Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 23 - FEBBRAIO 1998


Aspetti naturalistici e gestionali della futura riserva marina delle Cinque Terre
Giovanni Diviacco *

Introduzione

La zona costiera della Liguria orientale nota come "Cinque Terre", già sottoposta a tutela ambientale dalla Regione Liguria, per quanto concerne la parte emersa, grazie al rilevante valore naturale e paesaggistico, è stata inserita nell'elenco delle aree di reperimento di riserve marine della Legge 979/82, grazie all'interesse dei suoi fondali, evidenziato sin dall'inizio degli anni Cinquanta.
DELLA CROCE (1952) esamina infatti i popolamenti bentici presenti tra Punta Mesco e Vemazza, segnalando la presenza della prateria di Posidonia di Monterosso. E però con i lavori di Rossl (1961, 1965) e di TORTONESE (1962) che si inizia a conoscere la ricchezza biologica di alcuni ambienti marini presenti nell'area delle Cinque Terre, ed in particolare di Punta Mesco. Qui vengono in particolare segnalati in buon numero Gorgonacei come Eunicella singularis, Paramuricea clavata, Leptogorgia sarmentosa (=Lophogorgia ceratophyta), Alcyonum coralloides, oltre ad una discreta presenza di Eunicella verrucosa e Gerardia savaglia. La torbidità dell'acqua e l'elevato tasso di sedimentazione di materiale fine, uniti alla presenza di forti correnti, conferiscono ai fondali di Punta Mesco una fisionomia diversa, per certi aspetti, a quella di altre zone costiere tirreniche, come ad esempio il non lontano promontorio di Portofino. A differenza di quest'ultima località, infatti, al Mesco sembrano assenti specie come Corallium rubrum ed Eunicella cavolinii, oltre alle facies a madreporari.
Numerosi altri studi si sono succeduti nel corso degli anni nell'area, sia sui fondi duri, principalmente di Punta Mesco e di Capo Montenegro, sia su quelli mobili antistanti le Cinque Terre e, per la situazione sino agli inizi degli anni Ottanta, si rimanda alla bibliografia riportata da RELINI et al. (1986). Successivamente allo studio di RELINI et al. (1986), svolto nell'ambito delle indagini conoscitive finanziate dal Ministero della marina mercantile all'ENEA e finalizzate all'istituzione della riserva marina, sono state effettuate diverse altre ricerche nell'area. Alcune di esse hanno interessato temi più generali, come la cartografia delle praterie di Posidonia oceanica, finanziata, sempre dal Ministero della marina mercantile, per alcune Regioni italiane, tra cui la Liguria; altre, a carattere più locale, hanno preso in esame particolari ambienti o gruppi sistematici, come ad esempio i popolamenti a Cnidari delle Cinque Terre (TUNESI et al., 1991) e la prateria di Posidonia oceanica di Monterosso (GONGORA GONZALES et al., 1996).
Da tutti questi studi è emersa l'importanza di intraprendere azioni per la salvaguardia dei popolamenti marini della zona, ed in particolare del coralligeno di Punta Mesco e di Capo Montenegro e della Prateria di Posidonia oceanica di Monterosso.

Inquadramento geografico e brevi note geologiche e geormofologiche
Il tratto costiero preso in esame è compreso tra il promontorio di Punta Mesco, a Ponente, e Capo Montenegro, a Levante e si trova all'interno del Parco regionale delle Cinque Terre. I comuni costieri interessati sono quelli di Levanto, Monterosso, Vemazza e Riomaggiore.
La morfologia del litorale è caratterizzata da falesie alte e strapiombanti, alternate a piccole spiagge originatesi o alla foce dei pochi corsi d' acqua o da materiale franato dai pendii. Questi, progressivamente più ripidi verso Est, sono scavati da solchi torrentizi brevi ed incassati, a cui corrispondono gli abitati di Vernazza, Corniglia, Manarola e Riomaggiore (REGIONE LIGURIA, 1986).
La geologia molto diversificata avrebbe dovuto consentire una maggiore varietà di forme, ma probabilmente movimenti tettonici relativamente recenti potrebbero aver contribuito ad una certa uniformità morfologica. Tra i segni ancor oggi visibili di tali movimenti, avvenuti lungo faglie sia parallele, sia perpendicolari alla costa, ed ai quali è legato anche l'andamento quasi rettilineo di quest'ultima, si possono citare alcuni terrazzamenti a mezza costa ed alcuni solchi trasversali, lungo i quali si sono formati i corsi d'acqua. La situazione geologica dell'area ha determinato un'elevata instabilità, a cui si devono numerosi fenomeni franosi.

