PARCHI | |
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve naturali NUMERO 22 - SETTEMBRE 1997 |
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IL RUOLO DELLE AREE PROTETTE REGIONALI NELLA FORMAZIONE DEL SISTEMA DI PARCHI IN ITALIA Stefano Cavalli * |
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Dissertare sul peso e l'importanza delle aree protette regionali parrebbe superfluo e fuori luogo dal momento che con il 5,8% del territorio nazionale esse si dimostrano "l'azionista di maggioranza" del capitale natura in Italia, che complessivamente assomma a 3.009.432 di ettari, pari al 9,99% del paese (1). In realtà siamo in una fase in cui l'azione dello Stato è tornata ad essere di primo piano nel campo della protezione grazie agli adempimenti che derivano dalla attuazione della legge quadro sulle aree protette in Italia, mentre in contemporanea a questa azione centralista si contrappone un generalizzato affievolimento dell'impegno regionale. Un dato di controtendenza rispetto ad altri indicatori della vita del paese. Ne consegue una sorta di rimozione del ruolo e del significato dell' azione delle Regioni. Che lo Stato ridivenga protagonista in questo settore lo abbiamo tutti auspicato per anni lamentandone la latitanza dei suoi ministri, e quindi ne siamo tutti soddisfatti, oltrechè consapevoli, tuttavia sarebbe dannoso non inquadrare nella giusta ottica l'operato delle Regioni per le aree protette. Nella breve storia dei parchi italiani vi sono state sinora tre ben distinte fasi: la prima che si identifica con l' istituzione dei cosiddetti cinque parchi storici (definizione quanto mai imprecisa ed infelice, ma ricorrente nei documenti del Ministero dell'Ambiente) (2) compresa tra il 1922 e il 1968 dove il soggetto promotore ed attuatore fu lo Stato italiano, la seconda compresa tra i primi anni settanta ed il 1991 durante la quale le Regioni hanno dato vita all'istituzione di moltissime aree protette, ed infine l'attuale fase fortemente influenzata dalla legge quadro n. 394/91 che ha visto l'avvio di ben 13 nuovi parchi nazionali. I venti anni che hanno visto la prevalente azione delle Regioni nel campo della protezione ambientale sono stati la continuazione di un processo di tutela dell ' ambiente e del territorio, grazie alla prolificità di iniziative che hanno seguito la fase istituzionale di parchi e riserve. Su molte tematiche sono stati anni di forte carica innovativa per il modo di affrontare l'idea di parco: talvolta è mancato il momento operativo e l'azione ha perso di concretezza nella gestione delle aree tutelate ancorchè rimane il contributo dell'approccio culturale. Nelle Regioni che invece hanno agito con più determinazione nella politica dei parchi le singole aree protette hanno avviato il loro operato con singolare vivacità attraverso una variegatissima serie di iniziative interessante sotto il profilo amministrativo e tecnico. Da evidenziare come questo fiorire di azioni sia iniziato quasi ovunque con poche risorse materiali ed umane, ma soprattutto in assenza di modelli definiti da seguire ed imitare. Non potevano certo essere tali i "parchi storici" afflitti, come vetusti pachidermi, da annose e croniche vicissitudini che andavano dallo smembramento del Parco dello Stelvio all ' inconsistenza del Parco della Calabria, dai limiti operativi del Circeo alle carenze di fondi e personale del Gran Paradiso, con l'unica eccezione del Parco d'Abruzzo, ove si operava in maniera continuativa e coerente ottenendo importanti risultati di gestione, riconosciuti anche sul piano internazionale. Di qui l'importanza del richiamo storico nella lettura della via regionale dei parchi. Si sono venuti a creare di conseguenza non uno, ma molti modelli che sono sfuggiti ad una rigida classificazione, un dato che alla lunga ha mostrato come l'obbiettivo della protezione possa essere raggiunto attraverso differenti strade, ritagliate e modellate ciascuna sulle problematiche di territori umani e ambientaliestremamente variegati e complessi. Sul piano pratico alcune di queste vie ai parchi hanno poi fallito molti obbiettivi per cause diverse, il che porta inevitabilmente ad un ridimensionamento delI'operato regionale, soprattutto per l'affievolirsi di una spinta culturale e politica dimostratasi molto forte e abbastanza generalizzata nel centro-nord nel decennio 1975-1985. L'opera delle Regioni, che ha fatto da "ponte" tra la fase dei parchi nazionali "storici" e gli anni successivi alla legge 394, ha portato un altro contributo, visibile a posteriori: quello di avere determinato in modo sensibile alla formazione di esperienze; sia nel campo della politica che della gestione amministrativa e tecnica, che si sono riversate in modo naturale nel nuovo bacino formatosi con la creazione improvvisa e contemporanea di molti parchi nazionali. Questo è avvenuto per la sovrapposizione di aree protette nazionali su precedenti istituti regionali (es. Foreste Casentinesi), ma anche per il collegamento tra nuovi parchi e istituzioni regionali (es. Valgrande), oppure personale formatosi nei ranghi dei parchi regionali ha trovato collocazione nei quadri nazionali (es. Sibillini). L'attuale organico