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Quanti soldi arrivano ai nostri parchi naturali? Chi li eroga? Quali sono le differenze tra parchi nazionali e regionali, in termini di finanziamenti? In base a quali criteri vengono stanziati i soldi, e quali sono le amministrazioni più virtuose? Un 'inchiesta di Parchi per rispondere a queste e ad altre domande. E per misurare, conti in tasca, il reale consenso politico e sociale a quel decimo o giù di lì d'ltalia protetta.
Il ministero
Centoventitre miliardi. E la somma che la legge finanziaria di quest'anno assegna ai parchi nazionali, o almeno la cifra proposta al momento in cui scriviamo (con la legge approvata solo da un ramo del Parlamento). Più o meno quanto lo Stato spende per la ricerca sul cancro e cioè, come ha ricordato provocatoriamente l'oncologo Umberto Veronesi, il costo di due buoni giocatori di calcio. Oppure più o meno, per dirla col compianto Antonio Cederna, di tre chilometri di autostrada. Insomma una goccia nel mare o pur sempre un sacco di soldi, fate un po' voi. Si tratta dei contributi ordinari stanziati per il funzionamento degli enti parco, per pagare gli stipendi dei dipendenti, per sostenere le spese di gestione. E solo una voce del bilancio dei parchi nazionali ma certamente la più importante, non solo in termini quantitativi ma anche perché è indice del livello di consenso sociale alla missione delle aree protette.
Non un secolo, ma appena un decennio fa, i finanziamenti statali ordinari per i cinque parchi nazionali allora esistenti ammontavano alla (oggi) incredibile cifra complessiva di 884 milioni. All'Abruzzo andavano 300 milioni, al Gran Paradiso 262, a Stelvio e Calabria 150 ciascuno, al Circeo appena 22. Oggi al parco d'Abruzzo, tuttora il più ricco tra i ventuno esistenti, arrivano più di 9 miliardi l'anno. All'Aspromonte, per dire di un parco istituito nel '94 ma avviato già sei anni prima (dalla finanziaria '88), gli stanziamenti dal '91 ad oggi sono più che raddoppiati mentre al Pollino, previsto dalla 394, i miliardi si sono addirittura quasi quadruplicati. Al Gran Paradiso, rispetto a soli quattro anni fa, i soldi sono passati da 4,5 a 7,7 miliardi.
123 miliardi, dunque. La ripartizione del denaro di stato (l'elenco completo relativo al '99 è nella tabella allegata) è causa non solo di una comprensibile attesa ma pure di polemiche, mugugni più o meno dichiarati, contestazioni che inevitabilmente l'accompagnano. Agli estremi ci stanno i già ricordati 9 miliardi del parco d'Abruzzo e il miliardo e 700 milioni della Maddalena. In mezzo, dagli Appennini alle Alpi e dai vulcani agli arcipelaghi, ci stanno tutte le altre grandi aree protette. Si va così dai 7,7 miliardi del Gran Paradiso ai 4,8 del Gargano, ch'è però esteso quasi il doppio. Dai 4,2 miliardi dell'Elba e le altre agli 8,8 miliardi del Cilento e ai 3,7 dell'altro parco nazionale campano, quello del Vesuvio.
Sono pochi o sono tanti, quei 123 miliardi? Intanto erano 105 nel '99, 92 nel '98, 86 nel '97: quindi la cifra complessiva cresce costantemente - ma pure il numero dei parchi per cui suddividerla. Poi un raffronto con la situazione dei parchi nazionali di alcuni altri paesi europei, per quanto limitato dal diverso contesto, indica che si è raggiunto un sostanziale allineamento. In Gran Bretagna (dati '91) in testa ai finanziamenti statali c'è il Peak District National Park, con 2,75 milioni di sterline ricevuti (circa 8,2 miliardi di lire), seguito dal Lake District National Park con circa 2,25 milioni e dallo Snowdonia National Park con 1,6 milioni. A ciò vanno aggiunti i finanziamenti dei governi locali, che qui giungono anche alle aree protette statali: oscillano dal 15 al 35% del totale. In Francia lo statale Programme d'Aménagement approva le previsioni di spesa dei parchi nazionali per un quinquennio, per due terzi destinate alla gestione corrente e per il restante terzo agli investimenti. Quanto ai singoli budget si va dai 35,2 milioni di franchi degli Ecrins ai 21 milioni del parco marino di Port-Cros. Dopo anni di magri bilanci, dunque, anche i parchi del Bel Paese sono entrati in Europa. C'è da aggiungere, particolare di rilievo, che oltralpe lo Stato sostiene anche i parchi regionali nelle spese di gestione, fino a percentuali del 38% (parco Ballons des Vosges, bilancio '95) ma mediamente per il 10-15%.
