PARCHI | ||
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve
Naturali NUMERO 26 - FEBBRAIO 1999 | ||
Italia in ritardo sulla tutela delle Alpi Giulio Ielardi |
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Procede a rilento l'iterparlamentare del provvedimento di ratifica della convenzione internazionale, mentre il primo Rapporto sullo stato di salute ambientale della catenafotografa una situazione con molti punti di crisi. E partita per prima ma rischia di arrivare per ultima. Tra i progetti di area vasta, rispetto a quelli su coste, isole e soprattutto Appennino (vedi anche intervista al Ministro Ronchi su questo stesso numero di Parchi), la Convenzione delle Alpi è infatti ancora lontana da una reale applicazione nonostante siano passati dieci anni dalla sua ideazione. Con la Svizzera, l'Italia è poi l'unico paese alpino a non averla ancora ratificata e i contrasti sorti in Parlamento durante la discussione del relativo provvedimento non fanno prevedere sbocchi ravvicinati. Il disegno di legge è il n. 3299 "Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la protezione delle Alpi", e dopo l'approvazione da parte del Senato già nel febbraio '98 si è fermato alla Camera, prima con l'alt ai lavori richiesto dalla sessione di bilancio, poi con la crisi del governo Prodi. Si tratta del principale trattato internazionale che ha come oggetto la tutela della catena montuosa, al centro di un'area nevralgica del territorio dell'Unione europea per circolazione di persone e merci, vicende storiche, contaminazioni culturali, investimenti speciali (come il programma comunitario Interreg). Come in molti altri documenti a livello comunitario, strumenti individuati e strategie da perseguire peccano probabilmente di una certa vaghezza. Ma occorre riconoscere che la Convenzione è uno dei pochi tentativi di mobilitare l'Europa del dopo Maastricht sul fronte della tutela ambientale, e come tale ne vanno incoraggiati il cammino e una progressiva, accentuata incisività. La Convenzione è entrata in vigore nel '95 con la ratifica dei primi tre Paesi alpini contraenti (Austria, Liechtenstein e Germania), ma per la sua origine - dietro stimolo del Parlamento europeo occorre risalire almeno all'89. In quell'anno i Ministri dell'Ambiente dei paesi alpini si incontrarono nella prima Conferenza delle Alpi a Berhtegaden, su invito del ministro tedesco: c'erano i governanti di Germania, Francia, Italia, Austria, Liechtenstein, Svizzera, Jugoslavia (che delegò già allora alla Slovenia) e la Comunità europea, e l'incontro fruttò una risoluzione di 89 punti sulle azioni da intraprendere per la salvaguardia dell'ambiente alpino. La tappa successiva è nel '91 a Salisburgo, quando in occasione della seconda Conferenza, Austria, Francia, Italia, Liechtenstein, Svizzera, Germania e Comunità europea sottoscrivono la Convenzione delle Alpi. Il 29 marzo '93 firma pure la Slovenia, all'indomani cioè del riconoscimento internazionale della nuova Repubblica. Nel '95, appunto, i singoli Stati procedono alla ratifica della convenzione, ma non tutti. All'appello mancano ancora Italia e Svizzera, ma nello scorso dicembre quest'ultima emana il provvedimento di ratifica. Per l'Italia ancora niente e ci si augura che il '99 sia l'anno decisivo. Cos'ha prodotto finora la Convenzione? Soprattutto sette protocolli operativi (su otto), dedicati ciascuno a un tema chiave: agricoltura di montagna, salvaguardia ambientale e paesaggistica, pianificazione territoriale, foreste alpine, turismo, energia e difesa del suolo. E sulla loro traduzione in atti concreti, però, che il cammino della Convenzione ha incontrato grosse difficoltà. Quella maggiore, com'era prevedibile, è però sul nodo dei trasporti su cui le trattative tra gli Stati per 1' approvazione del relativo protocollo non accennano a sbloccarsi. Partendo dalle indicazioni dell'articolo 2 della Convenzione - che stabilisce tra l'altro che in materia gli Stati firmatari adotteranno "misure adeguate [...] al fine di ridurre gli effetti negativi e i rischi derivanti dal traffico interalpino e transalpino [ . . . ] attuando un più consistente trasferimento su rotaia dei trasporti" l'Austria, difatti, propose una