Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 25 - OTTOBRE 1998
 

Osservatorio regionale
a cura di Roberto Sainz


In un momento storico per la Pubblica Amministrazione, quale è quello attuale contrassegnato dalle novità introdotte dalla così detta legge "Bassanini", le Regioni si sono messe in moto per aggiornare la loro legislazione alle nuove normative.
Come è noto e come abbiamo già avuto modo di scrivere su questa rivista, il tema parchi per espressa richiesta e per volontà del Ministro Ronchi, non compare nel pacchetto "Bassanini" e ciò con particolare riferimento alla questione Parchi Nazionali: peraltro, poiché molte delle materie che sono, al contrario, oggetto della "Bassanini", quali l'agricoltura, il turismo, i trasporti etc., si intrecciano strettamente con le aree naturali protette, in quanto comunque territorio, le Regioni, nel porre mano al riordino legislativo, non possono fare a meno di incrociare la strada dei parchi introducendo deleghe di funzioni amministrative che interessano i territori protetti.
Il rischio di queste "attenzioni" regionali, come temuto dal Ministro Ronchi per le aree naturali protette nazionali, è determinato dal fatto che una auspicata evoluzione della politica di tutela, che comporta anche l'assunzione di responsabilità da parte dei Comuni e delle Province, si trasformi in realtà in una involuzione che potrebbe provocare un arretramento anche dei sistemi di tutela consolidati ed efficienti.
Se prendiamo ad esempio quanto sta avvenendo nella Regione Piemonte, riconosciuta a buon diritto come una delle regioni più attive ed efficienti per quanto attiene la politica dei parchi e delle riserve naturali, possiamo renderci conto dell'attualità del rischio involutivo del quale si è accennato: infatti, a fronte di un Sistema di aree protette funzionale ed efficace (57 aree naturali protette, 30 miliardi/anno di spesa diretta, 380 dipendenti in attività sul territorio), la Giunta Regionale piemontese propone, attraverso un apposito disegno di legge, di "frantumare" il Sistema individuando, tra le esistenti, aree di interesse regionale, aree di interesse provinciale ed aree di interesse locale affidando ad ogni livello amministrativo corrispondente il compito di gestire queste aree.
Si tratterebbe di un'operazione che va, a giudizio dello scrivente, in direzione opposta a quello che dovrebbe essere il vero obiettivo da perseguire e cioè quello di rafforzare il Sistema invece di "spaccarlo".
Infatti, se l'obiettivo è quello di garantire la presenza di un Sistema di aree naturali protette tra loro collegate in rete, l'ultimo dei problemi da porsi (e ciò dovrebbe valere anche per l'auspicato Sistema Nazionale) dovrebbe essere quello dell'etichetta - nazionale, provinciale, locale - mentre dovrebbe diventare prioritaria l'assegnazione ai diversi livelli istituzionali delle funzioni amministrative che consentano di rendere snello il funzionamento del Sistema e sempre più efficiente la sua gestione: in altri termini sarebbe opportuno pensare ad un decentramento delle pratiche e dei controlli, mantenendo ai livelli centrali la vera funzione di governo e cioè la programmazione e la definizioni degli obiettivi.
Con un paragone anatomico il centro svolgerebbe il ruolo del cervello, mentre i livelli istituzionali più vicini alla gente avrebbero la funzione di braccia operative.
Se l'orientamento che si sta delineando in Piemonte non cambierà in questa direzione, anche attraverso il contributo costruttivo di Comuni e Province, oltre che degli Enti di gestione delle aree protette, assisteremo ad una fase involutiva pericolosa per la stessa sopravvivenza dei parchi e delle riserve naturali.
Un altro segnale pericoloso lo cogliamo dalla Regione Lombardia, altra Regione che, seppure attraverso un percorso ed una filosofia di approccio al tema molto differenti, ha costruito nel tempo una rete estesa di aree naturali protette. In questo caso assistiamo ad una inversione del rapporto interesse pubblico/interesse privato che, come è noto, dovrebbe sempreessere sbilanciato a favore dell'interesse della collettività e non dell'interesse del singolo o dei singoli: infatti, nell'approvare il Piano regionale delle cave, la Regione Lombardia ha individuato questo strumento senza dubbio importante sotto il profilo economico, come prevalente rispetto agli altri strumenti di pianificazione territoriale, ivi compresi i Piani Territoriali dei parchi.
In altri termini un Piano Territoriale di un'area protetta, contrariamente a quanto espressamente previsto dall'articolo 25 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, dovrebbe adeguare i propri contenuti alle previsioni del Piano cave e non viceversa.
Si tratta di un segnale molto importante rispetto alla politica dei parchi in quanto le viene sottratta una delle funzioni principali e cioè quella dell'organizzazione del territorio da utilizzare come modello di pianificazione da esportare all'esterno. Il paradosso di tutto ciò sta nel fatto che fu proprio la Regione Lombardia, nell'ormai lontano 1973, a "sfondare" le resistenze statali in ordine alla competenza regionale ad istituire parchi e riserve naturali usando il grimaldello della pianificazione territoriale globale nella quale si doveva riconoscere la politica di tutela ambientale rappresentata dalle aree protette.
Gli esempi riportati relativi alle politiche in atto da parte di due Regioni importanti quali la Lombardia ed il Piemonte costituiscono un significativo campanello d'allarme per i parchi e per la costruzione di una vera e solida politica delle aree naturali protette che abbia un respiro nazionale.