In base a quali principi, da noi, vengono ripartiti i contributi? A ogni parco attualmente vengono attribuite una quota fissa e una quota variabile della somma complessiva a disposizione. La quota fissa nel '99 è stata pari a 630 milioni, uguale per tutti i parchi (compresi quelli in itinere come Appennino tosco-emiliano, Cinque Terre e Sila). La quota variabile viene suddivisa in base ad alcuni parametri: il personale in organico (per il 33%), lo stanziamento dell'anno precedente (per il 30%), la superficie (per il 10%), la popolazione residente (per il 10%), un diritto premiale (per 1'8%), il personale CTA (per il 5%), il numero dei comuni (per il 4%). Tali parametri vengono individuati dal Ministero dell'ambiente, anche sulla base delle indicazioni delle commissioni parlamentari deputate ad esprimersi sul relativo schema di decreto, e possono variare di anno in anno. Non è più considerato ad esempio come criterio per il riparto quello relativo alla presenza o meno dello sportello unico (utilizzato nel '97), mentre è dell'ultimo anno l'introduzione del "premio" e dei contributi riferiti al personale dei CTA (cioè le guardie forestali che effettuano la sorveglianza nelle aree protette).
Tra le proposte avanzate in Parlamento di ulteriori indicatori ci sono quelle relative alla esistenza del piano del parco, oppure di rilevanti popolazioni di grandi mammiferi (per i danni da indennizzare), oppure del regime di proprietà dei terreni: tutte, però, bocciate dal Ministero per la loro scarsa oggettività. In realtà l'unico indicatore forse davvero indiscutibile a cui legare l'ammontare del finanziamento è quello della superficie del parco, che invece partecipa solo per un decimo alla composizione della somma finale. Rifarsi al finanziamento dell'anno precedente, infatti, è un criterio che ha il chiaro limite di perpetuare gli squilibri esistenti, e la sua incidenza sul totale della quota variabile forse non a caso è passata nell'ultimo anno dal 43% al 30%. Legare i soldi erogati alla popolazione e ai comuni interessati è opportuno, naturalmente: ma fa entrare nel conto comuni che hanno solo piccole porzioni (e magari disabitate) all'interno del parco. Accade così - si è osservato nel dibattito alla Camera - che un parco di 8.482 ettari come il Vesuvio, proprio in virtù della popolosissima fascia esterna perimetrale che comprende in parte il territorio di 13 comuni, riceva finanziamenti maggiori di un parco otto volte di più esteso, come quello dei Sibillini. O che, come alle Dolomiti Bellunesi, la popolazione del parco nelle tabelle ministeriali (102.749 abitanti) sia enormemente superiore a quella dei veri residenti all'interno dei suoi confini (88 persone). Nel dare l'assenso all'ultimo schema di riparto, allora, i deputati della commissione Ambiente hanno raccomandato per il futuro di "far riferimento anche al criterio della popolazione effettivamente residente nel territorio del parco".
E quanto alla novità dei finanziamenti ordinari '99, il cosiddetto "diritto premiale", deciso in base alla capacità di spesa di ogni ente e alla giacenza di cassa (relativa alla sola spesa di parte corrente) presso la Tesoreria unica, va incontro senz'altro all'esigenza avvertita da tutti di introdurre più agili criteri di efficienza e meritocrazia all ' interno del mondo giovane eppure già assai burocratico delle aree protette. Ma finisce pure per introdurre - come è stato notato - un criterio legato soprattutto alI'età di un parco, visto che per un ente è assai più facile essere efficiente disponendo da tempo di personale, strutture amministrative, pratica gestionale, etc.. Non a caso in questo primo anno di applicazione i soldi in più sono andati all'Abruzzo (con un premio pari all'intero contributo ordinario delle Dolomiti Bellunesi), al Gran Paradiso e allo Stelvio. La verità, infine, è che quei cento miliardi e più sono una coperta troppo corta per la sete di risorse dei parchi nazionali, e il Ministero ha un bel daffare a dar retta alle ragioni dell'uno e dell'altro.
