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Problemi e prospettive del dopo conferenza
Renzo Moschini *
Vorremmo riprendere alcuni temi dibattuti alla prima conferenza nazionale
dei parchi che meritano a nostro giudizio di essere messi bene a fuoco e
precisati se vogliamo che l'assise romana segni davvero l'avvio di quella
seconda fase di cui ha parlato il ministro Ronchi.
La Conferenza ha offerto innegabili e positive novità confermando
però anche persistenti rigidità, diffidenze e incomprensioni
che se non venissero rapidamente superate potrebbero pregiudicare notevolmente
quanto di buono è stato fatto.
L'esperienza di questi anni dimostra inequivocabilmente che il dialogo è
oltre che necessario possibile a due precise condizioni.
La prima è che si esca al più presto dalla spirale dello scaricabarile,
del reciproco scambio di accuse su chi porta le maggiori responsabilità
per quel che non si è riusciti e non si riesce a fare. Bisogna, una
volta per tutte, che sia riconosciuto onestamente e lealmente da tutti che
nessuno oggi ha pienamente le carte in regola da potersi permettere di addebitare
ad altri l'intera responsabilità per come vanno le cose.
Non ce l'ha lo Stato, il quale ha mostrato scarse attitudini al governo
generale del sistema delle aree protette e una spiccata preferenza per la
gestione burocratico-amministrativa rivolta principalmente ai parchi nazionali.
Non ce l'hanno le Regioni ed in particolare quelle che non si sono sentite
in dovere neanche di recepire le norme quadro della legge 394, ma anche
quelle che pur avendovi provveduto non si sono poi fatte carico a sufficienza
delle loro responsabilità nazionali.
Le Regioni sono pure in difetto per quanto riguarda il loro rapporto con
Province e Comuni non sempre coinvolti nella maniera giusta nella politica
di gestione delle aree protette.
Sono infine in difetto gli Enti locali i quali pur avendo compiuto innegabili
e notevoli progressi avvalendosi della legge 142, manifestano tuttora una
insufficiente sensibilità e impegno per i problemi della tutela.
Quanto alla seconda condizione è indubbio che la soppressione del
comitato per le aree protette e il trasferimento delle sue competenze alla
conferenza Stato-Regioni-Autonomie, sebbene il comitato avesse dato pessima
prova di funzionalità, priva comunque le rappresentanze istituzionali
di una sede in cui la 'leale collaborazione' possa essere concretamente
ricercata e realizzata.
E chiaro infatti che la conferenza stato-regioni, sede indiscutibilmente
autorevole ma sovraccarica di compiti, difficilmente potrà occuparsi
approfonditamente e concretamente di quei problemi e aspetti che sono invece
decisivi per la gestione del sistema dei parchi.
Ecco perché è necessario e urgente ai fini di un confronto
serio e costruttivo tra le istituzioni avere una sede, un tavolo di concertazione
al quale possa sedere anche la rappresentanza dei parchi. La proposta contenuta
nel documento delle Regioni, illustrato alla Conferenza dall'assessore Stefania
Pezzopane va pertanto accolta e attuata. Ciò servirà alle
regioni e ai parchi ma anche al governo, i cui ministri interessati alla
politica dei parchi, come abbiamo visto anche alla conferenza non brillano
certo per la loro capacità e volontà di collaborazione.
Alla Conferenza abbiamo infatti toccato con mano quanto sia difficile la
collaborazione - in qualche caso semplicemente avere dei rapporti tra i
vari ministeri, non ha parlato, ad esempio, il ministro dei Lavori Pubblici
e quello dei Beni Culturali, come ha dichiarato il sottosegretario Bordon
alla commissione Ambiente della Camera, neppure è stato invitato.
Con quest'ultimo ministero peraltro si è rischiato la vertenza in
un parco nazionale del sud per un conflitto di competenze concernente gli
strumenti di pianificazione.
Eppure la legge 394 nell'istituire il comitato Stato-Regioni aveva inteso
offrire una sede per la collaborazione tra i vari ministeri interessati
alla politica dei parchi.
Il comitato però non aveva funzionato.
Ma per quanto riguarda i ministeri non si tratta soltanto di collaborare
di più e meglio. Nel momento in cui si sta attuando la legge Bassanini
e si profila una riforma della Costituzione c'è la necessità
di ridefinire i loro stessi compiti, di riformare in sostanza gli stessi
ministeri le cui competenze e funzioni spesso si sovrappongono e confliggono
dando luogo a polemiche, rimpalli di responsabilità con conseguenti
e inevitabili rinvii e ritardi.
