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Onorevole Calzolaio è ragionevole immaginare che il 1997 sia "I'anno dei parchi"? Cosa dovrebbe accadere per rendere questa formula la fotografia di un dato di fatto, piuttosto che un auspicio ottimistico?
L'anno che resterà nella storia del nostro paese come anno dei parchi non può che essere il 1991, anno in cui il Parlamento italiano ha finalmente varato la legge quadro per le aree naturali protette. Prima della legge non esisteva alcuno strumento di politica organica per i parchi. Gli unici parchi nazionali erano stati istituiti nei primi decenni del secolo: Gran Paradiso (1922), Abruzzo (1922), Circeo (1934), Stelvio (1935). Dopo il DPR 616/77 alcune regioni istituirono parchi regionali e in attuazione della legge sul mare 979/82 nascevano alcune riserve marine.
La situazione è ora radicalmente mutata. Ora esistono 18 parchi nazionali, 71 parchi regionali, 508 aree a vario titolo protette, il 10% del territorio formalmente Sottoposto a tutela ambientale e gestione unitaria.
Il 1997 invece è l'anno in cui è necessario che il sistema di aree protette, costruito faticosamente fino ad ora, cominci ad essere percepito dalla gente comune, e non solo dagli addetti ai lavori, come una grande risorsa scientifica, culturale e produttiva. Anche per questo il Governo ha deciso di dare un segnale del proprio impegno e di promuovere, appunto entro il 1997, la prima Conferenza nazionale sulle aree protette.
I parchi sono una realtà italiana. Dopo anni di lotte, oggi i parchi esistono. Sono un risultato che può essere esibito. Ci si può accontentare di questo primo risultato, peraltro largamente incompleto?
I parchi non sono ancora percepiti come una vera "realtà" italiana. Siamo appena all'inizio di un percorso che non può avere tempi brevi. I vasti territori inclusi nel sistema delle aree protette non hanno ancora persone e strumenti sufficienti per gestire correttamente complessi equilibri ambientali, spesso notevolmente alterati, nonché per definire puntuali strategie di sviluppo sostenibile.
E stato molto difficile e faticoso ricondurre circa il 10% del territorio nazionale in un sistema così articolato di aree naturali protette. E credo che sarà ancora più faticoso approntare gli strumenti che consentiranno effettivamente di conservare con cura l'enorme patrimonio naturale dei nostri parchi e costruire un'economia diffusa basata sulla tutela e la valorizzazione del "capitale natura" di cui disponiamo. Ho svolto alcune riflessioni sulla spesa e sul personale dei nuovi parchi nazionali in un recente seminario all'università e ti lascio la documentazione con la speranza che alla Conferenza giungiamo con dati chiari e omogenei sulla realtà attuale, per poi dedicarci al... futuro sostenibile. La salvaguardia dell'ambiente può essere la miccia di una vera e propria nuova "rivoluzione industriale" e ciò comporterà che molte regioni saranno costrette a ripensare le stesse regole che attualmente sottendono le politiche produttive ed occupazionali.
Ciò fino ad ora è successo parzialmente solo in Abruzzo. Tutti ci auguriamo che il "modello abruzzese" possa essere esportato anche in altre regioni italiane. Possiamo però comunque ritenere che è stata imbroccata la strada giusta. E non è poco.
Come giudica la decisione della Commissione Ambiente della Camera di promuovere un'indagine conoscitiva sull'attuazione della legge quadro sui parchi? Inoltre, come giudica la discussione in corso sulle modifiche da apportare alla legge quadro?
La Commissione Ambiente della Camera ha costantemente seguito fin dalla XI legislatura
(1992) l'attuazione della legge approvata pochi mesi prima. E utile approvare risoluzioni d'indirizzo e svolgere indagini conoscitive; monitorare costantemente le azioni che lo Stato, le regioni e gli enti locali sviluppano per una oculata conservazione della natura.
Giudico positivamente le iniziative tese al miglioramento ed alla semplificazione delle norme finalizzate alla salvaguardia del patrimonio ambientale.
Credo che ormai sono mature le condizioni per pensare ad un nuovo modello di organizzazione della gestione del territorio e dell'ambiente. Una valutazione della legge 394/91 non può non essere connessa ad una necessaria riorganizzazione generale dei ruoli e delle competenze così come previsto dal disegno Bassanini e dalle varie proposte di legge relative ad un nuovo modello di riassetto urbanistico-territoriale. Mi auguro pertanto che la "questione parchi" sia finalmente posta all'interno di un progetto organico di sviluppo sostenibile per il nostro Paese e che si eliminino conflitti, lentezze e sovrapposizione di ruoli anche per una più efficace azione di tutela e di programmazione da parte dei vari soggetti istituzionali interessati.
