PARCHI | ||
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve
Naturali NUMERO 26 - FEBBRAIO 1999 | ||
Intervista al Ministro Edo Ronchi Giulio Ielardi * |
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Intervistato per la prima volta da "Parchi", il Ministro dell'Ambiente rivendica il successo della crescita delle aree protette in Italia, si esprime su questioni aperte come l 'adeguamento del parco del Circeo alla 394 o la gestione della riserva di Portofino, parla di Parchi regionali, Carta della Natura e caccia, dice la sua in materia di parchi e federalismo. E boccia le proposte della Federazione in materia di Carta della Natura e conferenza Stato-Regioni. Edoardo Ronchi detto Edo, 49 anni, lombardo di Treviglio (Bergamo), è il più longevo Ministro dell'Ambiente della Repubblica. Dal 17 maggio 1996, prima dal centrale quartier generale di piazza Venezia e ora dalla sede periferica e assai meno pretenziosa di via Cristoforo Colombo (ma lo stabile sarà ristrutturato secondo i più avanzati criteri di riqualificazione ecologico-ambientale», assicurano all'Ambiente), è alla guida del dicastero cui tra rifiuti, siti da bonificare, centrali energetiche e inquinamenti di varia natura i parchi e le riserve naturali italiane indirizzano richieste, ricevono direttive e controlli, chiedono soldi e supporto tecnico. Gli abbiamo rivolto alcune domande a tutto campo sul sistema delle aree protette. 1. Il sistema dei parchi in Italia è cresciuto negli ultimi anni in maniera considerevole. Al momento del suo insediamento al Dicastero dell'Ambiente nel maggio '96 in seno al governo Prodi, come lei stesso ha più volte rivendicato, nessun parco nazionale aveva la pianta organica operativa, né in metà dei casi il direttore, né finanziamenti sufficienti a un funzionamento realmente efficace. Tre anni dopo, la grande maggioranza dei parchi nazionali possiede statuto, pianta organica, direttore e fondi da spendere; non il piano di assetto e tantomeno il piano per lo sviluppo economico sociale, ma questo non dipende dal ministero, mentre invece sottacere la decisa recente accelerazione dell'operato del Dicastero da lei guidato riguardo a quegli adempimenti alla legge 394, per anni rinviati, sarebbe ingeneroso oltre che sbagliato. Più di recente, con l'approvazione da parte del Parlamento della legge 426 e l'inserimento delle politiche in atto nei parchi tra le linee prioritarie di sviluppo che l'Italia porterà a Bruxelles entro il '99, il respiro delle nostre aree protette sembra farsi più ampio. Lei condivide questa impressione e le pare che a condividerla sia nel suo complesso il governo D'Alema? Da tempo sostengo che lo sviluppo non può che passare attraverso la sostenibilità dell'uso e del consumo delle risorse. Oggi sembra essere una convinzione condivisa sia nelle sedi internazionali sia in quella nazionale. Per partire con una politica che rispettasse un simile principio occorreva da parte nostra individuare gli spazi utili offerti dal quadro normativo. Sicuramente uno spunto notevole veniva e, tuttora, viene dato dalle aree protette, gli unici territori in Italia dove la pianificazione e la programmazione degli interventi è sottoposta ai principi dello sviluppo sostenibile. Come Ministro dell'Ambiente, colta la crescente sensibilità verso questo tema non solo presso la collettività, ma anche presso le altre istituzioni, ho cercato di esportare questo approccio anche all'esterno delle aree naturali protette, promuovendo delle politiche di sistema. Si è trattato sicuramente di una scelta felice dal momento che anche il legislatore, approvando la 426/98, ha tradotto una politica di avanguardia in un principio di legge che, come tale, impegna il Governo a perseguire su tutto il territorio nazionale una strategia di oculato sfruttamento delle risorse, favorendo il risparmio e il loro uso efficace. Una simile impostazione ha certamente introdotto fondamentali principi di riforma sulla gestione del territorio, ai quali non può non fare da corollario l'inserimento