PARCHI | ||
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve
Naturali NUMERO 26 - FEBBRAIO 1999 | ||
Lo sviluppo nei parchi naturali Anna Natali * |
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Uno dei tratti caratterizzanti la 'nuova programmazione' è l'intento di essere sensibile al territorio e alle sue particolarità, date da non uniformi dotazioni ambientali, diverse caratteristiche economiche e sociali, una pluralità di tradizioni storiche, civiche e produttive, una varietà di forme e reti di relazioni che legano tra loro istituzioni pubbliche, imprese, società civile. I parchi naturali siano essi nazionali o regionali - sono immersi in questa varietà territoriale, e non solo ne sentono gli effetti, ma vi partecipano attivamente. Un'area del Mezzogiorno in cui viene istituito un parco non si trova per questo più simile alle aree parco del Centro-Nord che alle aree extraparco geograficamente più prossime. Ma è anche vero che i parchi, ovunque situati, condividono un medesimo progetto: quello di creare intorno alla cura e alla manutenzione di risorse naturali e culturali di pregio, un'economia capace di offrire beni e servizi di qualità. Il disegno dunque è comune, e lo sono anche le difficoltà che, nonostante le diverse condizioni di partenza e di contesto, le aree parco incontrano nel perseguirlo. Quali sono gli ostacoli, i punti critici più rilevanti che impediscono ai parchi di trasformarsi in 'sistemi locali' che producono ricchezza? Quali strategie potrebbero aggredirli con successo? Quali tipi di interventi potrebbero imprimere una accelerazione alla trasformazione auspicata? A quali obiettivi è opportuno orientare i nuovi programmi per i parchi?
Oltre l'opera fisica singola Soprattutto nei grandi parchi nazionali del Sud di recente istituzione, che interessano territori assai ampi e numerosi Comuni e Comunità montane, ma anche in altri parchi nazionali e regionali del Centro-Nord di consistenti dimensioni, l'Ente di gestione del parco si trova a fronteggiare le pretese e le richieste concorrenti di una pluralità di amministrazioni locali, ognuna delle quali intenzionata a ottenere il massimo possibile dalla presenza del parco come soggetto di spesa. Nella maggior parte dei casi, queste pretese riguardano la localizzazione della sede e delle strutture dell'Ente di gestione, dei Centri Visita, delle aree e dei percorsi attrezzati per la fruizione, delle strutture ricettive: una serie di 'opere fisiche' che sono in grado di portare benefici al luogo in cui vengono previste, in fase sia di realizzazione sia di gestione. Le scelte relative a queste opere dovrebbero essere compiute super partes sulla base di una visione complessiva dell'area del parco, e secondo criteri di razionalità e di efficacia; ma la pressione degli interessi localistici spesso non permette all'Ente parco di decidere nel modo migliore. Questo per varie ragioni. In parte perché l'Ente parco non ha sufficiente autorevolezza istituzionale per affermare una propria visione complessiva, nell'elaborare il piano degli investimenti. In parte perché molti strumenti che sarebbero importanti a questo scopo non sono disponibili: il Piano territoriale del parco è nella fase di cantiere o di pre-cantiere, l'organico dell'Ente è da creare o da completare per gran parte, le competenze professionali che potrebbero essere mobilitate nell' area ancora non sono state individuate o forse non esistono. Infine, perché le 'opere fisiche', gli investimenti materiali, sono le uniche destinazioni della spesa in conto capitale del parco. In assenza di progetti immateriali di organizzazione di nuove attività o avvio di nuovi servizi, le 'opere' finiscono per rappresentare la naturale merce di scambio per ottenere il consenso di amministrazioni e comunità locali. Per cambiare questo stato di cose, che genera scelte irrazionali, sprechi di risorse e scarso impulso allo sviluppo locale, le strategie possibili sono più d'una. Si può decidere di non finanziare più al parco l''opera fisica singola' ma sempre e solo un programma di intervento di cui si possa cogliere e valutare la razionalità, e che possa motivare e giustificare il singolo intervento materiale ('). Si può decidere (in alternativa, ma forse meglio in aggiunta) di fornire al parco l'assistenza tecnica di un gruppo di valutazione che dia supporto nella messa a punto dei programmi di investimento. Si può decidere di aiutare il parco a dotarsi delle competenze tecniche che occorrono per l'elaborazione dei programmi e la progettazione degli interventi (2), Si può decidere non solo di permettere, ma anzi di incoraggiare i parchi a predisporre 'piani stralcio' che anticipino le indicazioni del futuro Piano territoriale per alcune zone cruciali, soggette o vocate a una rapida trasformazione (perché situate lungo le principali direttrici di accesso, o perché più ricche di servizi e più pronte a ospitare l'embrione di una nuova offerta turistica) (3). Si può, infine, decidere di togliere all'Ente parco, o ridurre ai minimi termini, il ruolo di finanziatore di opere pubbliche, per enfatizzare il suo ruolo di promotore dello sviluppo locale: per esempio, assegnando la maggior parte delle risorse per investimenti non già alle opere materiali ma agli interventi immateriali, ai progetti-pilota, alle sperimentazioni, alle campagne di informazione e di educazione, alla formazione, alla creazione di servizi e alla promozione d'impresa.