Bionomia bentica generale dell'area
Generalità

La variabilità della morfologia sommersa costiera ha permesso una buona diversificazione dei popolamenti bentici. In particolare, nei Piani Sopralitorale, Mediolitorale ed Infralitorale superiore dominano le associazioni biologiche di fondo duro, per la presenza quasi costante di substrato roccioso, a parte la zona antistante lo spiaggione di Corniglia ed alcune altre piccole spiagge ciottolose, soprattutto allo sbocco dei corsi d'acqua. Nell'infralitorale inferiore e nel Circalitorale prevalgono, al contrario, i popolamenti di substrato mobile, con le eccezioni principalmente dei fondali di Punta Mesco e Capo Montenegro, che ospitano, come già visto, associazioni sciafile di fondi duri.

Le associazioni biologiche di substrato duro
I popolamenti di substrato duro dei piani superiori (Sopra-, Medio- ed Infralitorale superiore) presentano generalmente una buona continuità, ed eventuali deboli variazioni all'interno dell'area sembrano dovute a fattori locali, come l'esposizione alla luce ed all'idrodinamismo, o la presenza di centri abitati. Le informazioni seguenti provengono sia da osservazioni personali, sia dalla bibliografia, ed in particolare da RELINI et al. (1986) (Fig. 1).
I Piani Sopralitorale, Mediolitorale superiore e Mediolitorale inferiore. ospitano rispettivamente la Biocenosi della Roccia Sopralitorale (RS) o Verrucario-Melaraphetum neritioidis, la Biocenosi a Ctamali o Chthamaletum stellati, e la Biocenosi della Roccia Mediolitorale Inferiore (RMI) o Neogoniolitho-Lithophylletum tortuosi.

Infralitorale. Il livello superiore di questo piano sembra iniziare, nelle Cinque Terre, con una associazione di transizione tra un ambiente battuto ed uno semi-battuto: il Popolamento a Corallina elongata (=C. mediterranea) e Mytilus galloprovincialis.
Immediatamente dopo è presente la Biocenosi delle Alghe Fotofile di modo relativamente Calmo (AFC), tra cui si ricordano principalmente Halopteris scoparia, Colpomenia sinuosa, Padina pavonica. In vicinanza dei centri abitati è possibile trovare talvolta un Popolamento a cloroficee tolleranti o Pterocladio-Ulvetum (essenzialmente dei generi Ulva ed Enteromorpha), legato a scarichi urbani locali.
Da questo punto in poi, come già detto, i popolamenti di substrato duro proseguono solamente lungo le falesie antistanti le punte principali, mentre altrove si fermano in corrispondenza dei fondi mobili costieri.
A partire da una profondità oscillante tra 7 ed i lO m, a seconda dell'esposizione, si instaura un Popolamento algale sciafilo (ASI) o Udoteo Aglaothamnietum tripinnati, caratterizzato dalla presenza delle Cloroficee Halimeda tuna e Flabellia (= Udotea) petiolata.

Circalitorale. In questo piano, che inizia circa alla profondità di 20 m, si installa il popolamento più ricco e vistoso delle Cinque Terre, con il suo massimo sviluppo soprattutto a Punta Mesco e, in minor misura, a Capo Montenegro e a Punta del Luogo: la biocenosi sciafila definita Coralligeno dell'Orizzonte Inferiore della Roccia Litorale (COIRL) o Rodriguezelletum strafforellii, caratterizzata da un'importante concrezionamento e, nelle zone suddette delle Cinque Terre, da un notevole sviluppo di facies a Cnidari, ed in particolare a Gorgonie, come descritto più dettagliatamente in un paragrafo successivo.
Le osservazioni recenti hanno confermato l'assenza di Eunicella cavolinii e di Corallium rubrum, il corallo rosso, ma avrebbero pure rivelato la scomparsa di Gerardia savaglia, comunemente nota come corallo nero.

