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La patrimonializzazione delle aree protette
Luigi Gaido*
Nel momento in cui nasce, un parco pone nuovi vincoli, spesso vissuti dalle
popolazioni locali come una imposizione da parte di strutture burocratiche
esterne. Di riflesso per queste popolazioni l'area protetta diventa, nel
migliore dei casi, una struttura da ignorare, e qualche volta una struttura
da ostacolare, se non da combattere.
Questa situazione mette il parco nella poco invidiabile posizione di essere
un costo economico e sociale, un "buco nero territoriale" che
inghiotte risorse e apparentemente non restituisce nulla.
Così l'unico "rimedio" per gli enti di gestione è
di trovare qualche legame con le popolazioni locali. Il più immediato,
e anche il più interessante, è quello rappresentato dal creare
sbocchi economici. Questi paiono necessari per due motivi distinti: il primo
per cercare di ottenere un consenso e una collaborazione delle popolazioni
locali, senza cui qualsiasi azione di protezione risulta difficile; il secondo
motivo per ridurre in prospettiva il peso dei costi connessi alla protezione.
In sostanza ciò consiste nel prendere il concetto di costo, di cui
si è detto prima, e trasformarlo in investimento per il territorio
circostante.
La filosofia di gestione di un'area protetta - da staticamente protettiva
- si muta in quella dinamica del "museo" moderno, ove la fruizione
è elemento qualificante della stessa conservazione. In questo caso
la missione di protezione si coniuga con le ricadute economiche dirette
e indirette portate dalle attività di visita e di didattica.
Nella sua logica di fruizione questa scelta crea sicuramente problemi di
approccio e di strumenti alla struttura del parco. Infatti, con l'economia
della fruizione, la mentalità da applicare agli interventi si capovolge:
sono le attese del fruitore a diventare il fulcro delle iniziative. D'altro
canto la struttura si trova anche a dovere intervenire, oltre che sulla
funzione di controllo, su tutti gli aspetti della gestione del territorio,
fino a quelli dello sviluppo economico. Come è facile intuire si
tratta di "mestieri" perlomeno diversi, che richiedono preparazioni
professionali differenti.
La struttura dovrebbe quindi avere mezzi e personale preparati sia per la
gestione del territorio che per la funzione di controllo, ma anche con capacità
di animazione economica, se non addirittura con senso imprenditoriale.
A complicare il tutto, le diverse funzioni vanno effettuate su territori
vasti, a volte morfologicamente o orograficamente difficili: le aree collinari
o montuose degli Appennini e delle Alpi ne sono un esempio.
Così l'economia della fruizione crea alla direzione del parco problemi
quantitativi e qualitativi di personale, nonché il fatto di trovarsi
spesso a dovere svolgere funzioni per le quali non è preparata.
D'altro canto se pensiamo agli aspetti di ricadute/rapporti con la comunità
e con il territorio circostante si capisce perché, malgrado tutti
i problemi che ne derivano, oggi questa scelta appare come la più
logica.
Infatti la creazione di ricadute economiche partendo dalla fruizione rappresenta
forse l'unica maniera per mantenere le aree di protezione della natura e
magari anche per incrementarle. Ma ciò succederà a patto che
la popolazione locali "metabolizzi" la cultura della protezione,
cioè che il vincolo rappresenta nella realtà una opportunità.
Questo si inquadra perfettamente nelle teorie dello sviluppo locale che
parlano di innovazione e ambiente sociale quali fattori basilari per la
creazione di nuove dinamiche.
Nel caso di un territorio su cui insiste un'area protetta, è questa
il fattore d'innovazione che sta alla base dello sviluppo. Qui però
nascono le difficoltà. La prima - come già anticipato - riguarda
la struttura stessa di gestione dell'area che è concepita in funzione
dell'obiettivo di controllo e di salvaguardia del territorio e non di sviluppo
di attività compatibili e di animazione economica.
La seconda è di natura socio demografica del territorio su cui insiste
l'area protetta. Per manifestarsi lo sviluppo ha bisogno di imprenditori,
cioè di persone disponibili ad investire almeno del tempo in una
nuova attività. La nascita di imprenditoria locale è un concetto
che purtroppo viene in genere occultato o, peggio. risolto con mere misure
di incitamento finanziario se non di semplice formazione. Misure che si
risolvono generalmente con un gran dispendio di soldi e di energie, ma con
scarsi risultati, proprio perché non avviene la famosa "metabolizzazione"
della innovazione.
