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Parchi verso il Duemila
Gianni Boscolo *
Nel corso del 1997 la rivista regionale "Piemonte Parchi" ha chiesto
ad esperti la loro opinione su come vedevano i parchi all'ormai rituale
riferimento temporale del Duemila. Ne è emersa una visione "caleidoscopica"
delle aree protette che può essere utile ripercorrere proprio per
i particolari punti di vista che sono stati espressi.
Roberto Gambino è architetto, pianificatore, noto per aver partecipato
alla stesura di numerosi piani di parchi regionali ed è anche responsabile
del Ced-Ppn (Centro Europeo di Documentazione sulla pianificazione dei Parchi
Naturali) del Politecnico di Torino.
Sin dall'inizio Gambino evidenzia un paradosso dei parchi: proprio negli
anni in cui hanno conquistato una presenza stabile, diffusa e riconosciuta
nel mondo contemporaneo, ci si interroga sul loro futuro; anzi se esiste
un futuro per i parchi nel mondo del 2000.
Eppure non si tratta di una domanda retorica: accanto ad un crescente consenso,
crescono anche le critiche. E si tratta di un ventaglio ampio e di segno
diverso. Si va, ha scritto Gambino, dalle tradizionali contestazioni anti-protezioniste
(che ha conosciuto recentemente in U.S.A. un combattivo risveglio nei momenti
antiecologisti) al riconoscimento della crescente insufficienza delle politiche
dei parchi a fronte della diffusione pervasiva dei rischi ambientali, senza
ignorare le critiche "ambientaliste" che, soprattutto in anni
recenti, hanno investito le stesse politiche dei parchi in quanto potenzialmente
perturbatrici e generatrici di sovraccarichi ambientali.
In sintesi Gambino richiama i grandi dubbi, o temi di dibattito, che percorrono
la dialettica della salvaguardia.
E giusto continuare nelle politiche dei parchi, o non sarà meglio
puntare nel futuro su politiche di valorizzazione delle risorse naturali
tali da produrre effetti più equamente distribuiti tra i diversi
gruppi sociali, in particolare maggiori benefici per le comunità
locali? E opportuno investire nei parchi, o non converrà utilizzare
le scarse risorse disponibili per attuare azioni di tutela più ampiamente
diffuse sull'intero territorio (secondo la vecchia formula, "meno parchi,
più protezione")?
Premessa ad una risposta meditata e seria vi sono una serie di connotazioni
che occorre tenere presenti.
Innanzitutto il concetto di parco naturale copre oggi una varietà
estremamente eterogenea di aree soggette a speciale protezione. In secondo
luogo, gran parte dei parchi naturali è di origine recente. Ciò
vale soprattutto per l'Europa. Nell'insieme di 33 paesi europei oggetto
di recenti indagini sistematiche il numero dei parchi è passato da
circa 60 negli anni Cinquanta ad oltre 600 nel 1995, mentre la loro superficie
complessiva passava da poco più di 20.000 Kmq. a quasi 250.000 Kmq.
(pari a circa il 5% della superficie territoriale complessiva dei 33 paesi).
La crescita di 10 volte per il numero e di 12 volte per la superficie, è
stata caratterizzata da un andamento quasi esponenziale, con un'impennata
nell'ultimo decennio, nel corso del quale è stato istituito ben il
40% dei parchi europei; un impennata a cui hanno contribuito i paesi meridionali.
Ed infine, alla crescita dei parchi ha corrisposto un profondo cambiamento
nelle concezioni ispiratrici e nelle finalità ad essi assegnate.
Cambiamenti che sono stati accompagnati dalla "complessificazione"
dei sistemi di decisione, di gestione e di controllo.
Fatte queste premesse Gambino ritiene che la stessa ragion d'essere delle
politiche dei parchi nei prossimi anni 2000, dipendano dalla loro capacità
di diventare parte organica di più ampie politiche territoriali di
riqualificazione ambientale e di sviluppo sostenibile. In altri termini
dalla loro capacità di superare quella "separatezza" che
le ha in passato pesantemente caratterizzate, soprattutto per quel che concerne:
· il campo d'applicazione (è necessario "uscire dai confini"
delle aree protette);
· gli interessi presi in considerazione (è più necessario
che mai quell'approccio integrato all'ecologia umana che già Giacomini
predicava);
· le modalità di gestione e di risoluzione dei conflitti (è
necessario passare dalla logica del vincolo a quella della cooperazione).