delle politiche in atto nei parchi tra le linee prioritarie di sviluppo che l'Italia porterà a Bruxelles. Oggi, quindi, non si tratta più di un'azione che viene intrapresa dal Ministro dell'Ambiente, ma a seguito della legge n. 426/98 è una disposizione urgente. A riprova di ciò ricordo la deliberazione del CIPE dello scorso 22 dicembre, con la quale furono istituiti 17 tavoli per la definizione della "Programmazione dei fondi strutturali 2000-2006", tra cui con pari dignità è presente anche quello denominato Rete ecologica nazionale (aree protette, parchi naturali, ecc.), che definirà la politica italiana di sistema prevista dalla legge per la sua presentazione a Bruxelles. 2. La Carta della Natura. Bisognava iniziare da lì, dice la 394 e hanno sempre sostenuto gli esperti anche alla Conferenza nazionale sulle aree protette (a proposito, può anticiparci data e sede della seconda Conferenza?), e invece sette anni dopo non è stata ancora predisposta. Sui limiti dell'attuale impostazione del lavoro - finora sottratto a un dibattito pubblico adeguato alla rilevanza del tema - si sono più volte soffermati la Federazione dei Parchi ma pure alcune associazioni ambientaliste, nonché il Piano nazionale sulla biodiversità elaborato di recente dall'apposito comitato di consulenza da Lei insediato. Per coinvolgere nella realizzazione della Carta tutti i soggetti interessati, a cominciare dai parchi stessi, la Federazione ha proposto la convocazione da parte del ministero di una conferenza di servizio. Cosa ne pensa? Per la redazione della Carta della Natura la legge stabilisce un preciso iter, che prevede la sua stesura da parte dei Servizi Tecnici nazionali, sulla base delle indicazioni del Comitato per le aree protette, e la successiva adozione da parte dello Stato di intesa con la Conferenza Stato-Regioni. La Carta della Natura, inoltre verrebbe a costituire uno strumento fondamentale per la definizione delle Linee Fondamentali di Assetto del Territorio, ossia dello strumento con cui dovrà confrontarsi ogni pianificazione di settore. Si tratta, dunque, di uno strumento particolarmente complicato, articolato e di grande incidenza. Probabilmente di fronte a tanta responsabilità i sette anni possono sembrare, più che un'inadempienza, una seria considerazione del compito che si vuole realizzare. Riguardo alla sua elaborazione i Servizi Tecnici sono stati incaricati di procedere alla sua redazione, come del resto dispone la legge. Essi stanno seguendo le indicazioni, che l'allora Comitato aveva fornito, raffrontandosi con il Ministero e con gli altri soggetti interessati, le Regioni e i parchi. Non credo che si possa procedere ad una conferenza dei servizi in merito, poiché questo istituto è previsto solo nei casi in cui l'amministrazione, che deve emanare l'atto definitivo, è tenuta ad assumere ulteriori atti di assenso. In questo caso è prevista solo l'intesa con la Conferenza Stato-Regioni e non sono previsti prima dell'adozione altri ulteriori sub-procedimenti. Si può, invece, procedere con consultazioni per raccogliere eventuali positivi suggerimenti al lavoro in corso di esecuzione. 3. Convenzione sulle Alpi, Ape, Cip, Itaca sono i progetti di area vasta, la nuova frontiera - non senza contorni ancora sfumati - della politica di tutela della natura in Italia. Può indicarmi alcune iniziative concrete a cui il Ministero dell'Ambiente sta lavorando su queste direzioni? Come ho detto in precedenza, la legge n. 426/98 ha introdotto il principio della politica di sistema. La Convenzione delle Alpi, Ape, Cip, Itaca sono delle applicazioni di questa politica. La prima non è stata ancora resa esecutiva dal Parlamento. Mentre per le altre sono già stati previsti appositi finanziamenti e stiamo procedendo alla stipula dei relativi accordi. La più avanzata delle iniziative è APE. Viene incaricata la Regione Abruzzo, in quanto regione nominata capofila dalle altre regioni nella materia delle aree protette, di elaborare una proposta di piano di sviluppo sostenibile su tutto l'arco appenninico, in particolare per le attività agrosilvo-pastorali tradizionali, agriturismo e turismo ambientale. Questa, una volta valutata dal Ministero dell'Ambiente, potrà essere portata al `CIPE per il finanziamento delle azioni individuate. Si tratta pertanto di valorizzare gli ambienti rurali e le attività connesse, partendo dalle esperienze maturate nelle aree protette e allo stesso tempo valorizzandole. 