Lo sviluppo delle risorse umane La presenza di un patrimonio ambientale consistente e di valore è una premessa importante, ma certo non sufficiente, perché si sviluppino attività di valorizzazione turistica (4). Anche le strutture e le infrastrutture fisiche di cui il parco si dota, dai Centri visita ai sentieri attrezzati, agli ostelli, sono premessa importante ma non sufficiente. Perché l'ambiente si trasformi in elemento di attrazione, e le strutture siano gestite nel modo giusto, occorrono specifiche competenze. Occorre, cioè, sapere come produrre informazione, accogliere i visitatori, regolare i flussi, organizzare la fruizione, progettare i servizi, gestire i servizi, costruire le proposte, vendere i prodotti, e così via. Una serie cospicua di conoscenze e competenze, che solo in parte si imparano a scuola, e che è molto difficile introdurre in un luogo, o cercare di sviluppare in aree che non abbiano già alle spalle una buona tradizione di ospitalità turistica. Molte aree parco si trovano in questa condizione difficile: di cercare di introdurre una cultura e delle competenze che non fanno parte della loro storia, spesso solo pastorale o contadina. Spesso non vi è piena consapevolezza della estrema difficoltà di questa operazione. Alcuni parchi hanno tentato la strada di affidare la gestione di proprie strutture a cooperative locali, nate appositamente per questo. Altri progettano di fare la stessa cosa, confidando nel fatto che sia possibile, per i giovani del luogo, 'imparare sul campo'. Questa strategia, se anche è in grado di produrre effetti positivi, lo farà in tempi assai lunghi e a prezzo di disillusioni, tensioni e conflitti. Il parco rischia di dare vita a iniziative imprenditoriali solo di nome, ma nella realtà totalmente dipendenti dalla costante erogazione di spesa pubblica. E la ragione è appunto quella indicata: avere una struttura fisica da gestire (di nuovo torna il tema della centralità dell'opera materiale) non significa avere automaticamente anche le capacità per gestirla. La formazione dunque svolge, almeno potenzialmente, un ruolo importante. Ma occorre considerare quale tipo di formazione (5). La possibilità che un corso di seicento, mille o anche più ore, metta un diplomato o un laureato nelle condizioni di muoversi con successo nella gestione di una struttura ricettiva o, cosa ancora più difficile, nell'organizzazione e gestione di un servizio (ricreativo, sportivo, di visita, didattico, ecc.) è piuttosto bassa. Il corso può trasmettere una serie di conoscenze codificate: circa leggi, norme, regolamenti, autorità, modelli di gestione, contabilità, organizzazione del lavoro, e così via; può illustrare esperienze di successo e sollecitare lo studio di casi; può stimolare l'elaborazione di idee progetto adatte al contesto territoriale nel quale si andrà a operare. Ma una quantità di aspetti rilevanti non sono facilmente codificabili, e restano nascosti sino a quando non ci si misura davvero con la nuova attività. Se il contesto nel quale si vuole agire non ha già sedimentato nel tempo il sapere che può venire in aiuto a questo stadio (6), come di consueto avviene nei parchi, occorre intervenire con azioni speciali di sostegno. La strategia possibile consiste nel favorire processi di trasferimento di competenze, in modo che 1 ' impresa che, all ' interno di un ' area, comincia per prima a gestire una nuova attività legata alla presenza del parco, possa apprendere da altre imprese che, all'interno di altre aree, hanno già affrontato e risolto con successo i problemi connessi a quella attività. Il trasferimento può avvenire stringendo accordi di 'gemellaggio' tra aree (tra parco e parco, se è il caso, ma anche tra il parco che ha bisogno di arricchirsi di competenze e un'area che, pur non essendo parco, queste competenze ha già sviluppato). Oppure può avvenire favorendo l 'ingresso nel parco di imprese esterne ricche di esperienza, che siano in grado di affiancare le imprese nascenti locali nella gestione di strutture e servizi, o che accettino di gestire per un certo periodo quelle strutture impegnandosi a coinvolgere persone del luogo adeguatamente selezionate (7).
