PARCHI | |
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve naturali NUMERO 22 - SETTEMBRE 1997 |
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LE RAGIONI DEI PARCHI Renzo Moschini * |
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E' spesso giustamente ricordata l'affermazione di Theodore Roosevelt che la civiltà di una nazione si misura anche dal modo in cui sa proteggere il suo territorio. Essa fornisce infatti ragioni sufficienti e valide anche ad una politica di sostegno delle aree protette. Ma per quanto ciò sia vero è chiaro che queste ragioni debbono essere di volta in volta ridefinite, rimesse per così dire a fuoco in rapporto al contesto storico, politico e culturale. Questo è particolarmente vero e necessario in una realtà come quella italiana in cui si è pervenuti alla istituzione di un sistema di parchi in tempi molto recenti rispetto anche a paesi vicini. Un ritardo il quale evidentemente ha pesato e pesa sull'impegno dello Stato, delle Regioni, degli Enti locali ma anche nell'immaginario collettivo, condizionandone le scelte e i comportamenti. In questi anni si è dovuto perciò principalmente e soprattutto affermare tra enormi difficoltà il diritto dei parchi ad esistere. Non è stato facile per le regioni (non tutte) che per prime si sono cimentate su questo terreno disponendo peraltro di mezzi e strumenti largamente imperfetti e inadeguati, né più recentemente per lo stato al quale dopo una lunga fase di immobilismo e di conflitti la legge ha affidato per la prima volta fondamentali poteri e mezzi di indirizzo e di gestione. La cronaca di questi ultimi anni offre un ricco campionario dei travagli, delle polemiche e degli errori che hanno accompagnato e tuttora accompagnano, fanno da contrappunto allo sforzo per dotare anche il nostro paese di un sistema di aree protette. La situazione sembrerebbe perciò ancora lontana da un assestamento definitivo e soprattutto soddisfacente, sebbene nessuno possa negare o disconoscere i seri passi in avanti compiuti. I rumori di fondo che ci ripropongono sovente posizioni e critiche arcinote non debbono trarci però in inganno. Senza beninteso minimizzare ostilità, proteste, atteggiamenti e concezioni che attingono a l'inesauribile pozzo di S. Patrizio dell'antiparchismo viscerale e rozzo, dobbiamo cogliere infatti le novità della situazione. La più importante è sicuramente 1' accettazione, chiamiamola così, da parte della grande opinione pubblica dei parchi come una presenza ormai largamente acquisita sia pure tra non pochi mugugni e perplessità. Una presenza insomma non più così straordinaria, se non bizzarra, nel panorama istituzionale e dei servizi di cui, ci si rende sempre più conto, un paese moderno non può fare a meno. Potremmo dire perciò, senza con questo abbassare la guardia che i parchi hanno vinto la loro battaglia più importante. Il che non significa naturalmente che essi ora non corrono più rischi di arretramento o di rimessa in discussione. Vuol dire però che la loro presenza fa parte ormai di un contesto generale in cui le tensioni quando ci sono, e ce ne sono, non riguardano più soltanto e isolatamente i parchi ma 1 ' insieme delle politiche ambientali e territoriali, di cui le aree protette sono un elemento molto importante ma non esclusivo e soprattutto non separato e separabile dal resto. Oggi il destino dei parchi dipende infatti sempre di più e più direttamente dal contesto entro cui sono collocati e dal modo come il contesto reagisce alle sollecitazioni e alle domande generali della società. Isolare i parchi da questo "esterno" non ne indebolisce soltanto la capacità di iniziativa e di affermazione, ma ne offusca seriamente la stessa immagine e identità. Agli occhi di molti è chiaro ormai che i parchi oggi sono innanzitutto una nuova presenza istituzionale. Una istituzione certo speciale, ma che al pari delle altre potrebbe rivelarsi anche permeabile a fenomeni di burocratizzazione ed anche di malgoverno e che per questo deve essere soggetta a tutti quei controlli e verifiche democratici propri delle istituzioni. Ma questa non è la sola novità pure molto importante. L'identità del parco oggi è più complessa e variegata rispetto al passato tanto da rivelarsi di più ardua e menoimmediata definizione e percezione. Il fatto stesso, ad esempio, che