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In Italia vive circa una quarantina di specie di piccoli mammiferi, roditori e insettivori, conosciute comunemente come micromammiferi.
Alcuni sono diffusi praticamente su tutto il territorio, come i ratti e il topo domestico, tipiche specie antropofile, in quanto legate in maniera più o meno forte alle attività umane e da queste favorite nella loro espansione.
Molti altri, più schivi, sono presenti negli habitat naturali, dei quali spesso costituiscono elementi caratterizzanti; tra questi l'arvicola d'acqua (Arvicola terrestris) e il topolino delle risaie (Micromys minutus), che sono specie peculiari di ambienti umidi, oppure il mustiolo etrusco (Suncus etruscus), tipicamente legato alle oasi xerotermofile, o ancora i roditori arboricoli - gliridi e scoiattolo (Sciurus vulgaris) - abitatori dei boschi e delle foreste. Accanto a specie distribuite più o meno uniformemente sul territorio - come vari topiragno, alcune arvicole, due topi selvatici ecc. - vi sono specie presenti soltanto in poche e circoscritte località.
Ad esempio, soltanto le regioni del nord est dell'Italia ospitano il riccio orientale (Erinaceus concolor), il topo dal dorso striato (Apodemus agrarius), varie arvicole come Microtus agrestis, M subterraneus e M. liechtensteini, e il driomio (Dryomys nitedula); per tutti loro il Nord-est costituisce infatti il limite occidentale di distribuzione. Nel sud del paese vive una specie di talpa (Talpa romana) e due di toporagno, quello appenninico (Sorex samniticus) e la crocidura siciliana (Crocidura sicula) endemiche dell'ltalia, mentre i massicci dell'Aspromonte e del Pollino ospitano una sottospecie del già citato dromio, completamente disgiunta dall'areale tipico di questo gliride.
Pur essendo animali diffusi un po' ovunque, presenti a volte con popolazioni molto numerose grazie all'elevato tasso riproduttivo e alla facilità di adattamento a nuove situazioni ambientali, caratteristiche queste che li rendono per certi aspetti simili agli insetti, i micromammiferi risultano, nel nostro Paese ancora poco studiati, in modo particolare per quanto riguarda i loro rapporti con l'ambiente naturale.
Tra tutti gli animali che costituiscono la nostra fauna, i micromammiferi rappresentano per l'economia forestale sicuramente uno degli elementi più interessanti e importanti. Il loro consumo energetico infatti risulta veramente notevole, potendo variare tra 1 e 380x103 kcal/ha'l', una quantità tuttavia trascurabile se paragonata alle produzione primaria totale di un bosco. I micromammiferi forestali intaccano soltanto una minima percentuale di tale produzione, costituita per la maggior parte da materiale ligneo; e infatti sono soprattutto erbe e semi, foglie e frutti, gemme e radici, giovani pianticelle e corteccia, che complessivamente ammontano a circa il 5% soltanto del totale, che vengono sfruttate da questi animali "'.
I roditori e gli insettivori nei nostri ecosistemi svolgono quindi dei ruoli ben definiti e possono essere sintetizzati nelle seguenti categorie:
- a) consumatori di vegetali;
- b) predatori di altri animali,
- c) prede;
- d) scavatori e rimescolatori del suolo
- e) modificatori dell'ambiente.
L'importanza e l'entità dell'impatto sull'ecosistema da parte dei micromammiferi dipendono sostanzialmente dalla natura del materiale consumato. Un'elevata percentuale del cibo utilizzato dai piccoli roditori è costituito da semi (2-3-4-5); in situazioni particolari i topi selvatici e le arvicole rossastre possono consumare una percentuale irrisoria della produzione primaria, appena lo 0.2%, che può costituire tuttavia anche la metà di quella di semi e frutti (l).