Modelli di gestione e iniziative di rete La circolazione di esperienze tra i parchi è in Italia assai debole, se non del tutto assente. La condivisione riguarda molto più spesso i problemi e le difficoltà (normative, giuridiche, organizzative, economiche) che affliggono gli Enti nei loro diversi ambiti di attività, che non le esperienze di gestione a cui essi stessi danno vita con diversi gradi di successo. Purtuttavia la conoscenza, per quanto frammentaria e parziale, di queste esperienze, è fonte di idee per tentare la sperimentazione e la diffusione di modelli innovativi di gestione. L'informazione diffusa. I Centri visita (oltre alla sede dell'Ente parco) sono in generale i luoghi deputati all'accoglienza del pubblico. La qualità dei Centri, sempre in generale, non è straordinaria: vi si possono trovare cartine del parco, altri materiali informativi, pubblicazioni, fotografie, poster, e una sezione espositiva in cui si cerca di rappresentare visivamente le principali risorse e bellezze paesaggistiche del parco. In questo modo il pubblico è accolto in un punto. I Centri visita possono naturalmente essere più di uno, ma sono sempre punti specializzati, deputati solo a quello, gestiti direttamente dall'Ente parco o dati in gestione dall'Ente a un'impresa locale. Per migliorare l'accoglienza al visitatore, e anche per avvicinare il parco alle comunità locali, si potrebbe affiancare (forse in parte sostituire) ai Centri visita una pluralità di punti informativi non specializzati diffusi in molti esercizi commerciali de centri e dei nuclei abitati del parco. Non sarebbe possibile, qui, che distribuire materiali e dare in formazioni su dove andare, cosa fare, dove man giare, dove dormire. Le informazioni più sofisti cate resterebbero al Centro visita, che anzi sarebbe indotto a potenziarle, per differenziarsi dalla funzione informativa semplice offerta da tutti. Per realizzare l'idea, occorre un programma di azio ni che includono: il coinvolgimento degli esercenti del parco, la creazione di un'organizzazione semplice ma efficiente di produzione e distribuzione di materiali aggiornati, la preparazione di progetti standard di 'angoli informativi' (bacheche, piccoli scaffali) da sistemare nei negozi, l'assistenza tecnica all'allestimento, minime attività di preparazione all'accoglienza de] visitatore, e così via. L'accesso controllato. I parchi sono per gran parte accessibili e visitabili in automobile. L'esperienza insegna che il 90% delle persone che visitano un parco mossi da un generico interesse ricreativo, non escursionistico (e si tratta di gran parte della domanda che si rivolge ai parchi) non si allontanano più di 20-30 minuti a piedi dal parcheggio dell'auto. La visita veloce, addirittura affrettata, che fa scivolare via tanti punti di interesse in cui sarebbe possibile fermarsi, è la regola. Si può però cercare di rallentare i tempi di visita, e aumentare la permanenza in loco. Una strategia può essere quella di inibire all'accesso delle auto private in luoghi naturalisticamente più interessanti, e attivare mezzi e servizi di trasporto alternativi: navette elettriche, cremagliere, cavalli. Dati i costi consistenti di interventi di questo genere, appare opportuno approfondirne la fattibilità in relazione a luoghi definiti e definiti tipi di domanda. Le aree faunistiche. Motivati soprattutto alla ricreazione e al relax, moltissimi visitatori di parco apprezzano la vista degli animali, anche se in condizioni di palese (seppure non esibita) cattività. Le aree faunistiche, o i recinti - ampi anche svariate decine di ettari - in cui gli animali, lasciati liberi, possano essere avvistati percorrendo definiti percorsi, potrebbero riscuotere grande successo. L'esperienza è già stata fatta nel Parco nazionale d'Abruzzo, ed ha mostrato una forte capacità attrattiva. Anche in questo caso. occorre studiare la fattibilità del progetto e, in fase di realizzazione, prestare particolare attenzione alla preparazione di chi accompagna nella visita e offre servizi di supporto. L'albo fornitori. I parchi, per organizzare la fruizione, debbono distribuire lungo le strade e i sentieri cartelli, mappe, segnali, aree di sosta, aree picnic, panchine, e così via. Una serie di opere minute, in parte di informazione e in parte di arredo, la cui qualità è importante, e richiede l'intervento di imprese capaci non solo di produrre oggetti resistenti, ma anche di armonizzarli il più possibile con l'ambiente. L'assenza o l'estrema debolezza delle reti di connessione tra i parchi, fa sì che ogni parco debba affrontare da solo, e ogni volta dall'inizio, la ricerca dei fornitori. Lo stesso problema si presenta in relazione ad altri aspetti della vita del parco (8), La creazione di un 'albo dei fornitori dei parchi', da promuovere naturalmente al livello di sistema, potrebbe non solo rendere l'azione degli Enti più efficiente e rapida, ma anche rendere esplicita l'esistenza di mercati nei quali i parchi svolgono un ruolo come soggetti di domanda, e creano, sia pure indirettamente, occupazione.
