PARCHI | ||
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali NUMERO 25 - OTTOBRE 1998 |
||
Non solo Portofino Renzo Moschini |
||
Ma a surriscaldare la polemica sui giornali nei giorni caldissimi di agosto è stato soprattutto il decreto firmato il 6 giugno dal ministro Ronchi per la istituzione della riserva marina di Portofino. Politici e personalità eccellenti che probabilmente per la prima volta si occupavano di una materia, generalmente riservata agli "esperti", hanno interrotto per un momento le loro tranquille vacanze per dettare ai giornali dichiarazioni bellicose contro il ministro e il governo a cui ha fatto poi seguito persino una manifestazione che ha visto sfilare barche più avvezze alle crociere che alle proteste. Anche il parco di Portofino, i comuni, la regione, le categorie economiche che si sono visti piombare addosso un provvedimento che rimandava, tra l'altro, I'individuazione dell'organo preposto alla gestione di una materia così scottante, hanno levato la loro voce manifestando disaccordo e critiche. Dinanzi a interventi del genere e alla leggerezza con cui qualsiasi posizione non encomiastica nei confronti degli atti del ministero viene liquidata come antiparco, e quelle a favore bollate come rovinose, occorre intervenire con molta determinazione e chiarezza per ribadire che per fortuna le sorti e il futuro delle aree protette marine e terrestri del nostro paese non sono affidate all'esito di un torneo tra pochi duri e puri dell'ambientalismo e una pattuglia di dichiarati nemici dei parchi, che manovrerebbero però una massa amorfa e stolta di cittadini dai loro yacht. Cominciamo col dire che rispetto ai casi precedenti anche recenti, come quello della Maddalena, dove pure si era intervenuti con un decreto il quale non individuava contestualmente l'organo preposto alla gestione dei vincoli, questa volta c'era e c'è una rilevantissima novità di cui, per quante capriole si facciano, non è possibile non tener conto. E la novità sta nel fatto che oggi è in vigore la legge Bassanini. Chi legge il decreto per Portofino scoprirà con sorpresa che nel lungo elenco delle leggi "viste" e in base alle quali sono fissate le disposizioni manca qualsiasi riferimento a quella legge. La quale agli articoli 77 e 78 stabilisce che per la individuazione, istituzione, disciplina generale e l'adozione delle relative misure di salvaguardia delle riserve statali marine e terrestri lo stato deve prima sentire la Conferenza unificata (quindi stato, regioni ed enti locali) e poi conferire alle Regioni o agli enti locali la loro gestione "d'intesa" con la Conferenza stato-regioni. Si tratta, come può agevolmente capire anche chi non è granché esperto di legislazione, di una norma molto importante specie dopo l'abrogazione del comitato per le aree naturali protette perché riconduce ad una sede 'collegiale' la istituzione anche di singole riserve le quali, peraltro, debbono essere istituite in base ad un disegno (carta della natura etc). Non sono in sostanza soltanto le regioni e gli enti locali interessati che debbono essere sentiti e con i quali si deve trovare una intesa, ma anche l'organo che li rappresenta collegialmente. Detto in altri termini anche la istituzione di una singola riserva deve rispondere a ragioni, motivazioni e scelte "nazionali" che come tali debbono essere - e non potrebbe essere che così alla luce dei criteri che ispirano la legge Bassanini - prese insieme, sulla base appunto di quella "leale collaborazione" rivelatasi finora nei fatti poco più di una grida manzoniana. Ciò è tanto vero che la legge "sui nuovi interventi in campo ambientale" stabilisce - e anche questa è una significativa novità - che ad esercitare la vigilanza sulle aree protette marine saranno anche le polizie degli enti locali delegati alla loro gestione. Ecco perché la vicenda di Portofino per quanto possa apparire, al di là della 'intensità' più o meno prevista e prevedibile delle proteste, così uguale a tante altre che l'hanno preceduta, non lo è del tutto. A fare la differenza, infatti, è proprio il nuovo contesto amministrativo-istituzionale entro cui essa si colloca. A stare alle dichiarazioni anche del ministro tutto sembra invece ridursi a qualche eccesso e malinteso visto che nella sostanza lui avrebbe tenuto conto delle proposte fattegli un anno fa dalla regione. Sorprendente in queste "precisazioni" e messe a punto è, ad esempio, che non sia mai stato fatto alcun riferimento alla richiesta del Parco di