L'esperienza di campo insegna che, quando forme di sviluppo locale non si
mettono in moto in modo autonomo, ciò significa che mancano le condizioni
socio demografiche necessarie o una animazione esterna del sociale locale
finalizzata allo sviluppo.
Anche in Europa, perlomeno in Francia e in Italia, si nota che l'imprenditoria
locale non si sviluppa a causa di una demografia sfavorevole, oppure solo
perché le nuove attività, di solito collegate alla fruizione
turistica, non vengono percepite come interessanti rispetto ad attività
preesistenti.
Per chi intende creare economia, si tratta cioè di scoprire i codici
della specifica semiologia dello sviluppo del territorio in esame.
I punti su cui bisogna quindi agire sono proprio questi: capire le condizioni
e il tipo di animazione necessaria per avviare i meccanismi di sviluppo
che, lo ripetiamo, non sono affatto automatici.
Le forme di sviluppo compatibile
Pare quasi evidente dire che le attività compatibili più facilmente
collegabili con la missione di un parco sono quelle turistiche. Infatti
queste permettono di integrare le attività didattiche e di approccio
alla natura proprie delle aree protette con una ospitalità coerente
di un turismo legato alla scoperta dell'identità del territorio attraverso
le diverse forme di patrimoni. Si possono così collegare altre attività:
di scoperta della cultura o della lingua locali, dell'artigianato, della
gastronomia, dell'agricoltura tradizionali.
Si tratta di un sistema turistico complesso, che mette in moto e muove molte
attività e che ha in più il grande pregio di vitalizzare tutti
gli aspetti del tessuto economico senza stravolgere gli equilibri con l'ambiente.
Stiamo parlando ovviamente di un turismo dai numeri limitati che, rispetto
ai valori di una qualsiasi stazione turistica, potrebbero sembrare irrisori.
Tuttavia se pensiamo che spesso le aree protette sono situate in zone scarsamente
popolate, in cui le attività sono di tipo residuale o marginale,
qualsiasi incremento è un apporto importante. A ciò si può
oggi aggiungere che, considerando I'andamento generale dell'economia, qualsiasi
territorio è ben contento di potere integrare il turismo (sia pur
solo di bassi volumi) ad altre forme di economia.
Un discorso un po' più articolato meriterebbero le aree di protezione
poste in zone periurbane o addirittura urbane, penso ad esempio al tratto
torinese del Parco Fluviale del Po. In queste aree è evidente che
le l`orme di fruizione si riconducono solo a quelle del turismo di escursione
o alla passeggiata.
Le problematiche di queste aree si spostano, perché la popolazione
urbana non sente i vincoli territoriali nello stesso modo e la presenza
dell'area protetta significa anche maggior qualità di vita. Così
allo sviluppo economico, che rimane tuttavia uno dei problemi? si aggiunge
senza dubbio quello più serio delle presenze che possono diventare
estremamente elevate.
Fortunatamente l'area protetta in esame, cioè il tratto vercellese/alessandrino
del Parco Fluviale del Po, non rientra in questo caso e i problemi rimangono
per ora di ordine "classico".
L'ambito dello sviluppo
Per molti anni i ragionamenti sul turismo hanno coinvolto una sola forma
di sviluppo, quella della stazione o della località turistica, dove
l'economia unica o prevalente è appunto il turismo e il tessuto di
attività dipende direttamente o indirettamente da questo.
Recentemente però, di fronte alla necessità di trovare nuovi
sbocchi o di riqualificare aree in disagio economico, si è incominciato
a considerare lo sviluppo turistico di territori a "vocazione economica
multipla". E qui si è subito visto che i ragionamenti tatti
sulle località avevano un funzionamento critico o addirittura non
funzionavano del tutto.
Ricercare e stabilire le possibili condizioni per questo tipo di sviluppo
e le strategie da seguire rappresenta la novità di questo modo di
operare.
Tuttavia, nel caso di territori a "vocazione economica multipla",
le modalità di delimitazione e, in particolare, quelle di definizione
dei criteri, rimangono il punto dolente.
Avendo maturato una riflessione teorica sul concetto di territorio e una
esperienza di campo sulle tecniche dello sviluppo locale abbiamo perciò
elaborato, per analogia con i parchi tecnologici, la definizione di "parco
turistico".
Per parco turistico intendiamo un territorio dotato, se non di una identità
comune, perlomeno di interessi comuni che ne permettono una perimetrazione.