moratoria a tempo indeterminato a costruire nuove arterie stradali sulle Alpi, su cui la contrarietà degli altri Paesi tra cui Germania e Italia fu ferma. Dopo gli entusiasmi iniziali, uno dei primi passi davvero incisivi dell'Europa del dopo-Maastricht sul fronte ambientale rischia così di arenarsi e la ratifica in corso da parte dell'Italia è vista anche come un'attesa occasione di rilancio del trattato. A spingere sulla ripresa è anche la Commissione internazionale per la protezione delle Alpi (Cipra), un'organizzazione non governativa fondata nel 1952 cui aderiscono buona parte delle associazioni ambientaliste dei paesi interessati, con sede nel Liechtenstein. La Cipra persegue l'obiettivo con un ampio fronte di azioni, ma è su quello senz'altro prioritario dell'informazione e della divulgazione della reale consistenza dei problemi che affliggono l'area alpina che si appresta ora a conseguire più vasta eco. E stato, infatti, recentemente pubblicato a cura della Cipra il primo Rapporto sullo stato delle Alpi, uscito contemporaneamente in lingua tedesca, francese, slovena e italiana (edizioni CDA, tel.011/31978233197827). Molti i dati che fotografano la realtà alpina dalle più diverse prospettive, confermando o smentendo opinioni sin qui consolidate. Il comparto economico attualmente più sofferente è quello agricolo, innanzi tutto a causa di fattori naturali come l'orografia, il clima, l'altitudine, ma adesso anche per l'abbandono dei campi in favore di attività più immediatamente redditizie come il turismo. Dunque decisiva (ma forse troppo poco evidenziata) l'indicazione contenuta nel Rapporto e rivolta al Parlamento europeo di sostenere e incentivare l'agricoltura alpina, attraverso cui passa pure la conservazione del paesaggio e di importanti ecosistemi alpini. Il comparto più forte, almeno fino a qualche tempo fa, è quello del turismo. Il relativo protocollo si propone di incentivare gli interventi capaci di migliorarne la qualità e ridurne l'impatto ambientale agendo ad esempio su consumi energetici e smaltimento dei rifiuti, valorizzazione delle zone rurali e così via. Intanto, dal 1993 in poi, una tendenza alla crescita che pareva inarrestabile si è fermata e il numero dei pernottamenti estivi nelle regioni alpine, in particolare in Austria, Germania e Svizzera, cala ininterrottamente.4,7 sono i milioni di posti letto censiti, 60 milioni gli arrivi (il 20% in Italia), quasi 5 gli arrivi turistici per abitante, quasi 38 i miliardi di franchi svizzeri (oltre 46 mila miliardi di lire) del fatturato complessivo del settore sulle Alpi. L'impatto sull'ambiente naturale è notevole e il Rapporto conferma la più pesante incidenza - per esempio sull'occupazione di suolo e sull'urbanizzazione delle vallate - delle seconde case rispetto agli alberghi, citando casi esemplari. In Italia lo sfruttamento della Valle di Susa, nel torinese, conta oltre 25.000 seconde case nell'alta valle e cioè 1'85% del totale delle abitazioni. A Valtoumanche-Cervinia le seconde case non occupate sono 5.000, a fronte delle 850 abitazioni dei residenti. Nelle Dolomiti, soprattutto nell'area trentina, le seconde case sono quasi 50.000. Le ragioni di una così massiccia frequentazione, almeno finora, stanno naturalmente nella bellezza dei paesaggi alpini e nelle condizioni ideali che offrono a molte attività ricreative, a cominciare dall'alpinismo. Ai circa 1.600 rifugi e bivacchi con 90.000 posti letto gestiti dai club alpini, che danno lavoro a più di 5.000 valligiani, se ne affiancano altre migliaia di proprietà privata. Quanto a infrastrutture sportive invernali, le Alpi sono l'area montana con la maggiore densità al mondo contando 10.033 impianti di trasporto e risalita. Negli ultimi anni si è diffusa la pratica di garantire artificialmente l'innevamento dei campi da sci in assenza di nevicate sufficienti (tra il '90 e il '96 sull'arco alpino questi impianti sono più che raddoppiati), ma con un accentuato impatto ambientale per via degli additivi chimici utilizzati nell'acqua per la produzione di neve e per il prelievo idrico dai torrenti. Sport di sviluppo più recente sono il golf (136 campi con una superficie complessiva di 5.750 ettari) con