Ci pare giusto perciò mentre dovranno essere individuate le funzioni
da trasferire alle Regioni e agli Enti Locali che si metta mano anche alla
riforma dei dicasteri.
A questo riguardo non si può non condividere la posizione del ministro
dei Lavori Pubblici il quale ritiene che 'in linea generale in campo ambientale
come in ogni altro campo, ogni discussione sulla attribuzione delle competenze
dovrebbe vedere la distribuzione dei poteri tra i diversi livelli di governo
precedere quella tra le diverse amministrazioni centrali.
Si tratta di una impostazione a nostro giudizio da condividere la quale
aiuterebbe, se attuata, a risolvere i non pochi problemi intorno ai quali
da anni si sta girando a vuoto, purché naturalmente essa non preluda
o implichi inaccettabili ritardi nella attuazione della Bassanini.
Si pensi, tanto per fare un esempio tutt'altro che nuovo, al destino del
Corpo Forestale dello Stato e al prolungato braccio di ferro che è
seguito alla entrata in vigore della legge 394 la quale aveva d'altronde
eluso il problema di fondo con un compromesso che non ha funzionato. Basta
vedere cosa prevede il DPCM. D'altronde quando il ministro Pinto, dopo essere
stato ascoltato, scrive alla commissione Ambiente della Camera la quale
stava svolgendo una indagine sulla legge quadro 394 e quindi discutendo
anche del destino del CFS, per invitare i commissari a lasciar perdere l'argomento
perché lui non avrebbe potuto accogliere soluzioni a lui sgradite
si capisce perfettamente dove stiano gli inghippi.
Ma una risposta adeguata non potrà venire neppure dalle ipotesi in
circolazione le quali continuano a prevedere al massimo il passaggio da
un ministero ad un altro, in ragione della 'unitarietà' del corpo.
Dietro questo tabù assolutamente formalistico stanno problemi che
accuratamente vengono da anni elusi. Possibile che non si riesca una buona
volta a sfondare il muro della retorica e del piagnisteo per discutere finalmente
di funzioni, compiti, competenze in rapporto non ad astratte e mitiche esigenze
di 'corpo', ma di come le Regioni e lo Stato possono impiegare al meglio
questo personale nell'interesse anche dei parchi e della collettività?
Possibile che non ci si renda conto che è assurdo stabilire in una
convenzione tra il CFS e un piccolo parco regionale che nel caso insorgano
problemi si va a dirimerli a Roma? Ma sarebbe meno assurdo forse se a Roma
ci si dovesse andare ugualmente ma ad un ministero diverso da quello delle
Risorse Agricole?
Quanto il riordino delle competenze ministeriali dipenda strettamente e
direttamente da come si intende attuare il decentramento prescritto dalla
Bassanini che - sia detto per inciso - suscita ancora inspiegabili e in
ogni caso non condivisibili diffidenze e timori al ministero dell'Ambiente,
lo si può verificare guardando ad altre importanti competenze a carattere
ambientale attualmente ripartite confusamente tra più ministeri.
La ricomposizione di funzioni oggi mal distribuite tra più dicasteri
non può ovviamente avvenire riconducendole tutte puramente e semplicemente
ad un unico ministero fosse pure quello dell'ambiente.
Ci sono competenze relative a campi quali quello della difesa del suolo
(ma ciò vale anche in altri settori e materie) in cui è evidente
la responsabilità anche del ministero dell'Ambiente soprattutto per
le connessioni anche, ma non solo, con una efficace politica di protezione
del territorio. Ma ci sono anche competenze, ad esempio quelle relative
alla protezione civile, la cui titolarità non può certo essere
ricondotta al ministero dell'Ambiente.
La legge 183 non ha forse chiarito a dovere questi profili i quali peraltro
vanno raccordati anche ad altre leggi quali la 142 che in questa materia
assegna fra l'altro importanti funzioni agli Enti Locali e alle Province
in particolare.
Queste competenze degli Enti Locali che l'attuazione della Bassanini non
potrà che rinforzare e accrescere permettono quindi di ridisegnare
anche strutture ministeriali procedendo in molti casi alla soppressione
di uffici, provveditorati decentrati i cui compiti erano e sono prevalentemente
di gestione amministrativa, i quali dovranno essere trasferiti agli Enti
Locali o alle Regioni. E positivo perciò che il Parlamento abbia
deciso di mettere mano con una commissione bicamerale al riesame e riforma
della legge 183 con il preciso intento di rivedere innanzitutto i meccanismi
e le procedure rivelatesi farraginose, ma anche di estendere la tutela delle
acque a tutto il territorio nazionale in raccordo anche con la più
recente legge Galli, per cui i bacini nazionali cambieranno denominazione
per assumere quella di distretti idrografici.