Per il 2000 dalla prima riunione svoltasi al Ministero a metà novembre è uscita fumata nera. L'Ambiente ha proposto di introdurre un nuovo criterio per la ripartizione, premiando i parchi che hanno poca cassa e sottraendo agli altri il 20% del contributo statale. Ciò ai fini di promuovere la capacità di spesa degli enti, nei cui bilanci si sono accumulate enormi quantità di residui passivi. Molti presidenti non hanno però condiviso tale proposta, osservando che semmai bisognerebbe
penalizzare solo chi non ha speso soldi stanziati per investimenti, senza confonderli coi residui della spesa corrente. Inoltre, è stato suggerito, andrebbe premiata la qualità degli interventi finanziati dal parco e non solo la quantità. "E poi", sostiene il presidente della Federparchi Enzo Valbonesi, "il nuovo criterio finirebbe paradossalmente per penalizzare proprio gli enti che si sono maggiormente adoperati per autofinanziarsi, che dispongono cioè in cassa dei proventi di attività quali la vendita di ticket o che si sono procurati finanziamenti diversi da quelli statali: cioè proprio quello che chiede il Ministero". Alla proposta ultima di ripartizione lavorerà dunque un gruppo di lavoro misto Ministero-parchi composto da quattro presidenti, un direttore e il direttore del Servizio conservazione natura, Aldo Cosentino, ed entro metà gennaio sarà trasmessa alle competenti commissioni parlamentari per il parere previsto dalla legge.
Ma quando arrivano ai parchi le risorse così stanziate e ripartite? Tardi, lo ammette lo stesso Ministro Ronchi, che sottolinea "l'eccessiva lentezza e complessità delle procedure di messa a disposizione dei fondi". Per anni il trasferimento effettivo delle risorse ai parchi avveniva non prima del maggio-giugno di ciascun anno, per cui gli enti erano costretti a rivolgersi alle banche o ad utilizzare i residui dell'anno precedente. Con il provvedimento "collegato" alla finanziaria '98 (art. 47, comma 5) è stata apportata una modifica di rilievo: gli impegni sui capitoli di spesa vengono adesso assunti con cadenza trimestrale, per quote di pari importo, consentendo così ai parchi di avere in anticipo la disponibilità dei fondi. Suggeriva di farlo, tra l'altro, il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della 394 ad opera della commissione Ambiente della Camera. Ma il provvedimento che più di altri promette di cambiare le cose, in quest'ambito e non solo, è un altro e cioè il decreto legislativo sulla riforma degli enti pubblici varato dal Consiglio dei Ministri a fine ottobre. L'occasione - I'ha sottolineato lo stesso Ministro Ronchi durante un incontro organizzato dal WWF - potrebbe essere quella che i parchi attendono da tempo per uscire dai lacci burocratici della legge n. 70 sul parastato, diventando così enti autonomi di nome e di fatto e non più, come avviene attualmente, sottoposti al calvario mortificante e paralizzante di un'infinità di controlli centrali. Quanto agli investimenti, com'è noto, la politica statale per i parchi è radicalmente cambiata sulI'onda del processo di riordino della pubblica amministrazione operato dai "provvedimenti Bassanini". Dopo che per quasi un decennio la relativa spesa del Ministero era passata per lo strumento del Programma triennale per le aree protette (Ptap), la sua soppressione ha creato un vuoto. Ai parchi nazionali viene meno la certezza finanziaria per programmare investimenti di medio-lungo periodo, ai parchi regionali addirittura ogni reale possibilità di finanziamento statale. Dei Ptap già colpiva l'esiguità delle previsioni finanziarie,85 e 95 miliardi rispettivamente per le aree protette regionali e statali nel primo programma 1991-93, e 49 e 106 nel secondo programma 1994-96. Cifre ben lontane dal poter garantire un reale decollo di alcune centinaia di parchi e riserve, oltretutto in continua estensione.
Al posto del Ptap il decreto legislativo 112/98 ha introdotto invece un'autentica novità, e cioè i Programmi regionali di tutela ambientale. E a loro che d'ora in poi saranno destinate le risorse stanziate in sede di legge finanziaria (450 miliardi nel '99), quantificate in Tabella C (quella relativa alle leggi di spesa a carattere permanente, come la 394), dopo la ripartizione stabilita con decreto del Ministero dell'ambiente. A far da battistrada ai programmi dovranno essere le intese istituzionali di programma, previste dalla legge 662/96. Finora, dopo il relativo parere favorevole espresso dalla Conferenza Stato-Regioni, ne sono state varate almeno otto anche se per le più recenti tra cui quelle relative a Calabria e Campania - è ancora attesa la relativa delibera da parte del Cipe. E quanto ai vecchi piani triennali, in alcuni parchi è ancora in corso d'attuazione quello relativo al triennio 1994/96. E il caso ad esempio del parco dell'Etna, dove due progetti inseriti nel Ptta per complessivi 6,6 miliardi per l'occupazione giovanile e la formazione professionale giacerebbero - denuncia lo stesso ente parco - presso l'assessorato regionale al Lavoro, che deve autorizzare l'inizio delle attività.