impatto soprattutto paesaggistico; parapendio e deltaplano (con ormai 120.000 praticanti), che provocano erosione del suolo nei punti di decollo e disturbo della fauna selvatica; mountain biking (almeno 3 milioni), già vietato fuori sentiero sulle Alpi austriache, francesi e tedesche e, in parte, in Svizzera e Liechtenstein. Incisiva l'analisi del rapporto Cipra sullo stato dei corsi d'acqua, critica anche sugli attuali interventi di salvaguardia ambientale che "puntano a conservare determinanti stadi di sviluppo degli habitat, prevenendo invece ogni sorta di trasformazione troppo intensa". I due fiumi indicati come esempio di politiche alternative di gestione territoriale sono italiani. Il Piave vede sfruttata la sua elevata portata idrica da una catena interminabile di bacini artificiali e ben 60 centrali idroelettriche. Il Tagliamento, in Friuli-Venezia Giulia, nei 170 km del suo corso, conosce invece solo uno sbarramento a Caprizi, nel Comune di Socchieve, e la sua integrità (pari a quella del Lech, in Austria, adesso interessato però da progetti di centrali idroelettriche) meriterebbe, secondo la Cipra, il riconoscimento di parco della biosfera per gli studi della struttura e la dinamica delle aree golenali. Le Alpi diverranno domani, si chiede il Rapporto, uno spoglio incrocio stradale? "Si resta colpiti - vi è scritto - dalla quantità di lavori colossali avviati su un'estensione, tutto sommato, modesta". Il trasporto merci è in continuo aumento. Nel 1970, tra Moncenisio/Frejus e Brennero, sono transitate 24 milioni di tonnellate nette di merci: nel '96 i milioni sono stati 85, di cui il 39% su rotaia e il rimanente 61% su strada. La divisione e la forte concentrazione dei processi produttivi, che richiede anche più volte il trasporto di un'enorme quantità di prodotti semilavorati da un luogo all'altro dell'Europa prima di approdare sul mercato, è stigmatizzata con alcuni esempi. Si va dai rottami ferrosi, che l'Italia importa dalla Germania per trasformarli in acciaio da costruzione e riesportarli in Germania, al latte proveniente dai Paesi del nord Europa, che dopo la trasformazione in mozzarelle avvenuta in Puglia toma ai destinatari: oppure ai maiali olandesi importati dall'Alto Adige, per fame speck poi esportato in tutt'Europa come prodotto tipico locale. Gli unici segnali in controtendenza, secondo il rapporto, provengono dalla Svizzera. Qui, dopo il referendum tenutosi nel '94, il governo si è impegnato a consentire il transito di tutte le merci esclusivamente su ferrovia entro il 2004 (già oggi la percentuale è del 70%). Si affianca il divieto di transito notturno e nei fine settimana per i TIR e il limite di tonnellaggio (20 tonnellate) per i mezzi pesanti. Ma le ferrovie, denuncia il rapporto, sfruttano ad oggi meno di un terzo delle loro capacità. Se le principali cinque linee ferroviarie alpine (Moncenisio/Frejus, Sempione/Lotschberg, Gottardo, Brennero e Tarvisio) venissero potenziate, la capacità di trasporto crescerebbe da 38 a 125 milioni di tonnellate/anno. Sulla linea di Tarvisio, il tratto di circa 40 km tra Pontebba e Amoldstein è ancora a binario singolo e sono in corso i lavori di raddoppiamento. Quest'anno dovrebbero concludersi lavori di potenziamento pure sulle altre linee. Infine, ampio spazio è quello dedicato dal Rapporto alle risorse naturali della catena alpina, davvero ingenti anche se confrontate con quelle medie già elevate delle regioni continentali. Le sole specie di piante vascolari assommano a circa 5.000, quasi la metà del totale europeo. Le specie animali sono 30.000, o forse ancor più. In merito alle strategie da seguire per conservare tale patrimonio di biodiversità, il rapporto le sintetizza efficacemente nell'alternativa "agire o non agire" cui è dedicato un intero capitolo e diversi esempi. Sul fronte del non agire, l'esperimento più importante in casa nostra è certo quello del parco nazionale della Valgrande, nato nel '92 ed esteso su 11.700 ettari delle montagne piemontesi sopra il lago Maggiore. Una grande area di natura selvaggia e impervia, pochissimo popolata, dove il parco può permettersi di lasciare che le dinamiche naturali compiano indisturbate il proprio corso. Ma