nel dibattito politicoistituzionale spesso si cerchi di definire l'area protetta prendendo a prestito immagini quali "agenzia di sviluppo" o altro, quasi che averne delineato i caratteri e le finalità nella legge nazionale e nelle leggi regionali non fosse sufficiente a dar conto del loro ruolo, dimostra il perdurare di una certa confusione e incertezza. L'accento infatti viene posto di volta in volta ora su un aspetto ora su un altro, al punto che si rischia di non capire se si tratta in definitiva dello stesso parco. Ora è il parco strumento di protezione, ora è il parco opportunità economica, ora lo strumento che consente di usufruire di finanziamenti straordinari comunitari nazionali o regionali e così via. Come si vede sono lontani i tempi in cui per identificare un parco bastava dire: è quello dello stambecco o dell' orso. Tanto lontani che pensare di poter definire oggi un modello di parco è assurdo perchè rischierebbe di calare in realtà assolutamente e incomparabilmente diverse esperienze e soluzioni estranee e in ogni caso difficilmente aderenti alle specifiche realtà. Come ha scritto Roberto Furlani su Attenzione: "la lezione che si apprende nell'affrontare il tema dello sviluppo sostenibile nelle aree protette è che .... sono (appunto) le aree che meritano attenzione. Le aree con la loro storia specifica, la loro identità, le loro caratteristiche, la loro soggettività. Non è possibile riunirle tutte sotto un medesimo modello interpretativo solo perchè "parchi". Solo le finalità accomunano oggi parchi tanto diversi per gestione istituzionale e caratteri ambientali e socio economici, le quali debbono pertanto risultare estremamente chiare e non mutevoli e ballerine, il che richiede innanzitutto che si eviti il ricorso a formule ambigue e distorcenti. Le finalità di una area protetta sono e debbono rimanere quelle di una tutela e protezione attiva della natura e del paesaggio. In quanto attiva questa protezione richiede piani, programmi e progetti anche volti a promuovere e sostenere mediante anche la conversione di attività esistenti, l'economia e l'occupazione di un territorio. La novità quindi non è tanto nel fatto che un parco possa promuovere anche lavoro, ma che la protezione oggi per essere elficace e non velleitariamente affidata esclusivamente ai vincoli deve impiegare una varietà di strumenti e risorse dai quali il territorio può trarre molteplici effetti benefici. Sembra una differenza da poco, quasi una questione di lana caprina, ma non lo è. Non lo è perchè nelle diversissime situazioni in cui operano oggi le centinaia di aree protette ciò che le accomuna è appunto la protezione del territorio. Uguali le finalità diverse sono soltanto le modalità e il tipo di interventi che le differenti situazioni richiedono e consentono. L'esatto contrario di qualsiasi modellistica, ma anche di qualsiasi pretesa di stabilire delle gerarchie tra i parchi: nazionali o regionali, vecchi o nuovi, grandi o piccoli, montani o marini. Il perchè è evidente: ognuna di queste realtà racchiude, e per molti aspetti conserva, elementi di un patrimonio non solo ambientale, ma di storia locale che può e deve essere salvaguardata senza ridursi a folklore. E per non ridursi a fatto meramente pittoresco deve poter rinverdirsi e rivitalizzarsi entrando in rapporto attivo con i processi esterni, regionali, nazionali e internazionali. Il parco potrà svolgere efficacemente il suo ruolo, trovare i consensi indispensabili se riuscirà in questa impresa, ossia a immettere in un circuito più ampio e vitale tradizioni, economie e culture locali altrimenti destinate a sparire o a sopravvivere come sbiaditi simulacri di una tradizione. Diverse dunque le situazioni, identiche le finalità. Ma se sono uguali le finalità dei parchi lo è anche la loro dignità. Questa è la condizione per poter costruire un effettivo e funzionante sistema nazionale di aree protette tanto diverse quanto accomunate nel loro impegno concreto. Emerge da questo quadro un elemento che stenta ancora però ad essere inteso in tutto il suo valore ossia la stretta, intima connessione tra le finalità e l'operato dei parchi e il contesto generale anche esterno ai perimetri in cui essi operano. Un aspetto questo decisivo perchè qui e non su altri terreni si gioca il futuro dei parchi del nostro