L'aspetto probabilmente più delicato (sicuramente non il solo) concerne
la legge 431 e il suo rapporto con la pianificazione dei parchi. Mentre
infatti per l'urbanistica e i piani dei parchi, nonché dei piani
territoriali di coordinamento delle province la competenza è delle
Regioni e in base alla 142 degli Enti Locali, per i piani paesistici, ossia
la tutela paesaggistica, la quale come ha più volte ribadito la Corte
Costituzionale prevale su ogni altro interesse, è competenza dello
Stato. Siamo in presenza dunque di una materia, per dirla con le parole
del sottosegretario Bordon che 'coinvolge tutti i soggetti istituzionali
che operano sul territorio nell'ambito delle rispettive competenze, ed è
inevitabile che l'intreccio tra tali competenze richieda l'adozione di livelli
di cooperazione che, evitando sovrapposizioni di funzioni e compartecipazione
all'adozione di provvedimenti, ricerchino forme di determinazione congiunta,
di obiettivi di assetto globale allo scopo di garantire la tutela dei beni
ambientali a partire dalle rispettive attività.
Tali strumenti di concertazione risultano tanto più necessari e opportuni
in quanto in ordine alla tutela paesaggistica diversamente da altre materie
concernenti la pianificazione anche delle aree protette, non si ritiene
di 'spezzettare questa tutela in venti interpretazioni regionali'.
Non si tratta di un problema semplice se si pensa che ai sensi della legge
1093/39 e della legge 431/89 è stato finora vincolato il 50% del
territorio nazionale scegliendo soprattutto la parte più antropizzata,
quella che riguarda l'insediamento delle popolazioni. Da quanto ha accertato
l'Ufficio centrale per i Beni Ambientali e Paesaggistici del ministero l'eccesso
di procedure dovuto a queste 'ripartizioni di competenze ha creato situazioni
tali da impedire l'utilizzazione perfino dei soldi stanziati'.
Senza addentrarci ulteriormente in questa analisi si può tuttavia
affermare con sufficiente sicurezza che anche per la gestione e pianificazione
delle aree protette è importantissimo che si riesca in tempi ragionevoli
ad agire sia in verticale, ossia stabilendo appunto cosa deve transitare
dal centro alla periferia, sia in orizzontale perché gli inconvenienti
derivanti dall'attuale, confuso accentramento possano essere rimossi.
Anche da queste sommarie annotazioni riteniamo risulti abbastanza chiaro
come il seguito della Conferenza non possa non privilegiare nell'impegno
e nella attenzione del Governo e delle altre istituzioni quel complesso
di nodi dallo scioglimento dei quali dipende in larga misura la possibilità
di impostare, attuare e gestire una efficace politica nazionale delle aree
protette.
Un punto quest'ultimo sul quale alla Conferenza si sono registrate per la
verità posizioni non sempre convincenti in quanto tendenti a stabilire
una identificazione tra necessità (da nessuno contestata) di una
politica nazionale che non può non vedere lo Stato impegnato in prima
persona e la gestione di questa politica. Anzi va detto che oggi c'è
semmai una diffusa e legittima critica allo Stato e al ministero dell'Ambiente
proprio per questa carenza di indirizzi programmatori del sistema complessivo
delle aree protette e non soltanto di quelle nazionali. Critica che si accoppia
a quella non meno fondata e giusta alla concezione burocratica e centralistica
che ispira l'operato degli uffici centrali. Presentare il dibattito sul
federalismo come una insidia al ruolo dello Stato o peggio come una sua
abdicazione nei confronti della politica di protezione è quindi un'assurdità.
Quando il vice presidente del WWF Di Benedetto ('attenzione' 7/8) scrive
che 'la natura non è federalista
(è forse centralistica, municipalistica, mondialista?) è chiaro
che si tratta di un mero esercizio polemico per ribadire ancora una volta,
tanto per cambiare, che i parchi di 'marca' sono soltanto quelli nazionali
essendo quelli regionali le vittime predestinate degli errori delle Regioni
e degli Enti Locali. Si dimentica, ma questo evidentemente è un dettaglio
di nessuna rilevanza per il Di Benedetto, che se la legge 394 ha potuto
delineare un tipo di parco all'altezza delle esigenze di oggi ciò
è dovuto principalmente (lo ha efficacemente ricordato il presidente
Scalfaro alla Conferenza Nazionale) alla esperienza dei parchi regionali
in quanto lo Stato è rimasto per decenni senza fare niente, lasciando
vivacchiare alla meno peggio i parchi storici. Il che conferma quanto dicevamo
e cioè che se non si esce dallo sterile gioco dello scaricabarile
difficilmente si combinerà qualcosa di buono.