del personale responsabile dei nuovi parchi nazionali si è formato in prevalenza con figure che hanno maturato le rispettive esperienze o nel campo ambientalista, oppure in ambito delle aree protette regionali. Nel confronto, eseguito in termini costruttivi, tra l'esperienza dei parchi nazionali storici e la fase regionalista appaiono alcune differenze rimarchevoli, altre invece necessitano di una analisi più fine; mentre nei primi è prevalsa prioritariamente la fase di conservazione e quella di fruizione, che corrispondono nel modello dinamico europeo di parco alla prima ed alla seconda fase culturale, l'esperienza dei parchi regionali ha superato quei livelli per raggiungere anche quello successivo, ovvero la fase di sviluppo. Sviluppo inteso come evoluzione compatibile delle attività antropiche locali. Tutto questo è oggi anche patrimonio culturale dei nuovi parchi nazionali, del personale che vi opera, delle azioni che distinguono la loro politica di gestione. Il merito della esistenza di una "scuola dei parchi regionali", probabilmente non va ascritto del tutto neppure alle stesse Regioni o per lo meno non a tutte quelle che hanno istituito aree protette in un certo momento storico che lo esigeva. Le Regioni hanno creato i presupposti amministrativi perchè ciò avvenisse, ma in alcuni casi non hanno seguito l'evolversi delle situazioni locali con l'attenzione che meritava lasciandone le sorti alle capacità di sopravvivenza dei singoli, un pò come avviene in una covata ove certi nidiacei periscono nelle fasi iniziali o ne sono talmente danneggiati d' avere le aspettative di vita inevitabilmente compromesse. Sono quindi le realtà locali che molto spesso hanno determinato il successo dei parchi e delle riserve regionali, sapendosi creare quegli spazi operative e quelle funzioni, nel quadro già affollato delle strutture amministrative e tecniche, che la copiosa normativa attribuisce loro. A differenza delle strutture esistenti le nuove aree protette hanno iniziato, nel loro complesso, una serie di attività estremamente poliedrica derivante dalla loro eterogenea composizione e dispersione su un territorio già di per sè caratterizzato dal più alto indice di biodiversità d'Europa e da altrettanta variabilità culturale, etnica e sociale. In una indagine condotta nel 1989 su circa 60 aree protette regionali veniva rilevato coma la gestione fosse diversificata in molteplici attività che comprendevano, tra le altre, la gestione faunistica (catture, abbattimenti, reintroduzioni, ecc.) e forestale, ma anche l'agricoltura biologica, I'allestimento di centri visita e piccoli musei, azioni in difesa di ecotipi locali e delle tradizioni culturali, interventi per il recupero dell'architettura storica, l'impegno nella produzione di media (video, giornali, pubblicazioni, ecc.), educazione ambientale su vari livelli (3). Tale diversità di azioni si è poi ulteriormente affinata e sviluppata negli anni successivi l'indagine, raggiungendo in molti casi livelli di professionalità ragguardevoli. Molte aree protette, in particolare tra quellepiù piccole, hanno specializzato singoli settori ed attività, iniziate per aff1nità con l'ambiente culturale e naturale locale, per cui oggi svolgono una azione leader su quell'argomento e fungono da riferimento per gli altri parchi; in altri casi il parco è divenuto l'istituzione di raccordo per la risoluzione di problematiche interdisciplinari bloccate dalle rispettive competenze di Enti ed Uffici di storica istituzione, ancora per richiamare il ruolo di riferimento per le amministrazioni pubbliche che hanno adottato criteri, competenze e esperienze sperimentali con successo da taluni parchi. Dalla "galassia dei parchi" è dunque scaturita una varia e preziosa quanto, ai più, sconosciuta sequenza di esperienze. Val la pena di citarne qualcuna, senza per questo voler far torto agli esclusi, che invevitabilmente, dato lo spazio ed il taglio di questo contributo, saranno molti.
Alcune delle discrasie che oggi si rilevano nell'azione del Ministero rispetto alle importanti esperienze maturate in venti anni di lavoro presso le Regioni non avrebbero dimensioni così rilevanti (6), se esistesse una migliore soglia di conoscenze sulle aree protette, o meglio se vi fosse una conoscenza diversa dalla classica iconografia naturalistica. Infatti per chiunque si accinga ad uno studio serio ed approfondito sul fenomeno delle aree protette italiane risulterà presto chiara la generale mancanza di dati sulla azione e consistenza operativa e gestionale dei soggetti creati per attuare la conservazione in situ: i parchi e le riserve appunto. Una assenza di dati pubblici che obbliga a penosi percorsi di ricerca attraverso le fonti più disparate e non sempre qualificate, oppure alla ripetizione di esperienze già attuate in altra parte del paese. Con molta fatica si è da poco giunti alla conoscenza dei dati sul numero e l'estensione delle aree protette, non senza una certa apprensione dal momento che le fonti ministeriali del 1996 divergono da quelle diffuse nello stesso periodo dal Gruppo di studio sulle aree protette del C.N.R. (7). * Redazione Parchi |
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