paese. Se è vero, e noi crediamo che lo sia, che i parchi oggi hanno vinto la prima mano della partita, quella concui dovevano affermare il loro diritto ad esistere, non può dirsi altrettanto per la seconda mano quella con cui debbono dimostrare di essere protagonisti meritevoli di fiducia e di risorse di una nuova politica ambientale. Quando, ad esempio, si manifestano accorati timori per qualsiasi stormir di fronda rispetto alla legge quadro, quasi che ogni critica o proposta di modifica e correzione possa rimettere in discussione tutto ciò che di buono finora è stato fatto, vuol dire che si considera nel bene e nel male la partita che debbono giocare i parchi tutta "interna" ad una normativa e ad un ministero. Vuol dire che oltre a sopravvalutare la consistenza di una opposizione ai parchi che proprio nelle situazioni in cui si è manifestata con maggior virulenza, vedi Arcipelago Toscano, ha dimostrato alla fine anche la sua estrema fragilità, si considera la vicenda delle aree protette non strettamente connessa, ad esempio, con quell'assetto istituzionale e amministrativo oggi rimesso profondamente in discussione. Significa non prendere atto del fatto che Senato e Camera stanno discutendo e riflettendo intorno a questi problemi attraverso anche un lavoro di indagine e di verifica diretta sulla attuazione della legge quadro. Bisogna dire quindi con grande fermezza, ed è bene dirlo alla vigilia di un appuntamento importante quale è la prima Conferenza Nazionale sulle Aree Protette, che non c'è difesa più fragile e perdente della legge quadro di quella che si chiude a riccio rispetto non soltanto a qualche critica "interna", quasi si trattasse di una minaccia, ma alla prospettiva politica e istituzionale che sta maturando nel paese. A sei anni dalla approvazione della legge 394 dovrebbe essere ormai chiaro che la costruzione di un sistema di centinaia di aree protette, con decine di enti, bilanci, piani generali e di settore, piante organiche e direttori che operano su quasi il 10% del territorio nazionale si giustifica e si comprende solo e soltanto se questa scelta alla prova dei fatti si dimostra "conveniente" e congrua rispetto allo sforzo che sta compiendo il paese. E conveniente e congrua lo sarà soltanto se quel che si fa su questo 10% di territorio particolarmente ed eccezionalmente pregiato, ricco di valori naturalistici, paesistici e culturali sarà capace di raccordarsi con quel che altri fanno in questi territori e fuori da essi. Non occorre molta fantasia per capire che intervenire efficacemente nelle zone alpine o nei grandi territori agricolo-forestali del sud ove pesa la minaccia di un abbandono tale da rendere priva di efficacia ogni forma di tutela ambientale, o in quei territori congestionati dal turismo o in quelli poveri invece di turismo e perciò a rischio di degrado e di abbandono, ai parchi sarà possibile alla sola condizione che essi sappiano attivarsi in un rapporto vitale e sinergico con le istituzioni che gestiscono queste politiche in campo agricolo, forestale, turistico e così via. Ha ragione Fabio Renzi quando su Nuova Ecologia porta ad esempio di questa esigenza di coinvolgimento delle istituzioni e amministrazioni nazionali, regionali e locali la Convenzione delle Alpi e il progetto "Appennino Parco d'Europa". Ed è proprio guardando a progetti così impegnativi (ve ne sono molti altri legati anche alle politiche comunitarie) che avvertiamo, ad esempio, in tutta la sua gravità e negatività la mancanza a distanza ormai di sei anni dalla entrata in vigore della legge quadro di uno strumento quale la Carta della Natura. Se si fosse messo mano subito e nella maniera giusta a questo importantissimo e innovativo strumento anche molte discussioni un po' fumose sulla natura dei parchi, si sarebbero potute evitare, perchè è evidente che quando la legge ha posto a base della programmazione di una politica nazionale per le aree protette la Carta della Natura ha voluto al di là di ogni ragionevole dubbio affermare che ai parchi compete operare innanzitutto e principalmente muovendo dallo stato dell' ambiente naturale del nostro paese. Come si vede si torna sempre al punto da cui siamo partiti e cioè la necessità inderogabile di situare l'azione dei parchi in un contesto più generale senza con questo ridimensionarne o