In alcuni casi, in annate di elevata fruttificazione, i roditori forestali arrivano a sfruttare fino al 4070% della produzione di faggiole e in quelle di normale produzione possono utilizzarne addirittura il 100% (6)
L'importanza dei piccoli mammiferi nella limitazione della rinnovazione forestale è comunque ancora controversa. E stato in ogni caso dimostrato che il prelievo di faggiole in alcune faggete da parte del topo dal collo giallo (Apodemus flavicollis) e dell'arvicola rossastra (Clethrionomys glareolus) è pressoché totale (6). Tuttavia buona parte dei semi non viene consumata immediatamente, ma accumulata nelle tane e nei magazzini scavati nel suolo, per essere consumata durante la stagione invernale. Tali scorte vengono sfruttate quasi completamente, ma il sotterramento favorisce la successiva germinazione dei pochi semi non utilizzati, che hanno quindi maggiori probabilità di affrancarsi rispetto a quelli rimasti sulla superficie del terreno.
Uno dei compiti più importanti, svolto soprattutto dai roditori, è proprio la diffusione delle sementi, in modo particolare per quelle piante che producono seme pesante, difficilmente disperso da agenti abiotici, come il vento e l'acqua. Lo scoiattolo in particolare contribuisce attivamente alla formazione di nuovi nuclei boschivi di varie specie di pini, il pino cembro (Pinus cembra) in primo luogo, i cui semi coriacei non possono essere disseminati in altro modo se non con l'aiuto degli animali.
E ben nota in proposito la stretta dipendenza di questa conifera con un'altra specie tipica delle foreste alpine e boreali, in questo caso un uccello, la nocciolaia.
I micromammiferi sono in grado di immagazzinare quantità notevoli di cibo: ad esempio il ghiro (Glis glis) e il topo dal collo giallo, due tra i più comuni roditori granivori, possono stoccare rispettivamente sino ad oltre una decina di kg di nocciole e 4 kg di ghiande (7), e l'arvicola delle nevi (Chionomys nivalis), un roditore erbivoro tipico dei macereti e degli arbusteti d'alta quota, riesce ad ammassare oltre due kg di erbe e fieno. Secondo alcuni autori, comunque la quantità di seme sopravvissuto a tali prelievi è più che sufficiente a garantire la rinnovazione dei boschi, anche se il consumo da parte dei roditori, così come da parte di uccelli granivori e di insetti, può assumere un peso determinante per la ricolonizzazione boschiva in seguito a tagli intensi e per la conquista di nuovi territori (7).
Le preferenze dimostrate nei confronti delle varie sementi sono molto varie e non tutte le specie
vegetali sono ugualmente ricercate e consumate; I'arvicola rossastra e il topo dal collo giallo, i due roditori più diffusi nei boschi montani, mostrano ad esempio una spiccata preferenza per i semi di faggio (Fagus sylvatica), di nocciolo (Corylus avellana) e di tiglio (Iilia platyphyllos), in relazione probabilmente con il loro maggior contenuto energetico e proteico o con le loro dimensioni (6).
Alcune specie vegetali poi sembrano favorite nella loro diffusione rispetto ad altre, i cui semi ad esempio risultano più appetiti. L'attività trofica di alcune specie di arvicole dei prati (gen. Microtus) influenza l'abbondanza e la distribuzione di varie specie di piante erbacee, favorendo inoltre la presenza di una maggior ricchezza in specie (7). E interessante a tal proposito osservare che la presenza delle colonie di questi roditori erbivori possono essere scoperte sul territorio proprio grazie ai densi popolamenti di poche specie erbacee, poco appetite e pertanto più esuberanti rispetto alle erbe continuamente brucate, e favorite nella loro crescita dalla mancanza di competizione o addirittura dalla presenza localizzata di discrete quantità di varie sostanze nutritive derivate dalle deiezioni dei piccoli mammiferi, argomento del quale ci occuperemo più avanti.