E soltanto in una prospettiva di apertura e di radicamento territoriale
che i parchi potranno legittimarsi e continuare a raccogliere il consenso
sociale necessario.
Occorre tuttavia tener presente, ammonisce, che in un approccio integrato
la sfida si allarga, andando al di là del significato strettamente
ecologico. E tempo pertanto di pensare anche ad altre reti che già
innervano o sono destinate ad innervare il territorio, come le reti di fruizione
sociale delle risorse culturali e naturali largamente appoggiate in Europa
alle trame storiche del territorio.
Ampliare la sfida, allargare i temi, essere consapevoli della valenza che
travalica l'ambiente e la natura, dei parchi. Temi affascinanti, nuovi ed
impegnativi che Giorgio Osti ha affrontato con la consueta originalità
di approccio. Osti è un giovane sociologo che da tempo studia i fenomeni
culturali e sociali della ruralità e del turismo e delle aree protette
su cui ha già scritto alcuni testi.
Anche per Osti, la complessità è lo scenario di sfondo. Complessità
crescente della società che si riverbera sui parchi naturali.
Per i parchi del futuro si profilano almeno tre sfide: una largamente presente
nel dibattito, le altre due più oscure ma altrettanto importanti.
La prima sfida potrebbe essere chiamata della razionalità. I parchi
cioè dovranno essere strumenti efficienti per raggiungere determinati
obiettivi. I parchi sono strumenti di protezione della natura e, contemporaneamente
sono strumenti di valorizzazione economica delle risorse naturali. E forse
l'argomento più spesso richiamato ed abusato. Tuttavia, purché
si mantenga una certa cautela nelle previsioni non è privo di fondamento.
Questo tema, ricorda Osti, è ampiamente presente, anche se questo,
ovviamente, non significa che sia risolto. Ma il contributo più stimolante
al riguardo viene da un'economista, come vedremo più avanti. Nel
prossimo futuro, sintetizzo sempre le affermazioni di Osti, vi sono altre
due sfide che il parco deve raccogliere. La prima potrebbe essere definita
come la "socialità" e la seconda "investimento simbolico".
Su quest'ultima vi sono già delle riflessioni nella letteratura.
Il parco come luogo sacro, tempio della natura incontaminata. Esso richiama
il mito del paradiso terrestre, luogo in cui l'uomo viveva in armonia con
i propri simili, con Dio e con la natura. Su questa "simbolizzazione"
della natura i parchi possono e debbono assumere una funzione guida. Per
altro, essa non richiede grandi risorse materiali, si tratta di coltivare
una sensibilità culturale già diffusa fra i cittadini.
La terza dimensione è la meno nota, la frontiera più oscura
e tuttavia la più comune; i parchi luoghi della socialità.
"E una espressione frutto di una intuizione ancora acerba, avverte
correttamente Osti, che ha bisogno di essere specificata e verificata in
esempi plausibili. Tuttavia si possono immaginare due livelli: il primo
è il parco luogo della festa, dell'incontro gioioso fra persone non
vincolate da ragioni strumentali. Qualcuno ha definito i parchi una "bolla",
luogo in cui l'uomo si isola temporaneamente da preoccupazioni professionali
e materiali e vive un momento di libertà con i propri simili. E una
funzione dell'ambiente naturale vecchia come il mondo. Il parco è
la destinazione del viaggio, della gita di gruppo, del vuoto (vacanza) da
riempire".
Un secondo livello della socialità riguarda il parco nel suo insieme,
la sua conformazione. Su questo terreno il sociologo, attento alle caratteristiche
delle istituzioni non nasconde che "l'impressione che i parchi siano
strutture vecchie è però forte". E tuttavia si impone
la necessità di coltivare un'utopia, quella di aree protette affidate
a gruppi di cittadini, ad associazioni, ai residenti nelle borgate di confine.
Una sfida che richiede una capacità di mutamento, di visione autocritica,
di rinnovamento notevoli. E giustamente Osti fa osservare che per i parchi
"il peggio sarebbe pensare che debbano cambiare solo gli altri".