Altro strumento programmatorio messo recentemente in pista dal Parlamento (legge 426/98) sono gli accordi di programma previsti per la realizzazione dei cosiddetti progetti di area vasta. Nell'aprile scorso s'è firmato quello per Ape, tra il Ministero dell' ambiente e la Regione Abruzzo in qualità di coordinatrice per le aree protette in seno alla Conferenza delle Regioni. Ma la strada è ancora lunga e prevede almeno, come ricorda chi ha ideato Ape e cioè Legambiente, un più puntuale Programma d'azione da definire entro fine '99, il passaggio in Conferenza Stato-Regioni, il parere degli enti parco interessati nonché delle associazioni ambientaliste, e infine l'approvazione da parte del Cipe.
Come "strumento ponte" tra la vecchia procedura del Ptap e il nuovo assetto delineato dai provvedimenti Bassanini, il Parlamento ha varato il Programma stralcio di tutela ambientale. Destinatari: regioni, enti locali, enti parco. Il suo cammino non è stato dei più facili. Previsto dalla finanziaria del '97, quindi finanziato per 325 miliardi nel triennio 1997-99 dalla legge 344/97, è decollato solo nel maggio '98 con il relativo decreto ministeriale. Dei sei progetti strategici individuati (il Programma stralcio interessa più in generale gli interventi di tutela ambientale, vista la soppressione del relativo piano triennale), uno riguarda in particolare le aree protette per uno stanziamento complessivo di 56 miliardi. Un altro progetto riguarda invece il mare, le coste e le isole minori, per altri 22,9 miliardi assegnati. Prevede la realizzazione di un Piano generale di difesa del mare e delle coste (già promesso e mai redatto dalla legge 979 di diciassette anni fa), nonché di un Progetto di sostenibilità nelle isole minori, finanziato con 13 miliardi di cui 6,5 nell'ambito dell'accordo di programma con l'Enea. "Purtroppo dei diversi progetti presentati dai parchi, ad esempio sulla bonifica dei corsi d'acqua", dice Enzo Valbonesi, "ne sono stati approvati solo pochi sull'educazione ambientale e per poche centinaia di milioni". A tre anni dal varo, il programma stralcio è tuttora in fase di attuazione.
Altri finanziamenti statali aggiuntivi, in tutto 95 miliardi, arrivano ai parchi dalle previsioni delle delibere del Cipe del luglio e del dicembre '96. La delibera di fine '96 sul Programma Natour ha riguardato esclusivamente interventi di infrastrutturazione (realizzazione di centri-visita, musei, sentieri, tabellazione, recupero del patrimonio edilizio ai fini di ospitalità diffusa) nei parchi nazionali e nella riserva marina di Ustica, con importi assegnati che vanno dai 7,2 miliardi al parco d'Abruzzo ai 750 milioni all'Arcipelago toscano. Ma in realtà anche molti dei soldi stanziati con la delibera del luglio sono stati destinati allo stesso fine, come i 7 miliardi e mezzo spesi nelle aree protette liguri.
In questo quadro si inseriscono pure i 6 miliardi (rispetto ai 5,68 dell'anno precedente) stanziati dal Ministero dell'ambiente a favore delle riserve naturali statali. Infine, quanto alle aree protette marine, per la gestione in via diretta e indiretta i fondi stanziati dal Ministero sono stati pari a 15 miliardi per il periodo 1986 - 1995, 3,1 mld nel '96, 7,3 nel '97, 9,8 nel '98 e 10 mld nel '99. Di questi ultimi, la quota maggiore (vedi tabella) è andata alla riserva di Ustica. Ulteriori finanziamenti provengono poi dai proventi della carbon tax, per 9 mld, e dalla tabella C della finanziaria '99 (per 8 mld).
Le regioni e gli enti locali
Se in Francia lo Stato finanzia anche i parchi regionali, come ricordato, va detto pure che le regioni finanziano regolarmente i parchi nazionali. I governi locali contribuiscono mediamente in misure che vanno dal 40% delle regioni, al 27% dei dipartimenti, al 20% dei comuni, secondo quanto riportato nel recente volume Parchi naturali (di Migliorini, Moriani, Vallerini, ed. Franco Muzzio).
In Italia la spesa delle regioni, come noto, è fagocitata da alcuni comparti tra cui soprattutto quello della sanità. Una delle regioni più ricche, la Lombardia, nel suo bilancio di previsione 1999 vi ha destinato oltre 16 mila miliardi e cioè il 65 % del totale. Tuttavia, negli ultimi anni le risorse finanziarie destinate all'ambiente sono sensibilmente e costantemente cresciute, come documentato nell ' ultima Relazione sullo stato dell 'ambiente. Il dato più recente, che comunque risale al '91 e cioè proprio al varo della 394, parla di 1207 miliardi stanziati complessivamente per la conservazione della natura (il 14,2% del totale destinato dalle regioni alla tutela ambientale).