Un territorio dove vi sia una interazione forte e riscontrabile tra gli
aspetti fisici e morfologici e quelli antropici (sociali, storici, architettonici,
culturali, ecc.), anche se questo territorio non coincide con una suddivisione
amministrativa esistente.
Nell'ambito del turismo il concetto di "parco" è un concetto
reticolare che si discosta da quello della stazione per la complessità
del territorio e dei patrimoni, quindi delle possibilità di sviluppo.
Possibilità che si possono esprimere sia attraverso "poli",
cioè le concentrazioni dei patrimoni, che attraverso "itinerari
tematici" che collegano più poli o luoghi puntuali contenenti
un dato patrimonio.
Il parco può essere dunque concepito in due modi rispetto alla fruizione
di un'area omogenea. Da una parte come sistema globale di progettazione
del turismo e dall'altra come un sistema integrato dell'offerta turistica
(patrimoni più servizi più prestazioni turistiche). Un parco
turistico è quindi costituito da una rete di itinerari o di circuiti
e di modi di fruizione connotati rispetto all'immagine complessiva del territorio.
Nel parco turistico il turismo deve essere necessariamente organizzato,
pertanto la gestione dei flussi, dell'accoglienza, del ricettivo, dei servizi,
dell'animazione va razionalizzata e controllata.
Il tutto deve essere gestito da una struttura organizzativo-gestionale centrale
distribuita in alcuni centri di accoglienza locale con funzioni di coordinamento
di una subarea.
A partire da questi centri si possono organizzare prodotti turistici dalle
caratteristiche adeguate per i consumi del turismo contemporaneo.
In questo contesto, un'area protetta può essere non solo un elemento
di attrazione e un patrimonio, bensì quel motore istituzionale necessario
alla coesione tra tutti gli attori locali interessati, in quanto trascende
i limiti ristretti degli ambiti di competenza territoriale del comune, come
quelli di altri enti quali province o regioni.
Ovviamente qualsiasi piano di sviluppo e le conseguenti azioni, proprio
per la particolarità del motore da cui prendono vita, cioè
un parco, devono seguire una serie di indirizzi, e quindi agire nel rispetto
degli obiettivi di tutela dell'ambiente e nell'ottica di uno sviluppo compatibile,
nonché favorire la percezione dell'identità del territorio.
L'analisi socio economica
Come dare dunque allo sviluppo nuove forme e in particolare cercare di favorire
quella detta endogena, o di auto sviluppo?
Numerosi studi e ricerche dicono che questa forma richiede, per avviarsi,
la mobilitazione degli operatori e delle amministrazioni attorno ad un progetto
comune.
Il turismo non sfugge a questa tendenza: diventa primordiale pertanto aggregare
consenso attorno a idee e progetti. Lo scopo è quello di ottenere
la "massa critica" necessaria per fare partire il processo di
messa in opera.
Creare il consenso attorno a un progetto è un'azione che può
essere effettuata attraverso il primo passo operativo per stabilire le possibilità
di sviluppo, cioè l'analisi socio economica del territorio in esame.
Per essere uno strumento concreto l'analisi deve contenere determinate indicazioni:
non descrivere semplicemente i dati sociali ed economici del territorio,
ma elaborarli in termini strategici e operativi in funzione di un obiettivo
preciso. In particolare occorre verificare l'esistenza di certe condizioni
sociali e patrimoniali che condizionano lo sviluppo.
Infatti le esperienze nell'ambito dello sviluppo locale insegnano che questo
non dipende dalla quantità o dalla qualità dei patrimoni presenti,
né dalle misure di pianificazione o di incitamento finanziario che
possono essere adottate, ma dalla volontà e dalla capacità
degli agenti locali di sfruttare tutti questi vantaggi. Il che vuol dire
che, in assenza di potenziali imprenditori, i nostri patrimoni hanno scarso
valore.
Per questo l'analisi deve partire da una conoscenza il più possibile
puntuale del territorio, andando a cercare e a verificare - in termini di
quantità e di qualità - i diversi ambiti: quello socio demografico
con i dati occupazionali, i patrimoni naturali e storico-architettonici,
il ricettivo e la ristorazione, i prodotti tipici agroalimentari e artigianali,
le manifestazioni, eccetera.
E, effettuando tutto ciò, ecco che il meccanismo di coinvolgimento
degli attori locali (a conoscenza della loro realtà) si innesca di
pari passo.