Si accennava alle problematiche economiche delle aree protette. Su questi
temi Piemonte Parchi ha chiesto l'opinione di Anna Natali, economista della
bolognese "Eco & eco", società che da tempo si occupa
di sviluppo economico in aree parco, zone marginali, o come dicono gli addetti
ai lavori, in economia diffusa. Anna Natali ha ripreso con particolare efficacia
di sintesi alcuni temi che ha già trattato su questa rivista.
In primo luogo occorre essere consapevoli che il futuro ruolo economico
dei parchi non sarà omogeneo, ma anzi molto differenziato, e per
due ragioni. Ragioni che Anna Natali spiega con due esempi lampanti. E del
tutto evidente, scrive, che i parchi dell'Emilia, e chi progetta lo sviluppo
di questi parchi, hanno a disposizione una geografia di condizioni sociali
ed economiche diversa da quella dei parchi della Calabria. Il sentiero da
aprire per creare nuove attività all'interno dei parchi non è
lo stesso, le risorse sociali, la cultura, i costumi, le competenze diffuse,
i sistemi di relazioni territoriali, il sistema politico, l'esperienza sono
diversi.
"L'istituzione parco non è nata come sappiamo per funzionare
nel campo sociale ed economico, per orientare le forze del mercato o per
decidere l'equilibrio più opportuno tra mercato e stato, tra intervento
pubblico e iniziativa privata. E nata soprattutto per fare da argine alle
forze del mercato e per mettere la natura in salvo, difenderla e proteggerla
anche contro le ragioni economiche. E solo di recente che l'istituzione
è stata chiamata, con intensità sempre crescente, a essere
più sensibile, nel modellare il proprio sistema di regole e i propri
criteri di azione, anche alla società e all'economia locale e a svolgere
un ruolo propulsivo e di stimolo ai fini di sviluppo. Su questo terreno
nuovo, sta vivendo ancora il tempo della sperimentazione e della ricerca
di modelli. In altri paesi europei, questa ricerca appare più avanzata,
più pronta e più vivace".
In Italia la situazione è, per certi versi arretrata, per altri rischia
di essere presa alla sprovvista. Infatti i lavori socialmente utili nel
Parco del Pollino, nel parco del Vesuvio, e in altre aree del sud, hanno
letteralmente travolto i parchi, mettendoli in condizione di gestire un
intervento di politica del lavoro a impronta sostanzialmente assistenziale
come se fosse la loro azione a favore dello sviluppo.
E lucidamente l'economista mette in guardia dai pericoli. E forte il rischio,
scrive sempre la Natali, che sotto la pressione della domanda di occupazione
i grandi parchi del Sud, che non hanno ancora avuto il tempo di maturare
una propria politica di sviluppo, e ancora non hanno propri programmi in
questo campo, si trovino di fatto a spendere tutte le loro energie nel controllo
di situazioni esplosive e senza futuro, e a non dedicare invece alcuna energia
all'intervento di sviluppo vero. D'altra parte (in chiave questa volta positiva)
i patti territoriali, "pensati per sollecitare la convergenza degli
sforzi pubblici e privati a favore dello sviluppo manifatturiero o turistico
di aree definite, si stanno imponendo come una nuova filosofia di intervento,
e si può prevedere che non tarderanno a interessare i parchi".
Fin qui il contributo del pianificatore, del sociologo e dell'economista.
Ne ho, pur nella necessaria sintesi, fornito un riassunto ampio perché,
a mio parere, costituiscono i terreni più nuovi ed innovativi su
cui il dibattito culturale dovrebbe incentrarsi. Si tratta di percorsi non
semplici ma inevitabili se si vuole, come auspicava nel numero scorso Ippolito
Ostellino, direttore del parco del Po torinese, costruire un'immagine culturale
forte ed originale dei parchi della vecchia Europa.
Ma i contributi ospitati da Piemonte Parchi non perdevano di vista altri
aspetti, per così dire, più consueti che pur schematicamente
vorrei richiamare.