In particolare per le aree protette, l'impegno delle regioni tuttavia non conosce un andamento omogeneo in egual misura favorevole. Il dato più significativo riguarda forse i contributi agli enti di gestione delle aree protette regionali per le spese correnti. Tra le regioni che hanno aumentato la spesa ci sono ad esempio il Piemonte e la Liguria. Nella prima regione i fondi sono passati da 8,5 miliardi del '97 agli attuali 10,2 (e anche la spesa per il personale è passata dai 19,6 miliardi ai 22,2 del '99). In Liguria si è passati dal miliardo e 300 milioni del '96 ai 3,1 miliardi del '99. Spese cresciute, seppure in misura minore, anche in Umbria (quest'anno sono stati stanziati appena 500 milioni, comunque più degli anni passati), nel Lazio (anche qui con un aumento di 500 milioni), in Emilia Romagna, in Abruzzo. L' impegno finanziario rimane più o meno costante, invece, ad esempio nella Provincia di Trento, in Valle d'Aosta, in Friuli. Quanto ai singoli parchi, l'entità dei contributi ordinari non segue affatto - come nei parchi nazionali - criteri più o meno oggettivi ma conosce rilevanti difformità da una regione all'altra. Accade così che ad esempio il parco del Sirente-Velino, con circa 60 mila ettari uno dei più grandi d'Italia, riceva dalla Regione Abruzzo un miliardo l'anno per la gestione: più o meno quello che la Regione Valle d'Aosta destina al suo "piccolo" (3500 ettari) parco del Mont Avic.
Criteri soprattutto legati all'estensione vengono invece utilizzati, e nemmeno sempre, per la ripartizione dei soldi nell'ambito delle singole regioni. Ad esempio le Marche ne hanno appena introdotto sei, che verranno applicati a partire dal 2000, e sono col relativo peso in termini percentuali: superficie (45%), estensione dei siti Bioitaly compresi (30%), popolazione residente + presenze turistiche (5%), efficienza gestionale oppure occupazione diretta (10%), beni storico-culturali (10%).
Privilegiare la spesa corrente oppure gli investimenti può rispondere a logiche non casuali. "Nel primo caso ci troviamo di fronte a piante organiche pressoché complete, come in Toscana", dice Stefano Cavalli, dal suo singolare e da questo punto di vista privilegiato punto di vista di funzionario del parco di Migliarino-S.Rossore e di direttore al parco del Conero, "con la pianificazione che è molto avanti ma che poi fa fatica a concretizzarsi. Viceversa nelle Marche (al Conero i contributi per la gestione ordinaria sono di 630 milioni, mentre gli investimenti sono quasi il doppio, ndr) c'è seria difficoltà per le assunzioni e i parchi fanno lavorare soprattutto soggetti esterni. In realtà fatte di piccoli Comuni", conclude Cavalli, "può essere una strategia utile a far guadagnare consenso all'area protetta". "Per avere gli organici al completo da noi ci vorrebbe mediamente un miliardo a parco e invece ne abbiamo 3,1 in tutto", aggiunge Federico Beltrami, responsabile dell'Ufficio Parchi della Regione Liguria. "E per questo che i nostri sei parchi per ora hanno solo il direttore o poco più". Nel Lazio invece, a fronte della dozzina di miliardi erogati ogni anno per la spesa corrente, lo squilibrio è a danno degli investimenti cui vanno appena lO0 milioni: "certo è poco ma pure gli enti parco spendono con grande difficoltà", replicano all'Ufficio Parchi in regione, "in alcuni casi trascinandosi ancora stanziamenti del '93". C'è poi da aggiungere, per completezza, che molti filoni di finanziamento alle aree protette sfuggono all'esame dei relativi capitoli di bilancio (e quindi anche in parte a questa inchiesta), attinendo ad altri settori delle politiche regionali, come avviene ad esempio in Abruzzo. "La nostra legge per l'imprenditoria giovanile nei parchi stanzia 5 miliardi all'anno", dice l'assessore all'Ambiente Stefania Pezzopane, "promuovendo la nascita di 25-26 nuove imprese ogni anno".
Quanto a bilancio equilibrato, I'esempio da seguire sembra essere ancora una volta quello del Piemonte, tradizionale capolista tra le regioni in quanto ad aree protette. Il suo primato è non tanto relativo alla superficie complessiva tutelata, ma alla reale esistenza di una macchina amministrativa (uomini, strumenti e soldi, sostanzialmente) in grado di trasformare i vincoli sulla carta in azioni di conservazione e sviluppo sostenibile. Basterà qui accennare alle 55 aree protette regionali, ai 29 relativi enti di gestione, alle 390 unità di personale (cui sono destinati 22,2 miliardi l'anno), ai 10 miliardi e passa di rimanente gestione nonché a 10 miliardi assegnati per investimenti cifra peraltro triplicata rispetto al '97 e quintuplicata rispetto al '98.