è un caso isolato. Sul fronte dell'agire, vista la natura diffusa degli insediamenti umani anche sulla catena alpina, si attesta la grande maggioranza delle aree protette. Il primo parco nazionale sulle Alpi venne istituito nel 1914, in Svizzera, e da allora si è andata formando una rete che oggi conta 13 parchi nazionali e una gran quantità tra parchi regionali e riserve di varia denominazione, per una superficie pari al 13% del totale. Se sul fronte alpino settentrionale la preferenza è andata all'istituzione di zone di tutela paesaggistica, su quello meridionale 1' azione di conservazione si è più attivamente fusa con quella di sostegno a forme di sviluppo sostenibile con lo strumento del parco regionale (6 in Francia e 29 in Italia). Proprio con l'obiettivo di coinvolgere la rete di aree protette che interessa il settore centrale delle Alpi è nato il progetto PEACE, il Parco Europeo delle Alpi Centrali, promosso da Mountain Wilderness e Wwf assieme ad Italia Nostra e Cai. Lo scopo dichiarato è quello di "uniformare le politiche di intervento nelle grandi aree protette dello Stelvio e dell'Engadina, mentre altri nodi importanti saranno tutte le aree protette che gravitano nella zona" (tra cui i parchi regionali dell'Adamello, delle Orobie Valtellinesi, delle Orobie Bergamasche, del Bernina Disgrazia). D'altronde iniziative miranti a coinvolgere più aree protette ed anche i territori circostanti trovano adesso preciso riscontro legislativo nella legge 426 dello scorso anno, che prevede anche per il sistema territoriale alpino la realizzazione di accordi di programma tra Stato e regioni per lo sviluppo di azioni economiche sostenibili. Regioni che, dal canto loro, in alcuni casi stanno lavorando in autonomia ad uno strumento differente quale la Carta europea delle regioni di montagna. Il presidente della regione Valle d'Aosta, Dino Vierin, l'ha presentata (su Oasis di novembre/dicembre '98) come un'alternativa alla Convenzione sulle Alpi, strumento "orientato essenzialmente sulla protezione della natura e non sullo sviluppo economico delle collettività interessate". Di tutt'altro parere ovviamente la Cipra, che oltre a chiedere la sostituzione delle "innumerevoli formulazioni possibiliste" nei protocolli della Convenzione con precise proposizioni vincolanti, sottolinea l'urgenza di istituire un Comitato permanente come propulsore nella sua attuazione concreta. Ma da noi siamo ancora all'anno zero. Anche nella discussione sulla ratifica della Convenzione, infatti, si è riprodotto nelle aule parlamentari il confronto ormai collaudato sui livelli istituzionali da interessare. Se il testo presentato dal governo Prodi e approvato in Senato aveva infatti attribuito al Ministero dell'Ambiente e all'Anpa le competenze relative all'applicazione della Convenzione delle Alpi, il passaggio alla Camera ha cambiato tutto. Il relatore Mattarella, oggi vicepresidente del Consiglio, nella sua proposta ha invece individuato i temi trattati dalla Convenzione come competenza esclusiva delle Regioni e degli enti locali, affidando perciò allo Stato (e precisamente alla Presidenza del Consiglio) i soli poteri di coordinamento. "Si è sostanzialmente ritenuto che non si tratta di dar vita ad una amministrazione per le Alpi", ha spiegato il relatore, "ma al contrario di raccordare e coordinare, in coerenza, le attività delle varie istituzioni (statali, regionali e locali) che siano anche in parte titolari di competenza circa il territorio alpino, e svolgano attività e funzioni indicate nella convenzione". Il Ministro Ronchi ha subito espresso la sua decisa contrarietà alle modifiche introdotte alla Camera e la discussione prometteva ulteriori contrasti. Ma il varo della finanziaria e del governo D'Alerna hanno bloccato tutto, e si è dovuto aspettare marzo perché la commissione Affari esteri riprendesse l'esame del provvedimento ma ancora senza esiti definitivi. Per seguire la questione Ronchi ha delegato il sottosegretario Calzolaio, e si tratterà di vedere con quali margini per una trattativa. Infrastrutture di trasporto previste nelle Alpi, da ovest verso est
Sono tuttora in corso i lavori di:
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