Giovanni Borgarello e Boris Zobel del Laboratorio didattico di Pra Catinat
hanno sviluppato in modo articolato il percorso auspicato ed auspicabile
perché la funzione di "laboratorio" possa diventare realtà
per le aree protette. Nel loro contributo si sono posti la domanda di quali
possano essere le condizioni sufficienti per trasformare i parchi in laboratori
funzionali e necessari anche ad altri enti ed istituzioni: ai Comuni e alle
Comunità Montane che ne condividono tutto o parte del territorio,
ma anche a tutti i soggetti pubblici e privati che "abitano" questo
territorio.
La risposta è un articolato progetto di iniziative e modifiche dei
e sui parchi per rendere operativa, reale e concreta la cosiddetta funzione
"laboratorio" poiché, concludono "servono sempre più
urgentemente sedi e strumenti per riflettere, per confrontare e per analizzare
tentativi ed esperienze; ma serve anche qualcuno con
la volontà e la convinzione di cominciare perché tutto ciò
non rimanga una delle tante idee sulla carta".
Volontà e convinzione di qualcuno, ossia le risorse umane, la
seconda, dopo la natura, vera ricchezza dei parchi. Di questo hanno scritto
Domenico Rosselli e Luca Giunti, entrambi guardiaparco piemontesi (il primo
nel parco della Val Troncea, il secondo in quello dell'Orsiera). Esaminata
l'evolversi della loro figura professionale in rapporto ai mutamenti intercorsi
nella quotidiana attività dei parchi in oltre vent'anni di esperienza
piemontese ecco come concludono l'articolo citato: "Dall 'originaria
figura della guardia sempre in lotta con i bracconieri, che nei momenti
liberi si dedicava ad attività manuali in ambito forestale, si è
forse ora passati all 'estremo opposto, con l 'aspettativa che questa figura
professionale possa rispondere in modo adeguato a tutte le complesse esigenze
che il controllo e la gestione del territorio comporta, e con il rischio
concreto che la molteplicità e dispersione delle funzioni possa in
alcune circostanze risultare eccessiva. Da un lato le nuove funzioni che
in questi anni i parchi naturali sono stati chiamati ad assolvere hanno
rappresentato un'importante occasione di crescita per il nostro lavoro,
dall'altro avvertiamo il concreto rischio che la perdita di una precisa
identità professionale possa, come già si è verificato
in alcuni casi in passato, essere utilizzata da chi ha interesse ad allentare
ed indebolire la primaria ed irrinunciabile funzione di controllo del territorio
e del rispetto delle norme legislative preposte alla sua tutela".
Ed infine il contributo del direttore di Parchi, Renzo Moschini. Un intervento
il suo che richiama, pur nella doverosa iniziativa del singolo parco e nella
indispensabile attività di promozione culturale e scambio di esperienze
demandata al coordinamento nazionale, il ruolo, inteso anche come "dovere"
del Ministero dell'Ambiente. Moschini denuncia infatti una carenza progettuale,
una mancanza di "visione d'insieme" indispensabile nella realtà
e nella storia delle aree protette del nostro paese. "Ora, - scrive
appunto il direttore della rivista - una delle ragioni principali (anche
se non unica) di questa carenza progettuale credo vada ricercata nella mancata
predisposizione della "Carta della natura" prevista dalla Legge
quadro 394. Con questa norma - è bene ricordarlo - per la prima volta
si chiedeva alle istituzioni di governo di compiere un monitoraggio di carattere
non settoriale sullo stato della natura del nostro paese, da porre a base
di una politica di programmazione delle aree protette".
Infatti soltanto un quadro conoscitivo aggiornato e intersettoriale dello
stato della natura permetterebbe infatti prima ancora che ai singoli parchi
al sistema nazionale delle aree protette, di agire in maniera coordinata
e non secondo logiche frammentate. Perché nonostante che i parchi
siano chiamati ad impegnarsi, e si impegnino, su terreni vari, "caleidoscopici"
appunto, tutti importanti a costruire quell'immagine ed identità
di cui sono carenti, resta la finalità prima ed insostituibile: la
salvaguardia della natura. E giustamente Moschini esorta ad una ricerca,
anche "spregiudicata" di una forte identità, che deve però,
essere originale. Perché conclude, "più un parco si identificherà
con una comunità montana o una azienda turistica meno riuscirà
ad assolvere alla sua insostituibile e peculiare funzione sul piano generale".
* Redazione Parchi |