Ma le regioni non sono le uniche realtà locali a spendere per i parchi regionali. "Da noi già da tempo una delibera di giunta ha espressamente messo un tetto del 50% ai contributi regionali per parchi e riserve", dice Stefano Corazza, alla guida del Servizio Parchi dell'Emilia Romagna. "Province, comunità montane e comuni contribuiscono quindi secondo quote indicate negli statuti, redatti in base ai criteri suggeriti dalla regione". Così ad esempio la Provincia di Bologna contribuisce per il 50% ai finanziamenti per le spese correnti del parco del Corno alle Scale, per il 30-35% per quello dei Boschi di Carrega e lo stesso per il parco dei Gessi, dove ben il 40% è invece a carico dei comuni interessati. Al Delta del Po, il finanziamento di province e comuni supera addirittura (600 milioni contro 400) quello regionale. E anche in Lombardia alle entrate dei parchi contribuiscono in maniera rilevante gli enti locali che compongono i diversi consorzi di gestione. Al parco Nord Milano, ad esempio, dei 4,2 miliardi di entrate di parte corrente del consuntivo '98 ben 3,7 provengono dagli enti consorziati.
Sempre sulla capacità dei parchi di attrarre risorse dagli Enti locali, comunque, una ricerca commissionata alla Federparchi dal Ministero dell'ambiente nell'ormai lontano 1993 e riassunta in un intervento di Mercedes Bresso e Silvia Marchini su Parchi (n.21, pag. 45-47) rilevava che in generale la percentuale è assai bassa. Tra gli esempi fatti, erano quello del parco delle Groane (Lombardia) finanziato dagli enti locali per circa il 60% e quello della riserva del lago di Penne (Abruzzo) finanziato per il 24% dal WWF. Tra le altre eccezioni è possibile includere poi il parco della Maremma, che riceve 650 milioni l'anno dagli enti locali. E anche un parco strutturalmente anomalo come quello dell'Appia Antica, ricco di valori ambientali ma poi soprattutto archeologici e storico-artistici e ormai inglobato nel tentacolare tessuto urbano della capitale. Dei 2 miliardi ricevuti dall'ente lo scorso anno fanno parte pure 200 milioni stanziati dalla Provincia di Roma, 400 dal Comune di Roma e 50 ciascuno dai Comuni di Marino e Ciampino. "In più noi saremmo pure in grado di produrre reddito con la gestione dei beni", aggiunge il presidente del parco Gaetano Benedetto, "ma il relativo trasferimento da parte del comune non è ancora avvenuto, a undici anni dalla legge istitutiva che lo prevedeva" . Inoltre, a riprova dell ' anomalia del parco ma pure della possibilità - comune a molte aree protette italiane - di attingere soldi per la manutenzione o il recupero di beni culturali dalle amministrazioni preposte, all'Appia Antica sono pure destinati a questo scopo all'incirca 65 miliardi da parte di soprintendenze e comune.
Quando vengono erogati i soldi? Anche qui i procedimenti sono diversi nelle varie regioni, anche qui dagli enti parco non si raccolgono generalmente che mugugni e malcontenti. "Spesso gli enti devono preparare il bilancio prima che la regione faccia il suo", spiega Federico Beltrami: "e quindi dopo l'assestamento il bilancio dei parchi va obbligatoriamente rivisto". "Il ritardo nell'erogazione dei fondi è strutturale", aggiunge Stefano Cavalli. "Da noi nelle Marche la richiesta viene fatta a novembre, ma i soldi arrivano solo a luglio. Arrivando i soldi a metà anno, i lavori previsti dal piano di investimenti si protraggono quasi sempre nell'anno seguente. La regione ci chiede la rendicontazione dei lavori ma noi a quel punto siamo costretti a fornirla in ritardo: ritardo tollerato, perché la regione stessa sa che è colpa sua".
Buone novità sono l'anticipo del 40% a inizio lavori per gli investimenti nei parchi dell'Emilia Romagna, come da recente provvedimento regionale. Oppure addirittura il 70% entro l'aprile di ogni anno in Piemonte: "finora le risorse per gli investimenti sono state erogate in blocco assai in ritardo, quasi a fine anno", dice Giovanni Assandri, a capo dell'Ufficio gestione aree protette della Regione Piemonte, "ma per il 2000 dovremmo riuscire a capovolgere la situazione, effettuando poi il saldo sulla base di una rendicontazione".