Come si può sostenere allora che i provvedimenti Bassanini indebolirebbero
le prerogative dello Stato contribuendo così addirittura 'al progressivo
indebolimento del concetto stesso di Parco Nazionale'? A noi sembrava che
importante fosse e sia affermare il concetto di parco (senza altre specificazioni)
ossia di territori soggetti a particolare e speciale tutela la cui gestione
deve necessariamente conformarsi alle caratteristiche specifiche degli ambienti
protetti. Le differenze che inevitabilmente e necessariamente si verificheranno
non dipenderanno perciò in via principale dal fatto di essere di
questa o quella categoria istituzionale, ma dal dovere affrontare e risolvere
problemi diversi in situazioni diverse. O i valori dell'Etna o del Delta
del Po cambieranno in virtù dell'etichetta istituzionale?
Allora se vogliamo rimuovere questa situazione paralizzante occorre ricercare
soluzioni e assetti che permettano al centro di 'fare politica', cioè
programmi e progetti alla cui formazione e realizzazione concorrano su un
piano di pari dignità tutti i soggetti istituzionali regionali e
locali. Confondere invece, come purtroppo sovente si continua a fare (la
Conferenza è li a testimoniarlo) una politica nazionale con la gestione
di una parte dei parchi nazionali e non del sistema, significa non far seguire
a delle giuste e ineccepibili premesse: lo Stato ha e deve conservare una
responsabilità e titolarità nazionale; una politica conforme.
Perché una politica che guarda soltanto alla gestione diretta di
un comparto attraverso anche strumenti ad hoc; conferenze di presidenti,
'inviati speciali' e quant'altro non ha un carattere nazionale.
Dove nazionale non sta appunto per statale.
Il fatto è che finora nessuno nelle sedi centrali ha mostrato interesse
e disponibilità per queste idee, neppure quelle associazioni che
temono tanto la 'sparizione' dello Stato e l'indebolimento del ruolo del
ministero. Non sarà che ciò che li preoccupa davvero è
che queste idee attivino non una ma molte più 'stanze dei bottoni',
con le quali anch'esse dovrebbero misurarsi senza particolari 'privilegi'?
L'idea di 'una stanza dei bottoni' in cui si decide tutto è certo
suggestiva, ma come dimostrano fallimenti poi non tanto lontani nel tempo,
dovrebbe anche mettere in guardia dal contarci troppo. Nessuno più
di noi vuole un ministero 'forte' nel senso di capace di proporre, promuovere,
seguire programmi, disponibile e impegnato a collaborare con le Regioni
e pronto a pungolarle ogni qualvolta esse si mostrano fiacche e esitanti.
Ma per questo occorre una struttura dotata di conoscenze, di professionalità,
in grado di operare per progetti 'geografici': alpi, appennino, coste; per
'settori': agricoltura, turismo, educazione ambientale. Le nuove dotazioni
di personale accordate al ministero se come è stato assicurato dal
Ministro nelle apposite Commissioni Parlamentari non vorranno andare a confliggere
con competenze e funzioni regionali dovranno operare in questa direzione.
Per realizzare tutto questo occorre che il ministero cambi molto. Intanto
bisogna che informi su ciò che intende fare. Possibile che si debba
apprendere dagli atti parlamentari che il ministero dell'Ambiente ha sottoscritto
dei protocolli di intesa con associazioni e movimenti cooperativi e di categoria
di cui i parchi non sanno niente?
Infine la legge quadro. Se ne parla ormai da tanto tempo e sono note le
diverse posizioni. Ma il dibattito ha fatto dei passi in avanti e dopo sette
anni risulta più chiaro che come per altri importanti leggi è
giunto il momento di fare anche alla 394 i ritocchi che potranno renderla
più efficace e funzionante. Buttarla tutta in politica - ora c'è
una gestione più rassicurante - non aiuta. Che la gestione sia importante
non ci piove. Ma è altrettanto chiaro che ci sono aspetti da migliorare.
Conviene che di questi si occupino principalmente quelli che alla legge
ci tengono meno o è preferibile - come noi riteniamo - che siano
coloro che ci tengono di più a dire cosa deve e non deve essere modificato?
Ecco perché è bene che sia il Governo a presentare delle proposte
al riguardo. D'altronde il Governo, come per altre leggi è già
avvenuto, ha maggiori riscontri per dire cosa è più opportuno
correggere. Lasciar fare non è la scelta più saggia. Le conclusioni
della indagine svolta dalla Commissione Ambiente della Camera dovrebbero
consigliare a battere questa strada. Noi ci auguriamo che si voglia farlo
al più presto.
* Redazione Parchi |