diminuirne il ruolo. Valerio Giacomini metteva in guardia più di vent' anni fa a non considerare i parchi troppo diversi dai loro territori esterni; parafrasandolo si potrebbe dire che i parchi sapranno fare al meglio il loro lavoro specifico e speciale, quanto più sapranno farlo con tutti gli altri, Stato, Regioni, Enti locali, forze economiche e sociali.Ma una politica che abbia questo respiro e queste ambizioni richiede al centro e alla periferia il superamento di qualsiasi separazione e settorialismo che sono oggi i più insidiosi nemici dei parchi. Oggi attenta alla vita di un parco più l'incapacità di raccordare tra di loro gli impegni e la spesa dei vari Ministeri, Agricoltura, Beni Culturali etc. e tra questi e le regioni e le istituzioni decentrate che non l'agitazione becera e scontata di qualche comitato o l' iniziativa di qualche deputato antiparco. Su questi problemi è aperta in questo momento una partita decisiva per il paese che è quella delle riforme della pubblica amministrazione e dell'assetto istituzionale. Illudersi che i parchi possano restarne fuori perchè non interessati o non coinvolti è assurdo e soprattutto sbagliato. Il senso di queste riforme è chiaro: assicurare una maggiore funzionalità alla pubblica amministrazione avvicinandola alle esigenze e aspettative delle popolazioni e alle istituzioni decentrate che le rappresentano. Spostare dal centro alla periferia tutto ciò che a Roma e nei ministeri ormai non funziona più, perchè dal centro possa finalmente venire quell'impulso politico e programmatico che oggi è assolutamente carente anche per quanto riguarda le politiche ambientali e delle aree protette. Leggo su Nuova Ecologia, nell' articolo già citato, che a fronte di un innegabile maggiore impegno del nuovo ministro"sembra però permanere ed anzi aumentare lo scarto con la capacità dell'apparato e delle strutture tecniche ed amministrative del Ministero di attuare i nuovi indirizzi e di rendere effettivamente disponibili le risorse assegnate. Sicuramente tali problemi nascono anche da un assetto del ministero delI'Ambiente che andrà ripensato in occasione del riordino istituzionale e amministrativo che avverrà con i provvedimenti Bassanini". E' la conferma che il disegno riformatore in atto riguarda e non può non riguardare anche le aree protette che hanno bisogno come il pane di gestioni forti del consenso e perciò libere dai lacci e lacciuoli di una burocrazia asfissiante e inutile. Del resto rispetto alla stessa legge 394 diverse cose sono già cambiate, basta pensare alle competenze del ministero della marina mercantile ed anche a quello dell'agricoltura. I decreti Bassanini e ancor più le riforme previste dalla Bicamerale metteranno mano ad un profondo e radicale rimescolamento di carte in tutti i settori sia quelli di competenza statale che regionale e locale. Pensare che da tutto ciò possa, anzi debba rimanere fuori il comparto delle aree protette appare francamente una posizione insostenibile e irragionevole, destinata peraltro ad essere travolta dagli eventi con grave danno proprio per le stesse aree protette. A chi giova infatti attestare i parchi su posizioni di ottusa chiusura e ostilità nei confronti di processi e riforme che ormai si impongono pena una crisi insanabile di funzionamento delle istituzioni? Una crisi che già ora si riverbera negativamente anche sulle aree protette le quali perciò non potranno che trarre sensibili e tangibili vantaggi da una politica di rinnovamento e ammodernamento istituzionale e amministrativo. I parchi stanno dentro questa partita al pari di tutti gli altri soggetti istituzionali; pretendere di tenerli fuori in nome magari di chissà quale specialità significa, lo si voglia o no, esporli ad un isolamento che li condannerebbe ad una sostanziale emarginazione e devitalizzazione. Che a sostegno di queste posizioni di mera conservazione e immobilismo si portino poi argomenti ripresi pari pari dal dibattito e dalle polemiche di tanti anni fa sulla "ripartizione" delle competenze tra Stato e Regioni, non nobilita affatto le cose e le rende semmai più irragionevoli. Ciò di cui si sta discutendo oggi infatti ha assai poco a che fare con il dibattito e i conflitti di allora; prima lo si capirà meglio sarà per tutti. I parchi oggi non sono più oggetto di contesa tra Stato e