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Il Coordinamento si rinnova
Intervista a Enzo Valbonesi nuovo Presidente del Coordinamento
nazionale dei Parchi e delle Riserve
Lei assume il nuovo incarico in un momento di notevole crescita del Coordinamento
e di rinnovato interesse da parte delle Istituzioni per i problemi dei parchi:
del Governo con la prima Conferenza per le aree protette e del Parlamento
con l'indagine conoscitiva della Camera. Come giudica queste,novità?
Indubbiamente il 1997 è stato un anno di grande importanza per le
aree protette del nostro paese. Credo si possa dire che esso ha segnato
una forte ripresa dell'iniziativa politico-istituzionale, a tutti i livelli,
a favore dei parchi.
La prima Conferenza nazionale ha fatto balzare per la prima volta all'attenzione
dell'intero paese il tema delle aree protette come strumento di valorizzazione
del nostro patrimonio naturale più pregiato. Si è trattato,
in questo senso, di un evento "storico" che ha fatto registrare
un interesse e di una partecipazione sorprendente che non ha interessato
e i soli "addetti ai lavori". Con la conferenza si sono anche
create le condizioni politiche perché oggi si possa aprire, a sette
anni dal varo della Legge 394, una fase più avanzata e matura in
questo campo; una fase tesa a fare assolvere alle aree protette il ruolo
di elementi propulsivi e di esempi positivi sui quali a poggiare il rilancio
della politica, oramai indilazionabile, per la tutela e l'uso razionale
del territorio italiano e non solo di quello più pregiato. Un significativo
contributo in questa direzione è quello recentemente venuto dal documento
conclusivo dell'indagine conoscitiva, sullo stato di attuazione della Legge
394, della Commissione ambiente della Camera. Il documento è, a mio
parere, nella quasi totalità condivisibile nei contenuti ma anche
molto preciso nell'analisi della situazione e nella delineazione delle indicazioni
per il futuro. Il suo limite è rappresentato semmai, ma il mandato
che aveva la Commissione ambiente della Camera era solamente quello di "fotografare"
la porzione della 394, dalla mancanza di proposte operative circa gli strumenti
(legislativi e non) più opportuni per superare i limiti per risolvere
i problemi che, molto lucidamente, sono stati identificati. Sia la Conferenza
nazionale che l'indagine della Camera costituiscono novità molto
positive per le aree protette; novità in cui merito principale va
data innanzitutto al Ministero dell'Ambiente ed al Parlamento che, dopo
alcuni anni di "disattenzione", hanno saputo ridare a questi temi
il peso e l'importanza necessaria.
Quali sono, a suo giudizio, i problemi maggiori e più urgenti
che stanno oggi dinanzi ai parchi intendo naturalmente l'insieme, o, se
preferisce, il sistema delle aree protette?
Il primo e principale problema che l'insieme delle aree protette italiane
(sia nazionali che regionali e locali) hanno oggi di fronte è che
la loro azione, innanzitutto quella di protezione attiva della natura (intesa
nella sua accezione più ampia e moderna), non si inserisce ancora
in una chiara strategia nazionale di uso oculato del territorio e di sviluppo
sostenibile. Manca cioè il quadro generale di riferimento programmatico
all'interno del quale le aree protette possono giocare un ruolo attivo,
come luoghi di sperimentazione per un nuovo rapporto uomo-natura.
In carenza di una strategia di sviluppo e modernizzazione, ambientalmente
e socialmente sostenibile, del nostro paese le aree protette non possono
quindi esprimere tutte le potenzialità innovative di cui sono portatrici.
Nello specifico dei problemi che oggi sono dinanzi alle aree protette, credo
che per i parchi regionali le questioni più importanti siano costituite
dalla carenza di risorse economiche, sia per la gestione corrente che per
gli investimenti e dalla mancanza di sorveglianza. Sono infatti ancora pochissime
le aree protette regionali dotate di adeguati servizi di sorveglianza territoriale;
servizi che sono di importanza fondamentale perché un'area protetta
possa svolgere la propria missione. Per i nuovi parchi nazionali, impegnati
tuttora in una faticosa fase d'organizzazione, la questione principale ritengo
sia quella del loro ordinamento giuridico che deve essere rapidamente aggiornato
perché le in orme regolamentari, fissate dalla Legge n. 70 del 1975,
sono sicuramente superate e inadatte a favorire il buon funzionamento di
organismi quali sono i parchi nazionali la cui natura, nei fatti, è
molto simile a quella di un ente territoriale, e non già quella di
un ente del parastato. Sotto questo profilo credo che i decreti attuativi
della Legge Bassanini n. 59 possano servire a definire un nuovo assetto
giuridico-amministrativo più modesto ed efficiente per i Parchi Nazionali.