Le associazioni biologiche di substrato mobile I piani compresi tra il Sopralitorale e l'lnfralitorale superiore ospitano essenzialmente, come già visto, associazioni di substrato duro, tranne che nella zona antistante la parte occidentale di Monterosso, in quella antistante la spiaggia di Corniglia e poche altre piccole spiagge ciottolose. In questi casi il fondo è generalmente costituito da ghiaia e sabbia grossolana.
Tra i 4 ed i 20 m di profondità il fondo sabbiosogrossolano ospita la Biocenosi delle Sabbie grosse e Ghiaie fini sottoposte a Correnti di Fondo (SGCF), caratterizzate dalla presenza dell'Anfiosso (Branchiostoma lanceolatum) Talvolta sono presenti massi caratterizzati dal popolamento AFC, a cui possono seguire prati di Cymodocea nodosa e qualche ciuffo di Posidonia oceanica. Il sedimento tende a diventare sempre più fine.
Dopo una zona di transizione tra l'lnfralitorale ed il Circalitorale, il popolamento presenta la fisionomia della Biocenosi dei fondi Detritici Costieri (DC), ma già a partire dai 35 m di profondità si ha il passaggio alla Biocenosi dei Fanghi Terrigeni Costieri (FTC).

La prateria di posidonia di Monterosso
Anche se sono presenti nell'area diverse chiazze di Posidonia oceanica, l'unica vera prateria è quella situata tra Punta Mesco e la spiaggia di Fegina, ad Ovest di Monterosso. Il limite superiore è compreso tra le profondità di 5 m e di 12 m, ed il limite inferiore oscilla tra le profondità di 20 e 23 m, mentre la copertura del substrato varia tra il 20%, ed il 100% (BIANCHI & PEIRANO, 1995). Generalmente la copertura si mantiene comunque entro il 60% e sono presenti radure sabbiose e canali "intermatte"; il limite inferiore è formato da un mosaico di Posidonia oceanica viva e "matte" morta.
Secondo BIANCHI & PEIRANO (1995) e GONGORA GONZALES et al. (1996) il degrado presentato da questa prateria, via via maggiore avvicinandosi all'abitato di Monterosso, sarebbe da ricondursi alla presenza del terrapieno realizzato negli anni '60 con il materiale proveniente dallo scavo delle gallerie ferroviarie per il raddoppio della linea Genova-La Spezia. Tale opera, mantenuta nel corso degli anni con azioni di ripascimento, ha modificato la dinamica del trasporto costiero locale, ed i sedimenti provenienti da essa hanno sepolto parte della prateria.

Il Coralligeno di punta Mesco e capo Montenegro
Presso Punta Mesco la parete scende verticalmente fino alla profondità di circa 20 m, dove il fondale è costituito da massi sparsi e accatastati. Proseguendo verso Sud si incontra una secca rocciosa con cappello a -18 m, ricoperta sulla sommità da colonie di Parazoanthus axinellae.
Lungo le pareti verticali della secca iniziano a comparire, già dalla profondità di 20 m, ricche colonie di Paramuricea clavata, che diventano sempre più dense procedendo verso il fondo, presentando anche la colorazione mista rossa e gialla. Tra i 20 ed i 40 m di profondità è possibile incontrare colonie di Leptogorgia sarmentosa, soprattutto nella zona più orientale della punta (TUNESI et al., 1991), in presenza forse di una maggior quantità di sedimento fine.
A circa 40 m di profondità la roccia lascia il posto al pendio fangoso, con numerosi blocchi rocciosi sparsi, sempre ricoperti di colonie di P clavata. In questa zona, al limite tra roccia e fango, è abbastanza frequente Eunicella verrucosa, la gorgonia bianca, non molto comune in Mediterraneo.
Anche a Capo Montenegro la parete scende verticalmente fino a circa 18 m, su un fondo costituito da massi sparsi, con qualche colonia di Eunicella singularis, ed a poca distanza, verso Sud, è presente una secca rocciosa, che inizia a circa 20 m, per terminare, con un cappello praticamente piatto, a circa 18 m.
Quest'ultimo è ricoperto di colonie di Leptogorgia sarmentosa, con una notevole varietà di forme e colori. Questa specie è presente a C. Montenegro in un range batimetrico compreso tra i 15 ed i 35 m (TUNESI et al., 1991), quindi più superficiale rispetto a Punta Mesco, a causa della maggiore torbidità dell'acqua. La secca, sulle cui pareti si segnala qualche colonia di P clavata, termina in corrispondenza del fondo fangoso, alla profondità di 30 m, dove sono presenti alcune colonie di E. verrucosa.