Conclusioni La Scheda suggerisce di imprimere una forte accelerazione all'attività dei parchi, che appaiono in questa fase autoreferenziali e incapaci di assumere iniziative efficaci per lo sviluppo locale. Due obiettivi, in particolare, appaiono prioritari: aumentare la razionalità degli investimenti che riguardano le opere materiali (elaborando piani complessivi di localizzazione delle strutture di visita e ricettive); realizzare interventi immateriali per lo sviluppo di competenze e capacità imprenditoriali. Le strategie possibili a questo scopo sono varie e non alternative tra loro: a) fornire agli Enti parco il supporto di un gruppo esterno specializzato nella valutazione degli interventi: b) insediare gruppi di progetto all'interno dei singoli Enti parco; c) riordinare gli interventi di formazione e rafforzarli con iniziative di trasferimento di competenze da altre aree, anche chiamando dall'esterno imprese di turismo naturalistico di successo, disponibili a svolgere attività di tutoraggio. * Contributo pubblicato nel volume: Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica, Cento idee per lo sviluppo. Schede di programma 2000-2006, a cura del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e di Coesione, Catania, 2-3-4 dicembre 1998. Questa scheda - redatta a seguito di una serie di incontri e contatti informali con presidenti e direttori di parchi nazionali e regionali, ricercatori, progettisti, rappresentanti di imprese di turismo naturalistico e di tour operator specializzati nello stesso settore - non si propone di compiere una rassegna esaustiva dei problemi dei parchi, né tantomeno di tracciare le linee di una nuova politica per i parchi. L'intento è, assai più modestamente, mettere in speciale evidenza alcuni punti critici, e, in relazione a questi, abbozzare alcune idee di soluzione che potrebbero ispirare nuovi programmi di intervento. 1. E dunque, per esempio, il singolo Centro visita, nel quadro di una valutazione complessiva di dove convenga prevedere nel territorio tutti i Centri. Questo modo di procedere avrebbe particolare nlevanza per la ricettività. La domanda che si rivolge ai parchi, infatti, tende ad essere sempre più composita e differenziata, e a includere vari segmenti che si distinguono fortemente tra loro per esigenze e servizi richiesti. Se vent'anni fa la maggior parte dei visitatori dei parchi erano comitive di escursionisti, in genere giovani, in seguito è venuta crescendo la presenza di altri tipi di fruitori: coppie, famiglie, anziani, e in parte anche disabili (non molto numerosi, per ora, ma potenzialmente destinati a crescere se fosse organizzataun'adeguataoffertadiservizidiaccoglienza) Il rifugio, l'ostello, o la struttura ricettiva organizzata per grandi camerate a più letti, è diventata rapidamente una tipologia non adatta ad accogliere gran parte dei 'nuovi' visitatori dei parchi. Chi organizza oggi soggiorni turistici all'interno delle aree protette, va alla ricerca di strutture ricettive differenziate: sia il rifugio o l'ostello per gruppi (il cui numero di posti letto dovrebbe essere almeno pari al numero di posti di un pullman), sia locande e piccoli alberghi con camere da due-tre letti e servizi, assai più curati e confortevoli. Per rispondere in modo efficace all'evoluzione della domanda, sarebbe opportuno che ogni area parco elaborasse e realizzasse un vero e proprio piano della ricettività, in cui considerare e decidere la dislocazione tra i vari centri di una varietà di strutture ricettive, tra loro diverse per tipologia costruttiva e quantità e qualità dei servizi offerti. 2. E questo un intervento di sostegno che appare opportuno soprattutto per i parchi nazionali del Sud, che appaiono tuttora dotati di personale tecnico e professionale del tutto insufficiente a far fronte agli impegni. La carenza di persone - dipendenti dell'Ente o collaboratori esterni - in grado di predisporre progetti è segnalata come una delle cause del cospicuo ammontare di residui passivi, oltre 400 miliardi, che questi parchi hanno accumulato negli ultimi anni. 3. La legge quadro nazionale sulle aree protette (n. 394/91) non contempla oggi la possibilità di redigere 'piani stralcio' quali anticipazioni del Piano territoriale. Questa opzione naturalmente non è priva di