PARCHI | ||
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali NUMERO 24 - GIUGNO 1998 |
||
Il ritorno del Gipeto Laura Martelli* |
||
Un progetto a lungo termine che inizia oggi a dare i primi risultati La reintroduzione di una specie viene spesso presentata dai mezzi di comunicazione di massa come sinonimo di rilascio di un certo numero di soggetti in una determinata area; il progetto sembra a questo punto terminato, e si indirizza l'attenzione dell'opinione pubblica verso altri argomenti. Si dimentica che ricreare una popolazione stabile, autonoma ed in grado di riprodursi anche nelle successive generazioni, è un processo che richiede tempi lunghi, una conoscenza approfondita della specie e dell'ambiente che dovrà ospitarla e, non ultimo, disponibilità finanziarie durature; molti progetti vengono infatti interrotti anche per mancanza di fondi: parte del danaro necessario è spesso donato da associazioni o privati che non sono però disponibili a supportare i progetti per lunghi periodi; anche i finanziamenti pubblici hanno solitamente brevi scadenze. Nato ufficialmente nel 1976, il Progetto Internazionale di reintroduzione del Gipeto sulle Alpi inizia oggi ad ottenere i primi ed importanti risultati, ma a 22 anni di distanza, non può essere ancora considerato concluso. |
||
La specie Il gipeto (Gypaetus barbatus) è l'unica specie del genere Gypaetus e, come tutti gli avvoltoi del "vecchio mondo", appartiene alla famiglia degli Accipitridi. Il suo nome deriva dal greco giyps (avvoltoio) e aetòs (aquila) mentre barbatus è stato probabilmente suggerito dalle caratteristiche penne che, circondando l'occhio, scendono lungo il becco a formare una specie di barba. Il significato funzionale di tali penne è ancora sconosciuto ma si ipotizza abbiano un ruolo sensoriale. Necrofago come gli altri avvoltoi, il gipeto si è, però, ulteriormente specializzato, occupando una nicchia trofica particolare; la sua dieta, infatti, è costituita prevalentemente da ossa, da cui è in grado di trarre le sostanze nutritive. Le ossa, contrariamente a quanto attualmente si crede, sono ricche di proteine e vitarnine ed hanno un potere calorico pari a quello della carne fresca. In genere, il gipeto consuma ossa piccole e leggere, come vertebre e costole, che è in grado di ingerire intere; quelle di dimensioni più grandi vengono invece trasportate in volo e poi fatte cadere su rocce piatte al fine di frammentarle e renderle così adatte ad essere ingoiate. Studi condotti nei Pirenei hanno rivelato che ogni gipeto individua nel proprio territorio alcune pietre da utilizzare a tale scopo (denominate "rompitoi") ed è probabilmente questa caratteristica che ha suggerito l'antico nome latino ossifagus, usato nella passata terminologia scientifica. Semplici adattamenti hanno poi risolto il problema dell'ingestione e della digestione: la grande apertura della bocca e della gola, la parete dell'esofago indurita da cheratina e l'assenza del gozzo permettono infatti ai gipeti di inghiottire intere, ossa di notevoli dimensioni (fino a 25 cm di lunghezza e 3-4 cm di larghezza). L'elevata acidità dei succhi gastrici è poi in grado di sciogliere i sali minerali che conferiscono rigidità alle ossa. Tale adattamento, oltre ad aver ridotto la competizione alimentare con altre specie animali è particolarmente favorevole alla vita in ambiente alpino dove le risorse alimentari possono essere scarse e di limitata durata, mentre le ossa delle carcasse sono disponibili per lungo tempo. La ricerca del cibo è effettuata singolarmente o in coppia, perlustrando in volo il territorio sottostante; studi condotti in Sudafrica hanno rilevato che un gipeto adulto spende gran parte della giornata (intesa come ore di luce) volando alla ricerca di cibo. E un ottimo veleggiatore ed è in grado di sfruttare non solo le correnti ascensionali ma anche quelle dette "di pendio" e le "correnti d'onda". E comunque più facile osservarlo perlustrare il terreno a poche decine di metri di altezza, alla ricerca di cibo. E stata poi calcolata la velocità media che risulta essere pari a 40 km/h, ma può raggiungere anche i 200 km/h in picchiata. Il gipeto è un animale territoriale ma la densità di individui è estremamente variabile a seconda delle aree in cui vivono; ad esempio in Sudafrica è stata stimata in 1 coppia ogni 167 krn2, mentre in Europa risulta essere molto inferiore (in Spagna, nei Pirenei, la distanza media fra due nidi vicini è di 13,2 km contro i 6,3 km in Sudafrica). Come altri uccelli, i gipeti frequentano maggiormente l'area in prossimità del nido rispetto a quella periferica, ma la difesa attiva del territorio avviene solo nelle immediate vicinanze del sito di nidificazione (un raggio di alcune centinaia di metri) e unicamente durate la stagione riproduttiva. Sebbene il gipeto sia una specie monogama, in alcuni casi è stata rilevata l'esistenza di trii, cioè due maschi e una femmina che occupano stabilmente un territorio e partecipano in comune al ciclo riproduttivo (poliandria riproduttiva). Tale fenomeno, piuttosto raro nei rapaci, non ha ancora avuto una spiegazione scientifica relativa ai benefici apportati da una simile situazione. Sono animali longevi (in cattività alcuni soggetti hanno superato i 40 anni di età) e la prima deposizione avviene fra i 5 e gli 8 anni; ogni coppia possiede, nel proprio territorio, dai 2 