4. Dopo la soppressione del Piano triennale e del Comitato per le aree protette, in assenza della Carta della Natura e della Consulta tecnica, la politica italiana dei parchi è sembrata a rischio di sbandamento tra le indicazioni anche non sempre coerenti provenienti dal Parlamento, resistenze corporative, rivendicazioni provenienti da ogni parte. Per individuare sedi istituzionali di confronto e concertazione degli interventi in materia di aree protette, la Federazione ha proposto la creazione di una commissione a latere della Conferenza Statoregioni e, in aggiunta a ciò, la costituzione di una Consulta permanente degli enti parco nazionali. Come valuta queste proposte? Non credo che dal 1991 ad oggi ci sia stato un rischio di sbandamento della politica dei parchi. Anzi negli ultimi anni, nonostante la soppressione del Comitato e del programma, si è registrata una evidente impennata, perlomeno a livello nazionale. Infatti, solo negli ultimi due anni il Parlamento ha deliberato 1' istituzione di 5 nuovi parchi nazionali. Si è proceduto ad un cospicuo aumento dei finanziamenti per quelli già esistenti, si registra la continua richiesta di allargamento dei parchi, si è aperta una stagione in cui le aree protette assurgono a tema strategico per le programmazioni di medio periodo. E invece aumentata la partecipazione a questa politica dei diversi gradi. I momenti di concertazione previsti all' interno del Comitato hanno trovato una compensazione nella Conferenza StatoRegioni. La soppressione del programma, che ha corrisposto ad una spinta regionalista voluta dalle stesse regioni, ha indotto le medesime a divenire artefici di tale politica, le stesse determinazioni assunte nella stesura del programma strategico 2000-2006 hanno disposto che tutti i fondi e l'individuazione delle azioni anche nei parchi nazionali siano di appannaggio regionale, relegando lo Stato al compito di inquadrare le politiche di settore delle regioni. Queste riforme hanno portato ad un nuovo assetto, nel quale si riserva allo Stato il compito relativo alla conservazione e alla valorizzazione delle aree naturali protette (art. 69, d.lgs. n. 112/98, comma 1), nonché le attività di vigilanza, monitoraggio e controllo finalizzate all'esercizio di tali funzioni (comma 3, dello stesso articolo) e alle singole regioni viene riconosciuto analogo compito per la politica di settore per le aree di interesse regionale. Credo, pertanto, che la creazione di una apposita commissione all'interno della Conferenza StatoRegioni non possa essere considerata la sede opportuna per il confronto e la concertazione degli interventi in materia di aree protette, poiché verrebbe a intromettersi non solo nelle competenze dello Stato, ma anche e soprattutto in quelle delle singole Regioni, con il rischio di causare un ingorgo istituzionale. 5. Due domande secche, cui se vuole può rispondere con altrettanta sintesi. La prima. Ritiene definitivo l'attuale assetto gestionale del parco del Circeo? Glielo chiedo perché gli esponenti locali del suo partito, i Verdi, stanno conducendo una campagna per un adeguamento alla 394 a parer loro niente affatto raggiunto: e d'altro canto anche l'assessore regionale Hermanin mi pare sia dello stesso parere e abbia sollecitato più volte un intervento del ministero in tal senso. La seconda domanda. Il '99 vedrà la nascita di nuovi parchi nazionali, e magari il decollo per il parco del Gennargentu? Il Parco nazionale del Circeo è uno dei più antichi tra quelli esistenti e oggi, come noto, è sottoposto alla gestione del Corpo Forestale dello Stato, che