Portofino il quale anche alla vigilia della emanazione del decreto ha avanzato la sua candidatura alla gestione della riserva. Sulle ragioni che starebbero alla base di questo atteggiamento qualche giornale ha scritto che è evidente che il ministro non intende perdere il controllo della riserva tanto più che non è escluso che per Portofino egli abbia già in mente unapersonalità di spicco del mondo ambientalista che potrebbe dargli maggiori garanzie. Non sappiamo naturalmente se ciò risponde in tutto o in parte a verità, è certo però che troppi precedenti rendono l'ipotesi più che verosimile. D'altronde anche talune posizioni delle associazioni o di esponenti ambientalisti difficilmente possono trovare una spiegazione razionale se non fossero in qualche misura condizionate da una ricerca di 'collocazione' di propri esponenti. Non si dica che stiamo facendo della dietrologia a buon mercato perché la vicenda prima dei direttori e poi di tante altre nomine e designazioni difficilmente si spiegherebbero se la abusatissima e altisonante quanto vaga locuzione "personalità" del mondo ambientalista, non fosse già servita a operazioni discutibili e tutt'altro che trasparenti le quali ricordano metodi in voga in altri tempi. E vogliamo dire queste cose che sembrano averci allontanato dal punto che stavamo discutendo (ma non è così) proprio alla vigilia di una serie di scadenze riguardanti le presidenze e i consigli di alcuni parchi nazionali. La legge 394 concettualmente aveva superato questa anacronistica separazione puntando su una integrazione che per funzionare avrebbe avuto però bisogno di un forte rilancio di una politica di sistema come del resto stabilisce e prevede la Carta della Natura concepita e pensata come uno strumento "unitario", volto cioè a fornire gli elementi conoscitivi indispensabili per i parchi e riserve terrestri e marine. Ma questo purtroppo finora non è avvenuto. Anzi, c'è di peggio, perché in questi anni si sono di fatto e arbitrariamente introdotte nuove e perniciose divisioni inventando gerarchie tra i parchi (nazionali e regionali) assolutamente non previste e non volute dalla legge quadro. La vicenda di Portofino al di là di quanto può esserci e sicuramente c'è di strumentale in tante proteste, preoccupa perché conferma, proprio nel momento in cui l'insieme delle politiche delle aree protette è ricondotto ad un unico ministero, quello dell'ambiente, una visione non unitaria, non integrata del sistema complessivo delle aree protette. Oggi la istituzione di una riserva marina specialmente in realtà ove operano parchi terrestri non può essere, o anche solo apparire, come qualcosa di distinto e di diverso rispetto alle esperienze e al lavoro di quei parchi. Va da sé ovviamente, che il mare ha le sue specificità ma esse sono tali appunto rispetto ad una situazione e realtà complessiva con la quale una riserva marina non può non rapportarsi anche per quanto riguarda la sua gestione. Purtroppo di questa visione unitaria, sistemica non vi è traccia nei provvedimenti ministeriali i quali sembrano ispirarsi ad una settorialità che trova giustificazione esclusivamente nella volontà di affermare un 'primato' ministeriale assolutamente incompatibile e in contrasto con la legislazione più recente. Un primato che continua a confondere una politica nazionale di cui vi è inderogabile bisogno, e che latita, con l'esercizio di funzioni amministrative che spettano ad altre istituzioni. Per quanto possa apparire paradossale l'anacronistica pretesa (è giusto definirla così) di mantenere a Roma certe funzioni anziché rendere più autorevole, incisivo ed efficace il ruolo dellostato lo immiserisce e lo depotenzia. Per rimanere all'esempio di Portofino - ma questo vale anche per tutte le altre riserve marine istituite o di cui è imminente la istituzione - che senso ha proporre come fa Pratesi un 'consorzio' per la gestione della riserva? Sorvoliamo pure sul fatto che, fa un certo effetto, sentir proporre un consorzio da parte di chi contro i consorzi che gestivano e tuttora in qualche caso gestiscono i parchi regionali ha fatto una durissima campagna ricorrendo anche petizioni per chiederne lo scioglimento, vedendo in questi organi lo strumento del peggiore "localismo". Ma su quali basi si può fare una simile proposta sostenendo addirittura che la legge lo obbliga a scegliere tra il consorzio e la capitaneria di porto? Quando l'art. 78 stabilisce l'affidamento (obbligatorio) della gestione delle riserve a regioni o enti