Le metodologie
Nelle problematiche dello sviluppo abbiamo parlato spesso di metabolizzazione
della innovazione. In questo campo I'errore professionale più grave
è di risultare poco comprensibili alle persone cui si cerca di fare
capire le possibilità di sviluppo. Di solito gli strumenti quali
i database o i rapporti scritti sono spesso "ostici", di difficile
lettura: per questa ragione abbiamo utilizzato la cartografia informatica
che presenta numerosi vantaggi.
La cartografia informatica (GIS - Geographic Information System) è
uno strumento che recentemente ha conosciuto un grande sviluppo nel campo
delle applicazioni pratiche. In sostanza si tratta di strati elaborabili
in carte riportanti elementi geografici di un territorio (punti notevoli,
perimetri comunali, mappe urbane, strade, corsi d'acqua, ecc.) collegati
"informati" come dice il linguaggio tecnico attraverso uno o più
specifici database descrittivi degli aspetti di questo stesso territorio.
Il vantaggio di questo strumento è multiplo: consente infatti di
visualizzare e di "spazializzare" certi fenomeni, cioè
di posizionarli relativamente gli uni rispetto agli altri in un ambito geografico.
Di conseguenza di poterli leggere sulla carta e non più solamente
su un tabulato, ricordando come l'analisi visiva sia molto più facile
e naturale di quella di dati scritti. Inoltre lo strumento informatico permette
in ogni momento di aggiornare questi dati in tempo reale, di incrociarli
e di visualizzarli, oltre a poterli integrare con immagini o testi.
Nelle aziende, ad esempio, è ormai uno strumento di analisi marketing
di serie storiche di dati (geomarketing) che trova applicazioni in molti
campi. Tra questi si possono citare la gestione delle reti vendite e della
logistica distributiva. Nel campo del territorio invece si possono prevedere
e gestire le operazioni nel caso di catastrofi, oppure gestire la raccolta
rifiuti o i trasporti. Per le amministrazioni si possono centralizzare e
collegare dati quali catasto, anagrafe, dati sanità, ICI, ecc.
Nel nostro caso, posti di fronte a un problema che coinvolgeva numerosi
attori locali, è parso quasi obbligatorio visualizzare certi dati,
cioè supportare il ragionamento con delle carte descrittive e illustrative.
Nello stesso tempo utilizzare un semplice strumento grafico, avendo a disposizione
dati statistici e di campo, sarebbe una perdita di qualità dell'informazione.
La cartografia informatica rappresenta invece lo strumento ideale, in quanto
integra i due aspetti ed è senza dubbio uno strumento flessibile
e aggiornabile che permette oltretutto di vedere l'evoluzione di un determinato
territorio o anche solo di rispondere a domande puntuali sui dati.
Il caso del Parco del Po
Abbiamo applicato tali procedimenti e metodologie per realizzare lo studio
finalizzato alla stesura del piano socio economico del tratto vercellese/
alessandrino del Parco Fluviale del Po, lavoro iniziato nel 1996 e tuttora
in corso con la seconda l`ase del progetto e cioè lo studio di prodotti
turistici a*ini al turismo dolce e la conseguente stesura del piano di marketing.
Ripercorriamo in un breve excursus quanto è stato fatto. Nel nostro
caso si ponevano due considerazioni di base: innanzitutto non si poteva
certo prendere in esame esclusivamente l'area interna al Parco. Lo studio
sarebbe infatti risultato del tutto assurdo o forse addirittura impossibile
da effettuare, essendo l'area scarsamente antropizzata. La seconda considerazione
riguarda l'ambito di "attrazione" economica del Parco: ci si poteva
logicamente limitare ad analizzare i 23 comuni sui quali insiste il Parco,
ma si è osservato che il suo valore patrimoniale poteva costituire
un traino economico per una area ben più vasta. Così - dopo
diversi ragionamenti sul bacino di attrazione economica potenziale per forme
di turismo dolce - i comuni da indagare sono risultati 47, appartenenti
a quattro province, Alessandria, Vercelli, Torino e Pavia, e a due regioni,
Piemonte e Lombardia.
Una complessità da evidenziare perché sia il numero, sia la
ripartizione amministrativa alquanto disomogenea hanno la loro importanza:
abbiamo infatti dovuto utilizzare strumenti concettuali diversi rispetto
a quelli che un territorio meno "articolato" avrebbe richiesto.
Per l'indagine abbiamo usato sia i dati ufficiali dell'ISTAT che dati di
provata serietà e notorietà reperiti in varie pubblicazioni
e documenti, integrandoli attraverso una ricerca effettuata sul campo presso
l'Ente Parco, i comuni, le APT, alcuni operatori turistici in attività.