impegna circa cento persone. Si tratta di una situazione consolidata e come per tutti i casi analoghi o paragonabili (come quello dei parchi regionali divenuti parchi nazionali) il trapasso ad altro tipo di gestione deve essere svolto senza causare traumi e senza correre il rischio di creare un vuoto di gestione o di tutela. Io sono favorevole ad un nuovo assetto gestionale, che tenga conto delle riconosciute spettanze degli enti locali interessati, ma ciò deve avvenire coinvolgendo il Corpo Forestale, che oggi assorbe anche una buona percentuale di oneri finanziari per la gestione del parco. Questo passaggio inoltre deve tenere conto della prevista riforma del Corpo, dalla quale come Ministro dell'Ambiente mi attendo che possa portare ad un consolidamento delle competenze del CFS nel settore della conservazione della natura e alla eliminazione delle duplicazioni che oggi rendono meno fluido l'adempimento in questo settore da parte del Corpo Forestale stesso. Riguardo alla nascita dei nuovi parchi è chiaro che da parte di questa amministrazione si sta facendo di tutto perché essi vengano istituiti. Certo è anche vero che le nuove procedure, che prevedono un maggior coinvolgimento degli enti locali, rendono il percorso più complesso e lungo. L'ostacolo maggiore è dato dalla non sempre piena consapevolezza da parte degli enti locali sul valore della conservazione della natura. Essi tendono spesso a sopravvalutare l'introduzione del vincolo e a sottovalutare il notevole impulso positivo che il parco offre sia sul versante economico che su quello della qualità della vita. Per il Parco nazionale del Golfo d'Orosei e del Gennargentu avevamo preventivato molte delle difficoltà che sono emerse, anche se non pensavamo che potessero giungere a livelli di allarme. Pensavamo e siamo ancora convinti che l'accentuata rivendicazione autonomistica potesse essere meglio gestita attribuendo, come abbiamo fatto, alla Regione Autonoma della Sardegna i poteri di istruttoria e di verifica delle istanze locali. Oggi il compito che tutti dobbiamo perseguire è quello di isolare i violenti e gli istigatori alla violenza da coloro che invece intendono proporre un dialogo, anche critico, al progetto di parco. Ho potuto constatare che questo percorso è condiviso da tutti i soggetti istituzionali e mi sembra sia giunto a buon punto. E importante, inoltre, eliminare alcune convinzioni del tutto sbagliate sul parco, che ancora sono presenti nelle rivendicazioni avanzate da una parte della collettività locale. In proposito questo Ministero ha trasferito da tempo alla Regione gli stanziamenti necessari per promuovere una corretta informazione. Solo a conclusione di ciò possiamo attenderci un decollo del Parco nazionale del Golfo di Orosei e del Gennargentu. 6. Veniamo alle aree protette regionali. La Federazione ha di recente espresso la sua preoccupazione riguardo, da un lato, allo scarso impegno di buona parte delle regioni meridionali del Paese per la creazione di un sistema di aree protette regionali, dall'altro riguardo ai disegni di ridimensionamento di quelle stesse politiche invece da tempo operanti in altre realtà (come la Lombardia e, per altri versi, il Piemonte). Lei, ministro, ha adesso assicurato la disponibilità del ministero a sostenere anche finanziariamente le aree protette regionali, come già avvenuto in passato col primo Programma triennale per le aree protette e come prevede l'art. 73 del decreto Bassanini 112/98. Ci spiega come e in che misura interverrà? Certamente il Ministero non è in condizione di poter imporre specifiche politiche alle Regioni. Questo non era possibile prima e lo è ancor meno ora a seguito delle modifiche apportate dalla Bassanini. E così accaduto che le scelte operate da Regioni come la Lombardia e il Piemonte, seppur non condivise da noi, non potessero essere sindacate. Per quanto riguarda il finanziamento delle aree protette regionali, a leggere correttamente l'art. 73 del d.lgs. n. 112/98, non si prevede il loro finanziamento da parte dello