locali non possono esserci dubbi che "altre" soluzioni sono da escludere. Non può essere la capitaneria di porto che ha compiti di vigilanza (malamente svolti in questi anni perché impropri rispetto agli scopi di un'area protetta) e non ai consorzi che sono strumenti a cui possono ricorrere gli enti locali, ma che non sta al ministero decidere. Del resto, qualora la gestione fosse conferita alla regione essa dovrebbe in ogni caso, come prevede la legge Bassanini, essere trasferita agli enti locali in quanto anche le regioni non debbono svolgere compiti di amministrazione diretta se non in casi speciali. Ora il caso di Portofino presentava e presenta una peculiarità di grande interesse proprio perché qui la regione, d'intesa con gli enti locali, si è già dotata di una struttura "aperta", l'ente di gestione del parco che ha carattere di collegialità e non è riservata unicamente agli enti locali come il consorzio. In altri termini dal momento che la legge 142 e ora anche la legge Bassanini, stabilisce che le regioni debbono non solo affidare la gestione delle funzioni amministrative agli enti locali, ma debbono farlo favorendo e promuovendo la collaborazione intercomunale e tra i comuni e le province, la presenza del parco e di un ente di gestione offre già lo strumento dotato di tutte queste caratteristiche. Importante quindi la decisione unanime di regione, provincia e comuni di indicare il parco - che ha sicuramente le caratteristiche di ente pubblico di cui parla la 979 - come affidatario della gestione della riserva. Francamente non si comprende l'esitazione e il tergiversare del ministero su questo punto e la sua decisione di rivolgersi al consiglio di stato per avere lumi. Vale la pena di ripeterlo; queste considerazioni valgono per Portofino ma anche per altre realtà. Certo dove la riserva marina riguarderà aree sulle quali non operano aree protette terrestri si dovrà procedere alla istituzione di un organo digestione che non potrà non investire la diretta responsabilità delle istituzioni decentrate. Questi argomenti, che evidentemente non si prestano molto per titoli ad effetto, non hanno trovato, se non fugacemente e spesso approssimativamente, attenzione sui giornali. Così come nessuno sembra porsi il problema non del tutto chiarito neppure nella legge che parla, indifferentemente di parchi o riserve marine, quasi si trattasse della stessa cosa. Segno evidente che permane una preoccupante incomprensione e sottovalutazione in troppe sedi di cosa ha significato e può significare veramente anche per le aree protette una coraggiosa e convinta attuazione di una politica di sistema. Ma questo dimostra anche un'altra cosa sulla quale occorre essere molto netti, anche a costo di mettere in discussione qualche "tabù". Una politica efficace per le aree protette, marine e terrestri oggi dipende soprattutto dal tipo di gestione di questa politica nella fase di impostazione generale e di attuazione. La vocazione ambientalista di taluni importanti soggetti se non saprà sciogliere questo nodo, se non saprà cioè misurarsi apertamente con questi problemi, conserverà certamente una sua capacità di polemica e di denuncia, ma difficilmente potrà raccordarsi attivamente e costruttivamente con lo sforzo che è richiesto oggi a tutti i livelli istituzionali. Si ha talvolta l'impressione che i processi in corso a livello istituzionale che si dovranno far carico anche in qualche misura e per quanto possibile, degli effetti negativi prodotti dal fallimento delle riforme costituzionali, siano vissuti con estremo disagio e insofferenza perché visti come insidia e minaccia ad un potere ministeriale, considerato evidentemente determinante a fronte di una sistema decentrato ritenuto riottoso e inaffidabile. Non si spiega altrimenti che, ad un anno dalla prima conferenza nazionale non sia accaduto assolutamente niente. Che neppure dinanzi alle denunce che cominciano a fioccare per l'ammontare più che ragguardevole dei residui passivi dei parchi nazionali, un fenomeno sconosciuto dai parchi regionali, non si trovi di meglio che assicurare che da Roma si aiuteranno i comuni a fare i progetti così riusciremo a spendere. C'è qualcosa di patetico in queste risposte che sembrano ignorare che oggi, la capacità di spesa delle istituzioni, ossia la loro capacità progettuale dipende innanzitutto da come esse riescono a stare in rete, raccordarsi ai giusti livelli regionali, provinciali, locali. L'idea di un filo diretto ministero - comuni, al