Coloro che dirigono i parchi regionali hanno, a volte, I'impressione che il Ministero dell'ambiente si preoccupi di organizzare, potenziare e pubblicizzare i parchi nazionali, lasciando ad altri la cura dei parchi regionali, quasi fossero residuali o di seconda scelta. Al contrario, nella cultura di quanti da anni operano per coordinare il lavoro nei parchi, è acquisita la coscienza della necessità di un unico sistema di parchi, comprendente sia quelli nazionali che quelli regionali. Cosa pensa di questa problematica? Cosa può fare, nel Ministero, affinché sia superato ogni dualismo?
I parchi nazionali costituiscono più del 60% del territorio protetto e, in molte regioni, soprattutto quelle meridionali, I'unica forma di tutela di delicatissimi ecosistemi messi a dura prova da un abusivismo edilizio del tutto incontrollato. Non credo che il Ministero dell'ambiente si sia dimenticato dei parchi regionali e, comunque, la Conferenza nazionale deve riguardare (come protagonisti, non solo come interlocutori) tutti i parchi, tutti gli enti gestori, coinvolgendo anche forze sociali e associazioni, le altre amministrazioni centrali e gli enti pubblici locali. Sarebbe utile capire perché molte regioni, in particolare quelle a statuto autonomo, non hanno ancora adeguato la propria legislazione alla 394/91. Indubbiamente c'è un problema di visibilità e di maggiore attenzione per quelle regioni che invece già da tempo hanno fatto il proprio dovere e attuano efficaci ed articolate forme di protezione.
Ma va superato ogni dualismo vero o presunto. E necessario che tutto il sistema della aree protette si consolidi e si sviluppi. E del tutto inutile creare pretestuose gerarchie che possano indurre a conflitti del tutto immotivati.
Le Regioni e gli enti locali, pur avendo in passato contribuito in maniera significativa alla nascita dei parchi, oggi non riescono a trovare - nel loro insieme, e con eccezioni significative - la forza per dare vita ad una nuova "spinta propulsiva", che del resto stenta a prodursi anche a livello governativo nazionale. Si ha l'impressione di trovarsi di fronte ad interlocutori dimezzati più che a forze pienamente in campo e fortemente motivate. Su che cosa è possibile fare leva, per rendere più efficace l'azione comune del Governo e delle Regioni?
Forse è del tutto comprensibile che vi sia una sorta di calo fisiologico superando la fase dell'entusiasmo iniziale e lavorando con dedizione ed umiltà per la messa a punto di piani snelli, mirati e "partecipati" per programmare iniziative di sviluppo socio-economico e per attuare quegli interventi già previsti dagli organismi di gestione e dalle regioni e finanziati soprattutto dal Ministero dell'ambiente.
I tempi non possono essere brevi ed ora, più di prima, è necessario che tutti svolgano con impegno quotidiano i propri compiti istituzionali. La mentalità burocratica non ci è d'aiuto. Lacci e lacciuoli di un groviglio di norme spesso obsolete non facilitano il nostro lavoro.
Uno dei compiti più importanti di questo Governo è il riordino dell'amministrazione e la semplificazione delle procedure. Ed i parchi sono all'interno di un sistema di gestione del territorio che va completamente riorganizzato.
Se si lavora seriamente per promuovere la gestione di aree vaste di territorio in base a principi di tutela e di valorizzazione del bene natura, ci si scontra necessariamente con il peso delle tradizioni, dei localismi e dei pregiudizi Tutti coloro che hanno provato ad amministrare i parchi si sono dovuti confrontare con il problema del consenso. In che misura il Governo interverrà con segnali forti ed inequivocabili, tali da convincere quanti in buona fede sono ancora nemici dei parchi, o "alla finestra"?
Le aree protette sono luoghi in cui l'azione dell'uomo, nel tempo, si è sviluppata con maggiore armonia che altrove, ma dove, purtroppo, certamente è più alta la vulnerabilità degli equilibri ecologici. Come tutti gli oggetti di particolare pregio, spesso tali oggetti sono anche fragili. In tali contesti, dunque, è assolutamente necessario che siano proprio le comunità locali
ad aver cura del proprio territorio, della propria storia e della propria cultura.
Spesso si è parlato dei parchi come occasione di sviluppo e, talvolta, si è fatto credere alle popolazioni di aree per lo più depresse o marginali che lo sviluppo fosse dietro l'angolo, che l'istituzione di aree protette avrebbe subito provocato nuovi sbocchi produttivi ed occupazionali. I parchi non sono fabbriche di automobili, ma "fabbriche di natura";`lo sviluppo sostenibile necessita di tempi lunghi.
Proprio per questo le comunità locali dovranno adoperarsi in prima persona per definire le linee di questo sviluppo, con maggiore autonomia che altrove, ma certo con maggiori responsabilità.
Ecco il punto: non bisogna solo cercare il consenso bensì avviare processi responsabili e consapevoli in cui tutti - Stato, regioni, enti locali, associazioni, cooperative, il mondo scientifico, le imprese, i sindacati, ecc. - siano chiamati a svolgere i propri compiti.
Intervista a cura di Mariano Guzzini |