delle conseguenti non convincenti giustificazioni portate dal Ministero e dalle stesse Regioni le cui responsabilità, spesso, sono pari a quelle del centro.
Quell'elenco è noto ed è semmai incompleto.
Noi ci riferiamo, in particolare, ad un aspetto molto preciso: al funzionamento della legge in quello che, a giudizio anche della Corte costituzionale, è il cuore della 394: la"leale collaborazione" tra Stato, Regioni ed Enti locali. La scommessa della 394 era soprattutto questa: assicurare una gestione non centralista di una legge approvata in un clima non favorevole alle Regioni, la quale spostava oggettivamente il pendolo dalla parte dello Stato, chiamato ad istituire e gestire in prima persona un grande numero di parchi nazionali.
Il legislatore aveva avvertito questo rischio di "sbilanciamento" e per questo aveva previsto alcuni strumenti volti ad assicurare una gestione equilibrata, fondata, appunto, sulla"leale collaborazione": il Comitato per le aree protette, il piano triennale, la carta della natura, certe procedure ed intese, ed altro ancora.
Ora, a distanza di cinque anni e nel momento in cui nel Paese si è aperta una stagione di riforme istituzionali, il cui obiettivo, largamente condiviso, è quello di ridimensionare sul piano amministrativo il ruolo del centro e rafforzare quello delle istituzioni regionali e locali, anche la legge 394 va riguardata e riconsiderata proprio sotto questo profilo ed in questa nuova prospettiva.
Gli osservatori più attenti concordano sul fatto che nella gestione della legge l'ago della bilancio si è ulteriormente spostato, nel corso di questi anni, a favore del centro anche per quanto riguarda atti e procedure che hanno finito per appesantire e rendere più farraginosi tutti i passaggi. Gli organi e gli strumenti che avrebbero dovuto fare da "contrappeso" nei confronti della invasività centralistica, non hanno praticamente funzionato. E' stato così per il Comitato Stato-Regioni, per il piano triennale, per la carta della natura. Gran parte delle decisioni più importanti sono state prese in sedi diverse da quelle "deputate" e prescritte dalla legge. L'amministrazione centrale ha così finito per prevalere, sostituendo gli organi politico-istituzionali in tutti i passaggi più significativi e qualificanti.
Il fatto che il sistema nazionale delle aree protette resti, al momento, una vaga aspirazione, è dovuto proprio a questo tipo di gestione politica, amministrativa e burocratica.
Laddove anche il buon senso consigliava flessibilità e apertura nell'applicazione e gestione di norme sovente contraddittorie o chiaramente "vecchie" (vedi il ruolo del Corpo forestale dello Stato) improntate a "principi" difficilmente applicabili in realtà regionali in cui i parchi erano stati istituiti molto prima della legge 394, si sono registrate chiusure, incomprensioni ed atteggiamenti addirittura di sfida.
Il risultato inevitabile è che oggi abbiamo situazioni di grave "sofferenza", per fronteggiare le quali occorre davvero un colpo di reni, innanzitutto, si intende, nella gestione politica che deve farsi carico e non eludere i punti di crisi.
Con una Regione come la Lombardia, che ha un robusto sistema di parchi che intende salvaguardare e non smantellare, Roma deve "dialogare", non pronunciare sentenze o scomuniche. D'altronde anche altre Regioni - vedi la Toscana stanno ponendo problemi sulla base di voti unanimi dei rispettivi Consigli. Far finta di nulla più che un errore sarebbe follia bella e buona.
Se alcuni dei più vecchi parchi storici rischiano ormai lo sfascio, come lo Stelvio, bisognerà pure preoccuparcene. O qualcuno pensa che sia sufficiente avere "deliberato" secondo legge?
Occorre insomma una "strategia" complessiva dello Stato - cioè degli organi centrali, regionali e locali - che verifichi al più presto indirizzi e programmi, uscendo dall'attuale fase di ristagno e di galleggiamento burocratico e di rimpallo.
In questo contesto è probabile che emergeranno anche questioni e nodi inerenti la legge 394, ma, più in generale, in ordine a normative di carattere ambientale che anche indirettamente riguardano la politica dei parchi.
La riforma regionale del Corpo forestale dello Stato (ormai improrogabile) o un miglior raccordo tra i molteplici strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica sono aspetti importantissimi per i parchi, ma la loro soluzione non passa necessariamente per la revisione della legge 394, che semmai dovrebbe limitarsi a "recepire" quanto le nuove norme in quei settori stabiliranno. Chiudersi a riccio, ribadendo puramente e semplicemente l'intoccabilità della legge è sicuramente legittimo, ma lo è anche guardare con minor timore ad una prospettiva diversa, se ciò che muove in quella direzione non differisce nella finalità e negli intenti: e cioè il miglior funzionamento dei parchi. Non tutti quelli che rivendicano l'intangibilità della legge lo fanno a fin di bene. Non tutti quelli che non escludono correzioni ed aggiustamenti vogliono affossare parchi. Occorre perciò molto equilibrio in una fase delicata come quella attuale, se non vogliamo trovarci - un domani forse prossimo - a dover nuovamente e sconsolatamente prendere atto che altri hanno deciso senza di noi. E' meglio star dentro questo dibattito senza preconcetti, perché di "sacro" in questo campo, se c'è qualcosa, è soltanto la costruzione di un sistema davvero nazionale di aree protette. Tutto il resto può e deve essere valutato soltanto in base ad un semplice criterio: se serve o no a far funzionare meglio le cose.
In questo senso il dibattito avviato alla festa, e ripreso anche a Gargnano, non va assolutamente considerato un "azzardo", una breccia aperta ai nemici di sempre della 394, un regalo insperato a chi, a gran voce, vorrebbe manomettere la legge. Al contrario, esso rappresenta una precisa e seria assunzione di responsabilità, un segno di consapevolezza e di maturità da parte di chi, operando in stretto contatto con istituzioni e parchi, ne avverte il disagio e gli umori.
La paura, al pari dell'eccesso di zelo, raramente producono buoni frutti e aiutano a capire le novità che stanno maturando. Importante è discutere senza per questo creare tensioni e alimentare sospetti tra chi, in definitiva, è animato dagli stessi intenti: migliorare, rendere più efficace la politica delle aree protette nel nostro Paese.
L'intervento che qui di seguito pubblichiamo sicuramente susciterà reazioni diverse, ma a nostro avviso conferma anche una precisa "scelta di campo". Con ciò non intendiamo tanto meno "schierarci" a favore di chi (ma non è il caso di Di Fidio), pur sollevando problemi reali, usa la clava adatta a demolire ma non a riformare sia le istituzioni che le politiche ambientali. Vogliamo semplicemente stare nel dibattito e favorirlo.
(R. M.) |