di là di altre considerazioni che pure meriterebbero di essere sviluppate sotto il profilo istituzionale, mostra chiaramente la corda per la sua velleità a dimostrazione che l'esperienza dell'art. 7 della 394 ha insegnato poco o niente. I parchi regionali generalmente spendono e spendono abbastanza bene perché regioni, province e comuni collaborano 'naturalmente' e non in via straordinaria. Ai parchi nazionali invece finora è mancato questo raccordo perché ci si è illusi che sarebbe bastato il rapporto "diretto" con il ministero che doveva essere tanto diretto al punto che gli si scodellava anche il direttore. Ma davvero si pensa di sbloccare le cifre immobilizzate dai grandi parchi, specie del sud, senza intervenire per mettere appunto in rete regioni, province e comuni? Dice nulla il fatto che le sole riunioni con il complesso delle istituzioni interessate ai nuovi parchi nazionali sono avvenute "prima" della loro istituzione, perché dopo evidentemente si considera superfluo intervenire. Ma il segreto per cui i parchi regionali spendono è che lì i vari livelli istituzionali che hanno la responsabilità della gestione dei parchi definiscono insieme gli interventi e i progetti. Nelle regioni, sia pure con tanti difetti e ritardi che non intendiamo assolutamente minimizzare, la gestione dei parchi è davvero 'mista' come dicono gli esperti. Quella dei parchi nazionali no. Ma poi non ci si può lamentare se le cose non vanno bene. Non ci sarà linea dura ed energica che tenga se non si entra nell'ordine di idee che senza collaborazione, cooperazione non si gestiscono i parchi. E a poco servirà rivendicare o ricordare ad ogni piè sospinto che la "competenza" è del ministero. Possibile che non si comprenda che agire "d'intesa" significa "concordare". Come mai dopo che in tutte le sedi sono state salutate con grande entusiasmo strumenti quali la conferenza dei servizi e gli accordi di programmi i quali effettivamente se non mitizzati sono in grado di assicurare positive e sollecite forme di collaborazione istituzionale, ad essecosì raramente si ricorre per i grandi parchi nazionali? In quelli regionali non è così come sanno benissimo tanti amministratori che di questi strumenti si avvalgono con ottimi risultati. Non c'è anche in questo ritardo una indiretta conferma di una riluttanza e persistente disinteresse a ricercare efficaci forme di cooperazione tra tutti i soggetti (va sottolineato il tutti) istituzionali? Gli organi e gli strumenti che la legge 394 aveva previsto per consentire, favorire questa 'cooperazione' non hanno dato buona prova tanto è vero che sono stati soppressi o ne è stato previsto il riordino. La legge non ha inteso infatti - anche se questa per qualcuno sembra la interpretazione corrente con queste abrogazioni cancellare o negare l'opportunità e la necessità di momenti nazionali di indirizzo e coordinamento. Ha voluto invece sbarazzarsi di piani e organi rivelatesi inidonei alla bisogna, per individuarne e costruirne altri più efficaci. Ma c'è qualcuno che a questo sta lavorando? Chi e quando si stabilirà cosa dovrà essere e cosa dovrà fare la Consulta Tecnica? E la conferenza stato regioni è il caso possa disporre di un organo di consulenza e di istruttoria per le questioni che riguardano i parchi? Anche questa estate abbiamo registrato la solita dose di polemiche e di scaricabarile prima per Sarno poi per gli incendi. E prevedibile che avremo presto una polemica anche sulle responsabilità dei residui passivi dei parchi. Ci accontenteremo delle solite dichiarazioni e interviste o è preferibile cominciare a discutere con regioni, province comuni come spendere quei soldi? Ma la "concertazione" che in campo ambientale e per i parchi non sembra molto di moda, richiede disponibilità e capacità di ascolto. Finora, è inutile far finta di niente, questa volontà non l'abbiamo vista. Mai come oggi invece da questa dipende il successo di qualsiasi politica nazionale che per essere tale, non può affidarsi alla casualità di singoli interventi o a quelle scaramucce che, come nel caso di Portofino, finiscono soprattutto per pregiudicare buona parte dei risultati faticosamente acquisiti sul campo, dal parco . Ma una strategia che abbia questo respiro deve saper muovere forze, energie, acquisire consensi a cui spesso fa più danno una decisione sbagliata o mal gestita che la protesta faziosa e strumentale di qualche comitato, spesso favorita anche dagli errori di chi preferisce prima decidere e poi discutere. |