Il progetto dell'Area protetta Marina
Il progetto dell'area protetta marina delle Cinque Terre, elaborato dall'ICRAM (DIVIACCO, 1995, 1996), su richiesta della Consulta per la Difesa del Mare, del Ministero dell'ambiente, costituisce il passo finale di un lavoro iniziato verso la metà degli anni '80, con le indagini eseguite dall'ENEA. Gli studi integrativi ed il progetto di area protetta richiesti all'ICRAM si sono svolti con il coinvolgimento locale, a vari livelli (operatori economici, in particolare del settore della pesca, pescatori dilettanti, ambientalisti, Entilocali, Capitaneria di porto), per ottenere informazioni, indicazioni e controproposte utili a garantire il maggior consenso possibile sull'iniziativa. La proposta scaturita vuole quindi rappresentare non un insieme di vincoli e di divieti, ma uno strumento di gestione razionale dell'ambiente costiero, per garantime l'utilizzo da parte degli operatori e della comunità in maniera compatibile con il mantenimento delle risorse naturali. In quest'ottica, l'unica area in cui siano stati previsti divieti di pesca e regolamentazioni di accesso, per tutelare la fauna ittica ed i popolamenti bentici, è quella antistante Punta Mesco (Zona A). Nella parte restante dell'area protetta si prevedono infatti regolamentazioni solamente a carico di alcune attività, nella Zona B, e praticamente nessun divieto, ma un maggiore controllo delle normative vigenti, nella Zona C. D'altra parte lo status di riserva marina dovrebbe garantire all'Ente gestore le risorse per il funzionamento e la fruizione dell'area protetta.
Si giunge così, finalmente, a più di 10 anni dal primo studio conoscitivo, all'approvazione della proposta di Area protetta marina a livello centrale e, caso strano nella storia delle riserve marine, anche a livello locale; le Amministrazioni Comunali locali attendono infatti da tempo questa iniziativa, in cui vedono nuove opportunità di valorizzazione ambientale e di sviluppo economico ecocompatibile.
Al Ministero dell'ambiente si procede quindi alla stesura del Decreto istitutivo. Siamo ormai agli inizi del 1997 e sembra che l'istituzione debba avvenire sicuramente entro la primavera stessa. La Regione Liguria, contattata in proposito dal Ministero, invia un documento in cui segnala l'esistenza del Parco regionale delle Cinque Terre, gestito da un Ente autonomo, al quale sarebbe opportuno affidare la gestione dell'Area protetta marina, come previsto, peraltro, anche dalla Legge 394/91.
Questa soluzione sembra la più ovvia, per varie motivazioni di carattere tecnico-gestionale, ma non viene accolta a livello ministeriale, in quanto il Parco terrestre non è nazionale, ma regionale. Il Ministero pertanto preferisce delegare l'incarico alla Regione, che si dichiara disponibile in questo senso, avvalendosi dell'Ente Parco regionale per la gestione operativa sul posto. L'Ufficio parchi della regione inizia quindi l'elaborazione di un programma di gestione e di una bozza di regolamento da sottoporre all'approvazione ministeriale, in seguito a discussione locale.
Nel settembre 1997, in occasione della Conferenza nazionale dei parchi, viene annunciata la firma del decreto da parte del ministro, decreto con il quale la gestione viene affidata ufficialmente alla Regione Liguria. L'assessore regionale ai parchi viene invitato a Roma nei primi giorni di ottobre per concordare la convenzione e le modalità gestionali, ma al suo arrivo nella capitale viene informato dal direttore generale dell'Ispettorato centrale per la difesa del mare che il ministro, in seguito all'approvazione parlamentare della proposta del Parco nazionale delle Cinque Terre, preferisce attendere gli sviluppi della situazione. Non ritiene infatti conveniente affidare la gestione dell'area marina alla Regione per un breve periodo di tempo, ma desidererebbe affidarla direttamente al futuro Ente gestore dell'istituendo Parco nazionale. Con l'inizio del 1998 l'intenzione del ministro diventa realtà, con la firma di un nuovo Decreto, mediante il quale la gestione viene affidata all'istituendo Ente parco nazionale delle Cinque Terre e, in via transitoria, all'Ispettorato centrale per la difesa del mare.