A questo punto il lavoro ci ha portato all'uso della cartografia informatica:
i dati raccolti (circa 11.000) sono stati in parte strutturati e trattati
in 19 tabelle che rappresentano i diversi campi di indagine (sociale, economico
e patrimoniale).
Il database ottenuto è ovviamente aggiornabile e i dati in esso contenuti
rappresentano la base su cui è oggi possibile studiare e sviluppare
prodotti turistici dolci. Dalle analisi è emerso un territorio che
ha potenziali di grande attrattiva per il turista, data la varietà
e la ricchezza dei patrimoni ambientali e architettonici, e la facilità
di accesso dalle aree metropolitane di Torino, Genova e Milano, pur con
alcuni punti di debolezza nel ricettivo e nello stato di conservazione e
di fruibilità di alcuni patrimoni.
L'immagine generale e la realtà della zona ci hanno dunque portato
a parlare di un territorio che possiede un'integrità declinabile
attraverso due temi principali: I'ambiente e il passato. Una integrità
leggibile e riscontrabile nei paesaggi e nell'ambiente naturale, come nelle
emergenze di un passato storico e rurale consistente.
Il tema "ambiente" trova risposta nell'area protetta e nei paesaggi
e punti panoramici presenti; mentre il tema "passato" conduce
alla visita dei centri storici, dei singoli monumenti, dei luoghi della
cultura materiale.
Si tratta di due aspetti in grado di trainare attività turistiche:
quindi ricettivo, ristorazione e commercio in generale, oltre alle attività
legate alla produzione agroalimentare e artigianale. Inoltre le ricadute
potranno creare altri posti di lavoro diversi da quelli classici, quali
guide naturalistiche, accompagnatori per attività ludico-sportive
o culturali. Si possono creare circuiti turistici e poli di attrazione tramite
visite guidate, work shop, esposizioni, spettacoli culturali, attività
ludico-sportive finalizzate a un turismo legato all'identità e all'ambiente,
con basso costo di investimenti in impianti perché fondato su strutture
"naturali", dai sentieri al ricettivo extra alberghiero.
Certo, i flussi non forniranno nell'immediato un apporto economico ottimale,
tuttavia la loro esistenza potrà avere un'influenza positiva per
la nascita di una nuova imprenditoria del settore.
E, per coordinare e gestire tutte queste attività nella zona, abbiamo
proposto quale forma di aggregazione possibile il "parco turistico".
Gli elementi per progettare lo sviluppo sono ovviamente da ricercare negli
attuali punti di forza e, considerando la scarsità del ricettivo,
bisognerà agire sui mercati di prossimità, per fortuna molto
consistenti, e su un turismo di escursione.
Oggi - insieme all'Ente Parco - si è pensato di realizzare una serie
di azioni a breve termine (dalla segnalazione del territorio attraverso
un marchio comune ricorrente, sulla segnaletica e sulla pubblicistica e
una segnaletica apposita a t`orme di promozione sulle scuole delle grandi
città), inserite e mirate alla fase di sviluppo del progetto vero
e proprio che si declina in quattro linee.
La prima prevede lo studio di circuiti tematici che integrino gli aspetti
ambientali con la scoperta del territorio e delle sue peculiarità:
storiche, culturali, i prodotti tipici...
La seconda ipotizza la creazione di un centro polivalente di ecologia fluviale:
si tratta da un lato di una struttura museale aperta al pubblico, e dall'altro
di un centro dedicato alla ricerca e alla formazione nei campi dell'idrologia
e della fauna e della flora fluviali, in grado di accogliere ricercatori,
docenti, studenti.
Date poi le dimensioni e le caratteristiche del territorio e di fronte alla
necessità di gestire e soddisfare flussi di turisti, la terza linea
progettuale considera la possibilità di aprire alcuni centri di accoglienza
dislocati in luoghi-chiave rispetto ai patrimoni e agli accessi.
La quarta linea ha per obiettivo il contribuire alla crescita del ricettivo,
soprattutto nell'ambito extra alberghiero, fornendo in un primo tempo un
supporto informativo riguardo alle opportunità offerte e, in un secondo
tempo, un servizio tecnico e di formazione per favorire lo sviluppo dell'imprenditoria
locale e l'eventuale riqualificazione di strutture esistenti.
* Docente di marketing territoriale e svilupo turistico - Institut
de Géographie Alpine - Université Joseph Fourier- Grenoble
I
Direzione della ricerca ME per conto dell'Ente Parco fluviale del Po |