ai 5 nidi. Il periodo di nidificazione varia in base all'areale: in Europa le parate nuziali si compiono in inverno e le uova, solitamente due, vengono deposte ad alcuni giorni di distanza nei mesi di dicembre-gennaio. Entrambi i genitori si alternano nella cova per un periodo complessivo di 55-60 giorni; la schiusa avviene, infatti, nel mese di marzo e i giovani trascorrono nel nido circa 110-130 giorni prima di involarsi. Spesso, però, solo un giovane sopravvive; se entrambe le uova si schiudono, il più forte, rappresentato generalmente dal primogenito, tende a prevalere sul fratello. Si tratta di un fenomeno (cainismo) molto diffuso nei rapaci. Il periodo di allevamento, la primavera, coincide con la stagione più favorevole per quanto riguarda la disponibilità alimentare: lo sciogliersi della neve fa riemergere, lentamente, le carcasse degli animali morti durante l'inverno. Dopo l'involo i giovani rimangono in prossimità del nido facendo brevi voli, ma dopo un mese sono già in grado di compiere lunghi spostamenti; iniziano, quindi, a seguire i genitori che abbandonano nella nuova stagione riproduttiva. |
||
Distribuzione e cause dell'estinzione della specie sulle Alpi. La specie è presente sulle montagne meridionali della Regione Paleartica e su quelle orientali e meridionali della Regione Afrotropicale. Per quanto riguarda l'Europa, I'attuale areale è molto ridotto rispetto a quello passato ed è limitato, con esigue popolazioni, ai Pirenei, alla Corsica, alla Grecia e a Creta. Sulle Alpi, il gipeto si estinse ad inizio secolo; I'ultima nidificazione nota in Austria risale al 1880, in Svizzera al 1888, mentre in Francia l'ultima coppia fu uccisa nel 1910. L'ultimo abbattimento conosciuto in Italia risale invece al 29 ottobre 1913 a Rhèmes in Valle d'Aosta ed è relativo ed un "vecchio maschio solitario". In Italia il gipeto fu il primo rapace a godere della protezione assoluta sancita dal Testo Unico sulla Caccia del 1939 (occorre infatti ricordare che gli altri rapaci e predatori sono stati considerati "nocivi" fino a tempi recenti!). Ovviamente per la popolazione alpina fu troppo tardi e la protezione legale non riuscì neanche a tutelare l'esigua popolazione ancora presente in Sardegna, che dopo poco si estinse. Per quanto riguarda l'Italia, le notizie storiche relative alla scomparsa sono molto scarse; scomparve dapprima nel settore orientale, quindi su quello centrale e per ultimo in Valle d'Aosta e sulle Alpi Marittime. La diminuzione degli effettivi della fauna selvatica ha senza dubbio influito sulla sua estinzione, ma la principale causa è comunque da attribuire all'uomo che attuò una sistematica persecuzione nei suoi confronti; nelle riserve reali di caccia del Gran Paradiso e di Valdieri-Entracque, ad esempio, era posta una lauta taglia per ogni gipeto ucciso. Bocconi ed altre esche avvelenate usate per uccidere gli "animali nocivi", principalmente lupi e volpi, colpirono poi indirettamente anche i gipeti; in ultimo non deve essere dimenticata la raccolta di esemplari da parte dei collezionisti. Ad inizio secolo, la specie si era di fatto estinta sulI'arco alpino, sebbene successivamente sia stata sporadicamente segnalata la presenza di individui, per lo più immaturi solitari, nelle Alpi Marittime, nel Gran Paradiso, in Alta Savoia e negli alti Tauri. Si presume che questi individui provenissero dalla Corsica, dalla Croazia o dalla Grecia. |
||
Primi tentativi di reintroduzione Già nel 1922 I'ornitologo svizzero C. Stemmler propose di reintrodurre il gipeto sulle Alpi, ma solo negli anni '70 avvennero i primi tentativi. Il 15 giugno 1973 fu presentato a Chamonix il progetto di G Amigues('), che prevedeva la costituzione di una voliera atta ad ospitare una o due coppie di gipeti (di 2-3 anni di età) fatti appositamente pervenire dallo zoo di Kabul in Afghanistan. In seguito si sarebbe deciso se liberare gli stessi individui, dopo un periodo di acclimatizzazione, od aspettare la nascita di piccoli e rilasciare questi ultimi. Il 4 ottobre 1973 arrivarono le due coppie, che risultarono però essere state catturate in volo. Alcuni mesi dopo un individuo morì di aspergillosi, mentre un secondo riuscì a fuggire il 21 agosto 1974: in modo del tutto imprevisto la reintroduzione era iniziata e l'animale era ancora osservato il 12 settembre dello stesso anno nel Parco del Gran Paradiso. La scomparsa del terzo individuo nell'aprile 1975, fece decidere per la liberazione anche dell'ultimo esemplare rimasto, che fu trovato ferito a morte nel Massif Central, a circa 300 km dal luogo di rilascio. Il primo tentativo di reintroduzione si era quindi concluso in modo fallimentare. In seguito al successo riproduttivo di alcune coppie ottenuto nello zoo di Innsbruck e all'affermarsi di nuove regole da adottare nelle reintroduzioni(2), un gruppo di ricercatori europei presentò a Morges (Svizzera). Il Progetto Internazionale di Reintroduzione del Gipeto sulle Alpi. La riunione si svolse nella sede dell'IUCN, con il patrocinio del WWF e della Frankfurter Zoologische Gesellschaft. Dal 1993 tale progetto è gestito e finanziato in gran palte dalla Foundation for the Conservation of the Bearded Vulture. |
||
*Biologa - guardiaparco Parco Alpi Marittime |
||
1. Capo del Servizio di Gestione delle Acque e dello Spazio Naturale nella Direzione Dipaltimentale dell'Agricoltura ad Annecy. |