Stato, ma solo il coordinamento di politiche o programmi regionali in materia di ambiente, nel caso in cui sia resa necessaria un'azione integrata e coordinata con quello dello Stato. Questo va letto assieme alle modifiche apportate alla 394/91 dalla 426/98, laddove è affidato al Ministero dell'Ambiente la promozione di politiche di sistema. Solo attraverso questo meccanismo sarà possibile da parte nostra intervenire a finanziare azioni anche nelle aree protette regionali. Ciò, peraltro, è stato già anticipato dal Piano Stralcio previsto dalla n. 344/97, che dispone nelle aree protette interventi per la bonifica dei siti, là gestione dei rifiuti, quella delle acque, introduzioni di tecnologie a basso consumo energetico. E, comunque, chiaro che il Ministero dell'Ambiente non potrà finanziare le spese ordinarie delle aree protette regionali, anche se cercheremo, d'intesa con le Regioni, di destinare parte delle risorse riservate nella tabella C della nuova finanziaria alle Regioni per i parchi regionali. 7. Sull'operato delle Regioni in materia ambientale la posizione del movimento ambientalista è stata e rimane critica con poche eccezioni. Viceversa, il processo di riordino e decentramento amministrativo in cui è pure impegnato il governo D'Alema dopo i provvedimenti Bassanini appare una strada senza ritorno. Come interpreta il ruolo futuro e per certi versi già presente del Ministero dell'Ambiente? E prima ancora, se posso chiederle un parere personale, la convince l'opportunità di giocare la carta della responsabilizzazione delle istituzioni più vicine ai cittadini, non senza rischi, per suscitare una più marcata sensibilità ai temi ambientali da parte degli italiani? Il processo verso il regionalismo non è certo iniziato oggi, bensì con la carta Costituzionale nel 1948. Oggi in realtà si parla di federalismo che è qualcosa di più profondo e per il quale occorre modificare la Costituzione. Questo Governo ha presentato un disegno di legge costituzionale in tal senso modificando gli articoli 117 e successivi della Carta Fondamentale della Repubblica, ossia quelli che riguardano le funzioni delle Regioni. Personalmente ritengo che questo disegno di legge sia insufficiente per introdurre nel nostro ordinamento un vero ed efficace federalismo. Occorre, infatti, non solo definire i compiti dello Stato e quelli delle Regioni, ma anche riordinare il sistema bicamerale per evitare che possa essere alimentato il livello di conflittualità tra Stato e Regioni. Ricordo, inoltre, che questo ministero è nato nel 1986 in pieno regionalismo ed è l'unico tra i dicasteri con portafoglio che non dispone di strutture periferiche o ramificazioni sul territorio. Così come è l'unico a non intervenire direttamente, se non tramite ordinanza e in casi di estrema urgenza e necessità o in caso di inadempienza di altre istituzioni, nelle fase esecutiva dell'amministrazione. Sul futuro, laddove la Costituzione verrà riformata, non posso fare certamente previsioni, ma non riesco ad immaginare che per un bene, come l'ambiente, di interesse di tutte le comunità, nazionali e internazionali, non vengano assicurati strumenti per garantire un unitario grado di protezione e non vi siano riconosciuti valori di rilevanza nazionale. Questa convinzione si riflette anche sulla seconda domanda. Il principio di sussidiarietà è utile solo quando riesce a soddisfare un grado di interesse pari a quello che verrebbe soddisfatto da un'istituzione superiore - e quindi meno vicina alla comunità interessata - ma se il grado di utilità soddisfatto è inferiore, lo stesso principio di sussidiarietà consiglia l'attribuzione della competenza all'istituzione più idonea. Io condivido questa impostazione, che tradotta al tema ambientale, vede un'oculata distribuzione di competenze tra Stato, Regioni e enti locali. 