rischi, ma potrebbe comunque essere presa in considerazione. L'intento sarebbe di sostituire all'arbitrio di scelte sollecitate solo da richieste localistiche, una razionalità almeno parziale in attesa di poter contare sulla razionalità 'compiuta' del Piano territoriale definitivo. L'esperienza insegna che il Piano territoriale - dati gli attuali tempi dei bandi, delle procedure di assegnazione degli incarichi, delle attività di analisi, studio e progettazione, degli iter di approvazione, adozione, entrata in vigore - tende ad essere disponibile e utilizzabile solo a distanza di svariati anni. 4. Non si sostiene che è una premessa necessaria perché ci sono molti esempi di beni ambientali di valore modesto ottimamente valorizzati (così come, per contro, esistono beni di straordinario interesse lasciati cadere in rovina), ed è difficile sostenere che sia il valore intrinseco del bene a rendere possibile una buona valorizzazione. E sempre il racconto sul bene, fatto mediante l'allestimento fisico, la comunicazione, l'attività didattica, la divulgazione, usando i numerosi mezzi a questo scopo impiegabili, a rendere quel bene attraente, non il bene in sé. E, naturalmente, la qualità del racconto non è connessa con la qualità del bene: può essere molto alta, e generare una fruizione di livello elevato e grande godimento, anche se il bene a cui si riferisce, in sé, non è nulla di eccezionale. 5. L'esigenza di 'mettere ordine' nella formazione è molto sentita sia tra i responsabili della gestione dei parchi, sia tra le stesse imprese di turismo naturalistico ed educazione ambientale. La proliferazione di corsi per guide e accompagnatori, 'operatori culturali-ambientali', 'esperti in comunicazione ambientale', 'operatori del turismo verde', sino ai 'promotori di sviluppo locale', ha prodotto una situazione di grande confusione in cui esperienze buone o eccellenti si sono mescolate a esperienze assai deboli o del tutto inconsistenti che hanno prodotto solo frustrazione. La domanda, abbastanza netta, che proviene dai parchi, è di poter riappropriarsi in qualche modo della formazione che li riguarda, o almeno avere voce in capitolo circa l'opportunità di avviare o meno alcuni tipi di percorsi formativi che tendono a coinvolgere il parco stesso come potenziale futuro interlocutore. 6. Becattini e Rullani lo definirebbero sapere tacito, contestuale o situato. Cfr. "Sistema locale e mercato globale", in Economia e politica industriale, n. 80, 1993. 7. Favorire l'ingresso di imprese esterne sarebbe una scelta che si colloca agli antipodi degli orientamenti attuali di molti Enti parco, che pensano al contrario che sia opportuno 'proteggere' le imprese locali (tipicamente cooperative di giovani privi di esperienza), dalla concorrenza di imprese esterne già consolidate sul mercato, e decidono di conseguenza di privilegiare le imprese locali - se è loro possibile - quando si tratta di concedere la gestione di aree e strutture. 8 . E stato di recente siglato un accordo tra Ministero dell' Ambiente e Ministero della Pubblica Istruzione, per favorire l'educazione ambientale nelle scuole. I parchi sono oggi i primi beneficiari di un' espansione di questa attività, che comporta ormai sempre più spesso, oltre che la didattica presso la scuola, anche 'soggiorni natura' o 'settimane naturalistiche' all'interno delle aree protette. Gli stessi parchi tendono a offrire laboratori e spazi in cui fare educazione ambientale, come componenti importanti del proprio sistema di offerta. Ma esiste naturalmente, per il parco, il problema di vagliare la qualità delle imprese che organizzano l'educazione ambientale, perché è questa un' attività troppo vicina alla sua missione istituzionale per considerarla alla stregua di una qualsiasi attività turistico-ricreativa ospitata nell'area a beneficio dell'economia locale. In questo caso, una migliore informazione su chi opera nel settore, come opera e quali servizi offre, potrebbe essere pure affiancata da una qualche forma di codificazione di standard di qualità e certificazione, perseguita a livello di sistema (nazionale o regionale) dei parchi. Questo permetterebbe ai singoli Enti di avere più saldi punti di rifenmento nelle loro relazioni con i possibili fornitori / collaboratori. * Redazione di "Parchi " |