Regioni. La contesa, se così vogliamo chiamarla, è tra chi si illude di gestire un decimo del territorio nazionale con un sistema di aree protette che non sia appunto un sistema, e quindi come tale incardinato nella politica nazionale a tutti gli effetti, programmatici e istituzionali, e chi più ragionevolmente ritiene urgente invece immettere a tutti gli effetti le aree protette in una politica nazionale. Qui più che "ripartire" tra i vari livelli istituzionali, aspetto che sembra turbare i sonni di qualche nostalgico delle crociatestataliste del passato, c'è da definire le nuove coordinate di una leale collaborazione istituzionale incardinata sulla sussidiarietà che è risultato, sia detto per inciso, (e non per caso) il punto più fallimentare e meno rispettato della legge 394. Mancare a questo appuntamento, cercare disperatamente di rimandarlo o farlo fallire è impresa oltre che platealmente velleitaria, chiaramente sbagliata e dannosa per le aree protette. Diciamo pure, visto che li si evoca ad ogni piè sospinto dandone una rappresentazione di forza che per fortuna non hanno, che in questo modo si fa il più bel regalo proprio a coloro che strumentalmente e pretestuosamente considerano la legge quadro fonte di tutti i mali. Ecco perchè ribadire le forti e valide ragioni dei parchi oggi, nel concreto contesto della realtà del nostro paese significa anche stare al passo con quel che matura, si muove e cambia nel panorama istituzionale e amministrativo. Anche questo deve servire a restituire ai parchi una chiara e precisa immagine sovente resa, come abbiamo visto, ambigua e confusa da troppe forzature e escogitazioni sloganistiche ora in un senso ora in un altro. Immagine non di rado distorta dalla carente informazione e anche da una informazione non corretta.Se alla prima bisogna rimediare con uno sforzo centrale e periferico fornendo elementi conoscitivi oggi del tutto inadeguati o mancanti sulla realtà delle aree protette, uscendo però dal mero conteggio quasi che nelle percentuali e nei numeri stesse già anche la risposta ai problemi del loro ruolo, alla seconda occorre far fronte rivedendo canoni ormai abusati e inadeguati. Troppa pubblicistica e anche troppa della scarsa informazione radiotelevisiva pone l'accento esclusivamente o prevalentemente sugli aspetti più accattivanti del parco: la natura, gli animali, le piante etc. Intendiamoci sono aspetti importantissimi ma non sono tutto ciò che rappresenta oggi un parco. Omettere gli altri aspetti e problemi contribuisce a dare quell'immagine distorta e talvolta schizofrenica di cui parlavamo. Una immagine che rende di conseguenza poco comprensibili le ragioni stesse di quei conflitti e problemi che spesso rendono così difficile la gestione e una area protetta. Anche sotto questo profilo cercare di tenere fuori i parchi da quei processi richiamati in questa nota non fa un buon servizio alla immagine del parco. Una area protetta la quale apparisse estranea, tagliata fuori dalle tensioni istituzionali e politicoprogrammatiche che animano il dibattito culturale del paese difficilmente riuscirebbe ad accreditarsi quale soggetto idoneo e qualificato a contribuire alla crescita e al rinnovamento del paese. Deve dire pur qualcosa il fatto che le affermazioni in premessa di questo articolo siano state fatte in un momento di grande tensione nella storia degli Stati Uniti, quando appunto, come si sarebbe ripetuto un po' di anni dopo con un altro Roosevelt si dovevano intraprendere strade nuove. Le grandi scelte di politica ambientale sono sempre maturate e si sono affermate infatti come scelte di "civiltà" proprio in quanto hanno assolto ad una fondamentale funzione anche di "rottura" rispetto a precedenti indirizzi. Ciò vale oggi, pur in un contesto ovviamente diverso, anche per noi. Le aree protette rappresentano anche per noi una scelta di civiltà in quanto possono (ma non è detto che ci riescano) concorrere a far intraprendere nuove strade al nostro paese. Ma per questo bisogna stare dentro a questa battaglia senza timori di sporcarsi le mani con la "politica". Una politica naturalmente che riguarda le scelte istituzionali, quelle programmatiche e amministrative. Fuori da questa politica i parchi non hanno futuro. * Direttore di Parchi |
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