Alcuni gliridi, roditori arboricoli dai costumi tipicamente notturni, si cibano poi di varie specie di fiori. Il moscardino (Muscardinus avellanarius) soprattutto durante la primavera, è legato in modo particolare a questa fonte trofica; sono ricercati e appetiti soprattutto i corimbi delle rosacee a fioritura precoce - prugnolo, biancospini - e di alcune caprifoliacee - viburno, madreselva, lonicere; il polline e il nettare contenuti nei calici dei vistosi fiori della madreselva (Lonicera caprifolium) costituiscono per questo piccolo folletto delle nostre siepi un ricco ed energetjco alimento. Tra l'altro durante l'attività di alimentazione il moscardino imbrattandosi il muso di polline, contribuisce ad impollinare i fiori della madreselva, svolgendo in parte un compito assegnato normalmente agli insetti.
Anche le gemme degli alberi sono ricercate da vari roditori: lo scoiattolo alla fine dell'inverno rode in modo particolare i getti dell'abete, e negli ambienti d'alta quota persino le foglie coriacee del mirtillo, del rododendro e quelle aghiformi del pino mugo vengono sfruttate dall'arvicola delle nevi o dall'arvicola rossastra.
L'attività trofica dei piccoli mammiferi nei confronti dei vegetali ha un impatto diverso a seconda dell'habitat nel quale si svolge: negli ambienti prativi il rapido ciclo annuale della maggior parte delle componenti vegetali compensa efficacemente la perdita di sostanza primaria da parte dei roditori arvicolidi: non così nei boschi e negli arbusteti d'alta quota dove i cicli della materia sono più lenti. Ben poco si conosce ancora sui danni causati dai micromammiferi agli ecosistemi naturali, mentre la letteratura scientifica è assai ricca di esempi per quanto riguarda aree agricole e piantagioni forestali di origine artificiale (7).
Recente e ben documentato è il caso della decorticazione da parte del ghiro dei cimali di abete rosso, per lambire la linfa elaborata che trasuda dalle ferite; tale fenomeno assume in certi casi un'importanza notevole in quanto le piante prese di mira dal roditore sono in genere nel loro pieno vigore, con conseguenti perdite notevoli per la selvicoltura. Un comportamento analogo è stato osservato anche nel topo quercino (Eliomys quercinus) in boschi di larice delle Alpi occidentali.
Molti micromammiferi sono attivi cacciatori e consumatori di prede animali. Basti pensare agli insettivori, tra i quali si annoverano specie con diete esclusivamente carnivore come i topiragno o le talpe. A causa del loro metabolismo particolarmente elevato, questi frenetici cacciatori consumano delle quantità di prede, insetti e altri invertebrati, tutt'altro che irrilevante.
Il toporagno comune (Sorex araneus) richiede giornalmente una quantità di cibo pari all'80-90% del proprio peso corporeo e utilizza ogni giorno circa un centinaio di prede (12). E stato stimato che in ambienti prativi in Inghilterra, il toporagno comune e il toporagno nano (Sorex minutus) sono in grado di consumare sino a 6.800 prede per ettaro al giorno (12).
Analogamente a quanto rilevato negli ambienti aperti, abitati dalle comunità dei roditori arvicolidi che possono in varia misura influenzare la diversità, la composizione e la ricchezza in specie dei vegetali, i topiragno sono in grado di modificare la struttura delle comunità di invertebrati, causando generalmente una diminuzione della dominanza e un aumento della diversità e della ricchezza delle specie (12).