8. In diverse regioni (Lazio, Umbria, ecc.) la istituzione di nuovi e spesso assai importanti parchi è di fatto bloccata dal "tetto" del 30% di quota massima dei rispettivi territori agrosilvo-pastorali da destinare alla protezione della fauna selvatica. Una interpretazione controversa di un articolo delle legge 157/92 sulla caccia, pure rafforzata da un parere della Corte costituzionale e nonostante una circolare interpretativa di segno opposto del Ministero dell'Ambiente, consente di anteporre le rivendicazioni naturalmente legittime di un'assoluta minoranza - quella dei cacciatori - alle ragioni del resto della collettività. Zoologi e conservazionisti giudicano la 157 assai carente quanto a tutela della fauna e di una nuova legge-quadro in materia, pure predisposta anni fa dal suo ministero, non s'è saputo più nulla. E giunto il momento di prendere un'iniziativa non a colpi di referendum ma per esempio con un disegno di legge governativo? La sentenza della Corte Costituzionale a cui si fa riferimento non avvalora la tesi dell'invalicabilità del tetto del 30%, ma ha solo chiarito - laddove ce ne fosse stato bisogno - che le Regioni possono liberamente programmare per fini venatori il loro territorio, con l'unico limite di vietare la caccia in almeno il 20% del territorio agro-silvopastorale, quindi senza limiti massimi. Certo la legge n. 157/92 non è una legge a protezione della fauna e peraltro quello scarso livello di protezione che offre si limita ai mammiferi e agli uccelli, ma solo di disciplina dell'attività venatoria. Questo vuoto legislativo è chiaramente sentito e necessita di essere riempito. Come Ministero stiamo elaborando un testo di legge in materia. 9. Dopo anni di calma piatta, anche la politica delle aree protette marine sembra aver trovato nuovo slancio. L'istituzione di nuove riserve, lo stanziamento di fondi, il potenziamento degli istituti di ricerca e nuove regole in materia di soggetti gestori fanno sperare nel celere recupero del molto terreno perduto in questo campo, particolarmente grave in un Paese con settemila e passa chilometri di coste. Proprio il nodo della gestione si è rivelato uno dei più ostici da sciogliere, e la non marginalità di queste aree ma al contrario il loro essere al centro di una rete di attività e quindi di interessi intensa ed estesa ha fatto e certo farà ancora soffiare sul fuoco della polemica. Su Portofino, tanto per fare un nome, e sull'opportunità di affidare al preesistente parco regionale la gestione della neonata riserva marina con la Federazione vi siete trovati su posizioni contrapposte. Senza attendere i tempi biblici del Consiglio di Stato e pensando a una situazione che si potrebbe ripetere dall'Uccellina al Conero, dalle Eolie a Monte Cofano, sarà possibile individuare forme anche nuove di cooperazione istituzionale tra Stato, Regioni, enti locali e parchi per centrare presto e bene l'obiettivo ultimo della tutela del mare? A Portofino la formula che preferirei è quella di attribuire i compiti di gestione ad un consorzio di enti locali e non alla regione Mi sembra che la mia posizione sia molto più vicina a quella di chi vuole responsabilizzare le istituzioni più vicine ai cittadini. Sto comunque attendendo su questo tema il parere del Consiglio di Stato 10. In questo 1999 la Federazione italiana dei Parchi e delle riserve naturali compie dieci anni. Da uno sparuto gruppetto di parchi regionali, oggi associa 90 aree protette tra cui 16 dei 19 parchi nazionali. E un fatto che l'assortita realtà delle aree protette italiane sia rappresentata, e per loro libera scelta, dalla Federazione. Perché allora il rapporto tra i parchi e chi legittimamente se ne fa portavoce è il "loro" Ministro è a volte - più spesso del necessario - ruvido e complicato? A me non pare di avere rapporti "ruvidi e complicati" con la Federazione Italiana dei Parchi. Anzi con i parchi nazionali i miei rapporti sono ottimi, come chiunque può verificare. Per i parchi regionali vorrei tanto fare di più. Lamia prudenza è dovuta alla necessità di rispettare il ruolo istituzionale delle Regioni che sono molto reattive nei confronti di ogni ingerenza che esuli dalle competenze dello Stato. * Redazione di "Parchi" |