Considerazioni conclusive
Le informazioni disponibili hanno permesso di evidenziare una situazione costiera ancora abbastanza integra, grazie alla scarsità ed alle piccole dimensioni dei centri abitati esistenti ed all'assenza di attività industriali e portuali.
Talvolta si riscontrano fenomeni locali di inquinamento cloacale, limitati alle vicinanze dei centri abitati ed a determinati periodi dell'anno, ma il Piano regionale di risanamento delle acque prevede interventi che dovrebbero migliorare ulteriormente la situazione.
Per quanto riguarda la pesca si è visto che l'attività professionale è particolarmente sviluppata solo in un centro, mentre viene abbondantemente praticata la pesca sportiva, ed entrambe gravano soprattutto in un sito relativamente ristretto, l'area antistante Punta Mesco, che risulta peraltro quello di maggiore pregio ambientale.
In questa zona 1' attività nautica e quella balneare per la morfologia della costa, non sono così pesantemente sviluppate come in altri centri rivieraschi liguri e ciò può costituire un vantaggio per quanto concerne la pianificazione dell'area protetta. Si ritiene infine importante instaurare, già dalle prime fasi, un dialogo costruttivo tra i rappresentanti delle Istituzioni centrali (Ministero, Consulta) e quelli delle categorie economiche e gli amministratori pubblici locali, per ottimizzare e ridurre i tempi dell'iter istitutivo dell'area protetta marina. A questo proposito diventa invece sempre più reale il rischio che la volontà ministeriale di attendere l'istituzione del Parco nazionale causi notevoli ritardi nella realizzazione dell'area protetta marina ed un conseguente malcontento locale.
Si ricorda a questo proposito che per realizzazione si intende gestione attiva, con organi direttivi, mezzi e risorse umane, e non la semplice istituzione sulla carta. Sono infatti noti agli addetti ai lavori i tempi lunghi richiesti per attuare le procedure di istituzione e di avvio della gestione di un Parco nazionale.
Solamente al termine di queste fasi, che purtroppo richiedono spesso alcuni anni, può iniziare una vera e propria gestione del territorio del Parco, ed è quindi solamente a questo punto che l'Ente Parco nazionale potrà iniziare le procedure per la gestione concreta anche dell'Area Protetta Marina, con assunzione di personale ed elaborazione di programmi specifici.
Restano così "congelate", dopo un'attesa di 15 anni, opportunità di gestione razionale e di conservazione dell' ambiente e di lavoro per numerosi giovani del posto e vengono perduti finanziamenti previsti e già disponibili, a partire dal 1997.
L'Amministrazione Regionale, pur comprendendo le motivazioni del Ministro, aveva proposto agli Uffici competenti del Ministero che la gestione fosse affidata inizialmente alla Regione, come previsto, per essere trasferita successivamente all'Ente Parco Nazionale, non appena questo fosse stato in grado di subentrare, garantendo continuità alle attività istituzionali.
Alla risposta che la decisione spettava al Ministro, l'Assessore Regionale ai Parchi aveva richiesto un incontro in proposito, fin dall'ottobre 1997, ma l'incontro non è mai avvenuto.

* Ufficio Parchi ed Aree protette della Regione Liguria

 

Bibliografia:
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