La divisione di nicchia tra le varie specie fa sì che le prede siano sfruttate in modo diverso: così lombrichi ed altri invertebrati ipogei, oltre che dalla talpa sono perseguitati dal toporagno comune che li ricerca scavando lunghe gallerie nel suolo fresco dei boschi; artropodi e molluschi epigei sono invece ricercati dal più piccolo toporagno nano, mentre il toporagno acquaiolo (Neomysfodiens) si è specializzato nella caccia agli invertebrati acquatici, in primo luogo larve di insetti e crostacei. Ma non sono soltanto gli invertebrati a costituire le prede di questi ed altri micromammiferi: il riccio (Erinaceus europaeus), eclettico consumatore di qualunque alimento riesca ad incontrare nel corso delle sue peregrinazioni notturne, si ciba indifferentemente di frutta così come di invertebrati; spesso però integra la propria dieta con piccoli vertebrati come uova e nidiacei di uccelli terragni, cucciolate di topi selvatici, anfibi o addirittura rettili.
Anche molti roditori sono degli attivi consumatori di sostanze proteiche. Tra i gliridi sia il quercino che il driomio catturano volentieri insetti e molluschi per cibarsene (13-14), e gli insetti rientrano nella dieta dello stesso moscardino. Lo scoiattolo poi all'occasione non si lascia sfuggire le nidiate di uccelli silvani, e spesso svuota le galle degli afidi adelgidi del loro contenuto di neanidi. Le larve della mosca Mikiolafagi, contenute nei cecidi sulle foglie di faggio, vengono ricercate dall'arvicola rossastra e dal topo dal collo giallo, e per il topo selvatico dal dorso striato gli invertebrati costituiscono una percentuale importante della dieta.
I micromammiferi spesso sono presenti nell'ambiente con un elevato numero di individui. Per l'arvicola rossastra, ad esempio, è stata calcolata una produzione annua in biomassa variabile da meno di 100 gr. fino a 600 gr ha. Valori più alti possono verificarsi in corrispondenza di esplosioni demografiche. Questi animali costituiscono quindi un'abbondante fonte alimentare per numerose altre specie di vertebrati, in primo luogo uccelli rapaci e mammiferi carnivori. Molte specie sembrano essere particolarmente legate alla presenza di roditori e insettivori, dai quali dipendono in maniera pressoché assoluta per quanto riguarda l'alimentazione. E il caso di alcuni musteli di come la donnola (Mustela nivalis) e l'ermellino (Mustela erminea) specializzati nella caccia delle arvicole, oppure di alcuni strigiformi come il barbagianni (Tyto alba), teriofago quasi in senso stretto, essendo gli uccelli una preda per lui occasionale, o ancore la poiana (Buteo buteo), specializzata nella cattura delle arvicole campestri. Altre specie più opportuniste, in occasione di annate particolarmente abbondanti di micromammiferi, si cibano volentieri di questa risorsa trofica abbondante e facilmente reperibile.
La volpe (Vulpes vulpes), il tasso (Meles meles), la martora (Martes martes) e l'allocco (Strix aluco), tanto per citarne alcuni, integrano volentieri la loro dieta normale con vari roditori forestali. Nella dieta della volpe i topi campagnoli e quelli selvatici costituiscono in certi casi sino al 70% delle prede, in mancanza dei quali questo predatore caccia lepri o utilizza carcasse di ungulati (IS-16-17). L'allocco, uno strigiforme forestale normalmente ornitofago, in Europa centrale preda l'avicola rossastra con una percentuale variabile tra il 5 e il 40%, e il topo dal collo giallo con una percentuale abbastanza stabile intorno al 30% (16). Negli stessi ambienti i roditori costituiscono per le martora rispettivamente il 50% della biomassa consumata a primavera, e più del 90% di quella utilizzata in autunno. Mancando i micromammiferi il mustelide, in estate, rivolge le sue attenzioni verso gli uccelli, in particolare nidi e nidiacei di picchi (Dendrocops) (16-18). In ambiente alpino la martora sembra avere una certa predilezione per i roditori arboricoli.