Infine, anche se non tutti lo sanno, c'è da registrare il contributo che alcune regioni erogano a beneficio dei parchi nazionali (compresi per intero o in parte). E il caso ad esempio della Provincia autonoma di Trento, che ha stanziato nel '99 un miliardo e mezzo per il parco dello Stelvio (tra gestione e investimenti); della Campania, che verserà dieci miliardi per investimenti nelle casse del Vesuvio; dell'Abruzzo, che nel '98 ha stanziato 3,2 miliardi per investimenti nei parchi del Gran Sasso-Laga e della Majella; della Valle d'Aosta, anche se in diversa misura, che eroga ogni anno 48 milioni a favore del Gran Paradiso. Sulla spesa degli Enti locali e soprattutto delle regioni per le aree protette, comunque, è da rilevare l'assenza di un qualsivoglia quadro nazionale riepilogativo. L'unica eccezione è probabilmente il già citato lavoro commissionato alla Federparchi, ormai vecchio di sei anni e che dunque necessiterebbe di un aggiornamento, viste anche le profonde modificazioni della normativa intervenute nel frattempo. Tutti in ordine sparso, perciò, e nessuno che sappia cosa fanno gli altri: ma ha un senso allora parlare di sistema delle aree protette?
L'Europa
Per i parchi conta sempre di più. Le risorse comunitarie sono quelle che molto spesso fanno la differenza in un parco, che possono in definitiva contribuire al suo successo, all'attuazione di interventi di conservazione, fruizione, etc. in termini assai più incisivi di quelli consentiti dalle spesso stentate risorse di provenienza statale o locale. Come noto, i principali strumenti finanziari per le aree protette sono i Life Natura e Ambiente e, all'interno del Quadro comunitario di sostegno (Qcs), i Fondi strutturali relativi al Programma operativo multiregionale (Pom) Ambiente - ma ce ne sono altri che interessano i parchi, ad esempio il Pom Turismo, l'Interreg II, etc.. Sul ruolo dei fondi strutturali basti qui fare solo l'esempio delle aree protette piemontesi, che nel periodo 1996-99 hanno ricevuto tramite questo strumento finanziario qualcosa come 24 miliardi (cui si è aggiunta la quota di cofinanziamento da parte degli enti di gestione, per un 10-30%.
Nell'ambito della nuova programmazione 2000-2006 dei fondi strutturali, il governo italiano ha proposto a Bruxelles un Programma di sviluppo del Mezzogiorno (Psm) con una ripartizione decisamente innovativa, che premia le azioni relative alla gestione delle risorse naturali (beneficiarie circa del 20% del totale assegnato, contro il 14% del precedente Qcs) e ne assegna l'attuazione interamente alle regioni. In quest'ambito i finanziamenti che andrebbero al settore Ambiente (I'asse Risorse naturali comprende pure Acqua e suolo ed Energia) ammontano a circa 3165 miliardi di lire. Presentato ufficialmente alla Commissione europea il 30 Settembre 1999, il Psm è attualmente all'esame della Commissione presieduta da Romano Prodi la quale, come previsto dal nuovo regolamento comunitario, dovrà pronunciarsi entro cinque mesi e cioè non oltre la fine di febbraio.
Quanto ai Life, sono stati utilizzati a partire dal 1992 dalla Ce come strumento finanziario di sostegno alla politica ambientale comunitaria. Più in particolare i Life-Natura (gli altri sono i Life Ambiente, destinati a incentivare le industrie ad adottare soluzioni innovative per lo sviluppo sostenibile, e i Life-Paesi terzi, per la cooperazione con paesi confinanti con l'Ue) dotati di un bilancio indicativo di 400 miliardi di lire per il periodo 1996-99, devono contribuire all'applicazione delle direttive comunitarie 79/409/CEE ("Uccelli") e 92/43/CEE ("Habitat"), nonché all'attuazione della rete Natura 2000 volta alla gestione e alla conservazione di specie e habitat più preziosi dell'Unione. "Non si tratta perciò di uno strumento pensato apposta per i parchi, mentre invece ce ne sarebbe bisogno", sostiene Renzo Moschini della Federparchi: "non è arrivato il momento di creare uno strumento finanziario ad hoc per le aree protette?". La proposta, avanzata all' ultimo convegno del Centro Valerio Giacomini organizzato a Gargnano, ha raccolto in quella sede più di un consenso anche tra i funzionari della DG XI.
