Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 22 - SETTEMBRE/DICEMBRE 1997
 

Rubrica Parlamentare
a cura di Piero Antonelli



La Commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici della camera dei deputati durante lo scorso mese di luglio ha - anche alla luce della discussione svolta sulla risoluzione Gerardini n. 7-0089 - ritenuto opportuno sviluppare in sede parlamentare una riflessione sulla legge n. 394 del 1991 (legge-quadro sulle aree naturali protette) allo scopo di approfondire le problematiche relative alla sua attuazione, nonché di individuare indicazioni al fine di eventuali modifiche da apportare alla legge stessa.

REGIONI. I rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome partendo dalla considerazione che la politica dei parchi comporta conflitti forti e che, a volte, appaiono ingovernabili, hanno rappresentato la necessità di compiere scelte di politica generale motto innovative, le uniche che possono permettere realizzazione degli obiettivi insiti nella legge.
La 394, hanno evidenziato le Regioni, è una legge complessa e in gran parte inattuata che appare, oltre che centralista assai rigida ed iper-burocratica, tale da creare molti problemi agli Enti locali. La legge pur colmando un vuoto legislativo ed individuando strumenti importanti per lo sviluppo del territorio, non è stata ancora recepita da alcune Regioni italiane, per cui anche le innovazioni più importanti che ha introdotto rischiano di non sortire effetti positivi. Ad avviso delle Regioni alcuni nodi della legge registrano un tasso di insoddisfazione, primo tra i quali quello relativo agli strumenti gestionali e di partecipazione democratica, rispetto ai quali la farraginosità delle procedure rendono questi strumenti di fatto poco operativi. Altro nodo problematico è quello relativo agli strumenti di pianificazione e programmazione socio-economica.
A riguardo, le Regioni rilevano l'inapplicabilità della norma secondo cui il piano del parco è predisposto entro 6 mesi dall'istituzione.
A questi piani, da un lato, si affida una funzione generale che presuppone tempi molto lunghi di discussione e di realizzazione e, dall'altro, la previsione di tempi così stretti svuota di fatto questo strumento. In questo senso, in mancanza di detti piani, il compito che viene assegnato alle Regioni di adottare ed approvare i piani, assume un valore del tutto marginale.
Altre questioni che a parere delle Regioni devono essere affrontate riguardano:

  • la verifica e la necessità di rendere funzionali alcuni importanti strumenti previsti dalla legge 394, in particolare il Comitato nazionale delle aree protette, l'unico strumento di relazioni tra Governo, Regioni ed altri Enti locali, che si è riunito nel 1996 solo una volta e che ancora non è mai stato riunito nel 1997;
  • le risorse dei piani triennali, che devono essere definite e programmate per tempo al fine di evitare trattative bilaterali tra i presidenti dei parchi e il ministero e poi tra il ministero e le Regioni;
  • i compiti della comunità del parco che, da un lato, devono essere chiariti e, dall'altro, devono essere accentuati i poteri delle Regioni in un ottica di forte regionalismo;
  • la classificazione delle aree protette superando una anacronistica differenza tra parco nazionale e parco regionale.

Infine, le Regioni rilevano come la legge 394 deve essere meglio coordinata con altri strumenti legislativi che sono stati approvati in parallelo o che sono successivi alla stessa legge. Il coordinamento delle leggi è indispensabile prioritariamente rispetto alla legge sulla caccia (L. N. 157/92) e alla legge sulla difesa del suolo (L. 183/89).

PROVINCE. I rappresentanti dell'Unione delle Province d'Italia nel loro intervento hanno innanzi tutto ribadito il giudizio positivo sulla
legge e sul suo impianto generale il quale deve essere mantenuto anche in considerazione del fatto che, nelle parti in cui ha trovato applicazione, la legge quadro ha dimostrato una certa efficacia.
Le Province ritengono che la legge 394 consente una presenza operativa di tutti i livelli istituzionali e quindi anche delle Province le quali concorrono con lo Stato, le Regioni ed i Comuni ad una politica delle aree protette che proprio per questo può definirsi nazionale. Peraltro, la situazione di stallo della legislazione regionale, per cui ancora molte Regioni non hanno recepito la legge 394, rischia di vanificare in parte lo stesso ruolo delle Province e le competenze ad esse assegnate dall'art. 14 della legge 142/90. Partendo dalla considerazione che non si può costruire una politica dei parchi unicamente sulla base dell'applicazione o dell'individuazione delle aree di riferimento, le Province ritengono prioritario che tale politica nasca tramite strumenti di tipo collaborativo.
E necessario, infatti, che tra i vari livelli istituzionali si individuino, tramite conferenze di servizio, accordi di programma e intese di vario genere, procedure consensuali per dare efficacia alle politiche delle aree protette. In questo quadro il ruolo delle Province può essere fondamentale nel coordinamento gestionale, ma affinché ciò possa essere possibile è necessario che al centralismo statale non si sostituisca un neo centralismo delle Regioni, che devono mantenere le funzioni proprie in materia legislativa e di programmazione, trasferendo però la gestione, secondo il principio di sussidiarietà, agli altri Enti locali, a cominciare dalle Province che possono essere il soggetto di coordinamento della gestione delle aree protette.
Ulteriori questioni che le Province hanno evidenziato e che attengono all'attuazione della legge possono essere così sintetizzate:

  • la carta della natura, che è lo strumento principe per l'individuazione delle emergenze ambientali da salvaguardare non è ancora a tutt'oggi stata predisposta;
  • le piante organiche dei parchi, per le quali da un lato vi è un eccesso di figure nei parchi di nuova istituzione mentre dall'altro è necessaria una opportuna integrazione di professionalità nei cinque parchi storici;
  • il direttore, la cui figura, anche tenendo conto delle più recenti normative potrebbe essere rivista e decentralizzata così come potrebbe essere ridisegnato il ruolo e le modalità di individuazione,
  • le aree contigue, per le quali la normativa è sostanzialmente inattuata e che avrebbero potuto in qualche modo attenuare le conflittualità latenti o presenti nelle zone confinanti con i parchi;
  • i piani triennali, rispetto ai quali sarebbe opportuno per motivi di trasparenza conoscere quali risultati siano stati raggiunti attraverso questo importante strumento di intervento, per capire quanto l'investimento nelle aree protette abbia prodotto sotto il profilo economico ed occupazionale.

Le Province hanno, infine, evidenziato profonda preoccupazione per lo scarso funzionamento del Comitato Stato-Regioni, il quale avrebbe dovuto essere il coordinatore di una vera politica di respiro nazionale delle aree protette ed avrebbe potuto costituire un importante strumento di intervento per investimenti nel settore occupazionale.

COMUNI. I rappresentanti dell'ANCI nel corso dell'audizione hanno in particolare evidenziato la necessità di un maggiore raccordo tra Regioni ed Enti locali affinché ci sia un reale miglioramento delle condizioni di sviluppo di questi territori.
Allo stesso tempo hanno ribadito come i ritardi delle Regioni - sono solo undici le Regioni che hanno emanato norme di recepimento della legge 394 - rischiano di paralizzare alcune parti innovative della legge e di creare un latente contenzioso tra Regioni, Comuni e Province.
Ulteriore questione che i rappresentanti dell'ANCI hanno rilevato è quella riguardante l'assoluta carenza di fondi nei bilanci delle Regioni ed in questo senso il parlamento ed il Governo devono intervenire per rivedere quegli aspetti regolamentari e normativi della legge che non permettono un coordinamento finanziario tra enti.