I micromammiferi rivestono quindi un'importante risorsa trofica per i carnivori più opportunisti, e di riflesso sono in grado di regolare le popolazioni di prede alternative che rivestono spesso un rilevante interesse conservazionistico o venatorio. Le densità delle popolazioni di alcuni carnivori spesso sono in diretta dipendenza con quella dei piccoli mammiferi, loro usuali prede: il tasso riproduttivo della donnola e dell'ermellino, ad esempio, è in diretta conseguenza della densità delle popolazioni delle arvicole del genere Microtus (19-20); l'albanella minore (Circus pygargus) e il gufo delle nevi (Nyctea scandiaca) regolano i loro cicli riproduttivi con le esplosioni demografiche riscontrate rispettivamente in arvicola campestre (Microtus arvalis) (21) e in lemming (22), E possibile che tale situazione si verifichi anche nelle nostre specie di strigiformi forestali, civetta capogrosso (Aegolius funereus) e civetta nana (Glaucidium passerinum), predatori tipici dell'arvicola rossastra e del topo dal collo giallo. Non deve poi essere sottovalutata la predazione operata da alcuni rettili, in primo luogo le vipere, attivi predatori di arvicole e topi selvatici, ma anche d'altri serpenti come i colubridi (23-24).
La maggior parte dei piccoli mammiferi vive sul terreno e scava attivamente gallerie e tane sino a qualche decina di centimetri di profondità. La talpa tra tutti è probabilmente l'esempio più classico di mammifero adattato alla vita sotterranea: la fitta e morbida pelliccia è perfettamente impermeabile ai residui di terriccio; la forma cilindrica del corpo non presenta rilevanze o asperità di alcun tipo e sembra perfettamente costruita per percorrere senza problemi le gallerie sotterranee, la sua vista si è ridotta notevolmente in quanto è poco utile nel buio della tana e invece si sono affinati altri sensi come il tatto, l'udito e soprattutto l'olfatto; infine la struttura delle zampe anteriori e la robusta muscolatura del petto le consentono di scavare anche nei terreni più consistenti. Con la loro attività di scavo talpe, topiragno e varie specie di roditori modificano la struttura del suolo. La talpa, in grado di rimuovere fino a 6 kg di terreno in venti minuti (25), riveste una notevole importanza per il continuo e attivo rimescolamento di sostanza organica. Ma anche il topo selvatico (Apodemus sylvaticus) è in grado di rimuovere 1-3 kg di terra in un paio d'ore, mentre alcune specie di arvicole riescono a portare in superficie circa 12.000 kg/ha di terra costruendo gallerie lunghe sino a 20 m. nel sottosuolo(7) Il rimescolamento del suolo da parte di talpe, topi e arvicole, contribuisce non poco a modificarne la struttura, causando la disgregazione del terreno e aumentandone conseguentemente la capacità di ritenzione idrica (7); inoltre la presenza di complicate gallerie nel sottosuolo facilita la circolazione dell'ossigeno sino agli strati più profondi, favorendo quindi i processi di combustione e rimineralizzazione delle sostanze organiche.
Tra l'altro l'attività di scavo dei piccoli mammiferi influenza anche la distribuzione dei composti
chimici e notevoli quantità, di minerali vengono trasportati attraverso gli orizzonti del suolo, arricchendo gli strati inferiori (7).
I micromammiferi svolgono un ruolo rilevante, anche se per ora poco conosciuto, nel ciclo dei nutrienti. Già si è accennato al fatto che in prossimità delle colonie delle arvicole dei prati, la vegetazione a volte si presenta più rigogliosa; ciò è dovuto in parte all'abbondanza di sostanze azotate derivate dalla decomposizione delle deiezioni dei roditori, depositate sempre nei medesimi luoghi. E stato valutato che la concentrazione di nutrienti negli escrementi di arvicole e topi è compreso tra i 600 e gli 800 gr ha anno, mentre quella presente nei loro corpi tre i 30 e i 40 gr/ha. Anche se in quantità modesta, l'azoto, il fosforo, il potassio, il calcio, vengono rilasciati in forma prontamente disponibile.