Il Coordinamento cosa intende fare rispetto a questi problemi e cosa
propone alle Istituzioni, Governo, Regioni ed Enti Locali?
Innanzitutto, a scanso di equivoci, voglio ribadire che il ruolo del Coordinamento
è in primo luogo quello di dare voce ai problemi, ai bisogni ed alle
proposte degli Enti gestori di aree naturali protette e non già quello
di definire politiche generali o di formulare programmi che, come è
logico, competono invece alle istituzioni elettive, in primo luogo al Parlamento
ed alle regioni. Detto questo, non vogliamo però neppur essere una
sorta di "sindacato" rivendicativo dei parchi contro il Ministero
e le Regioni. Per evitare ciò è nostra intenzione accentuare
la capacità organizzativa e propositiva del nostro movimento. Capacità
organizzativa nel senso di accrescere la nostra autorevolezza politica e
la nostra rappresentatività. Per fare tutto ciò dobbiamo preliminarmente
migliorare e aumentare i servizi da rendere a favore degli enti associati,
mettendo di più e meglio in circolo le esperienze gestionali di più
avanzate, qualificando l'informazione e fornendo sedi di reale confronto
al "mondo", sempre più ampio, dei soggetti che, a vario
titolo, si occupano di questa materia. Anche per questa ragione abbiamo
promosso recentemente, assieme ai parchi francesi, spagnoli tedeschi e di
inglesi l'Associazione europea dei parchi naturali, consci che è
quella europea la scala alla quale si formeranno sempre di più, in
futuro, le politiche per la conservazione e la valorizzazione degli spazi
naturali più sensibili.
Ritornando all'Italia il nostro obiettivo primario è quello di fare
entrare a pieno titolo la tutela del nostro patrimonio naturale tra le priorità
dell'azione futura del governo nazionale. Entrare, con l'obiettivo di restarci,
in Europa significa anche mettersi al passo, su questo terreno, con gli
altri paesi dell'unione, cominciando con il firmare, ad esempio, la convenzione
delle Alpi.
Io non credo che oggi, quando siamo quasi all'8% di territorio nazionale
gestito a parco o riserva, il problema centrale che dobbiamo porci sia quello
quantitativo, di accrescere cioè ulteriormente il numero e/o la dimensione
delle nostre aree protette, quanto invece quello di qualificare l'attività
dei parchi. Occorre operare quindi, facendo perno sulle aree protette esistenti,
per realizzare il "sistema nazionale" dei territorio protetti
sul modello metodologico che, ad esempio, è stato proposto dal Ministero
dell'Ambiente, dalla Regione Abruzzo e da Legambiente per A.P.E. (Appennino
Parco d'Europa). Per ridare l'impulso alla creazione del sistema delle aree
protette uno dei primi compiti del Ministero dell'ambiente è quello
di elaborare la carta della natura, strumento fondamentale per delineare
l'assetto del territorio e impostare i futuri programmi nazionali.
Non appena il Senato avrà concluso anch'esso il lavoro ricognitivo
sull'attuazione della Legge 394 il Governo nel suo complesso dovrà
poi dire con chiarezza attraverso quali iniziative e quali strumenti intende
aggiornare e rilanciare la politica delle e per le aree protette.
Il problema prioritario oggi non è, a mio parere, cambiare la 394,
bensì identificare bene gli obiettivi e fissare i contenuti della
"seconda fase" della politica nazionale dei parchi.
Dopo aver fatto questo, certamente, si porrà anche il problema delle
competenze istituzionali e delle relative norme legislative che però,
non dimentichiamocelo, non sono il fine, ma solo lo strumento principale
per realizzare le politiche e risolvere in problemi.
Questo processo di ulteriore crescita del sistema delle aree protette, perché
possa affermarsi e procedere positivamente, deve però essere imperniato
sul metodo della concertazione e della leale collaborazione tra tutti gli
attori istituzionali: il Parlamento, il Governo, le Regioni, gli Enti locali
e le aree protette. Perché la concertazione si realizzi davvero serve
però anche una sede istituzionale e permanente di confronto e di
elaborazione, che consenta di recuperare il vuoto creatosi dopo la soppressione
del comitato nazionale per le aree protette. Ripristinare un tavolo di confronto
è fondamentale se davvero si vuole costruire il "sistema nazionale"
e se si vuole evitare sul nascere la pericolosa ripresa di un conflitto
istituzionale tra lo Stato centrale da un lato e Regioni e in Enti locali
dall ' altro. |