Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 26 - FEBBRAIO 1999
  Genius loci e gastronomia
Davide Paolini *


E indubbio che i parchi siano i luoghi ideali dove sperimentare in area vasta quello sviluppo sostenibile (termine e concetto molto in voga) che spesso si fa fatica a sperimentare su basi non solo teoriche. Le aree protette, in fondo, rappresentano molto spesso, pur non avendone l'esclusiva, il genius loci, I'imprinting culturale di una parte significativa del territorio nazionale. I cittadini, i visitatori italiani e stranieri, si avvicinano sempre più numerosi ai santuari naturali; il rispetto verso I'ambiente e il desiderio di conoscere gli aspetti faunistici, vegetazionali e morfologici registra un crescendo esponenziale. Questa tendenza è rafforzata dall'affermarsi di una nuova figura di turista che ama la cultura, l'arte, la musica, che visita i parchi spesso per gustare appieno il binomio di natura e cultura. Ma questo turista ama anche la buona cucina, è curioso di trovare nei piccoli centri del parco servizi turistici affidabili, prodotti artigianali veri, monumenti e perle artistiche da visitare, ma è anche disposto a fare molti chilometri e a spendere per trovare e gustare sapori antichi e ricette originali. I parchi non possono trascurare queste nuove tendenze che privilegiano la ricerca dei "giacimenti enogastronomici" regionali, anzi debbono diventare uno dei centri propulsori per favorire questo processo, considerato che i parchi sono, nella stragrande maggioranza, situati in aree interne. Gli strumenti a disposizione sono molteplici (fondi di bilancio, risorse dei progetti Leader e dei Patti Territoriali) e dovranno tendere a favorire il censimento dei prodotti di nicchia, il finanziamento di ricerche finalizzate alla individuazione, alla salvaguardia e alla diffusione dei vecchi cultivar. Contemporaneamente si dovranno privilegiare quelle aziende agricole che riconvertono le produzioni al biologico, la promozione e la commercializzazione dei prodotti di qualità con un controllo severo delle varie fasi di produzione con l'apposizione del marchio di qualità e di garanzia in un rinnovato rapporto pubblico-privato. Iniziamo la riflessione su questi temi con il contributo di Davide Paolini, noto giornalista e uno dei massimi esperti nazionali di giacimenti enogastronomici.

Oscar Bandini

 

Lo scenario dei consumi alimentari e il trend del turismo mandano segnali chiari: oltre il tradizionale mass market (consumi massificati) all'orizzonte appaiono "nicchie" sempre più definite e in movimento. E pericoloso quando il mercato di nicchia resta fermo, immobile, stabile. Straordinariamente interessante ... tende ad allargarsi e a perdere questa fisionomia. La "nicchia" o meglio l'ex nicchia sono i prodotti "tipici" che preferisco definire giacimenti gastronomici (e su questo vale la pena poi di fare alcune precisazioni) e il turismo, o meglio gli itinerari, i viaggi provocati dal sistema cibo (ristoranti, cantine, luoghi da gustare e da vedere). Non uso il termine "enogastronomici" perché in comunicazione lo ritengo brutto e antiquato, non adatto ad esprimere le valenze socio-economiche e di piacere che dovrebbero avere gli spostamenti di cui parliamo. Ebbene questo quadro consumerista moderno tende a spostare gli interessi verso un uovo modo di scegliere formaggi, salumi, olio, vino, pasta, dolci, ortofrutta, che ha sostanzialmente un rapporto viscerale e sentimentale con il territorio. Tra i fattori rilevanti, la memoria storica dei profumi e dei sapori, la ricerca delle tradizioni, la convinzione di sfuggire dalla globalizzazione del mercato "alimentare"o dall' omologazione del gusto che avanza.

Al tempo stesso è in atto una voglia matta di viaggiare appunto nei luoghi del ricordo, di sfuggire dagli itinerari superorganizzati in paesi esotici o in posti completamente inventati, di riscoprire il patrimonio paesaggistico e ambientale. Questi "movimenti" portano sicuramente alla ribalta anche e soprattutto il "parco", dove il mix prodotto itinerario-paesaggio-cultura materiale sono i valori preminenti da offrire. Sembra quasi pleonastico affermare che i "prodotti tipici" sono beni presenti in numerosi parchi, magari basta fare un censimento, o una mappatura parco per parco per disporre di un inventario straordinario. Ma è necessario fare molta attenzione prima di spacciare come "tipico" ciò che viene offerto. Ecco quindi il punto sul "tipico". Viene così definito un formaggio o un salume quando sia la materia prima sia la lavorazione appartengono al territorio, retaggio di una tradizione secolare, oppure è sufficiente solo uno di questi tre ingredienti per poter vantare questa "prestigiosa" etichetta? Un punto, questo, critico e dolente, un nodo da sciogliere che non riguarda, solo il parco, ma l'intero paese. E mia opinione che il parco in quanto bacino di produzione debba essere soprattutto fornitore di materia prima: carne, latte, maiale, frutta, verdura, ecc.. E questo il vero punto di forza, poiché l'immaginario collettivo vede nel parco un sistema ambientale migliore rispetto al resto del paesaggio. Su questo deve puntare l'economia del prodotto parco, piuttosto che su fasulle trasformazioni di "alimentari" possibili da trovare ovunque, compresi i supermercati.
Il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna (che ho la fortuna di conoscere) possiede una ricchezza straordinaria: due razze pregiate, la romagnola sul versante appunto di Romagna, e la chianina su quello toscano. La prima è in via di estinzione, l'altra ha corso gravemente questo rischio, salvata dal grido d'allarme di pochi che ne hanno permesso un rilancio e una nuova valorizzazione. Romagnola e chianina sono due razze autoctone, uniche per la cucina di qualità in particolare per piatti quali la bistecca. Un'occasione storica dunque per puntare su questo "motivo dominante" delle razze pregiate alle quali magari con ricerche si potrebbero aggiungere anche razze interessanti di maiali.
Chissà se non è ancora possibile rintracciare la "mora romagnola" o qualche cinto senese...
Quanti altri temi sui formaggi di altura, sulle pecore, sulle capre. E quanti ancora sui frutti dimenticati, da vedere, da ammirare, ma anche da trasformare in marmellate, salse, dolci. Da rifuggire è soprattutto la banalità: luoghi di produzione inventati, prodotti mai esistiti nel territorio, validi solo perché richiesti dal mass market. Last but not least: è importante recuperare nei piccoli centri abitati case coloniche, frantoi, laboratori artigianali: sono i veri musei viventi della cultura materiale che ogni parco dovrà presto esporre!

* Giornalista