Molte specie di micromammiferi presentano dinamiche di popolazioni caratterizzate da variazioni stagionali e da fluttuazioni pluriennali più o meno cicliche. Nelle nostre regioni difficilmente si assiste a vere e proprie esplosioni demografiche, tipiche invece dei paesi centro e nord europei. Comunque sono soprattutto le arvicole campestri (Microtus arvalis, M agrestis, M savii) che risentono maggiormente del fenomeno, e, anche se di rado, si può assistere anche da noi allo scatenarsi di fenomeni di sovrappopolazione, probabile conseguenza all'abbondanza di risorse tropiche e al perdurare di condizioni favorevoli alla riproduzione.
Nel corso dell'anno le minime densità delle popolazioni microteriologiche forestali si verificano alla fine dell'inverno; in questo periodo sopravvivono soltanto i giovani dell'anno precedente e gli adulti più robusti. L'attività predatoria è stata sino ad allora la causa principale di morte, e non è controbilanciata da attività riproduttiva (26l)(l). Tra le cause che possono in qualche modo influire positivamente sul tasso di soprawivenza vi è la permanenza della coltre di neve, efficace protezione nei confronti dei predatori (26-16). In autunno si registrano le densità maggiori a seguito dell'attività riproduttiva, protratta a volte sino all'inizio dell'inverno (26-27-28)
A seguito di annate particolarmente favorevoli per disponibilità trofiche - ad esempio pascione di specie forestali - si possono verificare esplosioni demografiche notevoli causate anche da un'elevata attività riproduttiva invernale.
Il decremento numerico è spesso repentino e per varie cause: situazioni di stress per l'intensificarsi dei rapporti tra individui in situazione di sovrappopolamento (29), gli animali ad esempio perdono troppo tempo a scambiarsi messaggi di dominanza o sottomissione a scapito del tempo impiegato per cibarsi; in tali situazioni l'attività predatoria si intensifica e inoltre aumentano le possibilità di diffusione di malattie epidemiche e di parassiti.
La biologia riproduttiva dei piccoli roditori favorisce indubbiamente l'insorgere di tali fenomeni; molte specie presentano ritmi riproduttivi accelerati e, teoricamente la possibilità di riprodursi in tempi molto brevi. Tra le arvicole campestri, le femmine di pochi giorni di vita - 13/15 giorni possono già accoppiarsi, mentre i giovani appena svezzati - 20/25 giorni - sono già sessualmente maturi (23).
Non va poi trascurato il ruolo giocato dai piccoli mammiferi quali serbatoio di patogeni e possibili vettori per malattie di vario tipo, anche di interesse umano. Appartengono ormai alla storia le tragiche epidemie di peste diffuse in Europa nei secoli scorsi. Ma se da noi lo spettro di tali piaghe è stato dimenticato, alcuni focolai resistono ancora, confinati in estreme regioni dell'Asia centrale, mantenuti in vita dalle popolazioni locali di vari micromammiferi, tra i quali varie specie di scoiattoli di terra e di marmotta.
Di ben più attuale interesse è l'espandersi di altre malattie connesse per certi aspetti alla presenza dei piccoli mammiferi; basti pensare alla leptospirosi, particolarmente nota a chi pratica attività nei pressi del corsi d'acqua frequentati dai ratti. E più attuali ancora la sindrome di Lyme (borelliosi) e l'encefalite, presente ormai da tempo lungo l'arco alpino. Negli Stati Uniti il serbatoio di Borrelia burgdorferi (30), l'agente patogeno della sindrome di Lyme, trasmessa in seguito alla puntura delle zecche del genere Ixodes, è un piccolo roditore, Peromyscus leucopos, I'equivalente ecologico dei nostri topi selvatici. Anche se da noi mancano ancora ricerche complete sull'argomento, è verosimile che alcuni roditori selvatici siano responsabili quanto Peromyscus della diffusione nelle nostre regioni di tale malattia.
* Istituto di Entomologia agraria, Università di Padova
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