Intanto sui Life-Natura l'Italia va forte. Il nostro è stato infatti il Paese con più progetti approvati nel '98, ben 20 per un totale finanziato di 5,3 milioni di euro (circa 10,3 miliardi di lire). E nel '99 la performance si è ripetuta. La Commissione europea ha ricevuto in esame 229 progetti, ne ha ritenuti approvabili circa l 50 e di questi ne ha quindi selezionati 94, finanziandoli per un totale di 64,8 milioni di euro. Le associazioni non governative hanno beneficiato del 24% del budget. Diciannove dei progetti sono italiani: uno in meno dell' anno scorso, ma i relativi finanziamenti sono però saliti a 15,3 miliardi di lire. L'intervento gestionale più ingente tra quelli approvati (ben un miliardo e mezzo di euro) è quello relativo al risanamento del lago di Alserio, nel parco della Valle del Lambro. "Tutto è partito leggendo una circolare informativa sui Life e relative scadenze inviata dalla regione", racconta Omella Cereda, responsabile dell'ufficio Affari generali del parco lombardo. "Quindi al parco ci siamo studiati il bando, che ho prelevato io stessa su Internet (l'indirizzo web è http://www.europa.eu.int/comm/life/home.htm, ndr): successivamente il presidente e il consiglio di amministrazione hanno individuato gli obiettivi del progetto da presentare, che abbiamo steso da noi con il valido aiuto di una società di consulenza a Roma". I primi 500 milioni sono già stati stanziati dall'Ue, come prevede il regolamento del Life. In totale il progetto sarà finanziato con fondi comunitari per l ,4 miliardi (48%), dalla Regione Lombardia per un miliardo (34,1%) e dal consorzio del Parco per 525 milioni (17,9%).
La società di consulenza citata si chiama Comunità Ambiente, ed è quella che dopo aver vinto una gara bandita dalla DG XI offre i suoi servizi ai soggetti proponenti progetti Life-Natura. Nome e indirizzo della società (Comunità Ambiente, tel.06-5806070) sono riportati già sul bando. "Per il bando del '99 s'è rivolta a noi una trentina di enti parco", spiega Osvaldo Locasciulli: "generalmente ci chiedono come riempire le schede, in che modo interpretare le voci". Per il contratto con la Ce, che scadrà fra due anni, la società è dal '94 I'unica ad offrire consulenza gratuita al riguardo in Italia e non si può occupare di nessun altra attività.
La terza fase del programma Life, relativa al quinquennio 2000-2004, è al varo nel momento in cui scriviamo. Per quel che se ne sa, prevede nuovi indirizzi attualmente in discussione nel Parlamento europeo e uno stanziamento complessivo di 613 milioni di euro (che per il 47%, cioè pari a 557 miliardi di lire, andranno ai Life-Natura). Le proposte raccolte dal Ministero dell'ambiente dovranno essere presentate alla Commissione europea non oltre il 31 marzo 2000.
Chi fa da sé...
Infine, le entrate un parco può materialmente procurarsele da solo. Con i proventi dei diritti d'ingresso o di attività commerciali e promozionali, con entrate derivanti dai servizi resi o anche dalle sanzioni per inosservanza dei propri regolamenti. Non sono indicazioni da parco-bazar, piuttosto previsioni della 394. Sarà scontato ma l'esempio Usa è il primo a venire in mente. Potendo contare su milioni di visitatori, le immense aree protette nordamericane spesso raggiungono coi proventi dei ticket d'ingresso le cifre stanziate dal governo federale. In Gran Bretagna il budget dei parchi nazionali è autogenerato per una quota che arriva fino al 34%. In Canada le attività di gestione garantiscono entroiti per circa il 12% del totale. Tn Italia siamo per lo più a percentuali da prefisso telefonico, ma qualcosa si muove. E, dopo le polemiche di fine estate, al parco della Maddalena il miliardo incassato coi ticket dai diportisti va quasi a raddoppiare il contributo ordinario del Ministero.
Le obiezioni all'idea di estendere gli ingressi a pagamento sono ben note quanto pertinenti. I nostri sono parchi pieni di centri abitati e vie d'accesso, senza i singolari spettacoli naturali dei parchi Usa, etc.. Eppure l'idea di far pagare i visitatori - magari in certi periodi dell'anno alle gole dell'Infernaccio piuttosto che in quelle di Celano, all'isola di Zannone oppure all'Asinara, in val di Rose piuttosto che nella tenuta di S.Rossore potrebbe rivelarsi meno impraticabile e impopolare di quel che sembra alI'immediato. E ciò senza ovviamente confondere un parco con un'azienda. "Le risorse che ne deriverebbero ai parchi li farebbero in parte sganciare dai finanziamenti pubblici", dice Emilio Gerelli, economista già sottosegretario alI'Ambiente del governo Dini, "come avviene da tempo negli Usa dove il sistema funziona benissimo. E poi", conclude Gerelli, "troverebbe così piena evidenza l'apprezzamento sociale di cui oggi godono le aree protette. Le cose gratuite, al contrario, le maltrattiamo tutti". |